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«C-cosa sta succedendo...?» riuscii a malapena a pronunciare, gli occhi fissi su quell'enorme spazio vuoto nella barriera che, man mano, si stava richiudendo.

Qualsiasi reazione o pensiero coerente era stato annullato dalla paura che mi stava divorando dall'interno, con l'unico scopo di non lasciar nulla di me. Provare a fare un passo nella direzione opposta, provare anche solo a respirare, mi era impossibile.

Ero paralizzata, impietrita, immobile.

L'unica cosa che sembravo in grado di fare era fissare. Fissare ed immaginare ciò che sarebbe successo nel giro di pochi istanti. Ci sarebbero stati dei morti. Tanti. Degli innocenti sarebbero stati uccisi, massacrati, fatti a pezzi e divorati.

Lo sapevo bene.

«Hanno creato un varco in cui passare ed entrare nella città» mi avvertì Elix, con una calma spietata e calcolata. Il suo istinto da sentinella era appena entrato in azione, ma io non riuscivo a pensare ad altro che al massacro che stava per compiersi ed immaginai che Elix lo sapesse. Doveva aver avvertito la rigidità delle mie braccia e quel tremore che mi stata scuotendo il corpo.

Fu per tale ragione che si voltò a guardarmi. «Dobbiamo andarcene immediatamente, Hanae. Non abbiamo tempo.»

Fece per trascinarmi, per costringermi a fare un passo verso quella che poteva essere la salvezza, ma mi ribellai e rimasi immobile.

Lei mi guardò confusa - forse a causa della mia esitazione - e mi porse una domanda silenziosa con l'unico contatto visivo: "cosa c'è?"

Accantonai la paura e lasciai prevalere quel barlume di ragione.

Deglutii a fatica, la bocca così arida da non per mettermi di pronunciare nemmeno una parola. «Ma... Tutti gli altri?»

Non sapevo cosa Elix vide nei miei occhi mentre mi fissava con impazienza, fatto stava che comparve un luccichio di compassione e dispiacere nelle iridi castane. Tuttavia questo non bastava a farle perdere di vista quello che era il suo obiettivo, lo scopo che si era prefissata di portare a termine prima di morire.

«Per quanto mi piacerebbe poter salvare tutti, al momento tu sei l'unica persona che voglio e devo portare in salvo.»

Sussultai, quasi come se avessi ricevuto uno schiaffo in pieno volto.

Iniziai a sentire i miei occhi bruciare. Le prime lacrime iniziarono ad offuscarmi la vista e a rigarmi il volto.

Mi chiedevo perché, perché la mia vita fosse così importante da mettere a repentaglio quelle di molte altre. Mi domandai quanto dovesse essere dura per Elix dover scegliere chi salvare. Ero certa che una parte di lei volesse correre in soccorso di chiunque si trovasse dinanzi ad un demone, ma la sua devozione la portava sempre a scegliere me ciecamente.

Era sempre stato così e la cosa mi terrorizzava.

In fondo al mio cuore, avevo sempre saputo che un giorno sarebbe accaduto. Avevo sempre vissuto nella paura che i Risvegliati avessero trovato un modo per raggiungermi ed attendessero solo il momento migliore per farlo. L'etere che scorreva nelle mie vene, così come in quello degli altri due Eterei, li avrebbe sempre portati ad un passo da me. Era il potere divino quello che loro volevano e bramavano. E, quando sarebbero riusciti a trovarmi, mi avrebbero prosciugata, divorata fino al punto che di me non sarebbe rimasto nulla più che un guscio vuoto e privo di vita. Ed Elix, o Kalon, avrebbero subito la mia stessa sorte a causa del loro senso del dovere. Non avrebbero permesso a quegli esseri di avvicinarsi tanto facilmente alla sottoscritta e, alla fine, sarebbero stati uccisi come molti altri prima e dopo di loro.

Ed io...

Io...

