𝒞𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝟾
«────── « ⋅ʚ♡ɞ⋅ » ──────»
❝Siamo fatti anche noi della materia di cui sono fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita.❞
||William Shakespeare||
«────── « ⋅ʚ♡ɞ⋅ » ──────»
«Tesoro, sei stata fuori a giocare per molto tempo, avevi forse intenzione di saltare la cena?» Una delicata voce si diffuse ovunque nell'aria; non era arrabbiata o indispettita, ma divertita, giocosa.
La donna si trovava davanti ad un tavolo, i piatti e le posate venivano poggiate con premura sulla tovaglia, a tratti rovinata e macchiata a causa dei molteplici utilizzi.
Ivy guardò davanti a sé con occhi sbarrati, i muscoli paralizzati e la mente in subbuglio.
«Mamma...» La sua voce si spezzò e il suo intero corpo tremò, al punto che credette di poter crollare a terra da un momento all'altro.
«Dai, vieni ad aiutarmi» disse la giovane donna. «So che non è tanto. Io e tuo padre vorremmo darti di più, ma dobbiamo stringere i denti e farci bastare quello che abbiamo.»
La vide stringere le labbra in una linea sottile, per un istante il suo sguardo fu avvolto da un velo di tristezza.
Casa sua era un piccola abitazione in legno provvista di spiffero che facevano entrare fin troppa aria fredda, per questo erano pieni di coperte da mettere una sopra l'altra durante la notte. La sala da pranzo faceva anche da soggiorno, ed era occupata solo dalle cose essenziali: mobiletti rovinati dal tempo - dove alcuni giocattoli intagliati a legno erano disposti in una fila, mentre quelli spogli venivano utilizzati per cucinare e lavare gli utensili - una piccola dispensa posta al lato della stanza - occupata occasionalmente da qualche libro che la madre riusciva a recuperare - e varie credenze contenenti tovaglie, posate, piatti e bicchieri.
La tavola, dove poco prima era sua madre, era apparecchiata per tre persone. Al posto dove sedeva la ragazza vi era una fetta di pane più grande, ad occhio e croce il doppio di quella dei genitori.
Ivy rivolse loro un pensiero di gratitudine per tutti i sacrifici che avevano fatto per lei, per averle sempre fatto trovare il piatto pieno, anche se loro si riducevano a mangiare di meno. Raramente accadeva che la madre riuscisse a portare qualcosa di nuovo sulla tavola, come era successo qualche volta con la cioccolata calda.
«Non fa niente, mamma. Mi va bene così» disse, accorgendosi di avere una voce diversa. Una voce da bambina.
«Oh, guarda, sei sporca di terra sul viso» affermò la madre, andando a recuperare un pezzo di carta. «Sei proprio figlia di tuo padre» ridacchiò, accovacciandosi e cominciando a pulirle la faccia.
Ivy posò gli occhi sulla figura della donna, osservando con attenzione i suoi lunghi capelli argentati, tipici degli abitanti della Repubblica. Spostò poi lo sguardo sulla sua espressione. Nel guardare la dolcezza che trasmetteva il suo viso, il modo in cui si prendeva cura di lei, ad Ivy le si inumidirono gli occhi e una lacrima le scese lungo la guancia.
«Su, su, non era un rimprovero.» La madre le sorrise. «Non piangere angelo mio.»
Nel risentire quel soprannome Ivy non riuscì a trattenere le lacrime, che si erano accumulate in massa nei suoi occhi. Il tempo era passato e si era quasi dimenticata di come suonassero quelle due parole quando era la cullante voce della madre a pronunciarle. La scaldarono più di quanto avrebbe potuto fare una coperta ben imbottita.
«Non sto piangendo per quello...» Disse tra un singhiozzo e l'altro.
«E allora perché?» Domandò lei, posando una mano sulla sua guancia. «Sai che puoi parlarmi di tutto.»
Ivy annuì e poi, senza avvisarla, si buttò tra le sue braccia, inspirandone l'odore di fiori ed erbe.
«Sono felice di avere una madre come te» si strinse contro il suo corpo. «Ti voglio bene, mamma.»
La donna sorrise con dolcezza e prese ad accarezzarle la schiena, scossa da vari singhiozzi che non volevano lasciarla in pace.
«Anche io te ne voglio, piccola.»
La porta d'ingresso cigolò. Ci furono dei passi, e si bloccarono subito dopo.
«Che succede qui?»
