XI. Gelo e fiamme. (Pt. I)

Soundtrack – "Heaven's Touch", Adrian von Ziegler.

Nei giorni successivi, Victoria non riuscì a dimenticare in alcun modo quanto accaduto nella biblioteca reale.

La sua biblioteca. Quella in cui amava trascorrere il tempo per dimenticarsi dei problemi reali. Dove ritrovava sé stessa tra le pagine di un libro, con il fuoco scoppiettante nel camino, la pioggia o la neve di sottofondo e i profumi di cannella e menta diffusi nell'ambiente.

E proprio perché le risultava difficile vivere con la consapevolezza di quegli attimi intensi, sfuggenti, indelebili... si risvegliò con il sorriso sulle labbra. Si girò dalla parte del letto in cui poteva osservare la finestra, e sospirò malinconica.

I costanti acquazzoni di quei giorni avevano reso Legendragon il solito reame cupo e nebbioso di sempre. Ma a lei non dava particolarmente fastidio, perché i paesaggi di quel tipo la affascinavano. Li dipingeva spesso sulle sue tele delle lezioni d'arte. E quel giorno, impegnata nell'ennesima ora con la maestra di corte, le sarebbe piaciuto concludere il disegno che aveva iniziato la mattina seguente al ballo reale.

Quei momenti in compagnia del Fae, mentre era distesa su un prato del castello reale e ammirava le storie millenarie raccontate da lui... una, in particolare, le era rimasta impressa.

E si sedette sul bordo del letto con l'umore totalmente diverso dall'ultima volta che aveva ricevuto visite dalla servitù.

Lo stomaco non le faceva più male. Aveva iniziato a non saltare i pasti mattutini, sgranocchiando a poco a poco i biscotti e il tè che le portavano. Poi, si era promessa di non guardarsi allo specchio per qualche giorno. Si sentiva migliorata. Non aveva mai avuto problemi con il suo seno. Era sempre stato pieno, di una forma che non l'aveva mai fatta sentire a disagio, neanche quando i corpetti stretti lo evidenziavano. Ma le gambe e le braccia...

Chiunque avesse avuto modo di vedere la donna senza veli avrebbe concordato sul fatto che era bella. Non aveva perso il suo fascino, né la sua eleganza... ma rispetto agli anni precedenti, era dimagrita. Per quanto le sue linee armoniose potessero essere scolpite dai migliori scultori del Continente, non era un fisico sano. E lei aveva iniziato a capirlo nel momento in cui aveva provato fatica a salire le scale o in qualsiasi altra attività quotidiana. Le era crollato il mondo addosso quando aveva dovuto gettare via tutti i vestiti da ballo dell'anno precedente, e aveva dovuto commissionarne uno nuovo per l'occasione.

A Dorian erano giunte voci nelle giornate in cui era stato impegnato con i consigli politici di re Xander, e aveva usato un maggiordomo di corte Legendragon per mandare un messaggio urgente alla sua: sarebbero stati i suoi Fae a realizzare il più grande desiderio di Victoria. Un abito che sarebbe stato ricordato negli annali del Continente.

E venendo a conoscenza del gesto, la principessa aveva chiesto stoffe blu. Il blu dei sogni di cieli stellati, per brillare d'immenso in una sala in cui il Principe Ghiaccio l'aveva divorata con gli occhi.

E quella mattina, le riflessioni furono un elisir. Ripensò al loro ballo. A come lui l'aveva stretta, al braccio intorno al girovita e ai respiri che avevano trattenuto. Ai loro profumi, a quell'abete e muschio che le tormentava i sensi anche quando lui non era con lei. Agli sguardi nascosti, alla paura di sfiorarsi, di osare con qualche parola di troppo... e poi, la biblioteca.

Dannazione. Sentiva di aver perso il lume della ragione. Non riusciva a pensare ad altro. Costantemente. A ogni ora.

