❱ 𝗖𝗛. 𝗩𝗜, 𝗔𝗖𝗧 𝗜𝗜: 𝖱𝖤/𝖥𝖠𝖫𝖫 ❰
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" vi lascio con una domanda: fino a che punto siete disposti ad andare per sopravvivere? "
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Il fumo si arriciava lento, una spirale blueastre che sale verso il soffitto della buia stanza delle registrazioni. Immersa nella penombra densa, opaca, un frutto marcio dava sfogo ai propri pensieri fantasiosi e infermabili.
Il buio era solo l'ennesima tela bianca su cui poteva dipingere qualsiasi cosa passasse nella sua mente, un contrario estremo che paradossalmente si trovava ad avere similarità nonostante le prime apparente ingannassero.
Erika sedeva con una sigaretta accesa tra le dita, l'altra mano a sorreggerle il mento mentre fissava gli schermi tremolanti davanti a sé. Nelle rovine, questo piccolo sgabuzzino era miracolosamente sopravvissuto ed avrebbe apprezzato la corazza costruita attorno.
La luce degli schermi rendeva nitidi pochi oggetti sul tavolo come forbici, mouse, il posacenere e la tazza di caffè scadente, creato da una capsula economica. Più che caffè, era acqua sporca. Un'acqua che nonostante tutto ha imparato ad apprezzare anche senza i vari aromi creativi provato in passato. Ormai si faceva andare bene tutto, doveva farsi andare bene tutto.
Una piccola risata sfuggì dalle sue labbra, potendo già sentire le grida del barista a cui ebbe condannato la vita contro, ripetendole come quello non era un caffè come si deve. In fondo, era stato proprio lui ad introdurla a quei strano aromi accompagnanti la bevanda amara.
Distolse lo sguardo da quei pixel traballanti, portando la schiena contro la sedia e lasciandosi avvolgere dalla nube inespugnabile. In mezzo a quella nebbia, con tanti giochi di luce ed una fantasia da bambina, riusciva ancora a distinguere varie forme, ma anche persone. La figura di Subaru si stagliava nitida in una delle tante inquadrature, prigioniero dei suoi pensieri oramai. Era sempre rimasto lì, dal primo giorno cui ebbe scoperto la sua morte. E come l'ha perso, era riuscita a scoprirlo alla stessa maniera.
Essere in lutto? No, la super speranza liceale non aveva tempo per il lutto. Aveva un piano da mandare avanti, una lezione da insegnare, una storia da raccontare. Non aveva nemmeno tempo di respirare aria pulita - ignoriamo i suoi vizi col tabacco -, come avrebbe dovuto organizzare qualcosa di aggiuntivo!?
Strinse la sigaretta intorno alle sue dita, irritata dalla poca libertà ricevuta in cambio di un titolo così ambizioso, con altrettanti obiettivi.
" non era questo il finale che volevo per te "
Ancora si ricordava come avesse ricevuto quella notizia quasi un mese fa, come Hana fosse distrutta come conseguenza, e come Haruki non fosse certo di come agire dato che il piano originale era andato all'altro mondo a causa di un minuscolo errore.
La rabbia, la tristezza, la paranoia che pervadevano la sua testa. Eppure dovette tenere tutto dentro, far capire che fosse il punto di riferimento. La speranza liceale non può mostrarsi debole, non importa la situazione. Era il suo compito mostrarsi come icona ma anche supporto per tutti i ragazzi del Giappone. Tutti. Nessuno escluso.
Un soffio di fumo grigio le sfiorava le labbra e si disperde va nell'aria.
Subaru non era stato solo un progetto, non del tutto, almeno. Aveva contato su di lei quando ebbe gli ebbe spiegato in dettaglio cosa volesse fare, aveva accettato di seguirla in questo folle piano perché non aveva altro da perdere, non dopo che la persona più preziosa nella sua vita gli fu stata strappata, e quella più odiata avesse esalato l'ultimo respiro per mano sua. Erika era convinta di rendere qualcosa di più speciale di Subaru, che non era un caso insalvabile, ma solo l'ennesima vittima di questo sistema.
Una vittima come Kouyou, come Kiku.
Come tanti altri ancora. Diamine, quanti nomi avrà sentito in quest'ultimo periodo! Troppe da contare sulle dita di una mano!
Ma ora Subaru era sparito, risucchiato dal buio, un altro fantasma perso nei suoi piccoli errori di percorso.
Non era la prima volta, si disse. Forse, come ogni scrittrice, si era lasciata sedurre dall'idea di poter plasmare le persone come fossero personaggi di carta e inchiostro, convinzioni che si potevano modificare, sogni che si potevano riscrivere. Subaru era stato solo un recente "progetto" da migliorare, da costruire pezzo per pezzo come un'opera d'arte. Era una parte essenziale del suo piano, della sua storia.
E poi, era questo, dopotutto, il suo compito. Portare le persone oltre i propri limiti, farle splendere di quella luce che sembravano non trovare da sole. O forse meglio dire, erano pietre sotterranee e lei una minatrice, pronta a scavare chilometri sottoterra pur di trovarle, e poi come una tagliatrice di gemme lucidava e rifiniva questi al massimo dei loro potenziali.
Non aveva mai visto nulla di male in questo; anzi, lo considerava un atto di dedizione, una forma di amore. Il suo amore. Perché non sapeva come altro esprimere la sua devozione per i suoi progetti se non scrivere notti e notti solo di loro, dei loro pregi come virtù, ma anche imperfezioni come unicità. Niente era perfetto, però provare a migliorare non era una cosa brutta.
" ma ora..."
Sussurrò, fissando la brace della sigaretta che si consumava in una spirale grigia. Subaru non era qui per vedere quello che lei aveva immaginato per lui. Erika era sicura che l'avrebbe trovato da qualche parte in questa scuola anche adesso. In fondo, come ogni cattivo principale di ogni storia, sarebbe dovuto essere l'ultimo a cadere.
La colonna portante della malvagità ed egoismo che si screpola davanti alla presenza degli eroi onorevoli, concedendo a loro il finale felice meritato.
Questo non era un finale felice, anzi, non era affatto un finale. La storia proseguiva senza il bisogno di sporcare il foglio con la penna. Ha preso vita da sola, ed Erika doveva fare di tutto per rimanere al passo. Doveva accettare ed ignorare gli eventi precoci, i piccoli errori grammaticali inutilmente correggibili perché tanto si ripeteranno per sempre.
Si era illusa che i suoi progetti, una volta spinti in alto, sarebbero stati capaci di sostenere la propria ascesa, di mantenersi saldi anche di fronte ai loro sogni più audaci, le speranze più focose, e le ali dorate sempre più alte.
Invece, come Doctor Frankenstein, aveva dato vita a creature che non sapevano reggere il peso di ciò che lei stessa aveva imposto loro. Li aveva spinti oltre la loro forza, inconsapevole o forse indifferente al fatto che non erano fatti per quel tipo di grandezza. Perché i progetti della speranza liceale devono essere perfetti.
Con Subaru, no, con tutto quel gruppetto, forse, aveva sbagliato più che mai. Lui si era fidato ciecamente, l'aveva seguita senza mai dubitare che quella luce che lei gli mostrava fosse reale, e non una scintilla destinata a bruciare tutto. La speranza si accorse che, ogni volta che pensava a lui, il suo volto le appariva come un'ombra in fondo a uno specchio, e quel riflesso sembrava volerle ricordare le sue colpe, portarla al limite della sua stessa follia. Ma era compito della speranza seminare quest'ultima a quante più persone possibili. Non importano i mezzi, solo il fine.
" come Frankenstein "
Mormorò a mezza voce, sentendo il paragone bruciare quanto la brace della sigaretta, se non peggio di qualsiasi ustione che lasciava i nervi intatti.
Ogni suo progetto, ogni vita a cui cercava di dare un nuovo significato, sembrava trascinarla sempre più giù, come se la sua stessa ambizione fosse una sorta di maledizione. Aveva sempre pensato di essere un'artista, una scrittrice destinata a illuminare, a plasmare. Ma ormai vedeva le tracce delle sue "creazioni" disseminate di fallimenti e di rovine. E questi non solo la circondavano, ma facevano parte di sé in maniera radicale.
Eppure la speranza doveva andare avanti. Doveva farlo. Se non per se stessa, per chi fuori combatte, e per chi non ha avuto la possibilità di combattere. Come Kouyou, come Kiku, come Subaru.
" è questo il prezzo da pagare per un capolavoro "
Si grattò il mento, spegnendo la sigaretta contro il posacenere.
Eppure la nube di fumo persisteva ad accecare la vista.
Tutto iniziò il suo primo giorno delle elementari. Le aspettative, la responsabilità, l'eredità e la pressione e lo stress e il declino.
In un giorno così importante, fu proprio sua nonna a tenergli la mano ed accompagnarlo verso un nuovo mondo: il mondo della scuola e del lavoro.
Il mondo della Ultimate Future Foundation.
Quel giorno, era felice come una Pasqua. Sua madre l'aveva incoraggiato a questo cammino parlando di nuove cose da imparare sul mondo, esplorare se stessi, conoscere nuova gente e, perché no, anche un possibile amore.
La scuola era la prima tappa verso l'essere adulti, e Subaru voleva essere adulto. Perché tutti i grandi era così fighi!
E poi, altri bambini con cui giocare? Lo sanno a tutti che a nascondino si gioca meglio più persone partecipano! Avrebbe dimostrato a tutti fosse il migliore giocatore nel Giappone!
Mancavano pochi minuti alla campanella d'inizio e prima di correre dentro la struttura, fu fermato dalla nonna che doveva dirgli qualcosa d'importante. Si abbassò al suo livello e mise entrambe le mani sulle sue spalle.
" ti voglio chiedere una cosa Subaru: cosa vuoi fare da grande? "
Il piccolo ci riflettè un momento.
" il dottore! "
" oh! Proprio come il nonno, mh? "
Gli offrì un piccolo sorriso, accarezzandogli la testa, al che lui ricambiò.
" ma sai, ci vuole tanta forza per essere dottori. Tu la hai? "
Subaru non perse tempo ad annuire e gonfiare il petto, dimostrando la sua potenza infantile. L'anziana ridacchiò.
" lo vedo, ma quella forza devi metterla nei libri, chiaro? Se studierai, potrai fare di tutto in futuro! "
" e se lo farò, diventerò bravo come il nonno? "
Chiese emozionato.
Tai strinse la presa sulla spalla.
" sarai meglio di lui, e se ci saranno guai ci penserà la nonna a risolverli, chiaro? Tu pensa a renderla fiera. Pregherò per te sempre "
Concluse con un bacio sulla fronte.
Subaru dopo corse verso la sua nuova classe con un nuovo sogno nel cassetto: essere il migliore, essere come suo nonno.
[...]
Eppure nessuno gli disse che la strada verso il successo sarebbe stata una salita faticosa.
" un'altra insufficienza in scienze, ma stiamo scherzando?! Dopo tutte quelle ripetizioni che ho pagato?! "
Sbottò sua nonna, con un tono che non ammetteva repliche.
Subaru abbassò la testa, le mani incrociate strette dietro la schiena. I suoi piccoli pugni tremavano, non di rabbia, ma di vergogna. Le pareti della grande sala, decorate con dipinti antichi e scaffali pieni di libri, sembravano stringersi attorno a lui.
" lo capisci cosa significa questo? "
Continuò la nonna, percorrendo la stanza con passi lenti ma decisi.
" con voti del genere, non ti ammetteranno mai all'università! Mai! Sai che delusione sei per tuo nonno, ora che ti guarda dall'altro! "
Le parole le uscivano taglienti, come fendenti precisi. Subaru avrebbe voluto dire qualcosa, qualunque cosa. Forse scusarsi. Forse spiegare che ci aveva provato davvero, ma la tabella degli elementi di Mendeleev gli sembrava un mucchio di simboli incomprensibili. Tuttavia, rimase in silenzio, come se ogni lettera che provava a formarsi in gola venisse soffocata dal peso delle aspettative.
La nonna si fermò, fissandolo con uno sguardo severo ma, in fondo, carico di una preoccupazione che non riusciva a mascherare. Fece un respiro profondo, lasciando scivolare le mani sui fianchi.
" pregherò per te al tempio, pregherò che qualcuno lì su abbia un piano migliore per te, ma devi metterci anche del tuo, diamine! Non vorrai finire come quello sfaticato di tuo papà, o quella falsa di tua madre! "
Dichiarò alla fine, con una voce che non ammetteva ulteriori discussioni.
Quella frase, più delle urla e delle accuse, trafisse Subaru. La nonna non era il tipo da arrendersi facilmente, eppure quelle parole sembravano un sigillo: una sorta di rassegnazione a qualcosa che lui non era riuscito a essere.
In quel momento, cosa più stesse caro, le sue ambizioni e routine, furono messe in cattiva luce. E difficilmente sarebbero tornate ad essere scintillanti come una volta.
Restò lì, immobile, mentre la nonna usciva dalla stanza. I suoi passi si allontanavano, lasciandolo solo in un silenzio che pesava come una montagna.
Guardò il foglio con l'insufficienza segnato in rosso. Lo piegò lentamente, infilandoselo nella tasca della giacca, e si promise, per l'ennesima volta, che avrebbe fatto di meglio. Ma una parte di lui non poteva fare a meno di chiedersi se bastasse davvero solo volerlo per cambiare.
Quella notte, Subaru credette che il mondo stesse per finire proprio dentro la sua cameretta da quanto schifo si facesse. Pianse a diritto, pianse finché non ebbe lacrime da versare. Un solo pensiero annegò la sua mente
" devo essere il migliore "
[...]
La mattina dopo, sua madre capì tutto quanto e fu la goccia che fece traboccare il vaso. Da lì, una bomba esplose in casa Kaneko, una bomba che lasciò dietro di sé solo caos e distruzione.
" ti pare normale dire queste cose ad un bambino! Mio figlio poi?! "
" lo sto facendo per il suo bene, se un giorno dovrà diventare medico gli insegnanti non ci andranno piano con lui! "
" e, dimmi, cosa ti ha fatto pensare che farlo piangere la notte intera potesse portare a risultati migliori per un'insufficienza?! "
" non è colpa mia se è un frignone, avrà preso da te quel tratto "
La madre strinse la sedia davanti a lei in sala da pranzo, vestita con un grembiule per preparare la colazione. Subaru si trovava in mezzo ai due fuochi, assieme al padre che, a discapito suo, era completamente indifferente a questa novità. Come se ci fosse abituato.
Subaru mandò giù la saliva, l'ansia aumentava sempre di più ogni decibel che le due donne alzassero.
" ma...Mamma, fa niente- "
Cercò di calmare le acque, senza risultato poiché venne ignorato.
Uscendo di casa da solo, una cosa riusciva a dirsi: non sarebbe successo se fosse stato il migliore.
Ma forse essere il migliore non era per Subaru.
[...]
La salita per il successo aveva sì una cima, ma anche un fondo. Dopo tanti anni che la famiglia ebbe costruito la speranza del Giappone intero, tutto andò a rotoli in una sola riunione. Non sapeva i dettagli, solo che per via di vari fattori psicologici, Tai Kaneko non era più adatta ad essere a capo della Ultimate Future Foundation. Ed ora al potere ci sono tre uomini diventati popolari di recente per i loro traguardi in politica. Il mondo, da lì in poi, li chiamò i padri del millenium development.
Subaru conosceva due di loro perché la figlia di uno si fece ricoverare nel loro ospedale una volta, mentre il secondo visitava spesso la struttura a causa di una condizione al cuore. Dal loro curriculum, sembrava gente che sapesse cosa stesse facendo. Ma buttare così sua nonna fuori? Non sapeva se esser felice o meno...
Da una parte non c'era più la certezza di ereditare l'organizzazione, dall'altra non sapeva come sua nonna l'avrebbe presa. Ed infatti non era pronto a sapere cosa fece ella quel giorno.
In sala da pranzo, la madre mise una bento box sotto gli occhi del marito e gli ordinò una sola cosa:
" va' a dar da mangiare a tua madre "
L'uomo però sfogliò il giornale noncurante di tutto questo.
" mi hai sentita? "
" se proprio avesse fame, non sarebbe rimasta al tempio tutto il giorno "
Ribatté egli, sospirando.
" pronto? È tua madre! Valle a darle un po' di attenzioni! "
" perché ti frega di lei? Non fate altro che litigare dalla mattina alla sera su Subaru "
La donna strinse il mestolo fra le sue mani, cercando di trovare la volontà nel resistere a darglielo in testa.