Ivy scostò la testa dai capelli della madre e puntò lo sguardo luccicante verso colui che era appena arrivato. Non trattenne un sorriso quando lo riconobbe.
«Forse è una giornata un po' no per la nostra Ivy. Vuoi un abbraccio anche dal tuo papà?» Le domandò la madre, osservandola con le mani sulle sue esili spalle.
La videro annuire e il padre, senza aggiungere nient'altro, si abbassò e abbracciò entrambe. Ivy sarebbe voluta rimanere in quell'angolo di pace per sempre, bloccata in quel limbo di leggerezza senza più svegliarsi, ma tutto intorno a lei iniziò a farsi sfocato.
«Su! Preparerò qualcosa in più oggi per pranzo! Qualcosa di speciale!» La voce della madre era lontana e quando le rivolse uno sguardo si accorse di come fosse cambiata la situazione. Ora stava guardando la scena da semplice spettatrice.
«Ah! Ho già l'acquolina in bocca, sai quanto amo i tuoi piatti, e anche Ivy è d'accordo, vero?» Gli occhi del padre si riposero nuovamente sulla figlia, ancora tra le sue braccia.
«Sisi! È vero! La cucina della mamma è la migliore!»
Ivy abbassò la testa verso la piccola se stessa. Le voci si fecero sempre meno udibili, le immagini sempre più irraggiungibili.
Le gambe si mossero. I primi passi furono lenti, quelli successivi progressivamente più rapidi. Corse e cercò di aumentare la sua velocità, ma le figure dei suoi genitori rimanevano alla stessa distanza. Allungò un braccio nel tentativo di afferrare quanto rimaneva di loro.
«Mamma! Papà!» Urlò con tutta la voce che aveva in corpo, però nessuno parve sentirla. «Non andatevene!» I suoi occhi si fecero consapevoli e una patina di lacrime li avvolsero. Inciampò, probabilmente sul suo stesso piede, e finì a pancia a terra.
«Per favore... non lasciatemi... tornate da me...» Sussurrò alzando di poco la testa, vedendo una densa oscurità occupare l'ambiente circostante.
La sua casa era scomparsa, così come i suoi genitori, le loro voci, la sensazione di essere tornata in un tempo dove andava tutto bene. Ogni cosa si era dissolta ed era stata portata via, lasciando solo un vuoto impossibile da riempire.
«Non ne hai mai parlato con qualcuno, vero?» Nell'udire quelle parole la ragazza spostò gli occhi alla sua sinistra, trovando Shin in piedi davanti a lei, che la guardava con attenzione.
Quando Ivy si svegliò le coperte erano pregne di sudore, la fronte grondava e una lacrima solitaria stava percorrendo la sua guancia, andandosi a scontrare, con estrema calma, sul bordo del cuscino.
Il cuore le tamburellava nelle orecchie, sembrava volesse uscirle dalla cassa toracica, spezzarle le ossa e scorticarle la pelle.
Rimase qualche minuto a fissare il soffitto prima di scostare le coperte dal suo corpo. Nel portare le gambe giù dal letto si rese conto di quanto fossero pesanti, quasi avessero davvero corso incessantemente per raggiungere i genitori.
Si sentiva stordita e le ci vollero dei secondi per mettersi in piedi. Accese l'abat-jour presente sul comodino e andò a prendere la giacca.
Dopo averla indossata uscì sul balcone, aveva bisogno di prendere un po' d'aria, incurante del sudore che ancora si presentava su di lei. Non aveva visto che ore fossero, ma il cielo era ancora oscurato dalla notte, cosa che le fece comprendere che mancava ancora molto all'alba.
Si strinse nelle braccia, abbassando lo sguardo sulle mattonelle del pavimento.
«Ne parlerei ancora con te... se solo fossi qui...» Sussurrò in tono sommesso, ripensando alle ultime parole sentite prima di svegliarsi.
Portò una mano sull'orecchio, avrebbe tanto voluto avere l'opportunità di poter comunicare con lui. Abbandonò presto il braccio lungo il fianco, scontrando la schiena contro il muro e lasciandosi cadere a terra.
Gli occhi si fermarono ad osservare un punto indefinito davanti a sé. La mente iniziò a vagare al ricordo del giorno in cui aveva avuto quella conversazione con Shin. Al tempo si trovavano nello Squadrone dove si erano conosciuti, ed entrambi sapevano ancora poco l'uno dell'altra.