Erano trascorsi tre giorni, ma poteva ancora avvertire i polpastrelli caldi sulle gambe, le labbra umide sul ginocchio e... nell'inguine. Cielo, la sua rovina era stata lì. Come la punta della lingua aveva leccato tutto l'angolo dell'interno coscia. Le era vibrata anche la colonna vertebrale, e il senso di vertigine e sfinimento durante l'orgasmo l'aveva annientata.

E come l'aveva osservata e contemplata lui mentre lei si era dovuta riprendere dal respiro irregolare... era quella. Era quella l'immagine che non avrebbe mai, mai potuto cancellare dai suoi ricordi. I capelli bianchi disordinati e gli occhi di chi avrebbe voluto donarle molto di più.

E si ritrovò a rimuginare su quella scena anche quando si sedette davanti alla scrivania per spazzolarsi i capelli. Guardò il riflesso nello specchio, notò le occhiaie violacee e sorrise a prendere atto che erano meno accentuate. Aveva dormito bene. Non poteva negarlo. E aveva sperato di risognare quei momenti ancora e ancora.

Ma... fuori di lì? D'un tratto, le si irrigidirono i muscoli. Come avrebbe affrontato la situazione nel momento in cui l'avrebbe rivisto? Che spiegazioni avrebbe dato al loro evitarsi? Perché ne era sicura. Entrambi si sarebbero sentiti a disagio, o comunque imbarazzati. Perché subito dopo quelle sensazioni viscerali nella biblioteca, si erano scambiati degli sguardi che avevano parlato chiaro: si è superato un limite. E non si può ritornare indietro.

Ma allo stesso tempo, dovevano. Qualsiasi sentimento andava messo da parte. Lui per l'alleanza, lei per la corona. Dorian le aveva spesso ribadito che, a causa del passato e delle leggi magiche di Faedragon, non aveva mai amato nessuna donna. E la notte successiva a quegli istanti di piacere, Victoria non era riuscita a prendere sonno per ore intere all'idea che... lei potesse essere la prima.

La prima donna amata.

Scosse la testa. Sciocca, stupida, egoista. Sentiva di aver fatto un pensiero di un'assurdità unica. In cento anni di vita e oltre, era impossibile anche solo da formulare. Il Fae non poteva aver fatto l'amore con una miriade di donne senza ricordare i loro volti, la loro pelle, i loro odori... no. Rifiutava l'idea. Non se vedeva in lui un romanticismo che le nutriva il cuore.

A Dorian non l'aveva mai detto, complice l'idea che lui aveva di sé stesso... ma lei lo trovava romantico. Tanto. E amava quella parte di lui. Le parole che usava, le carezze, e infine quei bucaneve... non poteva sorvolarci.

Per lei, il Windothynn era l'esemplare di un amore senza tempo.

Ma lei era pur sempre un'umana come tante altre. E non voleva sapere il numero effettivo delle umane che avevano riempito il suo letto. Eppure, la nobile continuava ad aggrapparsi a quella luce negli occhi ghiaccio del Fae. Al tremore delle braccia quando era stata lei ad accarezzarlo. E proprio perché lui aveva l'esperienza dalla sua parte... vederlo cedere per dei semplici tocchi le era sembrato surreale.

Ma sospirò. Poi, si alzò e raggiunse la finestra. Guardò la pioggia battere sul vetro mentre spazzolava le ciocche nere con lentezza... e una piccola pergamena con un filo rosso, nell'angolo tra il muro e la scrivania, catturò la sua attenzione.

La principessa si accigliò e, a braccia incrociate sotto al seno, si avvicinò di nuovo alla postazione del trucco e degli accessori. Si piegò e afferrò l'oggetto, e quando vide il sigillo reale con delle ali argentate... oh, avrebbe voluto un ricordo del suo sorriso. Uno specchio magico che potesse mostrarle in eterno la sua reazione a quel breve istante.

Sciolse il filo con una velocità inaudita, e lo stesso tempo impiegò per la pergamena. Poi si alzò, perché dovette mantenersi alla scrivania per sostenere il tumulto delle sue emozioni. Pensò a quanto quell'uomo, per lei, non avesse alcun difetto. La calligrafia era divina, e il profumo della pergamena era il suo. Prima di deglutire e iniziare a leggere, Victoria pensò che avrebbe conservato quell'oggetto in eterno pur di avere un ricordo di lui.

