Capitolo 2 - Buon Compleanno

~ Wren ~

Fu solo il 14 Luglio che la monetina che portavo sempre con me, fissandola e rigirandola tra le dita e tenendola sotto il cuscino la notte, si scaldò fino a diventare rossa.

Non avevo idea del perché Stillens avesse deciso di usare monetine come mezzo di comunicazione, o perché fossero tutte stranamente dorate. Sapevo che quando si scaldavano, c'era un messaggio. Era una tecnica che aveva preso in prestito da Hermione, la zia di James, che lei aveva usato nell'ES originario. La mia famiglia l'aveva perfezionata. La monetina aveva un aspetto normalissimo (A parte per il colore dorato), ma dove su una normale c'era scritto 'In God we trust', non c'era scritto niente. Niente cioè, finché mio zio (o mamma o papà, dipendeva) voleva mandare un messaggio. Avevo già un presentimento su cosa fosse questa: una convocazione.

Sfortunatamente, non potevo controllare. In quel momento eravamo nel bel mezzo della cena. In realtà stavo facendo una domanda a Lily, cercando di trovare un briciolo di normalità, quando all'improvviso fu come se un carbone ardente mi si fosse materializzato in tasca. Raggelai.

"Wren?" James si accigliò dall'altro lato del tavolo." Stai bene?"

"Sì..." Sbattei gli occhi, facendo cadere in modo casuale il braccio sulla mia tasca, giusto in caso la monetina brillasse attraverso il tessuto. "È solo..." Scossi la testa, sorridendo. "Mi sono dimenticata totalmente quello che volevo dire, mi spiace."

Tutti sembrarono accettare la cosa (anche se James sembrava un po' sospettoso), eccetto per il signor Potter. Lui alzò un sopracciglio con fare interrogativo, ed io annuii quasi impercettibilmente intanto che Albus parlava di qualcosa che Astra aveva scritto in una delle sue lettere.

Per il resto della cena, restai in silenzio. Non era insolito. Ero sull'orlo di un attacco di panico da quasi un mese ormai, e tutti ci andavano coi piedi di piombo con me. Capii cosa stavano facendo, anche se provavano a nasconderlo. Ero troppo preoccupata per tutto il resto per fregarmene molto, ma non sapevo se apprezzare la loro cautela o se sentirmi frustrata da essa.

La verità era che ero molto più in difficoltà di quanto fossi abituata a sopportare. E parte di me voleva nasconderlo, ma l'altra parte mi implorava di lasciar scorrere tutto. Lo stress atroce. La paura debilitante. L'insensibilità allarmante. Una sensazione irrazionale di essere totalmente isolata dalle persone attorno a me. E, la peggiore di tutte, l'incapacità di esprimere una qualunque di queste cose a chiunque. Non ad Albus, non a James. Neanche solo scriverlo ad Astra.

Era passato un unico, silenzioso mese tra l'attacco al Ministero e quel giorno, 14 Luglio. Un mese in cui mi ero lentamente allontanata dai miei amici, senza sapere come fermarmi. Avevo capito che James ed Albus se ne erano accorti, ma suppongo che stessero cercando di darmi spazio. Per affrontare la cosa? Per sprofondare di nuovo nella depressione? Non ne avevo idea, ma avevo un po' timore a parlarne con loro, dato che sembravano aver deciso di ignorare il tutto.

Non sapevo se la monetina nella mia tasca rendeva il tutto meglio o peggio. Forse entrambi. Affrontare mio zio era quasi meglio di aspettare senza sapere niente. Almeno non sarei rimasta più all'oscuro. La luce si sarebbe potuta rivelare molto peggio, sfortunatamente.

Sei ore dopo, ero nella stanza del signore e della signora Potter mentre entrambi si agitavano inutilmente a bassa voce per me, e tutti cercavamo di comportarci in modo più coraggioso di come ci sentivamo. Mi tremavano così tanto le mani che la signora Potter dovette agganciarmi lei la fibbia del mantello. "Andrà tutto bene, te lo giuro," disse piano, spostandomi con delicatezza i capelli dietro l'orecchio. "Qualunque cosa succeda, non ti lasceremo lì."

