Chapter 6.1
11th September 2016
*Derek's Pov*
Dopo che Vanessa mi aveva cacciato via, come aveva fatto mio padre, facendomi capire che entrare nelle sue grazie sarebbe stato più difficile di quanto pensassi, la rabbia mi aveva assalito. Il cervello si era scollegato dalla bocca e l'avevo mandata a fanculo.
La parte irrazionale aveva preso il possesso di me e senza aspettare un secondo di più avevo afferrato la mia moto, parcheggiata di fianco alla Jeep grigia della mora, iniziando a vagare per le strade di Los Angeles, diretto chissà dove.
Non ci potevo credere che da quelle labbra così caste era uscita una cosa del genere; il sentimento di comprensione, che era nato il giorno prima, era di colpo scomparso.
Pensavo di poter avere un rapporto normale con lei, almeno per un giorno, ma a quanto pare Vanessa non la pensava come me. Da quel momento in poi, nei suoi confronti, avrei dovuto provare solo odio e disprezzo, non c'era posto per i sentimenti. Anche se il giorno prima, vedendola piangere, qualcosa dentro di me si era smosso, mi ripromisi di non permettere a nessuno di rompere quel muro, che avevo costruito appositamente per evitare certe situazioni. Mi sono lasciato incantare, per un giorno, dai suoi occhioni scuri, dalla labbra carnose e dal suo profumo delicato, questo era il risultato e non sarebbe dovuto accadere mai più.
"Basta, fottiti!" urlai al vento mentre sfrecciavo per le strade deserte della California. Il mare si infrangeva sugli scogli a pochi metri da me creando un rumore che interrompeva il fiume dei miei pensieri. Il sole era ormai alto nel cielo quando, dopo quasi 7 ore di viaggio, iniziai ad intravedere gli alti palazzi di San Francisco.
Non mi ero nemmeno accorto di starmi dirigendo verso quella fossa di leoni, il mio passato, quello oscuro. La realtà riprese forma solo quando oltrepassai il classico ponte rosso che urlava "benvenuto a San Francisco".
Avevo frenato bruscamente proprio in mezzo alla strada, rischiando quasi di causare un incidente; per fortuna erano già le 15 e il traffico della pausa pranzo si era già smaltito. Avevo osservato le onde, sotto al ponte rincorrersi tra di loro, chiedendomi se fossi realmente pronto a tornare in quella città. Erano passati mesi da quando me ne ero andato e molte cose da allora erano cambiate. Avevo chiuso con il passato, ma ero consapevole che quella città aveva l'affetto della più potente delle droghe, quando ci sei dentro non riesci a farne a meno.
Mi chiesi se ero pronto a mettermi alla prova e in pericolo o se fosse il caso di tornare a Los Angeles. Dopo quasi 7 ore, avevo bisogno di riposarmi e, a dirla tutta, non ero così vigliacco da non tentare la fortuna.
"A me sembri solo disperato e avventato" parlò la stronzetta nella mia mente, e per non darle ragione riaccesi la moto. Sgasando oltrepassai la porta del mio inferno.
Mi diressi nella casa che mio padre aveva in questa città. Anche se odiavo prendere in prestito cose da quell'uomo, non avevo con me abbastanza soldi per potermi permettere una camera d'hotel.
Quando entrai un odore di chiuso mi invase le narici, così decisi di spalancare le finestre, che davano su un cielo leggermente annuvolato, tipico di quella città. Il frigorifero, come mi aspettavo, era vuoto, ma sapendo che sarei rimasto pochi giorni, non mi presi il disturbo di fare la spesa.
Mi feci una doccia ringranziando mentalmente mio padre che mi aveva convinto a lasciare qui un cambio. Ero sicurissimo, quando me ne ero andato, che nulla al mondo mi avrebbe mai fatto ritornare, ma quando Vanessa aveva pronunciato quelle parole, la mia mente e il mio corpo avevano deciso di tornare qui, nella città dove avevo vissuto gli anni più importanti della mia vita.
Dopo una lunga e calda doccia, durante la quale avevo cercato di far passare la rabbia e il nervoso che il lungo viaggio non mi avevano tolto, ero uscito ancora più incazzato di prima. Il viso della mora continuava a ripresentarsi ai miei occhi, ricordandomi quella frase detta con cattiveria.
Mi osservai allo specchio e riuscì a scorgere nel mio sguardo una nota di tristezza; non dovevo permettere a Vanessa di farmi stare male, "lei non è nessuno" pensai mentre scagliavo il mio pugno verso lo specchio di fronte a me. Un rumore sordo mi oltrepassò i timpani, mentre centinaia di crepe si aprivano intorno alla mia mano, ancora ferma sullo specchio.
Le nocche, da bianche, si trasformarono, diventando di un rosso fuoco, vivo, che mi risvegliò da quello stato di sonno in cui ero caduto. Sentivo la pelle strapparsi ad ogni minimo movimento, mentre gocce di sangue cadevano sul lavandino, scandendo il tempo che continuava a passare.
Mi fasciai la mano con un panno e velocemente mi vestii per andarmene da quella casa, che stava risvegliando altri ricordi. Nell'arco di 5 minuti il panno che avvolgeva la mano si colorò di rosso, quel colore che aveva segnato la mia vita a San Francisco.
"Siamo tornati alle vecchie abitudini" disse la stronzetta nella mia testa. Cercai di farla tacere afferrando lo skateboard di fianco all'entrata per poi richiudermi la porta alle spalle, provocando un boato, che risuonò tra i palazzi nella via.