Vostra Altezza Reale,
chiedo umilmente perdono in anticipo per ciò che starò per proporvi. Senza alcun dubbio, vi starò disturbando in una giornata piena di impegni, e l'idea che io possa togliere del tempo ai vostri passatempi mi procura uno sconforto senza alcun precedente. Tutto sommato, ho voluto comunque rischiare. Deduco abbiate capito che, se do valore a qualcosa o qualcuno, per il mio modo di essere non esistono limiti tra ragione e follia. E, oggi, sto per proporvi un'altra delle mie follie. Quando vorrete e potrete, raggiungetemi all'entrata della stanza reale dedita ai consigli politici di vostro padre. Voglio portarvi in un posto. Fino a quel momento, accettate questo dono in segno della mia gratitudine. Perché vi sono grato, Legendragon.
Mi auguro abbiate un'elasticità invidiabile, perché ahimè vi toccherà dare un'occhiata sotto al letto per proseguire questa nostra caccia al tesoro.
Con affetto,
Dorian Windothynn.

Victoria fu in balia delle emozioni. Non seppe se urlare, ridere, gioire, saltellare. Si sentì davvero una bambina a percepire l'affetto, l'amore e la cura che aveva impiegato l'uomo nello scriverle quella lettera. Riservato, schivo, scontroso, non propenso al dialogo o alla scrittura con sconosciuti. Tutti gliel'avevano sempre descritto così. Eppure, lei vedeva tutt'altro. Vedeva un uomo profondamente innamorato dei valori autentici della vita, nonostante avesse passato le pene degli Inferi.

E così, corse verso il letto. Quasi rischiò di prendere una storta alla caviglia per il modo in cui si abbassò, sollevò le coperte e afferrò il cofanetto di pelle. Sciolse i nodi a una velocità folle, e trovò un biglietto di cartapecora con altre frasi.

Posso soltanto ipotizzare la velocità con cui vi siete fiondata a recuperare questo dono. Mi allieta e mi riempie il cuore. Proverò a immaginarvi in vestaglia da notte mentre scartate il mio dono. E spero di potervi donare un sorriso in più già scrivendovi questo, e riprendendo il discorso precedente. Adesso metterò a nudo me stesso, e diamine, il solo parlare così tanto vi dimostra quanto io stia uscendo dalla mia aura abitudinaria. Non sono io, Legendragon. Non mi riconosco. E concordiamo entrambi su chi abbia il merito di questo "limite" superato. Ho rischiato tutto, principessa. Quella notte nella vostra biblioteca ho rischiato di confessarvi un qualcosa che vorrei custodire gelosamente per l'eternità. Ho paura di farmi male in un modo che mi lacera, ma voi... voi siete anima e cuore, Legendragon. Voi meritavate di vivere quel momento. A costo di condannarmi a sentire il vostro odore anche quando non vi ho accanto. A costo di svegliarmi nel bel mezzo della notte e pensare a quanto vorrei stringervi forte. A quanto vi vorrei accanto, tra le coperte, mentre vi sfioro e vi sussurro che potete farcela. E sapete a cosa mi riferisco. Siete un essere umano meraviglioso che merita tutta la bellezza di questo mondo. E se per qualche istante sono riuscito a farvi ricordare la donna immensa che siete, ve ne prego di confermarmelo.
Venite da me. Ho ancora bisogno di ricordare il vostro volto, il colore dei vostri capelli e la profondità dei vostri occhi. E il vostro animo ha bisogno di questa nuova esperienza. Dimostratemi di essere l'avventuriera di cui ho un rispetto che non conosce la cognizione del tempo.
Immensamente grato,

il vostro lettore.

Victoria arrossì in un modo non contemplato da alcuna divinità superiore. Si portò una mano sul cuore, perché le emozioni dovute alle parole che aveva usato... Dei dell'Olimpo. Si rese conto che lei, in realtà, non ne aveva. Se lui gliele avesse dette faccia a faccia, lei non avrebbe avuto il coraggio o la forza per replicare. Con molta probabilità, le sarebbero tremate le ginocchia. Nello stesso modo di quando aveva raggiunto quell'orgasmo che non riusciva ancora a togliersi dalla testa.