Il signor Potter tirò fuori qualcosa dalla tasca e me la porse. Mentre allungavo la mano per prenderla, mi accorsi che era un piccolo specchietto, come quello che aveva Teddy Lupin. Il signor Potter me lo mise nella mano e mi chiuse le dita su di esso, ed io alzai piano lo sguardo su di lui. "Tienilo in tasca; riuscirò a sentire tutto quello che succede. Se le cose si mettono male, arriverò entro pochi secondi. E non sarò solo."

Deglutii. Non aveva senso tergiversare, ormai. Dovevo andare. Ma non andai, non per un attimo. "È passato un mese."

"Sei pronta," disse la signora Potter, mettendomi le mani sulle spalle. "Sai cosa dire."

"Ripetimelo un'altra volta," disse il signor Potter, sforzandosi di sorridere. "Così ce l'hai fresco in mente."

Li guardai entrambi, e ripetei la mia storia quasi meccanicamente. "La Carrow stava ascoltando la nostra conversazione. Non potevo farlo sapere a Zaria, ovviamente, ma quando Zaria ha iniziato a dire che ero una spia, ho dovuto dire qualcosa di drastico per assicurarmi che non ci credesse. Ho detto alla Carrow che non sapevo di cosa stesse parlando Zaria, e gliel'ho detto solo per farla confessare e capire se c'erano altre bombe nell'edificio. Non è stata la mia migliore idea, ma non avevo molte opzioni."

"E hai modificato i ricordi, così Stillens li vedrà?" Chiese la signora Potter.

Annuii. Era stata una sua idea, qualche settimana prima. La mia preoccupazione principale era che mio zio potesse scassinarmi la mente e non trovare nulla su quell'evento, perché chiaramente era qualcosa che dovevo nascondere. La signora Potter aveva suggerito che, in teoria, avrei potuto creare un ricordo falso. Se mi fossi sforzata abbastanza, avrebbe potuto reggere contro la legilimanzia. Era un azzardo, ma era la nostra unica opzione. Se se la fosse bevuta, avrebbe dimostrato la mia innocenza oltre ogni ragionevole dubbio, il che era più che abbastanza.

"Perfetto," disse il signor Potter, sorridendo. Sembrava così stanco. Mi sentivo allo stesso modo, ma sperai che non si vedesse; molte delle ore successive potevamo dipendere dal fatto che avessi o meno l'aspetto di chi ha passato l'ultimo mese in uno stato di terrore.

La signora Potter mi abbracciò forte. "Non devi affrontarlo per forza, Wren," sussurrò lei. "L'ES può proteggerti."

Scossi la testa. "Devo farlo. Non posso vivere nascosta. Non sono una codarda."

"Non lo saresti comunque," disse la signora Potter. "Ma lo capisco. È troppo importante per te." Annuii. "Beh, nulla è più importante della tua sicurezza, Wren."

Non era vero. Nel grande schema delle cose, un bel po' di roba era piazzata sopra la mia sicurezza nella lista delle cose importanti. I miei amici, tanto per dirne una. L'ES. Il futuro del mondo magico. Letteralmente chiunque non avesse compiuto le azioni atroci che avevo commesso io. Se sacrificare me stessa avrebbe aiutato a proteggere una qualunque di quelle cose, ne valeva la pena.

E poi, non era tutto qui. Ero un'importante fonte di informazioni per l'ES, ovviamente; la miglior spia che avevano al momento. Ma più di quello, questo era un modo per rimediare a tutti gli errori che avevo fatto, tutto il male che avevo causato. Non ci sarei mai riuscita, non del tutto, ma non potevo smettere di tentare solo perché era impossibile."

"Starai bene, a costo di scontrarmi con tuo zio di persona," disse il signor Potter, strappandomi dai miei pensieri. Anche lui mi abbracciò, poi fece un passo indietro. "Buona fortuna, Wren."

Feci un debole sorriso. "Pregate per me."

