« 𝗖𝗵𝗮𝗽𝘁𝗲𝗿 4
Nei mesi successivi, ciò che prima era quasi una novità per Satori, divenne ben presto routine.
Le sveglie all'alba non erano più un grande problema, aveva imparato ad alzarsi perfino prima di Wakatoshi, il che era un grande traguardo data la natura mattiniera del castano.
La brutta abitudine del minore di non chiudere la porta della propria camera, aiutava il rosso a sgattaiolare silenziosamente da lui, buttarsi sul morbido letto del migliore amico e agitarsi per svegliarlo.
Era così ripetitiva quell'azione, che Wakatoshi ci aveva ormai fatto l'abitudine, tanto da considerare quella come sveglia, al posto del suono del proprio cellulare.
Migliore amico.
Beh, ufficialmente, non era successo nulla di romantico.
Insomma, non erano usciti a cena, non avevano dichiarato i sentimenti l'uno per l'altro e non si erano fissati intensamente negli occhi come facevano le coppiette innamorate.
Il maggiore aveva solo bisogno di riprendersi, e guarda caso, poteva contare sull'aiuto di quel ragazzo.
Quel bellissimo e fantastico ragazzo.
Ma beh, era stata solamente un'avventura . . . giusto?
Entrambi la pensavano così, o almeno, per ora.
Valli a capire.
Ma comunque,,
Dopo le ore di studio, solitamente i due si sottoponevano ad un allenamento fisico. Impararono ad assemblare e caricare varie armi, lavorare sulle tecniche di combattimento e ad utilizzare il coltello per autodifesa.
Emerse rapidamente che Satori aveva un'affinità questa affilata arma.
Gli piaceva la sensazione di un coltello in mano, gli piaceva la sicurezza che gli dava, tanto da iniziare a portarsene uno con sé ovunque, a volte rigirandolo tra le mani mentre camminava o giocherellando con esso tra le dita sotto la scrivania durante le ore di lezione.
Satori non era mai stato un ragazzo atletico, a malapena si alzava per fare il giro della propria e vecchia camera da letto; quindi, ci volle un po' prima di poter anche solo pensare di stare al passo con il giovane coetaneo e affrontarlo nelle sfide corpo a corpo.
Nonostante ciò però, non aveva mai espresso lamenti o quant'altro, anzi, aveva iniziato a provarci gusto ad essere atterrato ogni qualvolta che si sfidavano.
Era sicuro di provare una sensazione talmente strana, da parere di star impazzendo prima del dovuto.
La schiena che sbatteva contro il ruvido e duro pavimento della palestra, il fiato che si affievoliva a quel contatto con il terreno e quel fastidioso senso di imprigionamento quando i suoi polsi venivano bloccati dalle calde mani di Wakatoshi.
Dio, che sensazione soave.
Avrebbe pagato per rimanere così a vita.
Con il cuore al mille per l'adrenalina, con le goccioline di sudore che bagnavano i capelli di entrambi e scivolavano dalle tempie, e quei respiri affannati che si mescolavano insieme.
E poi, che vista ragazzi.
Osservare il viso del castano da quell'angolazione era qualcosa di magico, paradisiaco quasi.
Abbastanza masochista come riflessione, ma non gli poteva importare un fico secco.
In quei momenti, le cadute non facevano male, non come i primi giorni.
Oltre a quell'angelica visione, aveva ormai imparato come cadere, come muoversi e come sferrare i giusti colpi.
Certo, riuscire a buttare a terra quel gigante di Wakatoshi, era ancora un lontano obiettivo, ma gli bastava vederlo affaticato per i propri movimenti fulminei.
Era una bella sensazione.
Quasi appagabile, dati quei lenti progressi fatti.
Quel giorno però, i suoi pensieri andarono a soffermarsi su un pensiero diverso.
Dopo una lunga giornata di allenamento, si ritirarono entrambi in camera, per riposare.
Ormai, la vicinanza tra le due stanze ed il fatto di avere il bagno in comune, aveva permesso ai due ragazzi di conoscere molti più aspetti l'uno dell'altro.
Satori aveva compreso quanto Wakatoshi fosse ordinato, preciso e perfezionista, quasi da risultare fastidioso.
Il modo in cui appoggiava i vestiti sulla sedia, come si sedeva alla scrivania, o i colpi di pistola perfettamente allineati con il bersaglio.
Irritante, ma incredibile.