Dannati numi, ne era ossessionata. Si rendeva conto di avere una seria dipendenza e... lo ammise a sé stessa.

Ma Dorian la stava ringraziando anche per come la sua reazione aveva procurato quella del Fae. Quel "immensamente grato" era più di due semplici parole. Quel tono cordiale e profondo, a fine discorso, racchiudeva ciò che Victoria aveva visto tra le gambe di lui quando lei si era ritrovata senza fiato, con la schiena appoggiata alla finestra, le gambe spalancate e i capelli bagnati per il troppo calore ed eccitazione.

Anche lui si era lasciato andare, seppur l'umidità era stata un'esclusiva della giovane. Le era bastato quell'immagine a farle capire che anche il Fae aveva raggiunto emozioni che lei non aveva mai visto in un uomo.

E Victoria pensò ancora all'estrema lussuria negli occhi del principe quando scartò il pacco con foga e... un libro.

Buon cielo.

Un libro.

La copertina di pelle rossa. Le pagine nuove – nulla a che vedere con quelle dei volumi nella sua biblioteca. La chiusura a forma di diadema. L'inconfondibile firma dell'autrice. La calligrafia identica. Le immagini blasfeme tra un capitolo e l'altro e...

Non le servirono ulteriori dettagli.
Era la seconda raccolta delle storie di quelle donne viziose che ammirava.

E per di più, era un volume introvabile.
Talmente introvabile che lei aveva mosso mari e monti nelle biblioteche di altri reami.

E adesso il libro era lì. Fra le sue mani. Vecchio come l'esperienza di quelle narrazioni, ma ardente come la voglia che aveva di scoprire, curiosare, imparare. E il fatto che lui potesse insegnarle tutto ciò che era raccontato in quelle righe...

Un biglietto cadde a terra. Era in un formato tascabile, ma di un materiale soffice al tatto. La calligrafia le sembrava fresca.

Ne avrete abbastanza di queste lettere, vero?
E avete ragione. Ma adesso vi tocca un ultimo sacrificio, principessa.
E, in queste giornate, vi raccomando di concludere il primo libro. È una lettura estremamente interessante. Ma questo lo sapete già, se non erro.
Tuttavia, il nostro segreto resterà al sicuro. E nel mentre, vi consiglio al più presto di recuperare anche questo secondo. Trovo che sia il migliore, preceduto solo dal quinto. Lì davvero c'è da arrossire, Legendragon. Più di quanto lo facciate già.

Più di quanto lo facciate già.
Non volle minimamente pensare all'infinità di volte che era stata colta in fragrante. E sospirò tremante al fatto che, d'ora in poi, avrebbe cercato gli occhi di Dorian tutte le volte che sarebbe avvampata senza un controllo.

La principessa riuscì a prepararsi in meno di mezz'ora. Il lungo abito blu, con ricami d'argento sul corpetto e sui lembi della gonna richiamavano la magnificenza dei suoi orecchini di cristallo. Agganciò con cura la chiusura mentre osservava il suo lavoro allo specchio. Sorrise, perché era soddisfatta anche del trucco dorato che si abbinava alle scarpe e al bracciale. E mai si era sentita così bella e sicura in vita sua.

E la velocità con cui uscì dalla stanza le fece dimenticare ciò che aveva preparato. Ritornò dentro, riprese l'oggetto e uscì. E chiusa la porta, sospirò e andò incontro al suo destino.

Dorian non poté crederci.

Il boato generale lo aveva frastornato – complici anche le poche ore di sonno notturne. Ma con le mani appoggiate sui bordi del tavolo e il capo girato verso l'entrata della stanza, si ritrovò a corto di parole a capirne la motivazione.

«Milord, la...»

«Riferite a Sua Altezza Reale che qui è la benvenuta.»