" perché fa comunque parte della famiglia! "
" eh, sai che roba- "
" ora capisco da chi hai preso, diamine. Sai cosa! Fa niente! Glielo porterò io dopo! Fila a lavoro e non tornare entro stasera! "
Lo cacciò fuori di forza.
Subaru ebbe ascoltato l'intera conversazione ancora una volta, proprio perché era davanti ai due, e loro non lo degnarono di uno sguardo, né si preoccuparono della sua opinione.
Dopo che sua madre lasciò la cucina, incrociò lo sguardo con la box. Una strana colpa lo avvolse, credendo ancora una volta la stessa cosa: se fosse stato il migliore, questo non sarebbe successo.
Prese la scatola e, dopo essersi messo delle ciabatte, corse fuori verso il tempio.
Il vento autunnale sferzava leggero, portando con sé l'odore delle foglie cadute. Subaru stringeva la bento box con entrambe le mani, sentendola quasi più pesante di quanto fosse realmente. Ogni passo verso il tempio sembrava carico di esitazione, come se ogni foglia calpestata sottolineasse un errore, un rimpianto.
Quando arrivò, il paesaggio era immerso in un silenzio che sembrava fuori dal tempo, interrotto solo dal fruscio delle foglie e dal rintocco di una campana distante. Subaru salì i gradini di pietra, sentendo il peso di ogni passo nelle ginocchia. Quando raggiunse la cima, vide sua nonna seduta su un cuscino di fronte all'altare, immobile come una statua.
La donna era avvolta in un semplice kimono grigio, diverso dai suoi soliti abiti eleganti e austeri. Aveva lo sguardo fisso sulle candele tremolanti, come se cercasse risposte che Subaru non poteva comprendere.
" nonna... "
Chiamò, la voce tremante.
Eppure Tai non si voltò subito. Rimase immobile per un lungo momento, poi parlò senza guardarlo.
" cosa ci fai qui, Subaru? "
Il ragazzo si avvicinò lentamente, stringendo la bento box. Non sapeva cosa rispondere. Le parole della madre gli ronzavano in testa.
" perché fa comunque parte della famiglia! "
" ti... ti ho portato questo "
Allungò la scatola.
L'anziana si voltò, il viso solcato da rughe profonde, ma i suoi occhi conservavano ancora quell'intensità che tanto lo metteva a disagio. Lo guardò per un momento, poi abbassò lo sguardo verso la scatola.
" non dovevi di farlo "
" lo so... Ma l'ho fatto lo stesso "
La donna rimase in silenzio. Poi, con un movimento lento, accettò la scatola e la posò accanto a sé. Subaru si sedette a una distanza rispettosa, aspettando, ma non sapendo esattamente cosa aspettarsi.
" Subaru, hai mai pensato a quanto può essere fragile ciò che costruisci con le tue mani? "
Il ragazzo scosse la testa.
Lei accennò un sorriso amaro.
" eppure, un giorno lo farai. E scoprirai che tutto ciò che hai creato, tutto ciò a cui hai dato la tua vita... può essere spazzato via in un istante, non importa il tempo impiegato, il sangue versato... "
Il nipote non sapeva cosa dire. Non aveva mai visto la nonna così vulnerabile, quasi umana. Ai suoi occhi era sempre stata una donna forte, spaventosa addirittura.
" pensavo di essere diversa...Pensavo che ciò che avevo costruito fosse più forte, più resistente. Ma anche i templi più antichi possono crollare "
La malinconia che trasmetteva era... Così inusuale. Così... Triste.
" ... pensi di ricostruirlo?"
La donna lo guardò per un lungo istante, come se stesse pesando il significato delle sue parole. Poi scosse lentamente la testa.
" una vecchia anziana come me? Non credo proprio. Ma forse... qualcuno più giovane, più forte, con più speranza. Forse... "
Non completò la frase, ma Subaru capì. E quella comprensione lo schiacciò.
Il vento si alzò di nuovo, e le candele tremolarono sull'altare. Subaru si strinse nelle spalle, sentendo il peso di una responsabilità che nessuno gli aveva ancora chiesto di portare, ma che lui sapeva già essere sua.
" da domani, dopo scuola, vieni all'ospedale "
E Subaru capì solo in seguito quanto sbagliato fu portarle da mangiare quel giorno.
[...]
La vita all'ospedale era così... Stancante, monotona e ansiosa. Ogni giorno, era sempre la stessa storia: Subaru aiuta quel paziente, Subaru pulisci quello, Subaru porta questi documenti in segreteria, Subaru cerca di usare anche la tua pausa per aiutare gli altri, okay?
Non aveva mai tregua, ognuno lo cercava per fare una cosa diversa, ognuno credeva che fosse al di sotto di loro, ognuno non chiedeva come stesse, se avesse bisogno di momento, perché altre persone avevano bisogno della sua assistenza. Più di una volta stava per svenire sul posto poiché si fosse dimenticato di mangiare, bere o andare in bagno in quei turni consecutivi senza fine.
Era l'inferno.
Il successo era un inferno.
Come diamine avevano fatto gli altri ad essere così forti prima d'ora?
Perché Subaru non era come i suoi antenati?
Cosa gli mancava?
Saranno state le 9 di sera quando avrà finito il turno per l'ennesima volta, quando cambiò strada per sbaglio e finì lontano dalla stazione dell'autobus per tornare a casa in campagna. Al posto delle panche sporche, c'era un locale dalla luce accogliente che lo invitava ad entrare. Il suo interno era così famigliare, anche se non ci fosse mai stato. Dava proprio l'aria di... Una casa.
Un uomo più vecchio lo approcciò.
" buonasera giovane, vorrei avvisarti che abbiamo chiuso la cucina, ma se ti serve qualcosa da bere non chiedere "
Subaru non sapeva cosa dire, limitandosi ad annuire e mormorare un semplice grazie. Aveva un po' di soldi con sé, tanto vale provare qualcosa, no? Avrà chiamato qualcuno per venire a prenderlo più tardi... O aspetterà l'ultimo autobus per un'altra ora dopo.
Si grattò gli occhi a guardare le lettere del menù, sfocate come poche. Riuscì a capire solo pochi kanji, alcuni dicevano la parola caffè. Bastava quello. L'uomo arrivò al suo tavolo e con un sorriso domandò quale fosse il suo ordine.
" un caffè "
" non è un po' tardi per quello? "
" lo so... Ma non riesco a stare sveglio adesso "
L'uomo esitò prima di chiederlo.
" abiti qui vicino? "
Scosse la testa.
" non c'è nessuno che ti può accompagnare a casa? "
Scosse la testa.
" come ti chiami? Non c'è davvero nessuno che ti può accompagnare? "
Fu lì che, ad un tratto, batté le mani sul tavolo, il rumore rimbombò per un istante nel piccolo locale. L'uomo, sorpreso, fece un passo indietro, osservando il ragazzo con attenzione.
" non c'è nessuno! "
Esclamò Subaru, la voce incrinata dalla stanchezza.
" non c'è nessuno che mi aspetta, nessuno che mi chiede come sto, nessuno che si preoccupa di cosa faccio o di come torno a casa! E se me ne lamento, se dico di che non va bene, mi prendono per il cattivo solo perché non faccio un piacere! Va tutto bene così?! "
L'uomo rimase in silenzio, il sorriso gentile sparito, sostituito da un'espressione più seria. Subaru si passò una mano sul viso, respirando a fatica. La sua rabbia si mescolava alla vergogna, e sentì le lacrime bruciargli agli occhi, ma non voleva piangere lì, davanti a uno sconosciuto.
Lui non disse nulla per un momento, poi si sedette di fronte a lui, portando il caffè. Lo posò sul tavolo con calma, poi intrecciò le mani e lo fissò.
" non so chi tu sia, ma quello che vedo è un giovane che si sta facendo divorare da qualcosa di più grande di lui"
Iniziò con voce pacata.
Subaru lo guardò con occhi gonfi. Non aveva le forze per ribattere.
" mi chiamo Gen. Questo locale è mio da vent'anni. Sai quante persone come te ho visto passare di qui? Giovani pieni di talento, consumati dalle aspettative, dal lavoro, da un mondo che sembra chiedere sempre di più e non restituisce mai niente
Disse l'uomo, indicando il nome ricamato sul grembiule.
Subaru abbassò lo sguardo sul caffè, il suo riflesso distorto sulla superficie scura.
" non sono come gli altri "
Gen si appoggiò allo schienale della sedia, studiandolo.
" e chi sono questi 'altri'? "
" le persone forti. Quelle che riescono a costruire qualcosa. Quelle che non si lamentano, che vanno avanti anche quando è difficile. Io non sono così. Io... Io non ce la faccio "
Il proprietario annuì lentamente.
" capisco. E sai una cosa? Nemmeno loro lo sono sempre stati. Nessuno nasce forte, ragazzo. Nessuno. Sai qual è il trucco? Riconoscere quando hai bisogno di fermarti. Di respirare. Di trovare qualcosa che ti ricordi perché hai iniziato "
Subaru rimase in silenzio, sentendo le parole risuonare nella sua mente. Gen si alzò, dando una pacca leggera sul tavolo.
" bevi quel caffè. E quando sarai pronto, pensa a cosa vuoi davvero. Non a cosa vogliono gli altri "
Subaru prese la tazza tra le mani, sentendo il calore attraversare i palmi. Sollevò lo sguardo verso l'uomo e mormorò un grazie.
Gen sorrise di nuovo, ma questa volta era un sorriso più malinconico.
" non c'è bisogno di ringraziarmi. Solo... non lasciarti schiacciare, ragazzo. La vita è già abbastanza dura senza che tu ci metta del tuo. A voi giovani non vi capisco proprio: non bastava quella bionda a dire che tutto il mondo è un analisi... "
Subaru restò lì per un po', osservando il liquido scuro nella tazza. Forse per la prima volta in tanto tempo, qualcuno gli aveva dato il permesso di essere stanco.
E per la prima volta, pensò che forse non doveva essere come gli altri. Forse poteva trovare una sua strada.
Quando uscì dal locale, il vento della notte sembrava meno gelido. Non aveva ancora le risposte, ma sentiva che qualcosa era cambiato.
Da lì, andò a trovare il bar ogni volta.
[...]
Davvero si era sbagliato tutto questo tempo? Stava facendo a tutti tranne che a sé un piacere? No, non voleva più che fosse così. Subaru si rifiutava sarebbe finito così. Che piaccia o non piaccia a sua nonna. Alla famiglia. Al resto del mondo.
Non voleva riprendersi l'organizzazione.
Non era certo come scapparsene, finché non incontrò una ragazza un po' strana: Hana. Il loro incontrò fu dei più particolari, come lei, ma Subaru ebbe iniziato a coltivare una sensazione strana da quando abitarono sotto lo stesso tetto. Non sapeva come spiegarlo, ma... Era buona. La sensazione. Perché un po' si rivedeva in lei, un po' la voleva aiutare a fare cosa lui non fosse in grado fino a quel momento: decidere.
E in qualche modo lo faceva anche fare cose stupide, cose che non si sarebbe immaginato di fare se fosse stato qualcun altro a richiederlo.
Dopo i turni, la portava al bar da Gen, e la fece conoscere tutte le persone che riuscivano a tirarlo su di morale in quella struttura: Gen, Erika, Kiku e persino Kouyou. Dopodiché, Hana gli propose qualcosa:
" vedo che sei felice qui, perché non ci stai un po' di più? Posso prendere io il tuo turno! "
Inizialmente rifiutò, pensando di essere di troppo, ma in qualche maniera si fece convincere.
Così, iniziò ad aiutare in quel locale come dipendente. Così, capì che il suo posto era qui dentro, in un luogo sicuro, dove tutti lo accettavano nonostante la sua serietà, e non fuori, dove verrebbe considerato il cattivo. Stare nel locale, era il suo sogno. La sua passione. Il suo obbiettivo nella vita.
Avrebbe voluto costruire qualcosa di simile anche per gli altri.
Però quel divertimento nascondeva spesso il senso di colpa per la responsabilità mancata, e riposta su chi non centrasse molto. Hana si stava spaccando la schiena per lui, e le aveva promesso di ripagarla in questi giorni.
Quando ci fu festa, la portò in un luogo che avrebbe voluto visitare: il luna park. Non era affatto il tipo da montagne russe, e le altezze in realtà gli facevano un po' paura... Ma Hana sembrava amare quel brivido, sorridendo, ridendo, spalancando gli occhi e la bocca mentre il mondo si faceva più piccolo. Quelle espressioni riuscivano a far credere che l'ansia ne poteva valere la pena, aggrappato fortemente alle parenti pur di non cadere per sbaglio - non si fidava delle cinture di sicurezza.
La ciliegina sulla torta furono le macchine acchiappa-peluche, Hana desiderava tanto avere un orsacchiotto bianco ma, dopo vari tentativi, si arrese tirando qualche calcio alla macchina e insultandola prima di camminare via.
Subaru, prima di seguirla, pensò bene di provarci almeno lui una volta. Notò come un pupazzo era sull'orlo di cadere. Non era l'oracchiotto, bensì una volpe anche abbastanza piccola, ma era meglio di niente. Ci provò una, due, tre, quante volte i suoi risparmi potessero concedergli. E all'ultima volta... Ci riuscì. Fu sorpreso dalle sue stesse abilità, ma prese di fretta il peluche e corse da Hana a regarglielo. La faccia di lei fu abbastanza per ripagare tutti quei soldi spesi. L'importante era renderla felice.
[...]
Ma come se la vita non volesse lasciargli, la situazione a casa non migliorò di una virgola e...
... Quella telefonata arrivò.
Sua madre era deceduta.
L'unica persona nella famiglia che lo capiva, che l'avesse incoraggiato ad essere se stesso, scomparì in un battito di ciglia.
Subaru si rifiutava di credere a tutto questo, di esser stato abbandonato dalla donna che l'avesse messo al mondo.
Durante il suo funerale si è completamente dissociato, non ascoltando una singola parola delle condoglianze portate alla famiglia. Per lui, era come se fosse rinchiuso in una bolla opaca. Nessuno vedeva Subaru per quel che era, così come Subaru non riusciva a guardare il mondo attorno come avrebbe dovuto. Voleva solo scomparire. Voleva essere lasciato in pace. Voleva.... Tornare da sua madre.
Le mancava. Eccome se le mancava. Era la migliore che avesse potuto chiedere. Quando nessuno era dalla sua parte, quando veniva sgridato per l'ennesima cavolata, era la prima a stargli affianco a difenderlo per quello che era: un ragazzino.
Subaru capì in quei istanti che questo mondo facesse schifo e, peggio ancora, che ce l'avesse con lui.
Quando credeva di aver trovato stabilità, felicità, gioia, una parte di sé veniva rovinata, distrutta ed infine eliminata. Niente ma polvere rimaneva infine.
Non avrebbe mai avuto la felicità che si meritasse, non importa quando cercasse di accontentarsi.
Ma perché doveva accontentarsi? Perché non poteva... Fare qualcosa in più, come quel barista gli ha detto?
Perché non era intelligente quanto Erika?
Perché non era carismatico quanto Kiku?
Perché non era pratico quanto Hana?
Perché a Subaru, l'erede dell'organizzazione, non era stato dato nessun talento? Medico, tecnico, scrittrice, dibattitore, pompiere, idraulico, ufficiale- perché non poteva essere il migliore in almeno una di queste cose? Perché quando ci provava, qualcosa andava storto? Ci ha davvero provato? Ci ha davvero creduto? O dentro di sé sapeva, sapeva tristemente che ciò che rimaneva dell'organizzazione speranzosa era solo... Disperazione?
Dopo il funerale, iniziò a camminare lontano da tutti.
" dove vai? "
Naturalmente non poteva fare nemmeno quello senza la presenza di Tai appresso. Subaru non si fermò, tantomeno si girò.
" via "
Si limitò a dire. I passi di sua nonna si avvicinavano. Erano lenti, stanchi.
" torna qui "
" no "
" Subaru! Torna immediatamente qui! Cosa credi di provare così?! "
I passi si fermarono, Subaru alzò lo sguardo prima di girarsi.
" non ti voglio più vedere "
Disse con serietà e disgusto, fissando la donna negli occhi.
" come- "
" credi che non l'abbia capito? Mi prendi ancora per stupido, nonna? "
L'anziana non comprese appieno.
" sei stata tu, lo so, le hai fatto te questo perché non ti piaceva. Smettila di fare la dispiaciuta e dimmelo in faccia! "
Rimase scioccata da quelle parole. Subaru aveva colpito il centro.