Wakatoshi invece, apprese che Satori riempiva ben volentieri i suoi silenzi, con discorsi spesso casuali, ma che riuscivano facilmente a coinvolgerlo ed interessarlo.
Amava sentirlo parlare, soprattutto di argomenti che gli piacevano.
Vedere i suoi occhi scarlatti illuminarsi durante quei discorsi, era come osservare il cielo stellato.
Era contento che con lui si sentisse così a suo agio, tanto da parlargli con così tanta euforia.
Satori si lasciò cadere sul letto del ragazzo, mentre quest'ultimo andava a sedersi sulla scrivania, iniziando a svolgere noiosi esercizi di matematica.
Che poi, a che cosa serviva la matematica ora, proprio non capiva.
Dovevano produrre armi, stupefacenti, uccidere, mica studiare le espressioni matematiche-
Eppure, non si poteva di certo lamentare, di conseguenza mise a tacere quelle proteste ed aprì anche lui il quaderno.
Dopo qualche minuto, passato sulle bianche pagine del foglio, alzò appena lo sguardo per guardare con la coda dell'occhio Wakatoshi.
Seduto composto sulla sedia, rigirava tra le mani la matita, evidentemente concentrato su un determinato esercizio, e Satori rimase a guardarlo.
Era girato, ma poteva notare i suoi lineamenti di lato, appena, quasi nascosti da quelle spalle larghe che coprivano la visuale.
Esalò un sospiro, tornando al quaderno mordendo la matita con impazienza.
Che noia.
‹‹ Cosa ti è venuto nell'esercizio cinque? ››
Parlò, interrompendo così quel bel silenzio non tanto quieto, dati i suoi lamenti continui.
‹‹ Mh, 6x ››
La risposta del ragazzo bastò per fargli storcere il naso e esprimere tutto se stesso in un lungo e sentito sbuffo.
Spostò di lato il quaderno per abbandonarsi alla gravità e cadere a peso morto sul cuscino di Wakatoshi.
Profumava.
Profumava di lui.
Ma cosa pensi?
Andiamo, è il tuo migliore amico.
Eppure avete . . . no no, era uno sfogo.
‹‹ Non ti è venuto lo stesso risultato? ››
Questa volta, fu Wakatoshi a chiedere, girandosi per guardare il rosso.
Vedendolo però così apparentemente affranto, si massaggiò la nuca, poggiando la matita ed il quaderno alla scrivania.
‹‹ Fa vedere ››
Aveva detto, e prima che Satori potesse controbattere, il ragazzo si era alzato dalla sedia lasciando così i suoi compiti incompiuti.
Si sedette accanto al maggiore, che era sdraiato a pancia in giù in obliquo, appoggiando una mano sulla sua spalla e sporgendosi per cercare l'errore sul foglio.
Il viso di Satori si scaldò velocemente, non appena percepì i movimenti del castano.
Una sensazione strana, che fino a quel momento, non aveva mai potuto approfondire.
Si sentiva diverso accanto a lui.
Era così vicino.
‹‹ Ecco, vedi . . . ››
Le parole di Wakatoshi però, lo fecero tornare alla realtà, per un brevissimo millisecondo.
Forse avrebbe dovuto prestare attenzione, ma era troppo impegnato a nascondere il suo viso purpureo in quel momento.
‹‹ Qui andava diviso per 2 non per 3 ››
Il castano colse la matita dalla sua mano, sfiorandone con delicatezza le dita per un fulmineo istante.
Satori si morse l'interno guancia, osservando il ragazzo cancellare e scrivere sul suo quaderno il risultato esatto, quasi come fosse incantato.
Manco stesse guardando un film, uno spettacolo, o stesse ammirando una statua.
No, gli stava solamente correggendo un esercizio, eppure aveva sentito una curiosa sensazione allo stomaco, come se formicolasse.
‹‹ Grazie Toshi ››
Gli rivolse così un leggero sorriso tremolante, cercando di tornare il più velocemente possibile del proprio colore naturale.
Per fortuna, Wakatoshi non sembrò accorgersi del cambio di tonalità dei suoi zigomi, e tornò, dopo aver annuito con calma, alla scrivania.
Per tutto il pomeriggio, Satori non riuscì a mantenere la concentrazione su quella dannata materia per più di due minuti.
E come dargli torto.
Con occhi confusi e brillanti fissava le dita strette in un pugno, ignorando completamente i minuti che passavano, pensando a come sarebbe stato tenerlo per mano.
//
Il momento più entusiasmante di quelle giornate movimentate, era forse la sera.