Urla inumane si sovrapposero a quelle di terrore prodotte da chiunque cercava di trarsi in salvo.

Avrei voluto urlare anch'io, in quel momento, ma non ne ebbi il tempo. Non appena quelle creature mostruose si mescolarono alla folla in subbuglio e nell'aria si librò il nauseante odore di sangue e morte, Elix mi tirò via, portandomi via con sé prima ancora che potessi scorgere la figura di un Risvegliato o che questo potesse rilevare la mia presenza.

Lanciai un ultimo sguardo nella direzione di Kalon e lo vidi sguainare la sua spada. L'argento della lama brillò sotto la pallida luce del sole che, d'un tratto, era stata offuscata da alcune nubi grigie e minacciose.

Anche lui si voltò a guardarmi e, per un solo istante, mi parve che volesse dirmi qualcosa con lo sguardo, qualcosa che non riuscii a comprendere. Mi sorrise, incoraggiandomi a credere che sarebbe andato tutto bene e, dopodiché, si voltò ad Elix dicendole: «Portala via di qui».

La mia amica annuì solennemente, prima di dirmi: «Andiamocene da questo inferno».

Qualunque fosse stata la mia risposta, lei non attese che io mi pronunciassi e mi trascinò con sé. Nel caos generale, riuscimmo a farci un varco tra le guardie che si spostavano sul piedistallo per raggiungere il Ministro Adam T. Willow. Scendemmo le scale ed Elix iniziò a guardarsi intorno freneticamente, alla ricerca di una via di fuga che non mi mettesse più in pericolo di quanto già non lo fossi.

Sfortunatamente, non vi era luogo in cui non regnasse il caos ed in cui le urla non frantumassero il ricordo di quelle risate gioiose e quella sinfonia di festa che avevo udito solo un'ora prima.

Intorno a me c'era solo devastazione e gente che si accavallava l'una l'altra per poter scappare il più lontano possibile da quella piazza.

Sentii Elix ringhiare prima che si voltasse a guardarmi. Tuttavia, quella volta non c'era solo determinazione nel suo sguardo, ma anche paura, nonostante questa fossi certa non era rivolta a sé stessa.

Mi lasciò il braccio e mi strinse la mano tra la sua. «Se ti dico scappa, tu scappi. Va bene?»

Annuii, nonostante desiderassi non farlo. «Va bene...»

Non appena udì le parole che avrebbe voluto sentirsi dire da parte mia, la mia amica mi diede le spalle ed iniziò a correre il più veloce possibile.

Faticai a starle dietro.

Elix era veloce, era una guardia addestrata a sopportare lo sforzo fisico e a continuare a combattere seppur fosse allo stremo delle forze. Io, al contrario, non ero abituata a mettere così a dura prova il mio corpo e, dopo solo pochi metri, iniziai a sentirmi senza energie.

Avevo anche il fiatone. Ma nonostante questo, strinsi i denti e continuai a correre più veloce che potevo.

Non volevo essere un peso per Elix.

Nella frenesia della corsa, non mi ero resa conto che ci eravamo uniti ad un gruppo di umani che correva verso est. Fu quando sentii un pianto disperato dietro di me che me ne accorsi.

Mi voltai leggermente e vidi correre alle mie spalle una giovane donna che portava tra le sue braccia una bambina bionda. Era suo quel pianto isterico e spaventato.

«Continua a correre, Hanae!» gridò Elix, cercando di sovrastare il baccano intorno a noi con la sua voce autoritaria.

Feci come lei mi ordinava e tornai a prestare attenzione solo a dove mettevo i piedi e non su qualunque cosa accadesse nelle nostre vicinanze.

Fu quando udii un altro urlo stridulo ed inumano, che non apparteneva a nessuna creatura che conoscessi, seguito da un rumore agghiacciante di ossa che si spezzavano, che disobbedii al suo ordine e mi concessi un solo istante per guardarmi alle spalle.

Ma fu un errore.