Dato che eravamo abbastanza sicuri che qualcuno controllasse costantemente la casa, dovetti scendere di sotto al buio. Doveva sembrare che uscissi di nascosto mentre i Potter dormivano. La camera da letto principale e lo studio del signor Potter avevano tende oscuranti, ma il resto della casa no, quindi una luce sarebbe stata vista da chiunque fosse lì fuori nella notte.

In ogni caso, io stavo uscendo di nascosto, in un certo senso. Lily, Albus, e James erano tutti addormentati, senza la minima idea di cosa stava succedendo. Quella era stata una scelta mia. In primis, gli arrivederci erano pericolosi, soprattutto quando non sai se tornerai. E poi, temevo che James avrebbe fatto qualcosa di incredibilmente stupido. Non avrei sopportato di essere il motivo per cui James sarebbe stato ucciso.

Scesi le scale, avanzando a tentoni nell'oscurità. Con una mano, afferrai la balaustra. L'altra era nella tasca del mio mantello, stretta attorno allo specchietto. Per farlo connettere a quello del signor Potter, tutto quello che dovevo fare era aprirlo dopo essermi Materializzata.

Mia madre mi aveva detto qualche mese prima che avevano deciso che Smaterializzarsi fosse il mezzo migliore quando ero dai Potter, dove ovviamente non potevo usare la Metropolvere, ma sarebbe stato difficile contattare qualcuno per scortarmi. Aveva passato parecchi mesi a insegnarmelo. Era possibile solo grazie ad una spia ben piazzata all'Ufficio del Trasporto magico, che chiudeva un occhio su tutte le Smaterializzazioni da minorenni per conto di mio zio. Fino a quel momento, non avevo avuto occasione di scoprire a chi altro si riferissero le altre "Smaterializzazioni da minorenni". A quanto sembrava, non l'avrei mai avuta.

Ero sull'ultimo gradino quando qualcuno si Materializzò tra le ombre in fondo alla scala. Sussultai e feci un passo indietro, perdendo quasi l'equilibrio, ma ci volle solo un secondo per riconoscere chi doveva essere. "James?"

Alzò la bacchetta, creando una luce molto fioca. Quasi gli dissi di metterla via, ma non c'erano luci in fondo alla scala. E comunque, il suo sguardo spinse via qualunque altra cosa avrei potuto dire. Una pesante rassegnazione che non mi ero mai immaginata su di lui.

"È stasera, vero?" James sussurrò, con la voce che gli si incrinò leggermente. Annuii. Che senso aveva mentire? Ero vestita di tutto punto e indossavo un mantello. Era normale vestirsi così per andare a prendere un bicchiere d'acqua?

James si avvicinò di qualche passo. Ero uno scalino sopra di lui, il che mi rese solo qualche centimetro più bassa di lui invece di quasi trenta. "Come facevi a saperlo?"

"In realtà non lo sapevo," ammise. "Nelle ultime settimane ho dormito di sotto. Giusto in caso. Avevo un presentimento però, a cena, qualcosa era diverso stasera."

Mi morsi il labbro, all'improvviso sull'orlo delle lacrime. Ci teneva troppo a me, ma era la cosa più dolce di lui. Non mi spostai mentre lui mi circondava lentamente con le braccia, abbracciandomi forte. A causa delle continue pattuglie di sua madre (stavo iniziando a sospettare che le facesse solo per il gusto di farle), era la prima volta in tutta l'estate che ci trovavamo a meno di due metri di distanza l'uno dall'altra. Chiusi gli occhi e appoggiai la testa sulla sua spalla, sforzandomi di non far scendere altre lacrime. Non funzionò.

Sii presente adesso, pensai. Qualunque cosa accada, hai questo. La guancia di James sulla mia testa. Il leggero tremolio delle sue braccia, i suoi sforzi di trattenere le lacrime. Le sue dita che mi pettinavano delicatamente i capelli. Per un attimo, mi sentii al sicuro. Quel momento non sarebbe durato, ma almeno era lì nel presente.