ღPASSATOღ
Quella notte era più fredda delle precedenti, ma nonostante ciò Ivy si trovava appoggiata alla staccionata che circondava quella che era casa loro.
Aveva di nuovo avuto un incubo sui suoi genitori e la loro morte. Da un periodo a quella parte le capitava spesso di averli, però quello era stato più destabilizzante; aveva rivissuto tutto il dolore che la loro perdita le aveva causato, e che ancora la perseguitava.
Osservava il cielo alla ricerca di qualcosa che la facesse sentire meglio, ma tutto ciò che vide fu un infinito numero di stelle e la luna appena visibile; niente che potesse aiutarla. Le stelle, pensò, come i suoi genitori, erano irraggiungibili e la facevano sentire solo più nostalgica.
«Sei ancora sveglia?» Non si voltò nel rispondere a quella domanda, avrebbe riconosciuto la sua voce tra mille.
«Potrei dire lo stesso di te. Perché sei ancora sveglio?»
«Non riuscivo a dormire.»
«Siamo in due.»
Shin si poggiò con le braccia sulla staccionata, chinandosi appena per stare più comodo. Aspettò che la ragazza dicesse qualcosa, ma non lo fece.
«Che succede?» Le lanciò un'occhiata.
«Potresti essere più preciso?»
«Perché non riesci a dormire?»
Ivy incrociò il suo sguardo. Si perse nei suoi occhi, illuminati dalla fievole luce che veniva dalle lanterne in legno accese dietro di loro. C'era un gioco di luci ipnotico: prima avvolti dalle fiamme, poi lasciati tornare in penombra. Un'acqua infuocata che danzava in dolci ondate.
«Ho fatto un incubo e ora non riesco a dormire.»
«Un incubo sulla Legione?»
«Sui i miei genitori.» Seguì il silenzio e Ivy abbassò la testa, portandola in direzione delle sue mani. «Sulla loro morte» spiegò brevemente. «Ma non farci caso, non voglio appesantirti con le mie chiacchiere. Domani mi sarà passata.»
«Non ne hai mai parlato con qualcuno, vero?» I suoi occhi non avevano abbandonato nemmeno per un attimo la figura di Ivy, che appariva tesa a causa del sogno fatto.
«Tutti abbiamo delle cose che teniamo nascoste dentro di noi» rispose, giocherellando con le proprie dita.
«Ne vuoi parlare?» Ivy non rispose a quella domanda e Shin fu costretto ad andare avanti. «Non ti giudicherò in alcun modo, se è quello che ti preoccupa.»
Non sapeva cosa aveva passato, ma non l'aveva mai vista così pensierosa, solitamente era lei che cercava di tirare su gli altri, mai il contrario. Si rese conto in quel momento di quanto bene nascondesse le sue sofferenze. Un sorriso. Un regalo. Una risata. Era sempre pronta a dare tutto ciò che aveva per i suoi amici, senza chiedere nulla in cambio.
«Perché tanta gentilezza? Non sei tenuto ad ascoltarmi» disse Ivy, interrompendo il fluire dei suoi pensieri.
«Sono sicuro che domani questi pensieri ti perseguiteranno ancora. Non voglio rischiare che tu muoia in battaglia per questo motivo.»
La ragazza lo osservò di sottecchi, dubbiosa, poi sospirò.
«Promettimi che non mi giudicherai... promettimi che non mi allontanerai.»
«Te lo prometto.»
Ivy annuì e si morse il labbro inferiore prima di parlare.
«Immagino avrai notato che il colore dei miei capelli tendono ad essere come quelli degli abitanti della Repubblica.» La mano passò tra i ciuffi che le ricadevano sul viso, soffici al tocco.
«Difficile non notarlo, sono molto chiari... ma non sono proprio come i loro» rispose Shin, osservandoli.
«Già, i miei tendono ad essere più sul viola chiaro» accennò una risata. «Mia madre faceva parte della Repubblica, è nata lì. È per questo che i miei capelli sono così chiari.»
«Avevi paura che mi allontanassi a causa delle origini di tua madre... che sono anche le tue» sussurrò Shin, non troppo sorpreso, aveva immaginato che parte della sua famiglia venisse dalla Repubblica, ed era sicuro di non essere stato il solo a pensarlo.
«Ma le mie origini sono anche queste, quelle degli ottantasei» disse Ivy, riportando lo sguardo nella profonda oscurità che si estendeva davanti ai loro occhi. «Mio padre è nato qui. Non so precisamente come si sono conosciuti, quello che so è che mia madre ha abbandonato la sua vita agiata per stare con l'uomo che amava.»