Dietro la donna e sua figlia, poco lontano, intravidi qualcosa. Una figura indistinta si muoveva così rapidamente che non permetteva ai miei occhi di identificarla e di memorizzare i dettagli del suo rivoltante aspetto.

Non mi serviva vederla per capire di cosa si trattasse.

Il solo pensiero di avere dei demoni così tanto vicini mi faceva accapponare la pelle. Sentivo le mie viscere contorte dalla paura, un terrore che crebbe in me nel momento in cui, distratta dai movimenti rapidi di quel mostro, incespicai a causa della mia veste e caddi a terra, tra il fango ed il sangue. Sentii Elix urlare il mio nome, ma quando provai ad intercettare il suo sguardo, mi resi conto che era stata spinta a proseguire la corsa.

La folla in subbuglio avanzava imperterrita e non si rese nemmeno conto che ero caduta e, prede della paura, finirono col colpirmi e pestarmi.

Non riuscivo a sollevarmi.

Ogni movimento era completamente inutile. Se provavo a rialzarmi, qualcuno mi spingeva nuovamente a terra.

Mi sembrava di essere in un incubo senza fine e da cui non avevo alcun scampo.

Decisi di rimanere immobile, accusando i colpi di chi non si era reso conto che ero ancora viva e non un cadavere abbandonato per le strade.

Serrai gli occhi e cercai di proteggermi la testa con le mani, attendendo il momento in cui gli umani si sarebbero allontanati. Nel frattempo, pregavo gli Dei di proteggermi, di salvarmi. Non volevo morire per mano di quelle creature. Io volevo vivere per poter vedere il futuro cosa mi avrebbe riservato. Volevo vivere per avere uno scopo nel mondo, qualunque esso fosse.

Non volevo essere prosciugata e nemmeno volevo che morissi in quel modo, schiacciata e pestata.

Altre urla affamate e stridule giunsero alle mie orecchie e fu allora che la folla si disperse e si allontanò definitivamente da me.

Sentivo dolore in ogni parte del mio corpo. Tentai di ignorarlo e di rialzarmi il più in fretta possibile, ma era ormai troppo tardi. Uno di quei demoni produsse un ringhio animale e non mi serviva voltarmi per comprendere che era proprio dietro di me.

Potevo chiaramente percepire la sua presenza, così come sentivo le mani gelide della morte sfiorarmi per poi trascinarmi nell'oblio.

Ero spacciata.

Non avevo più alcuno scampo e quella consapevolezza per poco non mi paralizzò. Tentai di scacciarla e mi rimisi in piedi. Le mie gambe tremavano così tanto che non mi permettevano di correre più veloce di quanto già stessi facendo.

Quella volta non commisi lo stesso errore di qualche minuto prima.

Non mi voltai a guardare dietro di me, ma sapevo che il Risvegliato mi stava seguendo. Avvertivo i suoi passi alle mie spalle e il ringhio basso che produceva. Era affamato. Terribilmente affamato. Però io non sarei stata il suo prossimo pasto o, almeno, questo era ciò che continuavo a ripetermi fin quando non inciampai nuovamente su qualcosa di solido e rotolai sul terreno fangoso per qualche metro.

Le braccia e le gambe mi facevano terribilmente male e rendevano goffi i miei movimenti. Riuscii a sollevarmi a fatica. Fu in quel preciso momento che mi resi conto di essere caduta a causa di un corpo abbandonato al centro della strada. I capelli scuri erano sparsi in una pozzanghera scarlatta che si allargava sotto la sua testa. Aveva una ferita al collo talmente profonda che, pur da quella distanza, riuscii a vederle l'osso del collo. La posizione delle sue braccia era innaturale, proprio come quella delle sue gambe. Tuttavia, fu l'espressione di puro terrore sul suo viso a farmi star male a tal punto da nausearmi.

Vomitai e vomitai ancora fin quando non sentii il mio stomaco bruciare e la gola rancida e dolorante.