Dopo qualche minuto, James si tirò indietro giusto un po'. Teneva le braccia attorno a me, ma ora eravamo faccia a faccia, con la fronte contro quella dell'altro. Vedevo delle lacrime luccicare anche nei suoi occhi. "Te lo prometto, se succede qualcosa, verrò da te," James sussurrò.

"Non dirlo."

"Sono serio."

"So che lo sei," dissi piano. "E so anche che finiresti solo per farti ammazzare. Non farlo. Per favore. Non riuscirei a vivere con me stessa."

James non rispose. Invece, mosse una mano sul mio viso, spostando una ciocca di capelli. "Starai bene."

"Come fai a saperlo?"

"Perché sei brillante," James rispose. "Sei brillante, e tuo padre sarebbe un pazzo a fidarsi di un'americana pazza piuttosto che di te."

"Sono americana anch'io," feci notare, sorridendo.

"Ma non sei pazza, quindi non conta." James fece un passo indietro, prendendomi la mano. Tornò serio di nuovo. "Sei abbastanza forte da gestire qualunque cosa succeda, Wren. So che lo sei."

Scesi il gradino per trovarmi vicino a lui, poi alzai lo sguardo. "Promettimi che non verrai a cercarmi."

James mi guardò per un lungo momento, poi sospirò. "Mi dispiace. Io... Non posso fare una promessa che non posso mantenere. Voglio proteggerti."

"Non credo che tu possa." Non capisci che io sto cercando di proteggere te?

Sorrise, con un'espressione tetra negli occhi. Mi strinse la mano. "È passata la mezzanotte, sai."

"Quindi?"

"Buon compleanno." Me n'ero dimenticata. A quel punto mi chiesi se non avesse programmato tutto. Riuscii a sorridere, e James si abbassò per baciarmi la fronte. "Ti amo, Wren." Sbattei gli occhi, ed era salito su per le scale, prima che potessi rispondere.

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Uscii fuori. Non era una bella serata. Il vento spazzava gli alberi così forte che davvero non capivo se c'era qualcuno lì fuori, ad osservarmi. Non pioveva fortissimo, ma comunque mi alzai il cappuccio, opponendomi contro il vento. Almeno Albus e Lily non mi avrebbero sentito smaterializzarmi con quel tempaccio.

Prima di farlo, chiusi gli occhi. James mi aveva fatta arrossire leggermente, e dovevo calmarmi. La mia prova d'attrice sarebbe iniziata nello stesso secondo in cui sarei apparsa, quasi sicuramente. Non potevo vacillare nemmeno per un secondo. Inspirai ed espirai, lentamente, e buttai tutto nell'angolo più remoto della mia mente, quello che potevo bloccare, L'Angolo Che Non C'è. Misi una mano in tasca ed aprii lo specchietto. Poi, alzai la bacchetta e girai su me stessa, e venni risucchiata nel vuoto.

Quasi caddi quando atterrai. Sbattei gli occhi un paio di volte, cercando di ritrovare l'equilibrio e smettere di essere disorientata. Qualcuno ridacchiò dietro di me, e mi girai subito.

"Da quanto tempo non ci vedevamo," disse Magnus Caldwell, senza una traccia di calore nella voce.

"Per forza, sei stato in prigione," dissi, spazzolandomi il mantello con le mani. Ne approfittai per guardarmi attorno. Eravamo nel cortile posteriore di un maniero decrepito. Riconobbi quella casa. Non sapevo di preciso dove fosse (da qualche parte nel Galles, pensai), ma era lì che avevo passato quasi tutto il secondo e il terzo anno. Perfetto.

Magnus era seduto su un basso muretto che separava un incolto giardino di fiori dall'altro. A quel punto saltò in piedi. "Dovrei scortarti da Stillens. Un passo falso, e faremo una rapida deviazione appena mi viene voglia, capito? Non ti piacerà."

Tremai, spingendo contro i ricordi che quel commento riuscì a dissotterrare. Non era cambiato per niente. "Perché dovrei causare problemi, di grazia?" Mi accigliai. "Qualcosa non va?"