" come osi dire questo di tua nonna? Capisco che non fossimo in buoni rapporti ma questo è troppo! "
" troppo?! Ora sai cosa significhi troppo?! Non hai mai pensato a ciò PRIMA di questo?! Non hai mai pensato che per ME fosse TROPPO?! "
" smettila con queste scemenze! "
" non mi cercare più, non chiamare il mio nome, non pensare neanche per un istante che siano parenti. Ti disconosco! Andrò a vivere la mia vita da solo! Deciderò io cosa ne sarà di me! "
E prima che potesse ribattere, corse via.
Corse e corse... Ma verso dove?
Aveva ottenuto la sua libertà, la capacità di poter scegliere... Ma a quale costo? Cosa avrebbe fatto senza una casa, dei soldi, un lavoro lontano da lei..? Le strade di Tokyo erano così... Opprimenti. Tutte persone che camminano con i loro obbiettivi mentre Subaru non sapeva dove battere la testa.
Dopo un pomeriggio passato a camminare in giro, si fermò ad un parco, seduto su una panca in metallo. Guardava in basso, rassegnato.
Davvero, cosa stava cercando di provare adesso? Che fosse bravo a scappare? Che fosse bravo a fare tutto tranne che prendere le sue responsabilità? Aveva un compito, e l'ha rifiutato ufficialmente adesso. Il risultato fu un colpo al cuore, un senso di colpa irrisolvibile. Perché era ancora qui? Non è che sua nonna avesse ragione in fondo?
" deve essere difficile per te in questo momento "
Una voce maschile e famigliare riprese la sua attenzione. Era l'uomo che spesso frequentava l'ospedale.
" signor Nagasawa? "
Egli annuì.
" è permesso sedermi? "
" uhm, certo "
L'uomo non se lo fece dire due volte, accomodandosi. La relazione fra i due era strana. Nagasawa aveva visite frequenti a causa di una condizione, e quando incontrava Subaru all'ospedale si prendeva tempo ed offrirgli un caffè alle macchinette e parlare con il giovane come se fossero amici da una vita. Inizialmente non si fidò data la rivalità fra egli e sua nonna ma si dovette ricredere nella sua bontà, soprattutto perché Erika aveva parlato bene di lui sin da sempre.
" dunque, che è successo? "
Subaru strinse i pugni, cercando di trattenere tutta quella rabbia.
" non so... Cosa fare "
" mh, decidere fa paura? "
Annuì.
" è normale temere, non sai mai quale sia la scelta giusta e quale quella sbagliata. Non si lui semplicemente sapere molte volte. Si sbaglia altrettante. Ma si trovano tesori in altre ancora "
Come se lo capisse, come se fosse un libro aperto, ebbe elencato tutte le sue insicurezze. Ora capiva da chi Erika avesse preso la sua grande capacità di analisi.
" non so decidere "
" nessuno lo sa fare, anche quando la gente pensa di esserne certa, non è veramente così. Ci sarà sempre un fattore che non viene mai contato, qualcosa che sfugge a tutti. L'unico modo per fare una scelta giusta è prenderne una e non pentirsene. Solo allora capirai che non è poi così difficile "
Incrociò le braccia e guardò il cielo. Subaru lo seguì e, per un istante, credette di aver trovato della speranza in quel buco.
" posso dartela io una scelta "
Continuò l'uomo.
" puoi aiutare un vecchio come me ed il suo cuore marcio in cambio di una casa, oppure tornare alla tua vita di prima senza scelte, senza timori, solo ansia, noia e stress "
Subaru mandò giù la saliva.
" come potrei aiutarti? "
L'uomo si avvicinò a lui, mettendo la mano nella giacca in cerca di qualcosa.
" ho bisogno che tu sia presente un altro giorno importante per gli Ultimates. Dopo quello, non dovrai più vedere Tai in vita tua, se non lo vorrai "
Subaru provò la tensione salire sempre di più, ma ascoltava attento.
" c'è un piccolo evento a cui dovrò far parte, ma non potrò per via di un esame, quindi sarà Tai a sostituirmi. E lì potrai finalmente sfogarti contro di lei quanto vuoi "
Fu lì che tirò fuori un oggetto pesante e mettalico: una pistola. Il sangue di Subaru si congelò.
" questa sarà tua, avrei te il potere di decidere cosa sarà di lei. Le farai capire che non sei più il bambino che si lascia comandare. Che ne pensi? "
Gli occhi di Subaru si svuotarono d'un tratto. Una nuova sensazione prese il controllo di lui: la vendetta. Ribolliva nelle vene, pompava il cuore a mille ed annebbiava la sua visione. Non era in controllo di sé, il corpo si muoveva da solo. La mano si allungò verso l'arma.
Giocò con il diavolo.
E quello fu l'errore più fatale nella vita di Subaru.
Nulla di quelle promesse fu soddisfacente. La morta di Tai, la lontananza da casa, i sensi di colpa prendere il sopravvento ogni singolo giorno. Finì in una spirale senza fina in quell'inferno creatosi da solo.
La sua fine non si aspettò nemmeno a venire.
Perché Subaru non era il migliore in niente.
Non a scegliere.
Non a vivere.
_____________________________
Non si era mai scordato del giardino dell'orfanotrofio. Era uno dei suoi luoghi preferiti da visitare, dopo la cucina vuota la notte tarda. L'erba viva e morta, i sassi grandi e piccoli, i bambini rumorosi e timidi, i palloni volanti e sgonfi. Non sarà stato il migliore del comfort, ma era il suo comfort. La sua casa. L'unica cui si sentì accolto per la prima volta. E questo era solo grazie ad una ragazzina della sua stessa età, mai vista al di fuori di quelle mura.
Per un ragazzino rinchiuso in casa a morire di fame, ignorato dai suoi stessi genitori, l'ampiezza dell'orfanotrofio lo mise a disagio sin da subito, facendogli credere che fosse solo in quel l'enorme struttura e che da solo ci sarebbe morto lì dentro. Capì ben presto che non era così, perché una bambina nata qui dentro ebbe deciso di tenergli la mano e guidarlo ed aiutarlo. Volergli bene come nessuno aveva fatto con entrambi.
Era due bambini, solo due bambini.
Solo due bambini che il mondo aveva rifiutato.
Solo due bambini che dovevano contare su di loro stessi.
Solo due bambini che avevano un legame speciale.
Ma secondo il resto erano i cattivi di questo gioco.
Haruki sapeva che sarebbe andata a finire così - odiato da tutti loro - e non poteva importargli più di tanto. L'importante era Hana, l'importante era farle capire che non l'avrebbe più lasciata come ha fatto in passato. Aveva imparato dai suoi errori.
Però questo?
Questo, non era mai stato nei suoi piani.
Questo, non gli era mai passato per la testa.
Esser abbandonato da Hana, non era una cosa da Hana. Non era una cosa da sua sorella. I fratelli non si abbandonavano. Mai e poi mai.
È vero che da parte sua era ipocrita, era pronto a pagare le conseguenze al riguardo, ma non queste. Perché? Perché Hana non ha fatto niente di male, niente di ingiustificabile. Ai suoi occhi almeno.
... Vero?
La pala scavava il terreno del giardino mentre questi dubbi prendevano luogo nella sua mente.
Hana ha fatto qualcosa di inspiegabile?
Hana ha fatto qualcosa di cattivo?
Due parti della sua mente erano in conflitto. Due Haruki stavano combattendo su chi avesse ragione.
Haruki era affezionato ad Hana, dal primo momento dopo quella notte dei biscotti.
Haruki sapeva cosa Hana fosse andata incontro tutti questi anni delle loro vite.
Haruki aveva cercato di fermare quelle cattiverie, fallendo miseramente.
Haruki sapeva che in fondo Hana era una brava persona, solo maltrattata.
Ma Haruki sapeva anche cosa fossero morali.
Haruki sapeva quali azioni sono cattive e quali buone.
Haruki sapeva che nonostante il fine, il mezzo non era sempre giustificabile.
Quindi Hana, per quanto capiva, aveva comunque fatto qualcosa di tecnicamente sbagliato. Tante cose tecnicamente sbagliate.
Potevano contare anche per una ragazza come lei, però?
...
Scavò la fossa con ancora più foga, come non avesse mai fatto fino ad ora. Sia i polsi che le caviglie chiedevano pietà. Le dita erano rosse da quanto forte la presa attorno all'oggetto di metallo, la mattina gelida, fosse. Non provava niente, e se fosse qualcosa quello era proprio un formicolio insopportabile.
Scavava quella buca come se volesse seppellirsi da solo, lontano da tutto il mondo intero, da essere introvabile.
Ma anche più vicino all'inferno.
Più vicino all'aldilà.
Più vicino alla morte.
Perché è nel profondo che i scheletri più vecchi risedessero.
Questo giardino non era niente come quello dell'orfanotrofio. Era simile, sì, ma simile quanto altri giardini esistenti. C'era l'erba, c'erano gli alberi, c'erano i sassi. Ma mancava di bambini, di palloni, di gioia, di comfort. La Hope's Peak Academy, per Haruki, era come la versione malvagia dell'orfanotrofio. Una struttura abbandonata con dentro qualche ragazzino, casini a destra e a manca, persone su cui contare oppure odiare con tutto te stesso.
Ma mancava la sensazione di famigliarità, di casa.
Forse perché quando stava con Sumire aveva imparato un'altra definizione?
Forse perché effettivamente aveva assaporato l'essenza di una normale casa?
Forse perché è stato viziato una volta strappato via da quella 'casa'?
Cos'era veramente una casa?
Questa struttura gli fece riflettere molto su questo argomento.
Cos'era una casa?
Cos'era essere disperati per un rifugio?
Quale delle due opzioni si applicava ad Haruki?
Il rumore sordo della pala contro il terreno continuava a riempire l'aria, spezzando il silenzio gelido di quella mattina grigia. Ogni colpo sembrava scandire un pensiero diverso, un dubbio che lo tormentava, un ricordo di Hana che si confondeva con la terra che si ammassava ai lati della fossa.
La sua mente si perdeva tra passato e presente. Tornava all'orfanotrofio, alle notti passate con Hana a contare le stelle, quando credevano che nulla avrebbe potuto separarli. Hana era sempre stata lì, non solo come sorella, ma come ancora, come rifugio. Si erano sostenuti a vicenda, respinti dal mondo ma uniti da un legame che pareva indistruttibile.
Haruki si fermò, appoggiandosi alla pala sudato. Le mani tremavano, le nocche erano ormai screpolate dal freddo, eppure il vero dolore pulsava dentro di lui, come una ferita aperta. Si chiese ancora una volta se Hana fosse davvero colpevole, se le sue scelte avessero davvero giustificato la fine che aveva fatto. Sapeva bene che Hana non era una santa; nessuno dei due lo era. Avevano fatto cose di cui non andavano fieri, avevano stretto i pugni per resistere, avevano dovuto lottare in modi che altri non avrebbero mai compreso.
Ma era giusto ridurre tutto a questo? Era giusto abbandonarla ora, perfino nella morte?
Si chinò e toccò la terra fredda, lasciando che il gelo gli bruciasse le dita. In quel contatto, un gesto apparentemente insignificante, Haruki sentì riaffiorare la verità, semplice ma insopportabile: Hana era sua sorella, a prescindere da tutto. Non c'era giustizia o colpa che potesse cambiare quel fatto. Hana era la bambina che lo aveva preso per mano e lo aveva portato verso la luce quando lui credeva di essere destinato all'oscurità eterna. Hana era quella stessa bambina, persa e ferita come lui, che aveva trovato la forza di restare al suo fianco. E lui aveva fatto lo stesso.
Riprese a scavare, più lentamente stavolta, come se ogni colpo della pala fosse un tributo, un atto di memoria, un modo per restituirle almeno un briciolo di quella pace che lei non aveva mai potuto trovare in vita.
Perché, nonostante tutto, Hana era rimasta sua sorella. Non era mai stata perfetta, ma aveva lottato, era caduta e si era rialzata. Anche quando il dolore era troppo. Anche quando c'era un uomo forte e autoritario a renderla peggio della polvere, a trattarla come un animale. E, per quanto il mondo avesse cercato di macchiarla, di distorcere la sua immagine, lui sapeva, nel profondo, che restava umana. Una ragazza segnata e spezzata, sì, ma capace di amore, di compassione, capace di essere quella famiglia che entrambi non avevano mai avuto.
Alla fine, Haruki si fermò. Il buco era completo, il terreno era scuro e umido, e caldo, pronto ad accogliere Hana. Si chinò e, con le mani ormai insensibili, scavò gli ultimi centimetri a mani nude delicatamente, come per darle un ultimo gesto di affetto, crudo e vero.
E mentre fissava la fossa, vuota e cupa davanti a lui, trovò una specie di risposta. E senza rendersene conto iniziò a parlare, come se Hana fosse lì, come se potesse sentirlo.
" lo so, Hana "
Sussurrò, con la voce rotta e tremante.
" so che hai fatto cose sbagliate. So che il mondo ti ha sempre giudicata, che ha sempre puntato il dito contro di te... e che anche io, a volte, non riuscivo a capirti, ma non per questo avevo smesso di volerti bene "
Strinse le dita fino a far sbianchire le nocche.
" e, forse, certe volte avrei dovuto fermarti, dirti che così non andava bene, che c'era una soluzione migliore. Anche io ho colpe qui, perché sapevo ci fosse qualcosa di meglio. Però... Non ho mai trovato il coraggio, perché... Non lo so... Paura? Ignoranza? Preferivo far finta di niente? "
Inspirò, cercando la forza per continuare. Non aveva senso darsi la colpa adesso, ormai quando il danno era irrecuperabile.
" ma c'è già abbastanza gente qui pronta a odiarti per le tue azioni, a reputarti l'essere peggiore su questa terra. Già abbastanza persone pronte a voltarti le spalle. Qualcuno deve pur starti vicino... qualcuno deve volerti bene, anche adesso "
Le parole gli uscivano come un fiume, cariche di tutto quello che non era mai riuscito a dirle.
" so che non eri perfetta. Nessuno di noi lo è. E so che hai fatto scelte difficili, che non sempre erano giuste... Come Subaru. Ma questo mondo non ti ha mai dato una possibilità... e se nessuno ha voluto volerti bene per quello che eri, allora almeno io... almeno io lo faccio "
Lentamente, sfiorò il bordo della fossa, chinandosi completamente la terra sbattendo sulla sua fronte.
" avresti voluto qualcuno che ti capisse, qualcuno che ti stesse accanto senza giudicarti. E forse non sono stato abbastanza. Ancora adesso non riesco a dire tutte queste cose in faccia tua. Ma ti voglio bene. Ti voglio bene come nessun altro ha fatto "
Disse, con un filo di voce.
Un soffio di vento passò tra gli alberi spogli, come un flebile lamento. E Haruki rimase lì, inginocchiato sulla terra, con la consapevolezza che, in fondo, quella era l'unica verità che contasse davvero per entrambi.
Perché si capivano come nessun altro.
Rimase inginocchiato ancora per qualche istante, come per trattenere quel momento, quel muto addio. Poi, con movimenti lenti, si alzò, lasciando la pala affondata nel terreno accanto a lui.
Si voltò verso il corpo di Hana, avvolto nella coperta logora che l'aveva tenuta calda nella ultima notte insieme. Ogni passo verso di lei era più difficile dell'ultimo, e quando finalmente la raggiunse, le mani gli tremavano, come se il suo stesso corpo stesse resistendo a quell'ultimo gesto. Come se una forza si rifiutasse di lasciarla andare. Come se lei stessa si rifiutasse di andarsene.
Sotto il peso del suo sguardo, Hana sembrava dormire, il volto pallido e ancora sporco di sangue già prosciugato ed essicato, quasi senza traccia del dolore che aveva conosciuto in vita. Haruki si abbassò, passò un braccio sotto le sue spalle esili e l'altro sotto le ginocchia, sollevandola lentamente, stringendola al petto come faceva quando erano bambini e cercava di consolarla dai suoi incubi. Era un altro ricordo che teneva stretto al cuore. Con passo sicuro la portò verso la fossa, il luogo dove avrebbe trovato finalmente quella pace che il mondo non le aveva mai concesso.
Si abbassò con delicatezza, posandola dentro la terra scura. La sistemò come se stesse solo mettendola a letto un'ultima volta, assicurandosi che fosse comoda, che il freddo del terreno non le desse troppo fastidio. Poi, piegandosi ancora una volta su di lei, le sfiorò la fronte con le labbra in un bacio leggero, come una promessa sussurrata. Per un istante gli sembrò ancora di provare del calore, ma era fragile e ben presto il gelo lo fece congelare alla scena.
" sogni d'oro, Hana "
Disse a voce bassa, con dolcezza, come se temesse di svegliarla.