Non solo perchè ascoltava il padre di Wakatoshi spiegare l'avanzamento del suo grande "impero", ma anche perchè era affascinato da come raccontava ciò che lui stesso aveva fatto e trascorso prima di divenire ciò che era in quel momento: il boss, il capo di tutti quegli uomini.
Uomini che avevano giurato fedeltà a qualcuno di potente.
E che morirebbero per lui.
Satori ne era affascinato, come un bambino davanti al padre che raccontava una favola su eroici e coraggiosi guerrieri.
Ne rimaneva sempre ammaliato e ciò non faceva altro che accrescere la sua impazienza.
Voleva essere come lui, voleva costruirsi un nome, una figura.
Voleva farsi conoscere in quel mondo sanguinoso e malavitoso.
Pretendeva azione, voleva sentire il cuore battere come un tamburo e sentirsi elettrizzato come colpito da un fulmine.
Voleva capire cosa volesse dire "vivere" e non solo "esistere" e respirare.
Voleva dare alla sua vita un senso.
E lo avrebbe fatto.
Ma per ora, poteva solo ascoltare.
Non si erano ancora mossi dalla camera di Wakatoshi, un po' perchè avevano preso a chiacchierare e distrarsi dai compiti, un po' anche perchè Satori aveva pregato lui di fare piccole pause tra un esercizio e l'altro.
Successivamente, bussarono alla porta e dopo aver ricevuto il consenso di entrare, il maggiordomo, vestito in abiti abbastanza eleganti, si affacciò nella stanza.
‹‹ Perdonatemi, sono qui per avvisarvi dell'inizio della cena ››
I due annuirono e l'uomo richiuse la porta con un piccolo sorriso cordiale in volto.
Satori scattò in piedi, abbandonando il morbido materasso per alzare le braccia e stiracchiarsi, mentre Wakatoshi andava a scegliere degli abiti.
‹‹ Come mai anche alle cene devi vestirti bene? Insomma, è una cena ››
Aveva domandato il rosso, confuso da quella strana "usanza".
Insomma, lui cenava e pranzava in pigiama o in boxer se aveva voglia, non di certo con eleganti abiti o smoking.
Non erano mica ad un appuntamento galante o alla festa di qualcuno.
‹‹ Mia madre ci tiene, e poi oggi è una "serata in famiglia", o così hanno detto ››
Mentre parlava, Wakatoshi si era abbottonato con cura il suo completo blu notte, sistemandosi bene gli angoli delle maniche.
Il rosso lo osservava curioso, e doveva ammettere che qualche pensierino lo aveva fatto sul bel figurino che aveva davanti a se in quel momento.
Quell'abito gli stava divinamente, sembrava davvero un boss della malavita, anche se era soltanto un adolescente.
‹‹ Beh, allora raccontami come andrà la cena poi, ti aspetto qui ››
Sorrise, impilando i quaderni sullo scaffale e rimettendo al loro posto le matite.
Con la coda dell'occhio, come qualche minuto prima, seguì i movimenti del giovane, che tentava di raddrizzare la cravatta goffamente.
‹‹ Ti aiuto, fermo ››
Disse ridacchiando ed avvicinandosi a lui.
Abbassò lo sguardo sull'accessorio palesemente disfatto e iniziò a sistemarlo.
‹‹ Comunque ti presto un abito dei miei per dopo ››
Aveva detto il castano, alzando di poco il mento per facilitargli il lavoro.
Satori però, assottigliò gli occhi poco convinto, prendendo tra le dita il morbido tessuto della cravatta.
‹‹ È una cena di famiglia, non penso dovrei esserci- ››
Sentito ciò, Wakatoshi abbassò gli occhi verso i suoi, guardandolo quasi come fosse accigliato.
‹‹ Tendou, tu sei di famiglia ››
Le parole lo colpirono.
Erano state proferite con tranquillità, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, come fosse palese insomma.
Per Satori invece, assunsero un qualcosa di profondo e concreto.
Lui, parte di una famiglia.
Non ci aveva mai nemmeno sperato.
‹‹ Perciò verrai anche tu ››
Anche se le mani stringevano con cura la cravatta, la mente e il piccolo sorriso in viso, erano rivolti solamente a quella semplice frase.
Era . . . Felice di sentirselo dire.
Dannatamente felice.
Sistemato il tutto, annuì
‹‹ D'accordo allora, ma fammi bello o darò la colpa a te ››
Scherzò lui, pattandogli il petto con fare amichevole.