Chiusi gli occhi ed iniziarono a cadere delle lacrime dal mio viso.

C'era un solo pensiero che si ripeteva senza sosta nella mia testa: sarei morta anch'io, proprio come quella donna, e non avrei potuto far nulla, assolutamente nulla per evitarlo.

Non sapevo combattere e non ero nemmeno in grado di usare i poteri con cui ero stata benedetta dagli Dei. Come potevo pensare che sarei sopravvissuta? Come potevo anche solo sperare di non morire quel giorno?

Era impossibile, eppure gli Dei mi salvarono. Anzi, Elix mi salvò.

Non appena riuscì a liberarsi dalla folla in delirio, tornò in dietro per cercarmi anche se non si aspettò ciò che trovò dinanzi a sé.

«Dannazione!» disse con un ringhio sommesso, impugnando rapidamente i due pugnali che portava suoi fianchi.

Si frappose tra me ed il Risvegliato - che non riuscivo a vedere per via dei suoi movimenti rapidi - e si limitò a guardarmi con la coda dell'occhio, senza però perdere di vista la sua preda. Era una sentinella, una guardia addestrata e scelta appositamente per proteggermi. Comprendeva che non poteva perdere la concentrazione. Sarebbe stato fatale per entrambe e, per quanto desiderasse constatare se fossi ferita o meno, quella non era una priorità.

Decisamente no.

Strinse più forte la presa sui suoi pugnali e se li portò all'altezza del torace, proteggendo i vari punti vitali in caso di un attacco a sorpresa.

Il Risvegliato si avvicinava.

Potevo vedere quell'ombra bianca e spettrale diventare sempre più nitida e reale.

«Hanae» pronunciò il mio nome Elix con l'unico tentativo di distrarmi dalla presenza di quel demone. «Qualunque cosa accada, sta indietro» mi disse, poco prima di andare incontro al Risvegliato che bramava il mio sangue.

Non me lo feci ripetere due volte. Con un unico scatto, mi gettai contro un muro in cemento e mi strinsi le gambe al petto, terrorizzata.

Iniziai a sentire i primi lamenti ed i primi colpi di Elix andare a segno nel corpo del suo avversario, ma sapevo che non sarebbe stato abbastanza, non sarebbe mai stato sufficiente ad uccidere quelle creature con semplici armi. Serviva il sangue degli Dei per distruggerli.

Lo attaccò senza alcun indugio e quando avvertii il primo grido di dolore, iniziai a piangere.

Mi portai le mani alle orecchie e chiusi gli occhi, cercando di estraniarmi da tutto ciò che stava succedendo, da quell'inferno in cui eravamo precipitati così tanto rapidamente.

Non volevo sentire, non volevo vedere.

Non volevo sentire le urla, il tintinnio metallico delle armi impugnate dagli Impuri che combattevano e nemmeno volevo sentire quel rumore agghiacciante dei corpi che cadevano al suolo. Non volevo vedere la morte che mi circondava, non volevo vedere il sangue che sembrava aver tinto di rosso tutto il mio mondo, così come non volevo vedere il volto di quei mostri che stavano facendo tutto questo.

Sapevo che, se solo mi fossi guardata intorno, non avrei mai più dimenticato nulla di tutto ciò che stavo vivendo. Il ricordo sarebbe stato nitido nella mia mente, incancellabile, indelebile come il marchio che era impresso a fuoco sulla mia pelle.

Ed io non potevo sopportarlo.

C'ero già passata.

Avevo già vissuto un'esperienza simile e ne ero uscita viva per miracolo.