Shin l'ascoltava in silenzio. Quella era la prima volta che parlavano con così tanta sincerità, senza dover nascondere i propri veri stati d'animo. Lei stava raccontando il suo passato, lui si stava permettendo di mostrare più preoccupazione di quanta ne rivelasse ogni giorno.
«La nostra non era una vita piena di ricchezze, ma io stavo bene, e anche i miei genitori erano felici. A loro bastava stare insieme.» Un sorriso solcò il suo viso, ma non durò molto. «Mia madre cercava sempre di portare positività in casa, anche quando viveva momenti in cui ci credeva di meno. È qualcosa che mi ha trasmesso.»
«Cos'è stato a spezzare questa tranquillità?» Domandò Shin, pur sapendo quale potesse essere la risposta.
«La morte di mia madre.» Quelle cinque parole furono macigni che si piantarono nel petto di entrambi, impedendogli di respirare a dovere. «Si è ammalata di una grave malattia, e noi non avevamo le possibilità per curarla» strinse la presa sulla staccionata. «La sua famiglia l'ha ripudiata perché, a detta loro, aveva scelto un uomo non degno di lei... quindi ci privarono dell'aiuto necessario per guarirla.» La sua voce tremò, ma non fu solo a per la tristezza causata dal ricordo. Fu anche per la rabbia che ancora provava nei confronti dei suoi nonni, che avevano preferito far morire la figlia invece che offrirle il loro aiuto.
Rabbia che le bruciava gli organi, le infuocava la mente, la mangiava viva, pezzo dopo pezzo.
«Avrai provato molta rabbia.» Ivy si sorprese di come Shin riuscisse a leggerla dentro. Avrebbe potuto utilizzare qualsiasi altra parola - frustrazione, delusione, disperazione - ma lui aveva scelto la rabbia.
«Così tanta che la provo tutt'oggi.» Gli rivolse une breve occhiata. «Mio padre si è arruolato per questo. Era rimasto solo lui a lavorare, e alla lunga ebbe sempre più difficoltà a portare a casa i soldi necessari per poter vivere... Ha pensato di andare in guerra per permettere a me di vivere meglio e avere qualcosa da mangiare ad ogni pasto.»
La mano di Shin si mosse appena. Un movimento involontario, fatto in direzione del braccio di Ivy.
«Quindi hai dovuto superare la morte di tua madre quasi esclusivamente da sola.»
«Così come mio padre. Non avevamo tempo per consolarci a vicenda. La vita scorre più velocemente di quanto si pensi, e noi non potevamo fermarci se volevamo assicurarci un pasto.»
Entrambi non dissero nulla per del tempo che non seppero quantificare. A fargli compagnia c'era lo squillante, e ritmico, frinire dei grilli, il bubolare di qualche gufo, il gracidare di due o tre rane in lontananza e altri animali che non riuscirono ad identificare. I loro respiri erano appena percettibili in mezzo a quell'armonia, capace di rendere la notte meno tetra e spaventosa.
«Tu invece come sei arrivata qui? Perché ti sei arruolata come tuo padre?» Domandò Shin, spostando nuovamente gli occhi su di lei. «Perché hai scelto questa vita?»
||Play: We Have It All - Pim Stones||
Ivy si perse ancora un po' nell'immensità della notte, poi rispose.
«Mio padre è morto in guerra. Principalmente mi sono arruolata per tirare avanti... almeno qui se fossi sopravvissuta avrei mangiato, avrei avuto con certezza un letto dove dormire...» La sua voce si affievolì.
«Però c'è qualcos'altro, vero?»
«Un giorno ho sentito che la Legione prendeva coloro che morivano in battaglia» iniziò a torturarsi le mani, nel vano tentativo di scaricare la tensione che le provocava quel discorso. «Ho pensato di cercare mio padre, così da mettere fine al suo tormento e dargli la pace che merita.»
Shin allargò gli occhi, preso alla sprovvista da quell'affermazione. Non avrebbe mai immaginato che avessero lo stesso obiettivo.
«Forse può sembrare una motivazione un po' semplice... ma devo trovarlo, ad ogni costo» proseguì Ivy, il cui viso fu attraversato da un lampo di determinazione.