«In realtà, Sua Maestà ha chiesto se potesse attendere fuori la conclusione del consiglio. Non vorrebbe in alcun modo-»

«Siete congedati dai vostri incarichi odierni.» esclamò il Windothynn ai presenti, inflessibile e autoritario, mentre scattava in piedi e aggiustava il pugnale in un fodero attaccato alla cintura. «Per oggi, abbiamo concluso. Buon proseguimento di giornata, miei lord.»

E nel mormorio generale, si fiondò verso la porta.

«Victoria.»

Victoria. La pronuncia del suo nome le ricordava una melodia che ascoltava da bambina dai bardi di corte. E a distanza di settimane, ancora non riusciva ad abituarsi alla dolcezza di quel suono.

Provò a inchinarsi, ma non fece in tempo. Il Windothynn le afferrò un polso con estrema delicatezza, e lei ringraziò la lunghezza della sua gonna per le gambe tremanti.

«Sono nella vostra corte.» le ricordò.

«È in segno di rispetto, milord.»

«E il mio nei vostri riguardi è grande al punto di volere che questo gesto non si ripeta, altezza.»

Il tono di voce del principe era capace di addolcire anche un ordine come quello. Victoria si ritrovò a pensarlo mentre lui le sfiorava la guancia con le nocche delle dita e... avvampò. Di nuovo. Pensò alla promessa che si era fatta qualche ora precedente all'incontro.

«Non guardate, per favore.»

E Dorian rise. Rise di una bontà sincera. E si morse un labbro. «Avete letto le lettere, quindi.»

Lei annuì. E fu troppo concentrata a torturarsi le dita per anticipare la presa di lui. Le afferrò il mento e la costrinse a guardalo. Lei capì di essere condannata, perché era sicura che il colore rossastro sulle gote era aumentato. E sentì la terra mancarle sotto i piedi quando ogni lineamento del suo viso, per gli occhi del Fae, non fu più un segreto.

«La genuinità dovrebbe essere un vanto. Non privatevene.»

«Per voi è facile. Avete un colore di pelle che vi permette di-»

Il punto di rottura. Victoria si sentì davvero sul precipizio di una montagna. Le labbra del Fae raggiunsero la sua gota destra. E quando premettero su di essa, capì quanto avesse esposto di lei. Aveva il viso in fiamme. E quel bacio, casto e delicato, peggiorò la situazione.

Victoria ricordò in quel frangente che era lì per altri motivi. Lui voleva portarla in un posto, e le fu più chiaro anche il motivo per cui stringeva l'oggetto che aveva tra le mani.

Dorian si staccò da lei solo quando sentì una mano premere sul suo petto. Il palmo era piatto, ma sotto di esso qualcosa di duro e appuntito lo fece sorridere.

«Conosco modi e luoghi più semplici per uccidere una persona.»

La nobile rise e abbassò il capo. Poi, lo risollevò per vedere come il Fae le afferrava la mano premuta sul cuore. E una volta girata, l'oggetto apparve.

Dorian si irrigidì di colpo. Victoria iniziò a balbettare. «N-non è molto in confronto a ciò che mi avete donato, ma... ma spero possa bastare.»

Numi dell'Olimpo. Lui avrebbe voluto baciarla.

Avrebbe voluto recuperare tutto il tempo perso in quella foresta. Afferrarle i fianchi, portarla in un atrio buio del castello, schiacciarla e divorarla. Le labbra, il collo, le spalle. Tutte le parti che ancora non aveva esplorato con le sue mani magiche.

Si ritrovò ad ammetterlo a sé stesso. Tutte le forze di volontà del mondo lo distolsero dal suo obiettivo, ricordandogli ancora una volta perché era lì, per chi era lì e per cosa era lì.

E ignorò i suoi sentimenti con un sorriso lieve che accentuò gli zigomi. Si rigirò il bracciale tra le mani, e senza troppa fatica fece un nodo per stringerlo. Esaminò per qualche istante il drago in oro al centro.

«È il simbolo della nostra casata.» sottolineò lei.

Lui sollevò lo sguardo e le afferrò una guancia. E dopo un bacio sulla fronte, mugugnò: «Simboleggia la vostra forza.»