Con gli occhi chiusi, potevo immaginarmi di essere lì, di sentire l'odore metallico del sangue - fresco e ancora caldo - che imperniava l'aria con il suo tanfo. O, ancora, avvertire il sangue che macchiava le mie mani. La sua sostanza era così appiccicosa da disgustarmi, da nausearmi. Forse, nonostante la mia giovane età, avevo compreso che quel rosso scarlatto che macchiava il suolo e il mio corpo tremante altro non era che un chiaro segnale che la morte aveva toccato la mia esistenza e quella di chiunque avessi amato prima di allora. Ricordavo ancora quei corpi martoriati, che giacevano fradici ed immobili a pochi passi da me. La testa bruna di mia madre era rivolta verso quella di mio padre non molto distante. Non potevo vederli in volto, ma sapevo che le loro espressioni erano contorte dall'orrore e dal dolore provato nei loro ultimi istanti di vita, prima che questa venisse spezzata come il più esile dei ramoscelli. Avevo immaginato così tante volte quegli occhi vitrei e quelle labbra socchiuse da credere che fossero proprio così, le loro espressioni.

Non ricordavo molto di quel giorno, e ciò che ancora potevo evocare nella mia mente non erano altro che rapide scene, delle sequenze talmente tanto veloci che mi era impossibile cogliere ogni particolare, ogni sfaccettatura di quei tragici momenti che avevano segnato irrimediabilmente la mia vita. Sapevo solo che da quel momento, io non fui più la stessa. Forse, fu il trauma dovuto a quell'attacco ad avermi fatto dimenticare quasi completamente quel frammento della mia vita.

Elix sosteneva che questa fosse l'unica spiegazione alla mia amnesia. Kalon, se credeva o meno che la teoria della mia amica fosse corretta, diceva sempre che era un bene che io non ricordassi, che io avessi dimenticato. Del resto, chi mai vorrebbe ricordare un orrore simile? Nessuno lo vorrebbe. Ed ora lo stavo rivivendo e questo stava portando a galla il mio passato. Mi sembrava di rivivere nuovamente il momento in cui i miei genitori furono uccisi da quei mostri spietati che ora volevano annientare qualsiasi barlume di vita.

Piansi e piansi ancora.

Non riuscivo più a fermare le lacrime che scorrevano sul mio viso.

Mi rannicchiai contro un muro e cercai di passare completamente inosservata.

Avrei voluto che la terra mi inghiottisse o il muro alle mie spalle mi facesse sparire. Lo desideravo così tanto che mi parve di non essere più in quel luogo, di non essere più circondata da nulla e nessuno.

Non sentivo più Elix combattere contro i Risvegliati, non avvertivo più le urla strazianti e nemmeno quel tanfo che sembrava avermi invaso le narici.

Mi sembrava di non essere più nemmeno nel mio corpo e che la mia anima si stesse distaccando, fin quando qualcosa non mi trascinò indietro con forza.

Lo sentii.

Sentii qualcosa dentro di me che scattava, che si risvegliava. Ero abbastanza certa che non si trattasse dei miei poteri. Non avrei potuto utilizzarli nemmeno se avessi voluto dato che la Metamorfosi non era completata. Tuttavia, percepivo che qualcosa in me stava cambiando. Il mio nucleo, il fulcro del mio potere sembrava essersi risvegliato e mi avvertiva di una presenza. In realtà, avrei potuto avvertirla anche senza provarla. D'un tratto, l'aria mi era parsa decisamente più densa, più carica di energia. Percepivo il potere nell'aria, un potere spaventoso e smisurato che sembrava essere alla ricerca di qualcosa, di qualcuno...

Era strano, era illogico, ma sapevo che, chiunque stesse emanando una simile potenza, stava cercando me. Nella mia mente, prese sempre più forma l'immagine di una cordicella ambra che tentava di unire i due capi, legati saldamente a due persone ben distinte. Sì, sembrava essere proprio un legame quella vibrazione impercettibile, quel potere primordiale e devastante che cercava di entrare in contatto con il mio assopito e di trovarmi. Ed io volevo capire. Volevo capire chi ci fosse dall'altro capo di quel legame.