Gli rivolse un occhiolino e lo guardò annuire e scegliere un abito dall'armadio.
Non si sarebbe mai aspettato una scena del genere.
Lui che si vestiva bene come un vero ragazzo per bene.
Ironico.
Ma non gli dispiacevano i complimenti di Wakatoshi, che una volta sistematogli il colletto, gli rivolse un pollice in su.
Si sentiva quasi carino per una volta, soprattutto sotto gli occhi ammiratori del castano.
Quell'abito nero pece con ritocchi color porpora, gli donava particolarmente.
‹‹ Possiamo andare, ci aspettano ››
Wakatoshi aprì la porta, attendendo che il rosso aggiustasse le ultime cose prima di lasciare la stanza.
Satori sentiva i suoi occhi su di se, sapeva che lo stesse guardando come fosse una cosa stupenda.
E voleva sentirsi così.
Voleva essere la cosa più bella che avesse mai guardato in vita sua.
‹‹ Dopo di te ~ ››
//
Era già stato in quell'ala della magione.
Tante volte aveva osservato i maestosi ed inquietanti quadri appesi alle pareti carboncino della sala da pranzo, e già aveva cenato insieme al ragazzo, molte volte.
Si era sempre seduto davanti a lui, così da poterlo intrattenere con i suoi soliti ed allegri discorsi, o semplicemente per poterlo guardare in viso.
Quella situazione però, era ben diversa.
Non era la solita pausa pranzo o cena in cui poteva sfoggiare le sue doti comunicative e prendersi gioco della serietà di quel posto.
Era invece una serissima e cupa "cena in famiglia", in cui nessuno osava fiatare, se non in rari momenti di questioni di lavoro.
Percepiva una strana pressione, un qualcosa che non riusciva a comprendere fino in fondo ma che lo rendeva abbastanza inquieto.
Proprio come il primo giorno in cui era entrato nelle grazie del signor Ushijima.
Forse era il silenzio assoluto che era sceso tra i presenti, o forse l'imbarazzo di ritrovarsi seduto allo stesso tavolo dei genitori del ragazzo.
Qualsiasi cosa fosse, comunque, sperava nella sua scomparsa definitiva, evitando così di compiere scenate inutili o mettere in imbarazzo l'amico.
Sembrava comunque che stesse andando tutto bene.
I due adulti discutevano di come gli affari stessero procedendo a gonfie vele, mentre i due ascoltavano taciturni i loro discorsi, annuendo ogni tanto.
Si insomma, per far capire che stessero ascoltando, ecco.
‹‹ Comunque, ho parlato con Oikawa. Ha tagliato i rapporti con la nostra famiglia ››
Enunciò la potente donna seduta al lato del marito.
Alta, e di una bellezza fenomenale.
Satori comprendeva pienamente da chi il suo amico avesse ereditato tutta quella bellezza.
Era ovvio.
Ma forse, non era il momento di pensarci, visto il tono con cui aveva rotto il silenzio.
Tutti gli occhi erano ora puntati su di lei, tranne quelli dell'uomo, che stringendo il fragile bicchiere di vetro, prese come un forte respiro.
Sembrava tranquillo, ma il tremore alla mano rendeva evidente il fastidio arrecato dalla pungente notizia.
‹‹ Ti avevo detto di stare fuori dalla negoziazione con quell'uomo, dovevi lasciare fare a me ››
Gli animi si stavano scaldando, poteva percepirne la tensione, forse quasi la rabbia.
Tra i due vigeva un sentimento di ostilità, ma era sempre stato così, da come aveva potuto constatare vivendo lì.
In rarissimi casi si trovavano d'accordo su qualcosa, che fossero semplici opinioni o mosse strategiche, di conseguenza le dispute erano ormai routine, e nessuno ci faceva più caso, tanto meno il castano, che si allontanava ogni qualvolta che li sentiva discutere.
‹‹ Ti ho fatto solo un favore, non cogli mai l'occasione di espandere le trattative, sei un codardo ››
‹‹ Bada a come parli, senza i miei soldi tu non camperesti due giorni ››
‹‹ Oh, adesso parliamo di soldi? Sappi che ti ho fatto solo un favore a chiamarlo, tu non sei in grado di fare nulla da solo, sei troppo molle per i miei gusti ››
Qualche posata era caduta a terra, dati i pugni che il povero tavolo aveva subito per via dei due furibondi adulti, ed i ragazzi non potevano fare altro che starsene in silenzio.