Victoria si arrese all'idea di non poter controllare le sue emozioni, soprattutto quando il principe le appoggiò una mano su un fianco e lo accarezzò. E chinato, le mormorò: «In quella stanza reale, quando vi hanno visto sono tutti impazziti.»

«Perché?»

Dorian ridacchiò. Scosse la testa. «Perché?»

Lei non comprese il riso.

E lui aggiunse mielato: «Perché vi sottovalutate. E ciò mi addolora.»

Lei gli afferrò la mano che le stava accarezzando il volto. Confermò ancora la morbidezza delle nocche del principe.

«Siete riuscita a dormire?»

Victoria sorrise e annuì piano. Gli occhi le brillavano.

«Bene. Mi rincuora.»

«Voi?»

«Anche.» ammise il principe.

Lei contò fino a dieci prima di replicare. «Mi hanno aiutata dei bei ricordi.»

«Ah sì?» sussurrò lui.

Victoria si meravigliò del coraggio acquisito. «Vorrei... riprovarlo.»

«A?»

Deglutì pesante e abbassò lo sguardo. Le iridi ghiaccio dell'uomo che la scrutavano con curiosità le rendevano il tutto più difficile.

«S-sentire quelle sensazioni. Vorrei... vorrei chiedervi di insegnarmi qualcos'altro. Per favore.»

Per favore. Una supplica mista a innocenza. Dorian si ritrovò ancora una volta a resistere all'impulso di premere le labbra sulle sue. E la distanza tra i loro visi era anche diminuita.

«D'accordo.»

«Davvero?» le si illuminò il volto.

«Non qui, però.»

«Lo davo per scontato.» ironizzò lei, e risero in contemporanea.

«Un'altra cosa che apprezzo di voi.»

«Ovvero?»

«L'ironia.»

«Non credo di averne.»

«E questo tratto, invece, è una cosa che odio profondamente.»

«Cioè?»

«La sfiducia.»

«Sono realista, altezza. Avrei compreso eventuali complimenti sull'arte, ma sul resto...»

«Sull'arte? Dipingete?»

E Victoria sgranò gli occhi. «Oh cielo, la lezione...»

Dorian aggrottò la fronte.

«Questa mattina avevo lezione d'arte. L'ho dimenticato.»

Il Fae restò in silenzio per qualche istante. «Potrei accompagnarvi.»

«Non se ne parla.»

«Per quale motivo?»

«Voglio raggiungere il posto che mi avete promesso.»

«Possiamo andarci anche dopo, altezza. Non è un problema.»

Victoria esaminò il viso del nobile. Quella mattina sembrava più luminoso. E... che sciocca. Si era sentita una completa idiota a non notare il colore dei suoi abiti.

Verde. Verde smeraldo. A eccezione dei pantaloni, che erano di pelle nera. Gli spallacci argento risaltavano i suoi occhi cristallini, così come la chioma bianca perfettamente ordinata. L'odore di muschio bianco gli donava un'aura di purezza, freschezza e incanto.

Victoria si torturò le mani e pensò a una miriade di probabilità che tutto ciò fosse una coincidenza. Quasi ad auto convincersi.

«E i vostri impegni quotidiani?»

Lui sorrise e scrutò i corridoi. Non c'era nessuno nei paraggi, onde per cui ne approfittò ancora per avvicinarsi a lei e sussurrare: «Come vi avevo già detto tempo fa, possono attendere.»

«Sono una distrazione troppo grande, Windothynn.»

Lui fece una flebile risata. E poi, di nuovo. Con un'unghia, disegnò cerchi immaginari sulla spalla della principessa; passò da lì alle clavicole, non trascurando neanche la mascella, poi appoggiò le labbra su un suo orecchio quando la sentì sussultare e trattenere il fiato. Un forte odore di ambra gli inondò le sue narici, e appurò che non gli dispiacesse affatto.

«Ci sono distrazioni per cui vale la pena lottare, Legendragon.»

«E devo confessarvelo.» aggiunse. «Ancora una volta, il blu vi dona.»

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