«Non è una motivazione semplice... ti capisco» disse Shin. «Anche io sto cercando qualcuno tra la Legione... mio fratello.» Si rese conto che quella era la prima volta che ne parlava a qualcuno, e mai si sarebbe aspettato sarebbe stata proprio Ivy a venirne a conoscenza.
La ragazza si raddrizzò, avvicinandosi e poggiando una mano sul dorso inguantato di quella di Shin. Si prese dei secondi per riordinare le parole, poi parlò con voce bassa e calma.
«Ci riusciremo. Riusciremo a dare pace ai nostri cari. Il loro tempo qui è finito, non c'è bisogno che rimangano ancora sul campo da battaglia.»
Una folata di vento la fece rabbrividire, obbligandola a stringersi tra le braccia per infondersi un minimo di calore.
Shin non si fece sfuggire quel gesto. Staccò le braccia dalla staccionata e si tolse la giacca. Si avvicinò di pochi passi e glie la poggiò con cura sulle spalle.
«Si, prima o poi li troveremo.»
La giacca di Shin era accogliente. Il suo corpo l'aveva scaldata e ora quel calore stava scaldando Ivy, andando a contrastare il freddo che si era insinuato in lei.
Il suo profumo avvolse i sensi della ragazza, che chiuse per un istante gli occhi, facendosi coccolare dalla sensazione di tranquillità che le stava infondendo.
«Sai, parlarne mi ha fatto bene.» Afferrò i lembi della giacca e la strinse attorno a sé. «Inoltre ho scoperto anche quello che è il tuo obiettivo. Non pensavo fosse come il mio.» Senza alcun preavviso posò la testa sulla sua spalla. «Sono contenta di non essere più sola. Sono contenta di aver conosciuto te e Raiden» gli rivolse uno sguardo di gratitudine. «Mi avete aiutata molto nel superare ciò che ho passato prima di venire qui.»
La morte dei suoi genitori, essere costretta a sopravvivere da sola, stando attenta alle persone in cui riponeva la sua fiducia; non era stato facile per lei affrontare tutte quelle difficoltà. Più volte aveva rischiato di morire di fame, o di procurarsi una ferita mortale nel tentativo di arrampicarsi su un albero per recuperare un frutto, e altrettante volte era stata derubata da qualche disperato come lei. Solo il tempo l'aveva portata ad affinare i suoi sensi, facendola sopravvivere in quell'ambiente ostico e pieno di pericoli - provenienti dai suoi stessi simili - e permettendole di arrivare all'esercito.
«Certe esperienze non si superano mai» affermò Shin con voce bassa, lasciando che Ivy si appoggiasse a lui. «Ma possiamo renderle più sopportabili.»
«Hai ragione» si scostò per poterlo guardare meglio in viso. «Forse è meglio rientrare, non vorrei ti ammalassi a causa mia.»
«Tu cerca di dormire almeno un po' una volta dentro» si raccomandò Shin, provocando la risata di Ivy.
«Solo se ci provi anche tu» disse lei.
Gli angoli delle labbra di Shin si piegarono appena all'insù.
«Va bene, ci proverò, altrimenti saresti capace di rimanere sveglia tutta la notte.»
Ivy annuì, diffondendo attorno a loro uno sbuffo divertito. Portò le mani sulla giacca, ma venne fermata subito.
«Tienila.»
«Ma stiamo per rientrare-»
«Tienila fino a che non saremo rientrati sul serio.»
«Grazie» disse, non riuscendo a trattenere un sorriso.
ღPRESENTEღ
Gli occhi di Ivy erano fissi sul cielo. C'erano parecchi particolari che rendevano diversi i cieli delle due notti. In quel momento la luna era ben visibile, qualche batuffolo di nuvola tentava di raggiungerla, cercando di oscurarla, e le stelle si vedevano ad intermittenza; la luce della città ne offuscava la vista.
Si strinse nella giacca, sperando di avvertire lo stesso calore che aveva sentito con quella di Shin.
«Spero tu abbia trovato tuo fratello» sussurrò al cielo, come se quelle parole potessero viaggiare e raggiungerlo.
Deglutì e chiuse gli occhi, abbandonando la testa contro il muro.
«Se lo hai fatto allora trova anche me...» Attendere la possibilità di andare a cercarlo era un'ardua sfida. I giorni scorrevano così lentamente che Ivy riusciva a finire di leggere più di un libro se non aveva altro da fare. E più si avvicinava il giorno tanto atteso e più le giornate facevano fatica a seguire il loro normale corso sull'orologio.
Torna da me, Shin.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top