" che tu possa dormire in pace stavolta, senza incubi, senza paure... solo buio e silenzio "
Rimase lì per qualche secondo, a guardarla, mentre una fitta profonda lo stringeva dentro, rendendo ogni respiro difficile. Il naso improvvisamente bloccato e la bocca serrata pur di non lasciare lamenti disturbare la sua quiete. Poi si raddrizzò, prese la pala e cominciò a coprire lentamente il suo corpo con la terra.
Ogni colpo di pala sembrava un addio. Ogni manciata di terra che cadeva nella fossa lo allontanava un po' di più da lei, da quell'ultima promessa di amore fraterno, fino a quando la figura di Hana scomparve del tutto sotto il manto freddo della terra. Quando finì, Haruki rimase a fissare quel cumulo scuro, immobile, come se sperasse che, da qualche parte, Hana potesse sentirlo, percepire il suo ultimo pensiero.
" non ti dimenticherò mai, Hana "
Mormorò infine, con il cuore appesantito e lo sguardo fisso sul terreno. Poi lasciò cadere la pala e si voltò, allontanandosi senza guardarsi indietro, sostituendo il passato con qualcosa più presente.
Cosa diamine avevano in mente quei scemi dei sopravvissuti?
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Il giorno dopo nessuno dei ragazzi perse tempo ad alzarsi non appena l'avviso del daytime scattò alle 7 in punto. La nottata passata fra giochi e battute aveva alleggerito i loro animi, raggruppati come non mai, fatto comprendere che i loro animi adolescenziali non erano del tutto persi, così come il contatto con quei momenti banali, ma che dentro nascondevano una perla preziosa. Una perla che nessuna somma di denaro poteva acquistare.
Per questo ora erano pieni di energie cariche di tutte e più emozioni.
Per questo non riuscivano a stare un minuto in più in quei letti provvisori.
Per questo a colazione mangiarono di fretta e furia.
Ed ora di arrivato il momento.
Il momento del piano "distrarre Erika e prendersi il cellulare così da chiamare aiuto".
" ma che razza di nome per un piano è? "
Commentò il cartomante con una smorfia, poggiando la tazza del cappuccino sul piattino annesso, perplesso da cosa avesse proposto Koharu.
Hyosuke si girò verso di lei, sospirando teatralmente.
" ah, che dilettanti! Lasciate fare all'esperto! "
Esclamò, alzando le braccia come se stesse per impartire una lezione universitaria.
" vedete, è tutta una questione di appeal e di richiamo emotivo. I titoli devono essere brevi, d'impatto, ma anche misteriosi. Non puoi mica chiamare un piano di salvataggio "distrarre Erika e prendersi il cellulare"! È fin troppo diretto e spoilera già tutto quanto! Dove sta la suspence per lo spettatore?! "
Koharu gli lanciò un'occhiata offesa.
" allora, o grande esperto e maestro di titoli, come lo chiameresti? "
Il biondo si fermò un attimo, meditabondo, poi schioccò le dita.
" ok, sentite qua: Operazione: Redenzione Impossibile! "
Dichiarò, come se avesse appena inventato il capolavoro del secolo.
" pensateci! È come un mix tra un film d'azione e un thriller psicologico. Nessuno sa davvero cosa succederà, ma sa che sarà drammatico "
Shiori lo guardò con un sopracciglio alzato.
" 'redenzione'? Non stiamo mica cercando di convertire Erika a una religione "
" dettagli, dettagli! Perfavore non concentratevi su queste piccolezze! "
Fece un gesto vago, come a scacciare le obiezioni.
" prendete ad esempio film come Mission Impossible: nessuno dice "sconfiggi il cattivo e salva il mondo" nel titolo. È vago ma intenso, ti attira! "
" e per noi cosa sarebbe il "mission" di turno? "
Chiese Asahi, incrociando le braccia dopo aver finito l'ennesimo dolcetto, in qualche modo interessato alla conversazione.
" beh, distrarre Erika e prendere il cellulare, ovviamente! "
Rispose l'amico, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
" solo che suona molto molto molto meglio. L'obiettivo è lo stesso, ma ci metti su un'etichetta figa. Se un giorno ne faremo un film, nessuno vuole vedere un titolo così diretto "
Aggiunse fiero delle proprie idee e parole, proprio come se fosse un esperto. Cosa che, tecnicamente parlando, lo era.
Koharu, invece, rise.
" non so, Hyosuke... a me sembra un po' troppo drammatico per un piano che si riduce a farle perdere tempo "
Ma Hyosuke era ormai partito in quarta, non ascoltando l'indiretto messaggio di fermarsi.
" esempio numero due!"
Continuò.
" La Grande Fuga... che cos'è? In fondo è solo un gruppo di gente che scappa da una prigione. Però è la grande fuga. Grande quanto? Grande come? Come si può definire una fuga 'grande'? Stessa cosa per noi! Un piano ambizioso merita un titolo ambizioso. E, se volete qualcosa di più breve... Il Richiamo del Cellulare. Pochi sanno cosa significhi davvero, ma tutti sono curiosi "
Prese alcuni respiri profondi dopo aver parlato senza una pausa adeguata. Il resto pensò fosse la fine di questa lezione,
" guardate "
Ma Hyo, più entusiasta che mai, riprese il suo monologo.
" non si tratta solo di trovare un titolo figo: è una questione di carattere. Un piano è grande tanto quanto il nome che gli dai. Prendete, per esempio, The Italian Job. Avrebbero potuto chiamarlo Furto in Italia o Il Colpo Perfetto... ma invece hanno puntato sull'allusione, sul richiamo culturale all'Italia. È memorabile! "
Koharu lo guardò con un sorrisetto sarcastico, ormai arresa che le sue orecchie avrebbero avuto tregua da un momento all'altro.
" perciò, secondo te, dovremmo chiamarlo... L'Operazione Erika? "
" no, no, no! "
Il regista alzò la mano, scuotendo la testa come se avesse appena sentito un'eresia.
" Ci vuole qualcosa di più enigmatico. Pensate a Se7en, per esempio! Non dicono "Ecco un serial killer e i suoi crimini basati sui SETTE peccati capitali"... No, no! Lasciano un numero, un enigma, così tu vuoi scoprire di cosa si tratta. Noi potremmo fare tipo...
Sette Passi dal Caos! "
Asahi si lasciò sfuggire una risata.
" mi ricorda troppo le gemme strane dei giochi di Sonic "
" TI GIURO HO PENSATO PURE IO A QUELLO "
Si unì Koharu.
" apparte che non stiamo parlando di videogiochi- non fatemi perdere il punto della conversazione "
Interruppe subito il regista volendo concentrarsi sulla questioni più "serie".
" sì, però sette passi e non ne abbiamo fatto neanche uno. Dai, Hyo, scendi dalle nuvole "
Ribatté la castana.
Ma il biondo ormai era lanciato e non si fermava più.
" va bene, va bene, va bene, capisco, capisco... troppo astratto. Comprensibilissimo. Allora: La Grande Illusione. Pensateci, ha tutto quello che serve. Da fuori sembra una semplice distrazione, un diversivo, ma in realtà c'è un inganno, una strategia che nessuno non potrebbe mai immaginare. Se non noi ma quello è per motivi ovvie- non il punto. È come se fossimo dei maghi. Cosa c'è di meglio? "
" non stiamo mica andando in guerra "
Ribatté Asahi, cercando di mantenere un po' di serietà.
" hai troppi film in testa, Hyo "
Ma Hyosuke lo ignorò, agitando le mani con tanta passione.
" no, no, Asahi, ascolta attentamente, questo è un esempio perfetto. E che dire di Il Codice Da Vinci? Non ti spiega nulla e ti fa venire voglia di saperne di più. Noi potremmo fare tipo... Il Codice del Silenzio o L'Enigma della Salvezza. Erika sarebbe tipo... il codice segreto che dobbiamo decifrare.»
" o anche solo La Fuga... "
Propose Shiori, sorridendo appena mentre la mano destra teneva la guancia pur di non addormentarsi sul tavolo per quante chiacchiere stessero avvenendo.
Hyo lasciò un piccolo urletto.
" la... Fuga? "
Fece un'espressione quasi offesa mentre ripeteva le stesse parole.
" ma è troppo generico! Pensate invece a Le Ali della Libertà: sì, alla fine è sempre una fuga, ma detta così ti fa pensare a qualcosa di più grande, a una battaglia per la dignità e l'indipendenza... Noi potremmo avere un titolo del genere. Per esempio, Ali di Carta. La fragilità, la speranza di poter volare via... è poetico! "
Koharu rise ancor più forte, incapace di trattenersi.
" siam messi malissimo se parliamo di poesia qua dentro "
" beh, oddio, non che questo piano non vada contro all'assurdità di questo casino "
Osservò il corvino dalla ciocca tinta facendo spallucce, al che pure Shiori annuì in silenzio.
Hyosuke scrollò le spalle.
" la poesia fa parte di un buon piano, amici miei. Anche Schindler's List non dice niente sul piano preciso. È solo un titolo che porta un'aura di drammaticità, di sacrificio... Non possiamo mettere su un'operazione così delicata senza un titolo altrettanto memorabile. Dobbiamo essere dei creativi anche noi, lasciarci ispirare dai grandi maestri! "
La badante di panda sospirò, con un misto di esasperazione e divertimento. Avrebbe lasciato la conversazione scorrere se non fosse per la pressione temporale, e del fatto che questo piano non consisteva solo di un semplice nome.
" va bene, poeti e cineasti appena battezzati, possiamo ora occuparci del piano reale adesso? "
Fortunatamente Hisa, rimasto ad ascoltare tutto finché sorseggiava la propria bevanda calda, si intromise per mettere i piedi a terra al signor Icaro Hyosuke prima che cadesse da solo.
Come un vero capitano, si alzò dalla sedia e portò tutte le attenzioni dei suoi compagni su di sé.
" prima di iniziare, avrei suggerito alcune cose, fra cui un ripasso degli eventi che, tecnicamente, dovrebbero accadere senza problemi con tanto di piani di riserva "
Cominciò portando i palmi sul tavolo davanti a sé. Il silenzio totale lx invitava a continuare.
" hyo andrà verso l'aula sorveglianti e cercherà di approcciare Erika, essendo lui la persona più vicina a lei fra tutti noi. Lì, dovrà allontanarla "
Guardò verso il regista come se chiedesse di aggiungere qualcosa.
" esatto, o almeno- ci provo "
" ottimo. E quando Hyo ci manderà il segnale noi quattro ci divideremo: io ed Asahi andremo nell'aula, mentre Koharu e Shiori staranno nei paraggi per assicurarsi che nulla di grave accadda, poiché sono le più forti di tutti al momento "
" conta pure su di noi! "
Commentò Koharu flexxando scherzosamente un muscolo ed incoraggiando la più grande ad imitarla. Risultò in un movimento del braccio abbastanza lieve, ma la considerò ugualmente una vittoria.
" nel mentre, io ed Asahi andremo in quella stanza, prenderemo il cellulare e cercheremo di chiamare i soccorsi. Non sappiamo quanto tempo di servirà, per questo dobbiamo contare anche su voi due a tenerla ferma anche se vi fate scoprire. Sempre meglio di perdere la nostra unica possibilità "
Si riferì alla coppia delle ragazze, mentre Hyo sembrava riflettere a dei possibili diversivi alternativi se qualcosa dovesse andare storto.
" quando avremo fatto, manderemo un messaggio, e se non vi siete fatte scoprire dovrete solo dare il segno a Hyosuke che dovrà terminare lì la distrazione ed andarsene "
Prese un momento per il fiato.
" ci sono domande? "
Tutti fecero di no con la testa, al che il signorino incrociò le braccia.
" ora, vorrei ricordarvi di un paio di cose "
Lo guardarono con confusione e sorpresa, non sapendo cosa aspettarsi adesso perché non era qualcosa di pianificato.
Hisa il dito di una mano.
" primo: bisogna avere sangue freddo e quanta più calma possibile. So che la situazione non è delle migliori e che di tutto potrebbe accadere. Ma non siamo soli. Ci siamo divisi in questa maniera per assicurarsi questo non possa anche solo lontanamente succedere. Ci copriremo le spalle costantemente "
Sollevò il secondo dito.
" secondo: questa è una squadra, e questa è una missione. Se anche qualcosa dovesse andare storto, non ci sarà mai un capro espiatorio. Qualsiasi cosa succeda là dentro, che abbia successo o fallisca, ne porteremo tutti la responsabilità. Siamo stato divisi anche per troppo tempo, e questo è il momento in cui noi dimostreremo che siamo più uniti di quanto potremmo mai immaginare. E la stessa cosa vale anche al contrario: se fate un errore, amen. Non ne faremo una tragedia, ci sarà un altro giorno per riuscirci "
Ed anche il terzo.
" ultima cosa "
Guardò tutti con più serietà del normale.
" se osate morire, vi ammazzo "
Portò un brivido lungo la schiena di tutti da quanto quei occhi chiari riuscirono a trapassare i loro animi.
Hisa era serio di tutto questo, non avrebbe lasciato che qualcosa del genere accadesse, costi quel che costi.
Avrebbero riacquisito la propria libertà una volta per tutte.
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Quante volte avrà pensato Hyosuke quanto fosse strano camminare per i corridoi vuoi di quella struttura oramai a pezzi? Più di tre? Quattro? Più delle dita di una mano, se non entrambe?
A questo punto credeva di starsi abituando all'inquetudine della temibile Hope's Peak Academy! E invece... Se mai avesse dovuto girare in film horror, sapeva benissimo che scenario ricreare per intimorire tutti quanti: i corridoi vuoti di una scuola vuota.
I passi troppo rumorosi per via del silenzio tombale che lo circondava, la luminosità controllata dalle lampadine e l'assenza totale del sole, i muri stretti e lunghi, e alla fine di questo percorso il nemico numero uno della serie. Nei horror moderni, si trattava spesso di una calamità soprannaturale, qualcosa fuori dal controllo delle persone. In questo, non erano demoni o catastrofi ad essere l'emblema della paura.
Ma gli uomini.
E lei fra tutti loro sapeva essere spaventosa da quanto potere avesse.
Mandò giù la saliva prima di fermare la camminata verso l'entrata ormai rovinata dell'aula. Si ricorda ancora tutte quelle volte in cui ci è stato: prima del killing game come preparazione, durante per discutere della morte di Subaru, fare compagnia a... Lui, e investigare la morte di Hana. Questa sarebbe dovuta l'ultimo volta. Non per lui, ma anche per Hisa ed Asahi ed il resto. Tutti contavano su di lui come distrazione e non voleva assolutamente deludere le aspettative.
Riprese a percorrere l'ultimo pezzo, questa volta più determinato. Non sarà un'atmosfera come questa a rovinare tutto, a fargli prendere paura, a farlo correre via.
Hyosuke aveva smesso di scappare tempo addietro.
Bussò alla- ah no... La porta non c'era.
Bussò alla cornice della ormai sparita porta e, dopo alcuni istanti, domandò:
" erika, sei qui? "
I primi momenti furono più taglienti di una lama, il cuore non batteva ed il fiato rimase sospeso. Addirittura ebbe messo in dubbio se ne fosse andata via dalla struttura.
Un'altra porta si aprì.
" hyo? Cosa c'è? "
La speranza liceale comparse dalla porta delle registrazioni con uno sguardo sorpreso nel sentire lui fra tutti quanti. Hyo ci mise alcuni secondo a lasciare i polmoni funzionare ed abbassare le spalle per sembrare il più tranquillo possibile. No, non doveva essere tranquillo, doveva essere...
Portò lo sguardo in basso, il ciuffo copriva maggior parte del viso per impedire di decifrare cosa pensasse agli occhi dell'altra.
" erm... Ti volevo, uhm, dire qualcosa "
" e cosa? "
Unì le proprie mani ed iniziò a torturare le dita delle mani.
" non proprio dire- più che altro, chiedere "
Erika si avvicinò al biondo, ma non troppo. Nonostante tutto, non si fidava di lui? Lo reputava un pericolo? Avrebbe dovuto cercare un altro modo per convincerla... Avrebbe dovuto essere più... Insicuro.
Ma c'era un problema, Hyosuke non sapeva come recitare. Non era lui l'attore tanto amato, non era lui il talento tanto apprezzato, non era lui che aveva i riflettori puntati contro. Un regista, rispetto alle sue opere, non importava come si comportasse e sembrasse perché tanto la sua presenza verrà solo ricordata come un nome nei titolo di coda. Mai niente di più.
Quindi, come avrebbe dovuto far credere ad Erika che quelle emozioni fossero vere? Che non fosse cambiato di una virgola qui dentro, ma solo il gatto spaventato che ebbe conosciuto?