Magnus mi guardò in modo strano. "Mi sa che lo scoprirai presto." Anche se non diedi segno di voler scappare o lottare, mi prese il braccio, mi tolse la bacchetta dalla tasca del mantello, e mi tirò nella casa.

Mentre camminavamo, cercai di fare il punto della situazione. Ovviamente, Magnus si aspettava che sapessi già cosa stesse succedendo, il che voleva dire che Zaria non l'aveva detto solo a Stillens, ma anche ad altri. Far finta di non sapere di cosa stesse parlando era stata una buona idea. Almeno non ero apparsa come una che ha la coscienza sporca. Non era una finzione, ovviamente: la coscienza non ce l'avevo sporca comunque, nonostante fossi pienamente colpevole di ciò che mi accusavano. Difficile provare rimorso quando non fai nulla di male, però.

Magnus mi portò attraverso una delle porte laterali della casa. All'interno non era decrepita per niente. Non sapevo quali incantesimi avessero piazzato su quel posto per farlo sembrare disabitato da fuori, ma entrammo in una spaziosa, pulitissima cucina di livello industriale. Sembrava molto più grande del necessario, ma forse adesso lì c'erano più agenti di mio zio rispetto a qualche anno prima.

Magnus mi tirò il braccio; non era mia intenzione, ma mi ero fermata a guardare. "Che c'è, non sei stata qui di recente?"

"Di recente ho potuto usare la Metropolvere," disse fredda, cercando di tirare via il braccio. Magnus lo strinse più forte. "Non posso apparire nella cucina. Non c'è neanche un camino qui."

"Suppongo che spaventerebbe i No-mag," Magnus concordò.

"No-mag? Qui?"

"Ovvio? Stillens non ha assunto aiuti magici, se è questo che pensavi." Dubitavo sinceramente che avesse assunto chiunque, ma tenni la bocca chiusa.

Magnus mi portò al primo piano, che era del tutto irriconoscibile. Sembrava come in un qualunque maniero, ornato e splendente e completamente, totalmente vuoto. Eravamo le uniche anime vive in vista. Certo, era passata la mezzanotte, quindi non ero sorpresa. L'ultima volta che ero stata lì, però, sembrava che nessuno avesse vissuto in quella casa da cinquant'anni (il che era molto vicino alla verità, se mia madre aveva ragione e questa era stata la casa d'infanzia di mia nonna prima che scappasse in America).

Magnus non mi portò di sopra, anche se ero abbastanza sicura che andassi lì di solito. Invece, aprì una porticina che sembrava portare ad un ripostiglio per le scope. Dentro, c'era una strettissima scala, che scendeva in un'oscurità profonda.

Mi immobilizzai sull'uscio. Era da tanto tempo che non entravo nel sotterraneo. Cantine e buio e tutto freddo, così freddo...

"Dentro, dentro," Magnus disse scocciato, spingendomi giù di qualche gradino. Chiuse la porta dietro di sé, ponendoci nel buio totale. Sbattei gli occhi per l'improvvisa mancanza di luce. Prima che potessi fare altro, però, tristi luci elettriche si accesero, illuminando la via.

Sotto, i pavimenti di cemento e i muri di blocchi di calcestruzzo erano proprio come li ricordavo. Un tempo quella era stata una cantina, pensavo, ma anche quattro anni prima avevano lavorato per ingrandirla. C'erano stati piani anche per aggiungere livelli interrati. Mi chiesi se fossero mai stati realizzati. Mi chiesi se i No-mag in cucina ne fossero al corrente.

Magnus mi portò attraverso un labirinto di corridoi tortuosi. La cantina si era ingrandita da quando ci ero stata l'ultima volta. O forse Magnus cercava solo di disorientarmi, in caso provassi a scappare, e stavamo ripercorrendo in tondo gli stessi corridoi. Era plausibile: c'erano pochi punti di riferimento, solo porte di metallo ogni tanto e crude luci elettriche.

Finalmente Magnus si fermò fuori una di quelle porte di metallo. Si fermò prima di aprire la porta per passarsi una mano tra i capelli. "Che aspetto ho?"