Poteva vederlo, Wakatoshi si teneva la fronte con due dita; evidentemente non ne poteva davvero più, e come poteva biasimarlo?
Lui invece, muoveva la gamba sotto al tavolo con agitazione.
Non sapeva come comportarsi.
Sarebbe dovuto alzarsi e lasciarli parlare da soli?
O rimanere seduto e aspettare?
Di certo non voleva abbandonare l'amico in quel modo, quindi scelse la seconda, nella speranza che le acque iniziassero a calmarsi almeno un poco.
Poi, un fine brivido gli percorse il bacino, quando sentì la mano di Wakatoshi premere sulla sua gamba per fermarla.
Passò il pollice sui pantaloni, come ad accarezzargli la coscia con fare tranquillo e senza alcuna malizia, girandosi poi verso di lui.
Fu lì, in quel momento, in quell'istante, che incontrò ancora i suoi occhi.
Anche con il suono delle voci furiose dei due, loro si guardavano.
Wakatoshi mimò un "perdonali" con le labbra, lanciando un'occhiata ai genitori che ancora non avevano concluso di discutere ed il rosso gli sorrise calmo, rispondendo con un "tranquillo" nello stesso modo.
Poi, non ci pensò molto prima di appoggiare la mano su quella del ragazzo, per assicurargli che, per davvero, non doveva preoccuparsi di nulla.
In fondo non era mica colpa sua.
Anche il castano accennò un piccolo sorriso, stringendogli la mano con delicatezza.
Fu allora che il suo cuore perse un battito.
Non capiva cosa non andasse in lui.
Andiamo, aveva passato una notte di fuoco con Wakatoshi solamente due mesi prima, ed ora gli faceva quell'effetto?
Che diavolo, riprenditi.
Sei strano forte diamine.
Questo lo sapeva, ma nulla importava.
Importava solamente sentire la sua mano stretta alla propria.
Una mano che gli donava sicurezza anche in un momento pieno di tensione per entrambi.
‹‹ E quindi cara, illuminami, cosa vorresti che facessi ora? ››
‹‹ Oh non lo so, che riprovassi a ritrattare con quell'uomo? Altrimenti mando nostro figlio, è sicuramente più capace di te ››
‹‹ Non è ancora pronto e lo sai, potrebbero raggirarlo e tenerlo come ostaggio, usandolo come mezzo di ricatto, il figlio di un capo famiglia non può esporsi in questo modo, sarebbe da incoscienti ››
Sentì la mano del ragazzo stringersi.
Era visibile che Wakatoshi non ne fosse convinto, per niente, ma comunque rimase nel suo, senza intervenire.
‹‹ Bene, allora manda qualcun altro. Manda lui, non sarebbe una perdita enorme se lo facessero ostaggio ››
Percepì gli occhi della donna su di sé, ma prima che potesse anche solo cogliere quelle parole, un secco colpo risuonò nella stanza.
I bicchieri vibrarono, i piatti traballarono e qualche briciola di pane cadde al suolo.
L'attenzione dei due, era ora rivolta puramente a Wakatoshi, che aveva colpito il tavolo con un sonoro pugno.
Li guardava con iridi intrise di un sentimento che mai aveva notato in lui, nemmeno quando tornava irritato da qualche sessione di allenamento andata male.
Era uno sguardo furioso, iracondo, e colmo d'odio.
Pensava davvero che quegli occhi fossero davvero in grado di uccidere se solo fosse stato possibile.
‹‹ Ritira quello che hai detto, ora ››
Gli mancava il respiro, e non sapeva se fosse una cosa buona o meno.
Lo stava . . . difendendo?
Ma aveva ragione, era la scelta migliore mandare lui al posto suo, non era così importante, no?
‹‹ Perchè dovrei? Ho visto come ti parla, sarà in grado di portare un messaggio e tornare qui senza alcun problema. E se così non fosse, non vedo perchè tu debba preoccuparti in questo modo ››
‹‹ Perchè Tendou non è un' esca di cui sbarazzarsi ››
Satori rimase di stucco.
Fermo, immobile, con il fiato sospeso, come stesse precipitando da un'aereo senza paracadute.
Tutte quelle parole erano rivolte a lui.
Parole che pensava di non meritare, eppure le aveva dette.
A lui.