" ... cosa mi succederà dopo tutto questo? "
Ha conosciuto Erika da tempo, in molti tratti si assomigliano, ma lei era e sempre sarà qualche passo avanti a lui.
Avrebbe dovuto essere sincero con lei, perché era inutile cercare di nascondersi da qualcuno come lei. Avrebbe dovuto lasciare le sue preoccupazioni prendere il sopravvento, toccando argomenti che fino a quel momento procastinava - il suo vizio capitale - il confronto.
E, poi, era curioso di sapere che fine avrebbe fatto Shini Goro.
La bionda non si mosse i primi secondi, dopodiché Hyo sentì dei rumori della zip della sua giacca chiudersi ed i suoi passi avvicinarsi.
" vedrai, non ti succederà niente di grave, te lo prometto su tutto quello che vuoi "
Il regista strinse le braccia attorno a sé. Quel conforto scivolò addosso come acqua ghiacciata.
" non credi abbia il diritto di saper almeno che ne sarà di me? Cosa c'è di così segreto da tenere? "
" non è un segreto- "
" allora cosa ti costa dirmelo?! "
Inconsciamente alzò il volume della voce, prendendo un respiro profondo ed alzando lo sguardo. Gli occhi di Erika erano difficili da decifrare: erano empatici, volevano aiutare, ma vuoto e distaccamento rendevano difficile credere alle sue intenzioni senza secondi scopi.
" temo potrebbe non essere ciò che ti saresti aspettato "
La voce esitante, fragile addirittura, donava alla più grande un senso di umanità inquetante. Era un essere umano, sì, ma quando passi mesi e mesi a credere assomigliasse più ad una dea crudele che mai cede, distrugge tutta la visione della realtà avuta fino ad ora.
Questo diede in Hyo la spinta di insistere.
" per favore? "
Erika sospirò e cedette.
" avrei avuto due opzioni cui avresti potuto scegliere: la prima idea era di trasferirti da qualche parte nella perfettura di Okinawa, o a Yayeama "
" sarebbe valso anche per gli altri? "
Chiese di secco senza pensarci troppo sopra.
" ovvio, ma fammi terminare "
Rispose lei annuendo.
" la seconda idea è più 'estrema' ma sicura, se vogliamo metterla così: trasferirti in Cina o in Russia "
Alzò le sopracciglia dallo stupore.
" perché così lontano? "
" perché secondo la polizia sei un ricercato, e stare in zone affollate come Tokyo metterebbero a rischio la tua fedina penale. E non voglio ciò accada "
Strinse i pugni. Non voleva che venisse scovato, però voleva che facesse parte a questo gioco di uccisioni? Davvero? Gli faceva ribollire il sangue dalla frustrazione, ma non poteva urlare contro adesso.
" non hai potere su di loro, scusa? Basta dire che non eravamo mai stati colpevoli- "
" e allora chi lo è? "
" huh? "
Hyo esitò, non capendo cosa intendesse.
" se non siete voi, dovranno trovare qualcun altro a cui dare la colpa. Chi sarà secondo te? "
" non- non lo so? Dovrei saperlo? "
" persone innocenti come te, fidati su questo "
" perché innocenti e non i colpevoli? "
" secondo te, se avessero trovato il colpevole vero, vi avrebbero incolpato? "
Un altro momento di silenzio. Erika continuò.
" e se lo avessero invece, come mai avranno dovuto darvi la colpa? Pensaci sopra "
Hyosuke rimase interdetto. La domanda di Erika gli rimbombava nella mente, cercando di trovare una risposta soddisfacente. Perché, in effetti, la colpa era stata data a loro invece che a qualcun altro? C'era una logica contorta dietro? O era semplicemente una giustizia distorta?
Erika sospirò, lanciando a Hyosuke uno sguardo intenso, come se volesse scuoterlo fino in fondo.
" pensa a tutte quelle notizie di scandali finanziari, fughe di gas tossico, o epidemie nei paesi poveri. Quando un disastro colpisce, chi è il primo a prendere la colpa? Non sono i vertici, le persone potenti o i veri responsabili "
Iniziò, con esitazione.
" è come quel caso dell'asma di Yokkaichi, ricordi? Quello della contaminazione dell'acqua nella zona industriale di Yokkaichi, dove si erano ammalate tantissime persone. All'inizio, accusarono un gruppo di operai perché avevano violato alcune norme di sicurezza, avevano usato attrezzature difettose. Sembrava una storia semplice: colpa loro, e loro soli "
Si grattò il mento, cercando di non staccare il contatto dalle iridi del regista.
" solo che, col tempo, si è scoperto che non erano stati quei lavoratori a fare scelte sbagliate. Era la direzione dell'azienda a risparmiare su materiali sicuri e controlli ambientali. Ma per anni nessuno ha voluto incriminarli, perché... erano importanti, avevano contatti potenti. I lavoratori erano semplici, anonimi. Perfetti per diventare i 'colpevoli' "
" stai dicendo che noi siamo uguali a quei semplici lavoratori? "
" uguali? Assolutamente no. Simili? Sì, e anche tanto, per questo voglio aiutarvi "
" ma anche tu hai potere, ricordi? Sei tipo- un botto influente! Devi esserlo! "
Erika chiuse le labbra, guardando altrove con un'espressione indecifrabile, lasciando Hyosuke ancora senza parole.
Erika aveva potere... Vero? Lei poteva fare tutto solo perché era la speranza liceale... Quindi anche salvarli... Vero?
Non c'era nessuno di più forte di lei, vero?
" era la scelta migliore per voi stare qui, nessuno avrebbe voluto sapere della delusione che sareste stati per il Giappone intero, nemmeno voi, soprattutto quando siete innocenti "
" morire qui? "
" sì, morire qui se fosse andato tutto male. Almeno avreste avuto la speranza di un futuro al di fuori. Insomma, avrei preparato biglietti e valigie non appena avreste finito e potevate vivere in tranquillità per il resto delle vostre vite! Avresti preferito la galera, senza speranza, per sempre reputato qualcuno che non sei E non potendo fare niente perché ormai il tuo curriculum era devastato? Non era il tuo sogno diventare regista, Hyosuke Sekita? "
Il cuore di Hyosuke pulsava violentemente nel petto. Non sapeva se fosse paura, rabbia, o forse una combinazione di entrambe. Guardò la cosiddetta speranza liceale, cercando risposte nei suoi occhi, ma trovò solo quella fredda determinazione, quell'apparente calma che sembrava sempre una maschera perfetta. Aveva davvero avuto delle intenzioni di salvarli? O forse era solo un altro gioco per lei, un modo per controllare, per manipolare, per vincere anche stavolta.
Erika poteva davvero voler la salvezza di un un gruppo di 'anonimi' rispetto a se stessa?! Chi diamine dovevano proteggere, dando la colpa ad un gruppo di ragazzini?!
La sua mente era un turbine. Lei, così influente, così potente, aveva davvero tentato di proteggerli, ma a quale prezzo? Si sarebbe aspettato di vedere la speranza brillare nei suoi occhi. Eppure, non riusciva a scorgere in Erika un barlume di quella compassione che tanto desiderava percepire. Solo una luce così accecante da cotringerti a seguirla.
Erika Uchimura avrebbe pure potuto avere il titolo di speranza.
Ma non era la sua speranza.
" quindi... ci hai condannati a vivere o morire per difendere un'apparenza... per evitare uno scandalo? "
Disse il biondo con voce tremante.
Erika non distolse lo sguardo, rimanendo impassibile.
" non mi fraintendere hyosuke: detesto questo sistema quanto tutti voi e voglio portare la verità a galla quando sarà il momento, sto solo facendo ciò che dovevo "
Ribalta glaciale.
" la tua carriera, la tua vita fuori di qui... pensaci. Sei già stato qui per troppo tempo. Ti aspetti che qualcuno ti accolga a braccia aperte dopo tutto ciò che è successo? "
Quelle parole gli entrarono come lame. Hyosuke, che aveva sempre sognato un futuro come regista, si rese conto che quella verità lo stava stritolando. Eppure, la sua rabbia non trovava sbocco; era bloccata da un muro di consapevolezza troppo solido per essere ignorato.
" hai costruito ogni dettaglio... ogni inganno... e adesso ci fai credere che tutto questo fosse per noi? "
Scattò, la voce ancora strozzata dall'emozione.
Erika alzò un sopracciglio.
" non era solo per voi. Ma sì, per quanto possa sembrare assurdo, era anche per voi. Qualcuno deve fare ciò che è necessario, anche quando sembra mostruoso "
" mostruoso? "
La voce di Hyosuke si fece un sussurro, intriso di amarezza.
" e tu pensi davvero di poter decidere quale sia il nostro destino? "
Erika si limitò a fissarlo, impassibile, il volto inespressivo come quello di una statua. Quella sua calma glaciale era la risposta più eloquente che Hyosuke potesse ricevere.
" è il mio compito scrivere "
Hyosuke si guardò le mani, tremanti come il resto del suo corpo, e sentì un'ondata di emozioni sommergerlo. Non riusciva a fermare i ricordi che lo travolgevano, momenti trascorsi in quella prigione travestita da scuola, giorni passati a cercare di aggrapparsi a qualcosa che somigliasse a una speranza.
" hai la più minima idea di come mi sono sentito in questo mese? Chiuso qua dentro, costretto a cercare questa 'speranza' che tu dici di volere per noi? "
Il tono della sua voce era carico di un'amarezza mai confessata, un'eco di tutte le notti insonni per via di incubi, del panico di trovare un altro corpo morto, e ancora più sconfitta e lutto quando scopriva fosse quello delle uniche persone che potessero capirlo?
Si sentiva in trappola, in un incubo senza fine, con l'angoscia costante di un futuro incerto e il peso delle aspettative di tutti che lo schiacciava.
Erika guizzò dalla sorpresa, o forse era solo l'illusione di Hyosuke? Era mai stata davvero in grado di comprendere quello che provava Shini Goro? O per lei erano solo pedine, strumenti di un piano più grande, sacrificabili per una causa che nessuno di loro aveva mai scelto? Dove stava la tanto rinnomata ed empatica scrittrice?
" ogni giorno mi svegliavo sperando che tutto fosse solo un brutto sogno. E invece no. Ogni passo, ogni respiro, ogni singola ora mi ricordava che non c'era via d'uscita. Era questo che intendevi per 'protezione'? Tenerci qui a marcire, a perderci nella paura e nel sospetto? "
Il silenzio che seguì fu carico di tensione. Erika restava immobile, senza rispondere, come se le sue parole fossero insignificanti rispetto alla grandezza del suo piano.
Hyosuke abbassò lo sguardo, stringendo i pugni per fermare il tremore.
" ci hai promesso speranza... ma tutto quello che ho trovato è stato terrore. E ora tu mi dici che era l'unica scelta? Che dovevo semplicemente accettare tutto questo e fingere che fosse per il meglio? "
Quella verità non gli bastava.
" sai cosa... Cosa vorrei tanto fare? "
La voce di Hyosuke si ruppe, diventando monotona nelle prossime parole.
" ... Ammazzarmi piuttosto che vivere un altro giorno così "
Erika fece un passo in avanti.
Hyosuke iniziò a correre via.
" HYO-! "
Tentò di chiamarlo, ma il regista non si girò o fermò per un solo istante, con le lacrime agli occhi. Passò per l'atrio principale e poi il corridoi che portava alla palestra. Giusto- il piano- in mezzo a queste emozioni quasi si scordò di dar il segnale.
" NON MI FERMERAI! "
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" finalmente ha parlato, mi stavo preoccupando gli fosse successo qualcosa- "
Koharu ed il resto di loro sgattaiolò fuori dalla lavanderia dopo essersi appostati direttamente dietro la porta, aspettando solo il momento giusto di comparire. Hyosuke era riuscito nella prima parte del piano, quindi ora tocca a loro fare la propria parte: rubare il cellulare ed assicurarsi che niente di male accadda.
Si guardarono negli occhi per qualche istante, dividendosi già inconsciamente nelle coppie stabilite in precedenza: verso l'atrio principale c'erano Asahi e Akihisa, mentre verso la palestra Koharu e Shiori. Coincidentalmente, erano in parallela con l'altra persona a loro cara a guardarsi. Un velo di preoccupazione iniziò ad avvolgerli piano piano.
" fate attenzione, mi raccomando "
Disse Shiori per rompere il silenzio, al che Hisa annuì serio come per dire di sì.
Koharu, invece, chiuse la mano in pugno e lo portò in avanti.
" contiamo su di voi, date l'indirizzo giusto "
Commentò sarcastica, al che Asahi alzò le sopracciglia e nascose un sorrisetto sia divertito che deluso. Ricambiò il pugnetto con una certa goffaggine - una vittoria per Koharu dato che la prima volta che l'ebbe fatto non sembrava aver capito come funzionasse il gesto.
" non ci deluderemo a vicenda "
Disse, cercando di mascherare la tensione con il tono più deciso che riuscì a trovare.
Koharu annuì, sforzandosi di trattenere un sorriso che sapeva sarebbe stato troppo incerto per trasmettere sicurezza.
" ehi, ci conto. Se non ci vediamo più perché la polizia sarà arrivata prima del dovuto... "
Si fermò, lanciando un'occhiata a Shiori, che si era girata di scatto a guardarla.
" ma che dico! Tanto ci vedremo dopo, quindi non c'è da preoccuparsi, no? "
Concluse, anche se nessuno sembrava davvero convinto. Nemmeno lei. Ma facciamo finta di niente, è l'intenzione che conta.
Shiori, senza aggiungere altro, prese un respiro profondo e strinse la mano di Koharu, come a trasferirle un'energia tranquilla, quasi rassicurante.
" sì, ci vedremo "
Concordò con una calma inaspettata, cercando di ancorare le sue stesse parole al pavimento, come se volesse che restassero lì, solide e sicure, per tutti loro.
Infine, Hisa si fece avanti, posando una mano sulla spalla di Asahi.
" fate quello che dovete, senza esitazione, e se serve una mano basta mandare un messaggio e correremo da voi "
La sua voce era seria, più di quanto non fosse abituato a essere, ma c'era anche una punta di gentilezza.
Asahi ricambiò lo sguardo, sentendo il peso di quella mano come un'ancora che lo teneva concentrato. Poi, si voltò verso Akihisa, che era rimasto in silenzio ma con uno sguardo che non aveva bisogno di parole per essere compreso. C'era un'intesa strana fra i due sin da ieri, trovati a parlare in cucina prima della mitica nottata passata a giocare a taboo ed altro.
" andiamo, Hisa "
Era un brutto momento per fare notare come entrambe le dinamiche di questo gruppo erano riflessi? Cosa avevan Koharu e Asahi non era poi così lontano da cosa caratterizzasse Hisa e Shiori.
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Dopo giri e rigiri, in una maniera o nell'altra, Hyosuke ancora non era crollato. Correva come un dannato, come se il tempo stesso gli stesse sfuggendo. I suoi polmoni bruciavano, il fiato si faceva sempre più corto ed affannato, la fronte sudava dal calore, e le gambe, quasi del tutto insensibili ormai, tremavano sotto il peso della sua stessa determinazione. Ma non c'era niente che potesse fermarlo, nemmeno i richiami di Erika che ancora gli stava appresso.
Non le era importato, non l'è mai importato. Allora perché insisteva nel seguirlo? Cosa voleva dimostrargli, una volta rivelato tutto quanto? Pensava fosse così stupido? Che ci sarebbe cascato di nuovo? Oppure era così assorta nel suo senso di giustizia da non capire che tutto avesse un limite?
Sopra a lui, le luci dell'edificio brillavano intermittenti, quasi a ricordargli quanto vicino, quanto inafferrabile fosse l'obiettivo, e comunque non demordeva, non si disperava, perché non era da solo. Koharu e Shiori erano nei pressi a controllare tutto quanto. Si ritrovò a stringere i denti, ignorando i dolori sparsi in tutto il corpo, quasi a voler soffocare quella voce interiore che continuava a chiedergli perché stesse andando così lontano, perché si stesse spingendo così oltre.
Prima d'ora andare in palestra non era mai stato il suo obbiettivo, tantomeno si considerava fisicamente forte, solo un ragazzino che si chiudeva in casa a guardare dei film insaziabilmente. Durante le ore di educazione fisica alle medie i professori dovevano praticamente pregarlo per metterci un po' di impegno non solo per il voto sulla pagella, ma anche la sua salute. Bastava un po' di motivazione per spingerlo a fare questo? Davvero? Bastava sapere di non starlo facendo per dell'inchiostro su carta, ma una ragione molto più astratta, per farlo muovere così? Tutta l'adrenalina, il battito accelerato, l'aria soffocante che adesso batteva sulla pelle come se fosse vento...