Appoggiai la tavoletta, l'unico pezzo del passato che avevo lasciato a San Francisco, sull'asfalto. Le macchine sfrecciavano veloci ai miei fianchi mentre sentivo il vento accarezzarmi il corpo. Mi sentivo invincibile mentre, con lievi spostamenti del corpo, superavo le persone sul marciapiede, troppo intente a perdersi nei loro mondi per accorgersi di un ragazzo che cercava di non cadere nelle trappole segrete di quella città.
San Francisco poteva sembrare una città per bene ma se sapevi dove cercare, o se non prestavi attenzione alla strada intrapresa, scoprivi quel lato oscuro, nel quale ero caduto per diversi anni. La prima canna, la prima rissa, il primo occhio nero, la prima mano fasciata, tante piccole cose che lasciano il segno. Le prime volte si erano tramutate in abitudini ed uscire dal giro era stato difficile.
Accorgendomi della strada libera al mio fianco, scesi dal marciapiede per poter sfrecciare liberamente. Andare in skateboard sulla strada crea altri sentimenti. Ti senti padrone del mondo mentre senti quelle piccole ruote correre sull'asfalto nero di un mondo piú grande di te.
Uscii dal centro città per dirigermi sulla costa. Il mare di San Francisco aveva sempre avuto su di un effetto calmante. Osservare quell'oceano infinito autodistruggersi scagliandosi su metri di roccia mi faceva pensare alla vita. Tutti noi abbiamo la possibilità di scegliere, se vivere, sopravvivere o distruggersi e certe volte finiamo per farci male, per capire se vale la pena vivere.
Rimanevo intere notti ad osservare quel panorama, che infondeva dentro di me calma ma anche angoscia.
Scelsi un posto leggermente isolato per poter riflettere. Pensai a Vanessa, quella ragazza che sembrava potersi rompere da un momento all'altro, ma che invece nascondeva dentro di sé la più potente delle tempeste. Non so cosa le aveva procurato quel cambiamento ma una parte di me era interessata a scoprire i suoi lati più segreti.
"Lockwood, Lockwood, Lockwood" canticchiò una voce alle mie spalle. Avrei riconosciuto ovunque quella voce così squillante da far persino male alle orecchie.
Roxy Gillies, mora, alta, rappresentante d'istituto e capitano delle cheerleader nella mia vecchia scuola. Era la tipica ragazza che vendeva il suo corpo anche al diavolo per ottenere quello che voleva. Sin dal primo giorno, con lei era nato un rapporto che aveva segnato la mia vita in questa città. Era stata lei a farmi entrare in quel giro che mi aveva rovinato. Un diavolo travestito da angelo, così la chiamavo dopo aver scoperto tutti i suoi difetti.
"Roxanne" la salutai mentre lei si sedeva in prossimità dello scoglio insieme a me. Il vento le accarezzava i capelli, che dall'ultima volta in cui ci eravamo visti, erano più corti. La sua figura esile di fianco ad uno spettacolo così immenso metteva timore, opprimeva, ma lei non sembrava avere paura. Aveva sempre avuto il sangue freddo e nulla l'avrebbe mai spaventata.
"Cosa ti porta qui?" disse voltandosi leggermente verso di me. Il suo profumo mi invase e fui tentato a baciarla in quel momento, mentre ricordi delle nostre notti si seguivano nella mia mente.
"Magari mi mancava passare una notte con te, quindi sono tornato." risposi osservando il blu dell'oceano scontrarsi all'orizzonte con il cielo, che si era scurito nelle ultime ore.
"Questo gioco non funziona con me Derek, dimmi la verità" mi incalzò lei appoggiando una mano sulla mia gamba, stringendo appena.
"Ricordi" risposi solo, era una mezza verità ma sapevo che così l'avrei fatta tacere. Le dita affusolate di Roxy si muovevano sulla mia gamba, provocandomi brividi al solo ricordo di quanto ci sapesse fare con quelle mani.
"Bhe se vuoi dimenticare questa sera ci sarà una festa, a casa mia alle 11" disse solleticando il mio interno coscia. Lo sguardo ancora fisso verso l'orizzonte, come se a controllare quelle dita non fosse lei.
"Cosa ci guadagno?" chiesi fermando la sua mano che si era spostato sul cavallo dei miei pantaloni. Sapeva che effetto avesse sul mio corpo, ma non volevo dargliela vinta.
"Roba buona" disse lei alzandosi e allontanando la sua mano dai miei pantaloni. Osservai le sue gambe lasciate scoperte da una gonna nera che evidenziava le sue curve e quel corpo, che avevo tanto bramato per diversi anni.
"Vedi di non mancare" mi sussurrò all'orecchio quasi sottovoce, per poi mordermi leggermente il lobo. Dei brividi mi invasero, e con un gesto secco le afferrai la gamba nuda per farle intendere di dover smettere o non mi sarei contenuto.
"Non mancherò per niente" risposi più a me che a lei e dubitai che mi avesse sentito. Quando lasciò un bacio umido sul mio collo scoperto mi accorsi di aver acconsentito a rientrare in quel mondo.
💫💫💫
Buon pomeriggio!!
come potete vedere questo è il capitolo 6.1, ciò significa che ci sarà una seconda parte per descrivere questa scappatella a San Francisco.
Derek nasconde un passato oscuro ma è anche interessato al mondo più tranquillo di Vanessa, chissà cosa succederà!
Lascio a voi i commenti e se vi è piaciuto votate ⭐
Mels 💘
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