‹‹ Non dire sciocchezze, è solo un- ››
‹‹ Non ti permetterò di parlare di lui come se non fosse davanti a te, o come fosse un manichino o un bersaglio sacrificabile ››
Il cuore esplose, dalla commozione del momento.
Satori aveva sempre pensato di dare ragione a ciò che gli diceva la propria coscienza, ovvero che non serviva a nulla se non come diversivo.
Che fosse inutile e che avesse ragione la donna, anche adesso.
Wakatoshi invece stava facendo tutto ciò per lui.
Stava andando contro il suo parere per un essere inutile come lui.
Senza volere nulla in cambio.
Era felice, ma anche confuso e preoccupato dalle conseguenze.
Invece, dovette ricredersi quando anche l'uomo seduto a capotavola prese finalmente parola dopo qualche minuto di silenzio.
‹‹ Nostro figlio ha pienamente ragione, ha del potenziale, vero, ma non manderò qualcuno senza esperienza a morire. Se vuoi organizzare una missione suicida fa pure, coinvolgi quei vermi che ti vanno dietro, ma non coinvolgere Wakatoshi o quel ragazzo. . . Direi che la questione è chiusa ››
Bastò una semplice frase per far si che si sentisse completamente privo di forze.
Era una sensazione che non gli dispiaceva però: liberarsi di quel grande peso quale erano l'ansia e l'agitazione.
Nessuno mai prima di allora lo aveva trattato come fosse un essere umano, un semplice adolescente, ora invece si sentiva quasi normale.
Come se contasse davvero qualcosa.
‹‹ Sei sempre stato troppo dolce, non so cosa possa interessartene di uno scappato di casa, ma comunque- ››
All'ennesima frase della donna, Wakatoshi si alzò da tavola con discreta velocità, producendo altrettanto rumore con la sedia.
‹‹ Non ascolterò più mezza parola contro di lui. Perdonami, noi ce ne andiamo ››
Asserì, congedandosi con un leggero inchino verso il padre, che gli sorrise tranquillo, completamente d'accordo sulla sua scelta di voler allontanarsi da quella stanza in cui arieggiava palese tensione.
Satori si alzò di conseguenza, facendo il medesimo inchino e seguendolo.
Non gli aveva ancora lasciato la mano, per tutto il tempo era rimasta lì, stretta alla propria, come fossero incollate insieme.
Ed anche mentre raggiungevano le camere, non accennavano a separarsi.
Una volta in camera di Wakatoshi, quest'ultimo chiuse la porta dietro di sè e sospirò pesantemente.
‹‹ Tendou, mi dispiace per ciò che hai dovuto sentire ››
Non era colpa sua, era ovvio.
Satori lo sapeva benissimo, non aveva nessuna colpa.
Lo aveva difeso da quelle pungenti frasi, eppure chiedeva perdono per qualcosa di cui lui non aveva nessuna colpa.
Adorabile.
Wakatoshi Ushijima, per lui, è e sarà sempre dannatamente adorabile.
‹‹ E mi dispiace se mia madre- ››
Gli si buttò addosso, letteralmente.
Bloccò quell'ennesima scusa, stringendolo più forte che potè e avvolgendolo tra le sue braccia.
‹‹ Hai detto delle cose bellissime prima, e mi hai difeso. Hai parlato per uno come me senza che io ti chiedessi nulla ››
Mormorò, con voce sottile e leggermente ovattata per via del magone di emozioni crescente nel petto.
Si sentì circondare a sua volta in un abbraccio.
Caldo, nemmeno troppo stretto, ma che sapeva di vero, di giusto.
‹‹ É il minimo. Oltre alle parole, se andassi da solo e ti accadesse qualcosa, non me lo perdonerei mai ››
Le guance presero fuoco.
Il viso era completamente in fiamme e nacque sul suo volto un enorme e traballante sorriso.
Era felice che qualcuno gli dicesse tutte quelle belle cose.
Che qualcuno ci tenesse davvero.
E che non erano bugie.
Si staccò, ma solamente per guardarlo in viso.
Per incastrare le iridi scarlatte nelle sue, quelle lucenti sfere color oliva brillante.
Le mani del castano scesero sui suoi fianchi, sfiorandoli con delicatezza.
Non aveva nessun fondamento provocante questa volta, lo sapeva, e forse gli andava benissimo così.
Si sentiva voluto, ma in maniera più dolce e comprensiva.
Si sentiva al sicuro.
‹‹ Allora prepariamoci bene, perchè non vedo l'ora di rompere qualche testa insieme al mio boss preferito ~ ››
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