... Era fottutamente elettrizzante.
Non si era mai sentito così- così vivo!
Dove prima una nube oscurava la sua vista, dove prima il mondo era solo bianco e nero, ora i colori delle mura, della luce e degli oggetti si mischiavano fra loro per creare nuove sfumature!
Dove prima tutto il mondo andava a rallentatore, ora tutto attorno a sé si muoveva più veloce della luce. Non c'era tempo per soffermarsi a notare ogni dettaglio, non c'era tempo per annoiarsi nella monotonia di un singolo oggetto, solo catturare le cose più importanti e passare al prossimo. E quando non ci riusciva? Sti cavoli! Non era l'unico oggetto! Non era una cosa! Era molte, molte di più! Uguali, o meno, esistevano, e correvano via come Hyosuke.
Questa corsa non era solo una questione di salute ormai. C'era molto di più: c'era il peso di tutti quelli che lo stavano aspettando, la responsabilità che aveva accettato senza alcuna garanzia di successo.
L'immagine di Akihisa e degli altri gli balenò per un istante nella mente. Erano lì, ognuno a fare la propria parte, a dare tutto per un piano che era stato costruito con più speranza che certezza. E lui? Lui non poteva essere l'anello debole.
Dietro di sé, sentì i passi di Erika, rapidi e inesorabili, come un'ombra che non intendeva lasciarlo andare. La sua presenza era diventata un sottofondo costante, una minaccia che alimentava la sua corsa. In quella marea di colori, lei rappresentava l'oscurità, il nero, la monotonia pericolosa di un tempo che cercava di intrappolarlo ancora una volta. Non aveva idea di come fosse riuscita a stargli dietro così a lungo, o perché non avesse ancora rinunciato, ma a questo punto non aveva importanza. L'unica cosa che contava era tenerla lontano dall'aula sorveglianti, ignara che fosse solo una questione di tempo prima della fine di questo killing game.
Hyosuke girò l'angolo, i passi rimbombanti nei corridoi deserti. Ormai aveva perso il conto delle porte e delle stanze attraversate, delle deviazioni prese a caso solo per guadagnare qualche secondo. Ma poi, in una frazione di secondo, il corridoio sembrò aprirsi davanti a lui quando ritornò nell'atrio principale. La luce fredda e metallica illuminava le scale in fondo. Non era sicuro di cosa avrebbe trovato percorrendole, ma sapeva che il suo obbietivo era solo distrarla.
Con un ultimo sforzo, accelerò il passo e saltò addirittura alcuni gradini mentre si arrampicava verso l'alto. Dietro di lui, i passi di Erika si facevano sempre più vicini, e l'eco delle loro corse si mescolava a quella tensione che sembrava riempire l'aria. Se la corsa fosse già esaustiva di suo, quella salita fu praticamente un colpo al cuore. Fermarsi adesso era proibito, sarebbe dovuto andare avanti finché non sarebbe svenuto per quel che gli pareva.
Senza esitare, afferrò la maniglia della prima porta trovata e tirò un profondo respiro. Si aprì di colpo, e in un attimo era dentro, in una stanza famigliare a lui, come il resto della scuola: l'ufficio. Era quello del cosiddetto "preside". Cercò di bloccare l'entrata con il proprio peso, cercando di riprendere fiato.
Erika arrivò pochi istanti dopo, battendo sulla porta e spingendola con quanta forza avesse in corpo. Il biondo fu respinto a sua volta, resistendo i primi colpi, ma man mano che la staticità portava dolore all'intero corpo, la forza diminuiva. Se ne scappò dietro la scrivania e sedia d'ufficio.
Il petto che si alzava e si abbassava freneticamente per il fiato corto. Lanciò uno sguardo rapido, il cuore che ancora batteva furiosamente contro le costole.
Erika entrò, anche lei con il fiatone. Non si dissero niente per i primi secondi, cercando di riprendere fiato e non crollare dal dolore alle gambe. Hyo giurava di star assaporando del metallo in gola da quanto si fosse sforzato. Una sensazione simile alla mancanza d'ossigeno di alcuni giorni fa... In un luogo che nemmeno era così lontano da dove si trovassero.
Fu sempre lei la prima a muoversi, non avvicinandosi, bensì portò il piede ad afferare un oggetto in legno, triangolare, sul pavimento e spingerlo verso l'entrata - ora uscita. Un ferma porta piccolo abbastanza da essere stato ignorato tutto questo tempo.
Ormai per Hyo non c'erano più vie di fuga. Si era messo all'angolo da solo.
La speranza liceale si avvicinò lentamente, mantenendo le mani ben visibili, come per dimostrare che non avrebbe tentato nulla di minaccioso. Il suo respiro era ancora pesante, ma i suoi occhi erano fissi su di lui con una determinazione che non ammetteva esitazioni.
" hyo... basta, okay? Per favore, fermati un secondo e ascoltami. Non siamo qui per combattere tra di noi. Non è questo che voglio. Non è mai stato questo il mio obiettivo "
Disse con voce calma, anche se tradiva una certa urgenza, e la sua preoccupazione.
Il regista non disse nulla. Lo sguardo era incollato su di lei, un misto di sfida e rassegnazione nei suoi occhi. Aveva corso, lottato, aveva fatto di tutto per sfuggirle, ma ora che non c'era più alcuna via d'uscita, il suo cuore continuava a battere freneticamente, alimentato da un residuo di adrenalina e da un profondo senso di diffidenza.
Ella si prese un attimo per respirare, come se cercasse di calmare anche la propria mente, di dare ordine ai pensieri prima che il silenzio diventasse insopportabile.
" non sono contro di te, Hyo. Questo... tutto questo non è come lo stai vedendo tu. Non è un gioco di fazioni, non è un tutti contro tutti. Sto cercando di proteggervi tutti, dannazione, anche se non vuoi credermi. Siete vittime, e l'ho visto! Sono l'unica che l'abbia mai fatto! "
Disse, e una sfumatura di frustrazione iniziò a trasparire nella sua voce.
" proteggerci? L'unica? "
Ripeté lui, amaro, con un ghigno che sembrava volerle scavare a fondo.
" È così che lo chiami? Inseguirmi fino a farmi sfinire? Costringermi in un angolo come fossi una minaccia da eliminare? "
" no, non è così! "
Erika scosse la testa con decisione, stringendo le mani fino a sbiancare le nocche.
" non capisci... tutto quello che sto facendo è per cercare di fermare quello che sta succedendo lì fuori, per fermare questa follia. Io... io non voglio essere la tua nemica. Siamo dalla stessa parte, anche se non lo vedi. Ma devi capire che non siete stati gli unici a soffrire fino a questo momento! C'è tanta gente fuori che- che... "
Si bloccò a metà, non completando la frase. Hyosuke serrò le labbra, sentendo crescere una morsa dentro di sé che lo spingeva a rimanere freddo, distante, e non domandarsi del resto. Non poteva semplicemente lasciarsi andare a quelle parole.
" sai cosa? Forse è questo il problema. Non è che non lo vedo. È che non posso più fidarmi delle tue parole, Erika. Hai continuato a seguirmi, hai fatto di tutto per metterci in questa situazione, bloccarci per sempre sua dentro- "
" ti sbagli Hyosuke! "
Erika distolse lo sguardo per un momento, come se la freccia delle sue parole avesse colpito qualcosa dentro di lei. Ma alla fine rialzò la testa, la mascella serrata, decisa.
" hai ragione a non fidarti delle mie parole, dopo tutto quello che abbiamo passato. Ma, Hyosuke... ci sono cose che non puoi capire fino in fondo finché non le affronti con gli occhi aperti. E fidati, so cosa significa perdere la speranza, vivere costantemente guardandosi le spalle. Ma è proprio per questo che voglio fare la cosa giusta, ora. Per tutti voi! Vi capisco come- "
" AL DIAVOLO CON QUESTA COMPRENSIONE! "
Urlò d'un tratto, non lasciandola finire.
Rimasero in silenzio, e in quegli attimi Erika ebbe la sensazione che il peso della sua diffidenza potesse soffocare ogni tentativo di riavvicinamento. Tuttavia, una parte di lui sembrava ancora esitare, come se una minima crepa nel muro che aveva eretto si stesse rivelando, proprio lì, sotto l'intensità di quegli occhi.
Hyosuke la fissò, il volto contratto in un'espressione carica di frustrazione e rabbia repressa. Finalmente, con una voce dura e gelida che sembrava scuotere le pareti della stanza, ruppe il silenzio.
" sei seria, Erika? Davvero pensi che tu debba proteggermi? "
Scattò, la voce carica di un disprezzo che raramente aveva lasciato trasparire. Era rabbia, ma una rabbia strana. Come se non fosse diretto solo a lei, ma anche a qualcun altro.
" sono stufo! Stufo di- di- tutti quelli che pensano di sapere cosa è meglio per me, che si arrogano il diritto di controllarmi. Non puoi dirmi cosa fare, di decidere cosa è giusto o sbagliato. Non sei mia madre ed io non sono in bambino! "
Portò le mani sul petto, pieno di furia.
" è vero! È vero che prima desideravo qualcuno perché- perché ero spaventato! Ma solo perché non sapevo come agire! Ed ho capito! Ho capito che nascondermi dietro a qualcun altro non è la soluzione giusta! Dipende non è la soluzione giusta! "
Batté le mani sulla cattedra.
In quel momento, nei suoi occhi non c'era solo Erika in quella stanza. No, c'era anche qualcun altro, come se si fosse sdoppiata. Qualcuno che in passato aveva riservato questo identico comportamento appiccoso.
" e l'ho capito una volta che ti sei staccato! Una volta che non c'eri più! Pensavo- pensavo di essere spacciato come dicevi e invece- invece non è mai stato più chiaro di prima! Ce la faccio! Ce la posso fare! L'ho sempre potuto fare! Significa che non ho mai voluto qualcuno che mi difenda, credendomi uno stupido, bensì qualcuno che mi lasciasse fare! Si fidasse! "
Erika si irrigidì, sorpresa dall'intensità del suo tono. Cercò di rispondere, di trovare qualcosa da dire per placarlo, ma Hyo non le diede alcuna possibilità.
" mi dici che stai cercando di aiutarmi, di proteggermi... ma da cosa? Da me stesso? "
Fece un altro passo avanti, puntando un dito accusatorio verso di lei.
" non ho mai chiesto il tuo aiuto. Non ho mai chiesto a nessuno di proteggermi. Forse questo è il problema: a nessuno è mai passato per la testa che potrei cavarmela da solo, che non ho bisogno di qualcuno che mi dica come vivere la mia dannata vita! "
La sua voce si fece sempre più amara, il volto un'espressione feroce. Ogni parola sembrava come una lama affilata che colpiva senza pietà.
" Non sono un bambino da coccolare, non sono una pedina da manipolare nei vostri giochi contorti. Mi sono rotto di avere persone come te che si credono migliori, che pensano di poter entrare a gamba tesa e prendere il controllo. Sono stanco di tutti voi che vi presentate come i salvatori della situazione! "
Si interruppe un attimo, il respiro irregolare e pesante.
" se sto in piedi ancora, se sono riuscito ad arrivare fino a qui, è solo grazie a me stesso. E non ho bisogno di catene, di te per vivere. "
E questo l'ebbe capito stando con i suoi amici. Amici che veramente lo capivano, lo vedevano e realizzavano che fosse come altri, che meritasse la sua autonomia.
Erika rimase immobile, ogni singola parola colpiva come un pugno. Hyosuke distolse lo sguardo per un istante, lo sguardo duro ma ferito, come se persino ammettere questo fosse qualcosa di amaro.
BAM BAM.
Dei colpi pesanti sulla porta fecero tremare il terreno sotto i suoi piedi. L'aria fu estremamente tesa. Cos'era stato?
" hyo? Tutto bene? HYO?! "
La voce di Koharu.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Si sarà preoccupata per le urla, non è così? Merda!
Erika e lui si guardarono negli occhi, altri battiti si susseguirono.
" HYO! "
La porta di spostava di pochi millimetri ogni colpo a causa del fermaporte. Erika si girò.
La porta si apriva sempre di più.
Erika mise la mano in tasca.
Fu lì che Hyo capì.
La porta si aprì.
" ABBASSATEVI "
BANG!
Shiori ebbe disteso Koharu per terra, spingendola dentro la stanza.
Il proiettile però non ebbe puntato alla loro direzione, bensì sul soffitto, lasciando un piccolo buco nero e profondo.
Il regista cercò di avvicinarsi, ma Erika era in vantaggio e puntò la canna contro. Nessuno fiatò.
Rimase immobile, la pistola puntata con una calma inquietante. La sua presenza riempiva la stanza di un silenzio forzato, pesante, in cui anche il più piccolo movimento sembrava eccessivo. Ogni respiro era scandito dal rumore distante delle nocche bianche di Erika attorno alla pistola, e dello sguardo d'acciaio che fissava le due Ultimates con una determinazione feroce. Ogni fibra del suo corpo sembrava pronta ad agire, a fare ciò che riteneva necessario.
" quindi è così, eh?"
Le parole della speranza erano quasi un sussurro, ma l'intensità con cui le pronunciava era sufficiente a congelare il sangue. I suoi occhi si spostarono uno ad uno sugli altri, passando rapidamente da Shiori e Koharu, ancora accasciate a terra, a Hyosuke.
" non ti interessava davvero ascoltarmi. Avevi già deciso tutto. Per te, io sono solo un ostacolo da superare, una minaccia da evitare "
Koharu si sollevò a fatica, una mano sulla spalla ancora indolenzita dalla caduta.
" e tu invece? Davvero credi che spararci addosso sia il modo di risolvere tutto? Credi di poter continuare a fare così per sempre, senza conseguenze? "
La voce della badante tremava, ma non per paura. Era rabbia, puro e semplice disprezzo per quella scena assurda in cui si trovavano. Sin dalla morta di Axel, dentro di sé, questo sentimento si era coltivato ed alimentato nei confronti della speranza.
" sei così presa dal tuo ruolo di salvatore che non ti rendi conto che sei tu a mettere tutti in pericolo! Solo nei libri esistono persone miracolate, perché non te lo metti in testa! "
Hyosuke fece un passo avanti, ignorando il monito di Erika e la pistola puntata contro di loro.
" sai una cosa, Erika? Non è cambiato nulla, alla fine. Sei ancora qui, a cercare di controllare tutto e tutti come se solo tu sapessi cosa sia giusto "
La voce di Hyosuke era dura, quasi un ringhio soffocato. Le mani strette a pugno, i muscoli del collo tesi.
" ti dà fastidio che mi sono svegliato, vero? Che ho trovato il modo di starmene in piedi senza supporto. Che abbiamo trovato il modo di scappare da questo gioco malato senza il tuo aiuto. Perché per te il nostro ruolo è restare zitti e obbedire. Proprio come i piani alti. Ma sai una cosa? Mi sono stufato. Mi sono stufato di tutti quelli che pensano di poter decidere cosa è meglio per me! "
Erika socchiuse gli occhi, stringendo il cellulare che aveva nell'altra mano. Un'ombra di delusione, forse anche di dolore, attraversò il suo sguardo, ma non abbassò la pistola.
Il silenzio nella stanza si spezzò solo per un secondo, finché Erika non fece scivolare una mano in tasca e, con un movimento lento e controllato, estrasse un cellulare. Lo sollevò, lasciandolo brillare alla luce fredda della stanza.
Hyosuke, Koharu e Shiori rimasero impietriti, lo sguardo fisso su ciò che aveva cambiato tutte le carte in tavola.
" cercavate questo, vero? " disse Erika, il tono tagliente come una lama, tenendo in una mano il...
Il cellulare.
Lo stesso che Asahi e Akihisa stessero cercando in questi esatti momenti.
" mandare la persona con cui avrei abbassato la guardia a parlarmi, portarmi via dal'aula sorveglianti, lasciarlo dunque incustodito, mandare qualcuno di voi lì dentro per chiamare i rinforzi mentre gli altri avrebbero assicurato fossi distratta "
Ebbe capito tutto quanto, nei minimi dettagli, in un solo istante. Un piccolo ghigno si formò sulle sue labbra.
" se non fosse che avessi scritto miliardi di volte un piano del genere nei miei libri, vi avrei fatto i complimenti per l'originalità "
Il tono leggermente divertito fece scendere brividi lungo la loro schiena.
" pensavate davvero che non fossi preparata ad evenienze del genere? Mi avete preso per una stupida a lasciare l'oggetto più prezioso in questa struttura incustodito? "
Koharu, incredula, strinse i pugni, la rabbia visibile nel suo sguardo.