Seppur fare quel gesto mi chiese di compiere un atto di coraggio, aprii gli occhi e seguii quel filo invisibile che c'era tra me e quel qualcuno. Evitai di soffermarmi sui cadaveri, sul sangue e sui combattimenti che sembravano così lontani e al col tempo vicini, e sollevai il capo. Non appena ebbi compiuto quel gesto, smisi di respirare. Nel giro di pochi istanti, i miei occhi vennero intercettati da due iridi ambrate, di un colore così intenso da poter sembrare oro fuso e così luminose da poter essere paragonate solo alla bellezza primordiale del sole. Ed emanavano potere, un potere che per poco non mi travolse nello stesso istante in cui i nostri occhi si incrociarono per la prima volta, incidendo quel momento a fuoco nella mia mente. Perché ero certa che non avrei mai più dimenticato quegli attimi in cui furono i suoi occhi l'unica cosa che ero in grado di guardare, senza quasi battere le palpebre.

Non sapevo chi lui fosse - o per meglio dire, cosa fosse.

Immaginavo fosse un ragazzo a giudicare dall'altezza e dalla corporatura robusta, ma non avevo altre basi su cui affermare che lo fosse davvero. Non mi era permesso guardarlo in volto, non potevo soffermarmi sui tratti del suo viso o sul colore dei suoi capelli perché ogni volta che tentavo di imprimermi la sua immagine nella mia mente, questa diventava sfuggente. Potevo osservarlo, ma non riuscivo a guardarlo davvero. Era come se non mi fosse permesso farlo. Tuttavia, mi era concesso guardare i suoi occhi e furono quelli a stregarmi.

Non sapevo di preciso cosa mi stava succedendo. Non sapevo perché, improvvisamente, provai l'irrefrenabile sensazione di voler correre da lui solo per poterlo toccare. Sapevo solo che mi persi.

Mi smarrii in quel mare d'ambra e in quell'energia così travolgente da togliermi il fiato.

Non ero più in me.

Quasi non ricordavo più nemmeno il mio nome.

Elix, i Risvegliati contro cui stava combattendo per difendermi, il sangue che bagnava il suolo, il suo rivoltante odore metallico che imperniava l'aria e le decine e decine di corpi riversi sulla strada improvvisamente sparirono. Non c'erano più, o almeno non contavano più.

Le uniche cose che sembravano esistere e coesistere nella mia mente eravamo io e lui. Nient'altro.

Nient'altro aveva più importanza.

Senza nemmeno sapere quando esattamente avessi dato ordine al mio corpo di muoversi, mi ritrovai a reggermi su un paio di gambe malferme e, passo dopo passo, mi resi conto di star eliminando la distanza che sembrava dividermi da colui il cui potere mi richiamava.

Intorno a me avvertivo solo urla e voci lontane. Nulla sembrava più reale. Nemmeno io lo ero.

L'unica cosa reale era quel legame che, ad ogni passo, sembrava sempre più tangibile e sempre più concreto. La cordicella ambrata che ci univa voleva stritolarmi, avvolgersi intorno al mio nucleo di potere con così tanta forza da farmi quasi mancare il fiato e quella sensazione che provavo non accennò a diminuire quando riuscii ad arrivare davanti a quel giovane così potente e spaventoso.

Mi fermai ad un passo dal raggiungerlo, ad un passo dal toccarlo. Non smisi mai di guardare i suoi occhi. Li fissavo come se fossero l'unica cosa che potessi guardare, l'unica che valeva la pena osservare all'infinito.

La mia mente non riusciva ad elaborare un pensiero coerente. Avevo come l'impressione che la mia volontà o la mia razionalità fosse stata messa da parte, sopraffatta da quella di qualcun altro.

La sua.

Sì, l'unica cosa che contava era ciò che lui voleva e lui voleva che io lo toccassi, che gli prendessi la mano ed andassi via con lui. Ma quello che stavo facendo lo voleva solo lui? O lo volevo anch'io?

Io...

Io non lo sapevo.

L'unica cosa certa era che non desideravo altro che posare la mia mano sulla sua ed allontanarmi da tutto quello che mi stava accadendo intorno.

Come se avesse compreso cosa esattamente io volessi in quell'istante, quel giovane, a me sconosciuto e allo stesso tempo familiare, mi porse la mano. Non disse una parola, ma ciò che voleva era abbastanza chiaro e così lo accontentai: mi avvicinai ancora un po' al suo corpo, fin quasi ad avvertire il calore della sua pelle danzare sulla mia ed avvolgermi in un guscio impenetrabile. Posai la mia mani sulla sua. Nel preciso istante in cui le mie dita sfiorarono il suo palmo, sentii una scarica di energia correre tra noi. Partiva dal suo essere e terminava con il mio e fu in quel preciso istante in cui tutto mi sembrò diverso e... più nitido.

Ero ancora nel mio corpo ma non completamente. Avevo come l'impressione che, di punto in bianco, non ci fossi solo io. Una parte di me si era fusa con quella di quel giovane e viceversa, sigillando quel legame imprescindibile ed indissolubile che avevo avvertito sin dal nostro primo sguardo. Ma non era più solo una questione di potere.

Oh no.

Quello che stavo provando era diverso, anche se non riuscivo a capirne la natura.

Scossi il capo come se, improvvisamente, mi fossi ridestata da un sogno ad occhi aperti e guardai ancora una volta quegli occhi color ambra che mi avevano incantata. Erano sgranati, quasi terrorizzati nel vedermi. Come se fosse la prima volta, eppure, fino a pochi attimi prima, i nostri sguardi non avevano mai smesso di incrociarsi.

Cosa... Cosa stava succedendo?

E perché tutto mi sembrava così confuso e così reale allo stesso tempo?

Perché non riuscivo a distogliere lo sguardo e perché tutto intorno a me sembrava offuscato, tranne i suoi occhi?

Volevo guardarlo.

Volevo ricordarlo.

Invece, l'unica cosa che avrei saputo non appena quell'incanto sarebbe svanito, era che lui era meraviglioso. Il suo viso così perfetto da rendere la sua bellezza pari solo a quella degli Dei ed il suo potere spaventoso tanto quanto il loro.

Non avrei ricordato nulla più di questo e una parte di me ne era felice.

«Chi sei realmente?» mi domandò, ma io non riuscii a ricordare la cadenza della sua voce.

Lo guardai senza battere nemmeno le palpebre. Non ci riuscivo, ma potevo ancora parlare, con mia grande sorpresa. «Hanae» gli risposi, ma lui parve non capire.

Che non fosse quella la domanda? O che avesse un significato nascosto che io non riuscivo a cogliere?

Non sembrava soddisfatto della mia risposta. Potevo intuirlo dai suoi occhi confusi ed indagatori; da quegli occhi che sembravano volermi scavare dentro fin quando non avrebbe trovato tutte le informazioni che cercava. Ma non ne ebbe il tempo. Non era sufficiente.

Ci fu un'altra esplosione poco distante dal punto in cui ci trovavamo ed io venni investita da un vento fortissimo che mi fece perdere l'equilibrio.

Caddi a terra e battei la testa.

Mi sentivo intontita.

Non riuscivo a muovermi e, quando provai ad aprire gli occhi, tutto era così confuso e poco chiaro. Tuttavia, sentii chiaramente il rumore metallico dei pugnali e vidi un'altra figura davanti al ragazzo di poco prima.

Era una sentinella e stava combattendo contro di lui per chissà quale ragione.

Lui non era il nemico.

Lui non era quei mostri.

Eppure...

Eppure quel giovane dagli occhi d'ambra sembrava rappresentare la minaccia più grande ed io avrei voluto capire perché. Ma ero troppo stanca e troppo debole anche solo per mantenere le palpebre sollevate.

Così chiusi gli occhi e sprofondai nell'oblio, accogliendo quelle tenebre come se fossero state parte di me.

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