" Vuoi dire che... sapevi tutto questo tempo? Sapevi cosa stavamo cercando di fare? "
Erika accennò un sorriso amaro.
" Oh, no. No, no, no. Non sono una veggente, per l'amor del cielo. Non posso sapere le cose per miracolo "
Lasciò una pausa drammatica per far rimbombare le loro teste con ancora più domande.
" ho osservato ogni vostro passo dalle videocamere, ogni vostro sguardo di intesa da quei pixel. Giuro di aver addirittura provato il vostro calore una volta che avevate festeggiato tutto con una serata di giochi. E sapevo che, qualunque cosa aveste in mente, senza questo non sareste mai andati lontano "
Hyosuke sentì un'ondata di frustrazione bruciargli dentro. Abbassò lo sguardo e si guardò le mani.
" quindi era tutto inutile "
Disse a denti stretti.
" tutto quello che abbiamo fatto... solo per scoprire che avevi l'unico cellulare utile sin dall'inizio? "
La speranza si fece più vicina, il volto calmo ma fermo.
" non riuscite a capire quanto siete fuori strada? Voi non avete mai avuto davvero una possibilità di farcela senza mettere tutti in pericolo. Pensavate che vi avrei lasciato andare incontro a una fine certa? Pensate ancora che io sia la nemica? "
Shiori si alzò, il volto pallido per la tensione.
" n-non è questo il punto. Non puoi solo imporre il tuo controllo su nessuno perché pensi sia la cosa giusta da fare! Forse tu pensi che ciò che tu stia facendo porti a del bene ma guardati intorno! Quanti di noi sono ancora rimasti?! "
Erika serrò la presa sul cellulare, il volto che per un attimo si addolcì in una sorta di rassegnazione.
" oh, mia cara Shiori, sempre a pensare al nato negativo della morte. Il tuo stesso talento è la tua più grande debolezza. Eppure tu più di tutti dovresti saper apprezzare anche i punti di non ritorno, di lasciar andare... Di sacrifici "
" pensate di potervi fidare di un piano improvvisato, di una fuga che non porterà da nessuna parte? Questo è il mio modo di proteggervi "
Erika alzò il telefono in aria.
" NO FERMA- "
Lo schiacciò sul pavimento, ora lo schermo frantumato in mille pezzi. Ma non si fermò. Puntò la canna contro e
BANG!
Lo rese ufficialmente inutilizzabile.
Il suono assordante del colpo di pistola rimbombò nella stanza come un tuono, facendo sobbalzare tutti e lasciandoli per un istante senza respiro. Il cellulare, ora ridotto a un mucchio di pezzi contorti e anneriti, giaceva sul pavimento. Ogni barlume di speranza che avevano coltivato si frantumò insieme al vetro. Dalla speranza stessa.
Koharu fu la prima a reagire, incredula di cosa abbia appena visto. Il suo sguardo si alzò verso la più grande. Era lo stesso sguardo assistito durante l'ultimo processo.
" come hai... potuto...? "
La speranza la guardava, quasi con freddezza, il viso scolpito nella determinazione.
" non vi darò il lusso di gettarvi in un piano sciocco. Non posso permettervelo, non quando il mio non è stato ancora terminato "
La pistola ancora stretta nella sua mano era come un simbolo del suo controllo su quella situazione. Un controllo che, per quanto giustificasse a se stessa, era assai instabile. Instabilità significava imprevedibilità. Ed Erika era imprevedibile come nessuno in quel momento.
La medium, scossa, strinse i pugni fino a sentire le unghie conficcarsi nel palmo.
Non puoi continuare così... e pensare che vorremmo stare un altro giorno qui dentro... Sei tu che ci metti contro di te! Se sei la speranza che tanto proclami di essere, perché non lo dimostri?! "
La speranza, per la prima volta, sembrò esitare, ma mantenne la presa.
" siete accecati, non state bene, non sapete niente. Non potete sapere, per ora. Sto facendo ciò che è giusto per tutti... Anche se non lo capite "
Hyosuke, con lo sguardo fisso sul cellulare distrutto, sentiva tutta l'adrenalina tornare in corpo, tramutandosi in un moto di rabbia alimentato da quest'ultima.
" non sei speranza, sei paura travestita da sicurezza "
Erika rimase ferma, la pistola ancora puntata verso di loro, ma in quel momento - un attimo di distrazione, un secondo di esitazione.
L'ebbe colpita dritto al cuore.
Il biondo colse l'opportunità.
Si gettò su Erika con un'impulsività che gli arrivava direttamente dalla rabbia, afferrando il suo braccio e torcendolo con una forza che nemmeno sapeva di avere. Erika si ritrovò disarmata, sorpresa dall'attacco improvviso, mentre la pistola scivolava dalle sue mani, sul pavimento.
Koharu e Shiori si guardarono i primi istanti, dopodiché la prima si gettò per terra e colse l'arma d'impulso.
Senza pensarci due volte, la corvina si voltò e iniziò a correre verso l'uscita, stringendo l'arma tra le dita come fosse un tesoro. Il cuore le batteva all'impazzata, sentiva l'adrenalina pompare in tutto il corpo mentre correva.
Ma i passi di Erika non si fecero attendere. L'inseguimento era iniziato, e con esso la corsa disperata verso una libertà incerta.
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Dire che Shiori non conoscesse Erika era errato, tanto quanto lo fosse ammettere il contrario. Strano, non è così?
Non avete mai incontrato una persona una sola volta nella vostri vita, credendo di non vederla mai più, e ritrovarvela davanti ai vostri occhi dopo tempo?
Cosa direste in quelle situazioni?
"Hey, ciao, da quanto tempo!" oppure "ti ricordi di me? Sono la ragazza che hai deciso di seguire durante la notte della morte del tuo amico! Che strano trovarti qui!"
Oppure sareste più il tipo da aspettare che sia l'altra a riconoscervi?
E se entrambi preferiste non menzionare niente per risparmarvi possibili spiegazioni al resto? Sareste iniziando da capo? Non sarebbe però... Imbarazzante? Non provereste questo déjà vu come... Sbagliato? Ma non potete mica tirare fuori l'argomento!
Ecco, meglio prendersi il colpo.
Far finta di niente.
Come solo loro due sapessero fare.
Ma entrambi i loro cuori sapevano che quella notte non sarebbe potuta esser nascosta ancora per molto.
Shiori ricordava fin troppo bene due cose in quel momento: la notte e la pistola.
La notte che incontrò Erika, fu un colpo pesante anche per lei. Insomma, era la prima volta che vide morire qualcuno davanti a sé! L'unica cosa di cui era grata era la distanza. Si è persa cosa poi la morte di Mitsuki le dimostrò: la luce degli occhi sparire in un istante. D'altro canto, nessuna morte aveva ciò che ebbe provato quella notte: uno spirito attaccarla in meno di un istante. Ed era contenta di quella roba. Perché quella notte e le altre a venire a stento riuscì a chiudere occhio. E di conseguenza non ebbe lasciato nemmeno Yumeri, e talvolta persino le altre sorelle.
Shiori odiava le attenzioni avute quelle settimane. La facevano sentire... Debole, stupida, penosa... Sapeva, sapeva che in fondo era sua sorella e, come ben sia, stesse cercando di confortarla. Ma d'altro canto... Odiava quelle rassicurazioni, quei abbracci, quei favori... Perché non le sembravano genuine.
Insomma, Yumeri non avrebbe fatto niente di tutto questo di norma, no? Allora perché avrebbe dovuto farli adesso? Non era lei la vittima dopotutto. Diamine! Nemmeno conosceva la vittima! E la sua amica! Era una perfetta sconosciuta! Chi era lei a dover essere tratta con le pinze!
Da brava gemella quale fosse, Yumeri capì presto quell'ansia e glielo disse in faccia: "non sai farti aiutare, Shiori". Ed era vero. Shiori non voleva farsi aiutare, perché Shiori non aveva niente di sbagliato in fondo. O, almeno, niente di sbagliato da dover sottrarre l'attenzione da gente che aveva bisogno veramente d'aiuto. Shiori non si lamenta, prende il colpo in silenzio, perché c'è gente che ha sofferto di peggio, perché il mondo non può aiutarla se nemmeno ci provasse. Perché odia essere messa allo scoperto, spogliata dalle ombre in cui era nata.
Essere considerata le faceva schifo.
Eppure quella notte aveva lasciato viziarsi in presenza di Erika. In un modo o nell'altro, era brava a parole, l'aveva convinta si fare cose che mai si sarebbe sognata di fare. In un certo senso, le aveva dato speranza che non fosse spacciata. Ironico dato le parole dette prima. Ma l'Erika di quella notte e quella di adesso non erano la stessa persona.
E la pistola? Era solo l'ennesima conferma di essere insalvabile. Le aveva ricordato che, anche in questo momento, l'unico motivo per cui riuscisse ad avere un attimo di pace non era per la sua indipendenza - tutto il contrario. Quando l'Amenoseo aveva finito di fare effetto, fu fin troppo per lei. Non voleva rivivere quelle notti, quelle pazzie, eppure eccola lì ed essere la nemica numero uno di tutti quanti mentre cercava di... Di proteggerli... Proprio come Erika stava cercando di fare... Ma Shiori sapeva... Quella non era protezione... Però capiva... La capiva?
La corsa di Shiori non era solo fisica, ma anche mentale. Ogni passo, ogni rumore creato dalla pistola a riportavano indietro a quella notte, a quei momenti deboli.
" solitamente si dice di confidare i propri problemi solo alle persone più strette. Invece secondo me parlare con degli sconosciuti può avere lo stesso effetto, se non migliore "
Allora era stata una voce gentile, quasi un rifugio. Shiori aveva colto l'occasione come un naufrago che si aggrappa a un pezzo di legno in mezzo al mare, lasciandosi andare senza freni. Aveva raccontato tutto: dei sussurri che sentiva quando era sola, delle visioni che la tormentavano, dei morti che sembravano reclamare la sua attenzione ogni notte. Non si era preoccupata delle conseguenze, perché Erika l'aveva guardata senza paura, come se quelle confessioni fossero solo parole.
Ma per quanto Shiori potesse correre, non sarebbe arrivata da nessuna parte non affrontando le sue paure.
D'un tratto si trovò il peso di Erika dietro la schiena spingerla per terra. Per miracolo riuscì a portare le mani sul pavimento gelido dell'atrio per evitare di sbattere la testa d'impatto, tuttavia la pistola scivolò dalle sue mani.
Cercò di alzarsi sebbene il peso della bionda addosso, ma fu complesso. Questo, finché non fu proprio la speranza liceale ad alzarsi e correre verso l'arma. Shiori la tirò per la gamba, facendola cadere per terra a sua volta e tentò lei ad avvicinarsi. Come per vendetta fu fermata nuovamente dalla bionda e le due iniziarono a scontrarsi fra loro, rotolare sul pavimento non dando mai all'altra modo di alzarsi per riprendere il controllo. Shiori cercò di divincolarsi per l'ennesima volta, ma Erika era sopra di lei, più forte, più decisa, e la teneva bloccata a terra con un peso che Shiori non poteva scrollarsi di dosso facilmente. Le mani della speranza posizionate proprio di fianco alla sua testa. I loro respiri erano affannati, spezzati dall'adrenalina e dal peso del momento, si guardavano negli occhi pur di assicurarsi che nessuna delle sue sarebbe scappata all'improvviso.
La presa di Erika non era solo fisica: era un'onda di rabbia, rimpianto e controllo che Shiori sentiva pulsare attraverso il contatto. L'aria era strapiena di tensione, .
" pensavi di potermi sfuggire... Così facilmente? "
Ringhiò Erika, ingoiando saliva secca, il viso così vicino a quello di Shiori da farla rabbrividire.
La medium alzò lo sguardo verso di lei, il respiro ancora irregolare, ma trovò qualcosa che non si aspettava: non solo rabbia. C'era dolore negli occhi di Erika, un dolore che sembrava scavare in profondità.
" pensavi... davvero che dopo tutto quello che mi hai detto, dopo tutto quello che è successo... avrei lasciato perdere? "
Shiori si irrigidì. Quelle parole erano come un coltello affondato in un passato che aveva cercato di dimenticare, un passato che preferiva dimenticare pur di soddisfare la sua visione egoista di se stessa.
" io... Io non volevo..."
Si sforzò a dire, come se fosse colpevole, ma Erika non le lasciò spazio per spiegarsi.
" non volevi cosa? Sparire? Abbandonarmi? Lasciarmi sola a mettere insieme i pezzi? "
La sua voce tremava, carica di una tensione che era sul punto di esplodere
" mi hai guardata negli occhi e mi hai detto tutto di te, come se fossi io a dover portare il peso di ciò che sei. E poi... poi te ne sei andata "
" non potevo restare! "
Gridò la corvina, la voce spezzata da una frustrazione impotente
" non capisci? Io non posso controllarlo, non posso controllare nulla di quello che sono! Avrei voluto- se- se solo fosse così facile! "
Non si conoscevano, allora perché si parlavano come se avessero vissuto un'intera vita insieme?
Le parole colpirono la speranza come un'eco di ciò che aveva sentito dentro di sé troppe volte. Le mani che stringevano le spalle di Shiori vacillarono per un istante, ma la sua presa non cedette.
" e allora perché corri? "
Sibilò, la sua voce carica di amarezza
" perché continui a scappare da tutto? Da me? Da te stessa? "
Shiori serrò gli occhi, tentando di ignorare il tremore che sentiva nella voce di Erika. Quando li riaprì, una grande determinazione l'avvolse. Prese le sue di spalle, mettendo pressione come se desiderasse spezzare ogni vena nel suo corpo.
" e tu?"
Ribatté, la voce ridotta a un sussurro.
" tu non corri, Erika? Non hai mai corso da quello che non puoi accettare? "
Il silenzio che seguì fu quasi insopportabile. Le due rimasero immobili, i respiri ancora spezzati, mentre il peso delle loro parole riempiva l'aria. La bionda strinse i denti, ma la medium vide un lampo di esitazione attraversarle gli occhi. Era breve, quasi impercettibile, ma c'era. E fu lì che capì: Erika non era diversa da lei. Non completamente.
In quel momento, entrambe erano vittime delle loro stesse illusioni di controllo. Erika proclamava di essere speranza, di proteggere tutti, ma non aveva mai superato la propria incapacità di fermare quella morte. Shiori, d'altra parte, si crogiolava in un senso di impotenza che le impediva di accettare se stessa e il suo "dono". Entrambe si accusavano, in modi diversi, di aver causato qualcosa che non potevano né prevenire né cambiare.
Ma la verità? La verità era che erano specchi.
" non sei una medium, non sei una vittima, sei solo qualcuno che scappa "
Mormorò Erika con le mani tremanti, accenando un sorriso spaventoso.
" e tu non sei speranza, sei solo qualcuno che non sa come lasciar andare "
Ribatté Shiori, ricambiando l'espressione però in maniera più... Furba? Erika capì troppo tardi cosa significasse, ed un colpo forte alle testa la stordì, dando a Shiori l'opportunità di spingerla via.
La visione girava per i primi secondi, riconosceva solo una nuova sagoma in quell'atrio. Una non ancora vista.
" bel colpo, Asahi"
Disse Shiori, al che, una volta la visione si fece più chiara, riconobbe un ragazzo dai capelli corvini ed una ciocca diversamente colorata alzare il pollice come se non sapesse una risposta migliore. Erika girò la testa verso la pistola e...
Non c'era più.
Chi l'aveva adesso?
No aspetta, Shiori sarebbe dovuta passare sopra di lei per raggiungerla, questo significa...
Che l'altro l'avesse rubata.
E, come se potesse leggere nei suoi pensieri, xlx corvinx iniziò a correre via.
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Come diamine facevano tutti quanti a correre così veloce? Asahi non saprà mai spiegarselo. Era così stancante, e non andava nemmeno veloce. Infatti i passi dell'altra si avvicinavano sempre di più.
Asahi correva come se il mondo intero stesse crollando alle sue spalle. L'aria si spezzava in folate rapide mentre i suoi passi rimbombavano nei corridoi vuoti. Non c'era tempo per pensare, per sentire il dolore ai polmoni che gridavano di fermarsi, né per ascoltare i richiami furiosi di Erika alle sue spalle.
Era una corsa disperata, eppure, nel caos, c'era una strana chiarezza. Tutto attorno a lxi si sfocava in una serie di linee e ombre, come pennellate rapide su una tela incompleta. Non importava il colore delle pareti, non importava il gelo del pavimento sotto i piedi: l'unica cosa che contava era andare avanti, più lontano possibile, trascinando con sé quella piccola scintilla di possibilità che ancora teneva accesa la loro sopravvivenza.
Ma questa non era solo una fuga; era una sfida. Una dichiarazione.
"Non andremo giù facilmente".
Dietro di lxi, Erika si faceva sempre più vicina, i passi scanditi come un tamburo che cercava di dettare il ritmo della sua corsa. Ogni metro perso sembrava un intero mondo che il giocatore di scacchi vedeva scivolare via, eppure c'era qualcosa dentro di lxi che si rifiutava di cedere. Le sue gambe, stanche e tremanti, non si arrendevano.
Perché voleva provare a tutti quanti fosse un membro importante al gruppo.
Perché voleva provare a se stesso di essere in grado di cambiare.
Perché, in fondo, ci teneva a non rovinare anche questa cosa buona nella sua vita.
Come Hyosuke, anche lxi correva non solo per se stessa, ma per tutti quelli che contavano su di lei. Shiori, Koharu, Akihisa. Hyo stesso. Il peso della loro fiducia le premeva sul petto, più pesante del fiato che mancava, più forte dei dolori alle gambe. La sua corsa non era solo fuga, era sacrificio. Eppure, in quel sacrificio, c'era vita. Una vita che si rifiutava di lasciare cadere nelle mani di chi voleva strappargliela.
" non lascerò che finisca così "
Le luci del corridoio si riflettevano sulla giacca, intermittenti, come le speranze che si accendevano e spegnevano nel suo cuore. Dietro di lui, Erika correva, il suono tagliente come una lama. Ma il corvino non ascoltava. Non importava quanto il mondo volesse intrappolarlo, non importava quante ombre cercassero di sopraffarlo. Continuava a correre.
E proprio come Hyosuke, nel cuore della paura e della disperazione, trovò qualcosa di più grande. Un senso di libertà.
Gira angoli, cambia strada, alla fine fu spinto in un angolo verso la palestra, quale avessero puntualmente chiuso per evitare la bomba e...
... La piscina.
Dopo tutto quel tempo passato ad evitarla come la peste, in mezzo ad altri problemi, era come se ne fosse completamente scordato della sua presenza nella struttura.
" mi state prendendo in giro... "
Borbottò una volta entrato dentro, cercando di chiudere la porta dietro le sue spalle con il proprio peso. Già al primo colpo sulla porta comprese fosse inutile, così corse sul bordo, verso il fondo, cercando di creare quanto più spazio possibile.
Erika nemmeno pensò di chiudere la porta da quanto affrettata fosse. Continuava a correre e correre e presto riuscì ad andare addosso al ragazzo.
Le sue braccia andarono da dietro attorno al collo, portando quanto più peso possibile per farlo cascare a terra. Asahi non era mai stato il tipo atletico e l'aggiuntiva stanchezza dalla corsa non aiutava per niente a resistere.
Doveva trovare una soluzione. Adesso. Prima che fosse troppo tardi.
Fu lì che si lasciò andare all'istinto e...
SPLASH!
Buttò entrambi dentro la vasca profonda.
L'acqua li avvolse come un morso improvviso, gelido e implacabile, come una creatura mostruosa affamata che non aspettava altro di rivederlx. Asahi sentì il fiato mozzarglisi nei polmoni mentre veniva trascinato verso il basso, il peso di Erika che lo teneva ancorato. Le bolle si alzarono attorno a loro come una tempesta silenziosa, e il mondo divenne solo un vortice di blu opaco e pressione crescente.
Per un istante, tutto tornò indietro. La piscina, il soffocamento, le mani che graffiavano inutilmente l'acqua. Il suo corpo reagì prima ancora che la mente registrasse il terrore: gambe che si agitavano, braccia che cercavano disperatamente di spingere via Erika. Ma lei non mollava.
L'aria nei polmoni non desiderava risalire in superficie, come Asahi, ma il peso di due persone era difficile da sostenere.
Per capire cosa stesse accadendo aprì gli occhi nonostante il bruciore che causasse il cloro su di essi. La faccia sfocata di Erika era ancora più inquietante quando attorno a sé non c'era altro che acqua.
C'era solo acqua.
Ed Asahi stava affondando.
Di nuovo.
Come se già l'assenza di aria non fosse forte abbastanza, la realizzazione, i ricordi, le ferite bruciare ancora una volta lo riportarono indietro nel dentro, quando stava per morire per la prima volta nella sua vita.
Riusciva ancora a vedere quel sangue spargersi intorno a sé, riusciva ancora a vedere la sagoma di Dae-jung sulla superficie mentre camminava via, riusciva a provare le stesse sensazioni di quella volta.
Asahi cercò di liberarsi, scalciando disperatamente per risalire, ma la speranza si aggrappava a lxi come se fosse la sua ancora di salvezza, e questo lo tirava ancora più giù. Il fiato gli mancava, la pressione alle tempie era insopportabile. La sua mente era un turbine.
Eppure, nel caos, il suo sguardo tornò sulla speranza. Un lampo di memoria lo attraversò come un fulmine: il panico nei suoi occhi non era diverso da quello che aveva sentito quella volta. La stessa paura. La stessa disperazione. Cosa aveva vissuto Erika di così simile prima d'ora?
Si fermò a combattere in quella domanda, al che Erika mise ancora più pressione mentre si appiccicava al fanciullx. Si mise a toccarlo ovunque in cerca di qualcosa. Nelle tasche, dentro la giacca, da qualche parte nei pantaloni, nei guanti addirittura. Ma niente, non era da nessuna parte. Prese Asahi per il colletto mentre aveva ripreso a dimenarsi, cercando spiegazioni. Lì, il fanciullo ebbe chiuso gli occhi mentre pregava internamente di esser lasciato andare. Era come se...
Se non avesse la pistola con sé.
Erika... Si era sbagliata?
Ritornò a galla, mollandolo lì dove fosse. Si aggrappò al bordo prendendo respiri profondi e sputò fuori tutta l'acqua in corpo tossendo.
Asahi ritornò a galla da solo, anche lxi aggrappandosi allo stesso bordo. Si portò una mano in faccia cercando di ripristinare la propria visione mentre ansimava e vomitava quintali di acqua ingeriti. Non poté nemmeno fermare Erika che, tutta fradicia, uscì e riprese a correre altrove.
Credette di esser stato abbandonato a se stesso per l'ennesima volta qui dentro, continuando ad ansimare e non trovando alcuna forza per tirarsi su, quando una voce ribombò nelle sue orecchie.
" asahi! "
Era Koharu, comparsa dal passaggio segreto.
La castana si abbassò in ginocchia sul bordo e afferò le sue mani per aiutarlo a tirarsi su. Asahi usò le braccia pur di non cadere faccia a terra mentre continuava ad ansimare senza sosta. Sentiva che l'acqua non fosse ancora andata via del tutto.
L'amica cercò di dargli delle pacche sulla schiena per aiutarlo e, dopo un'altra sputata di acqua a livelli massivi, il respiro si stabilizzò.
" come facevi a sapere che avessimo bisogno di una mano? "
" le telecamere, e sono corso quando ho visto il cellulare. Ho nascosto la pistola ma... Potrebbe trovarla "
Spiegò brevemente, ancora scosso dall'evento. Koharu gli invitò a togliere la giacca ormai inzuppata, perché avrebbe solo causato un peso maggiore in caso di altre fuggite. Rimase dunque con la t-shirt data da Hyosuke per... Quella volta. E ovviamente le bende non mancavano mai. Ma sistemare tutto quanto non c'era tempo.
Koharu fu incerta di come agire in quel momento ma diede un tentativo. Mise una mano sulla spalla.
" sei andato alla grande "
Asahi rimase sorpreso.
" per cosa? "
" per aver affrontato la tua paura! "
" oh- uhm... "
Provò un leggero calore alle guance.
" grazie..? Non- non è tempo per questo, dobbiamo andare ad aiutare gli a- "
La campanella degli avvisi suonò d'un tratto. Tutto si fermò attorno ai due.
" eh- uhm... ragazzi... "
Era la voce di Hyo, ma questo significava che fosse nell'aula sorveglianti...?
La sua voce era preoccupata, spaventata e rotta, come se fosse sul punto di piangere.
" c'è... Qualcosa che non va con Hisa... Non... Non si muove... "
Il sangue gelò nelle loro vene. Si guardarono fra di loro e, senza aspettare due volte, si alzarono e corsero verso l'aula.
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Naturalmente non furono gli unici due, Shiori raggiunse il gruppo subito.
La porta spalancate faceva paura quanto la prima volta che dovettero entrare e scoprire il cadavere di Hana. No- non pensate a queste cose negative, su. Non è il momento. Hisa aveva bisogno di voi.
Il regista appena li vide si aggrappò alle loro braccia continuando a dire come non si muoveva e non sapesse cosa fare. Quando i tre chiesero dove fosse, li portò subito nella sala delle videocamere.
Fu lì che, seduto sulla sedia ad occhi chiusi, con solo la luce degli schermi illuminare il suo viso dormiente, Akihisa Nakamura, Ultimate Fortune Teller, non si muoveva nemmeno di un centimetro per riabbracciarsi con i suoi compagni di gruppi.
Shiori fu la prima ad avvicinarsi, a prenderlo per le spalle e scuoterlo mentre chiamava il suo nome.
" hisa? Hisa mi senti? Svegliati! Dai! "
Continuò a scuoterlo.
" HISA! NON È DIVERTENTE, SVEGLIATI! "
E scuoterlo.
" NON DOVEVAMO USCIRE TUTTI INSIEME? NON DOVEVI CHIAMARE AIUTO? PORTARCI FUORI DA QUI? COME UNA SQUADRA?! "
Persino l'idea di tirargli uno schiaffo pur di svegliarlo stava per avverarsi, finché non fu Koharu a fermare quella mano in aria con sguardo vuoto.
Avvicinò poi la mano sul collo del fanciullo.
Non c'era battito.
L'aria si appesantì in un millesimo di secondo.
Qualcosa cadde fra le mani di Hisa, una fiala in vetro familiare a tutti loro. Una fiala di Amenoseo.
I polsi del fanciullo erano pieni di lividi e rossi, come se si fosse fatto male sbattendo da qualche parte. Dalla luce offuscata non si riusciva a capire niente e nella stanza c'erano troppe cianfrusaglie per capire cosa appartennesse alla scena del crimine e cosa no.
Ma ormai una cosa era certa.
Hisa... Hisa era morto durante il piano.
Era morto mentre cercavano di salvarsi.
Una risata si fece spazio nell'aria tesa.
Era Erika, ora di nuovo in possesso della pistola.
La risata di Erika era bassa, quasi sommessa, ma nella quiete pesante della stanza sembrava rimbombare come un tuono. Shiori si girò di scatto verso di lei, con gli occhi spalancati, il viso rigato da lacrime che non aveva neanche realizzato di star versando.
" cosa... che cazzo c'è da ridere?!"
Urlò, la voce spezzata dall'angoscia.
Erika si avvicinò lentamente, la pistola che pendeva dalla sua mano come un'appendice naturale, e i suoi occhi si posarono sul corpo senza vita di Akihisa con un'espressione che mescolava disprezzo e compassione. Una combinazione così contorta da essere quasi impossibile da leggere.
" che tragedia "
Mormorò, fermandosi accanto alla sedia su cui era seduto Hisa. Fece una pausa, come se stesse scegliendo attentamente le sue parole.
" avete messo tutto il vostro cuore in questo piano... e guardate com'è finita. Il vostro Ultimate Fortune Teller, quello che avrebbe dovuto guidarvi verso la salvezza, non è riuscito nemmeno a salvare sé stesso "
Shiori si lanciò in avanti, trattenuta solo all'ultimo da Koharu e Asahi, che la afferrarono per le braccia.
" sei stata tu, vero?! TU l'hai ucciso! Che senso ha questa sceneggiata?! "
Erika alzò un sopracciglio, apparentemente divertita dall'accusa.
" oh, Shiori, sempre così rapida a puntare il dito. Eppure non hai nemmeno iniziato a guardarti intorno, vero? Credi che ogni morte, ogni tragedia, sia colpa mia. Ma a volte... le persone si distruggono da sole "
Erika si fermò accanto al corpo di Akihisa, la pistola che oscillava pigramente nella sua mano. La stanza era avvolta in un silenzio pesante, rotto solo dal respiro spezzato dei tre sopravvissuti e dal debole ronzio degli schermi.
" sapete, c'è una bellezza ironica in tutto questo. Voi, che vi siete uniti per salvarvi, finirete per distruggervi a vicenda "
Shiori avanzò di un passo, il viso rigato dalle lacrime, ma con un'espressione che mescolava rabbia e paura.
" cosa vuoi dire?! "
La speranza si chinò verso il corpo di Hisa, sfiorando la fiala che era caduta dalle sue mani.
" non avete notato nulla di strano, vero? Troppo distratti dal dolore per vedere i dettagli "
Fece una pausa, lasciando che le sue parole pesassero nell'aria.
" hisa non era solo. Non ha fatto tutto questo da sé "
Hyosuke aggrottò le sopracciglia, stringendo i pugni.
" sei stata tu. Lo sappiamo tutti. L'hai manipolato, l'hai costretto- "
Erika rise, un suono basso e gelido.
" ma ovvio che sono stata io! Sono sempre io la causa dei vostri mali, dico bene? guardate meglio. Chi tra voi aveva accesso, il tempo e la motivazione per farlo soffrire così tanto? "
Shiori vacillò, indietreggiando di un passo.
" stai mentendo... cerchi solo di metterci l'uno contro l'altro! "
" forse sì. O forse sto solo dicendo l'ovvio. Hisa era un ragazzo brillante, ma fragile. Vulnerabile. Siete stati voi a spingerlo oltre il limite. La vostra 'squadra perfetta', la vostra 'fiducia reciproca'... è proprio quella che lo ha ucciso "
Rispose Erika con un sorriso enigmatico.
Le parole di Erika scivolarono nella stanza come veleno, insinuandosi tra i tre rimasti. Koharu cercò di mantenere la calma, ma le sue mani tremavano.
" stai cercando di confonderci, ma non ci riuscirai. Siamo uniti, e scopriremo chi ti ha aiutato in questo- "
Erika la interruppe con un gesto rapido della mano, sollevando la pistola per puntarla casualmente verso di loro.
" ah, ah, ah, non siate così sicuri. Magari non c'è nessun 'chi'. Magari lo sapeva, ma non è riuscito a dirlo in tempo... il traditore è proprio qui, in questa stanza. Si sarà ricordato che questo rimane un killing game. E che così facendo avrebbe vinto, mh? "
Il suo sorriso si fece più largo, più crudele.
L'aria sembrò congelarsi. Koharu, Shiori, Asahi e Hyosuke si scambiarono occhiate, ma la tensione era palpabile, come una corda che si tendeva al limite.
" vi lascio con una domanda: fino a che punto siete disposti ad andare per sopravvivere? Hisa l'ha scoperto... e voi? "
Uno di loro... Aveva ucciso Hisa?
Davvero?
Se fosse stato veramente il caso allora... Questo era un altro processo?
Ma se non lo fosse... Chi è stato allora? Akihisa stesso?
Erika sembrava l'opzione così ovvia, così conveniente. Ma in fondo lo sapevano che non ha avuto il tempo di avvicinarsi all'aula da quanto continuava a correre intorno a loro.
Quindi...
... Le loro speranze erano state distrutte in un battito.
Erano ritornati al punto di partenza ed i loro sforzi erano inutili sin dal primo momento, perché non c'era stata quella fiducia reciproca.
Ed ora cosa gli aspettava?
Un processo di vita e morte.
Un processo di verità e bugie.
Un processo di fiducia e tradimento.
Un processo di realtà e finzione.
Un processo di suppliche e scuse.
Un processo di amici e nemici.
Un processo come non altri.
Il processo di classe.
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Buon pomeriggio ragazzi miei ed eccoci nel penultimo capitolo di questa storiella!
Spero come al solito che vi sia piaciuto, e che gli errori grammaticali siano Stati nascosti abbastanza bene (/j).
Come al solito, se avete opinioni, pareri o eventuali minacce di morte io non mi lamento mica.
Vorrei solo avvisare di una cosa: è molto probabile che l'ultimo capitolo esca a gennaio per via della scuola, sigh sob. Ancora non ci credo che siamo alla fine (poi si parte con l'EB brainrot dw).
Spero che la scuola o l'Università non sia troppo ingombrante e che stiate bene <33
Detto ciò, ci vediamo all'ultimo capitolo!
- 𝕰𝖑𝖎𝖟𝖆
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