"L'aspetto di un leccapiedi."

Magnus mi guardò storto, poi spalancò la porta e mi spinse dentro.

Seppi immediatamente dove eravamo. Non sapevo se quella stanza avesse un nome o no, ma per me era la Sala Interrogatori Grande, quella che mio zio usava quando voleva umiliare qualcuno in pubblico. Spesso e volentieri quel qualcuno ero io, e stavolta non faceva eccezione. C'erano una dozzina di persone circa tutt'attorno, tutti a fissarci in silenzio sull'uscio della porta. Al centro di tutto: mio zio ed una sedia.

"Wren, tempismo perfetto," disse lui, sorridendomi freddo. "Prego, siediti."

Attraversai lentamente la stanza, guardandomi intorno. I miei genitori erano in un angolo e si tenevano per mano così forte che tremavano. Riconobbi quasi tutti gli altri volti, agenti di vecchia data di cui non conoscevo i nomi. E, a destra di mio zio qualche passo più indietro, Zaria Hempsey, che mi guardava con furia omicida.

Mi sedetti, concedendomi di sembrare un po' inquieta. Era naturale per una che non sapeva cosa stesse succedendo, giusto? Giusto. "Qualcosa non va?" Chiesi. Resistetti all'impulso di distogliere lo sguardo da mio zio; lo sentivo cercare di scassinarmi la mente.

Dopo qualche momento, sembrò momentaneamente soddisfatto. "Dipende da cosa hai da dirmi." Stillens indicò Zaria. "Hempsey mi ha raccontato una storia molto interessante di recente." Si fece da parte, lasciando il palcoscenico a Zaria.

Zaria venne verso di me, con uno sguardo sdegnoso, freddo, in volto. Onestamente, se non fosse stata così terribilmente odiosa sarebbe stata molto carina, con quei corti capelli biondi e gli occhi blu, la tipica ragazza popolare. In ogni caso, si spostò i capelli biondi dal viso e si guardò attorno con enfasi. "Come tutti voi sapete, mi è stato concesso l'onore di piazzare le bombe al San Mungo." Alcuni annuirono. Io mi limitai a fissarla. Era tutto a posto; avevo un alibi. Sarebbe andato tutto bene.

"Sono stata arrestata, sfortunatamente, ma convinsi Carrow che ci fossero altre bombe inesplose nell'edificio." Zaria sghignazzò. "Quella stupida non ha mai dubitato di nulla."

"Insomma, è una minaccia seria," puntualizzai.

"Silenzio!" Pareva che Zaria volesse colpirmi, e sussultai, ma lei guardò Stillens dietro di me e si fermò. Dopo un momento, continuò la sua storia. "Non avrei risposto a nessuna delle sue domande, quindi Carrow tirò fuori il suo solito asso nella manica: chiamare la piccola Wren Predatel per venire a identificarmi e convincermi a confessare o roba del genere." Zaria si guardava attorno, rivolgendosi a tutti. Ora, però, rivolse tutta la sua attenzione a me. Con un'enfasi che mi fece capire che si era allenata per quel momento in particolare, girò attorno alla mia sedia, passandomi una mano sulla spalla. Dovetti sforzarmi per non irrigidirmi. "È qui che si fa interessante, sapete," Zaria disse. "Mi aspettavo che Wren recitasse la sua parte, comportandosi come se mi avesse scossa in modo da farli contenti, mentre osservavano dal vetro. Tutto questo gliel'ho detto. Ma non stava solo recitando. Anzi, ciò che mi ha detto era sconvolgente e orribile."

Zaria si fermò. Quando tornò di fronte a me, mi fu difficile mantenere un'espressione neutrale. Mi guardò di nuovo negli occhi, e vedevo l'odio contenuto in essi. "Mi ha detto che faceva il doppio gioco. Che tradiva tutti noi."

Oltraggio immediato. Parecchie delle streghe e dei maghi nella stanza iniziarono ad urlare, col risultato che non capii nulla di ciò che dicevano. Altri sembravano troppo sconvolti per reagire. Sbirciai verso i miei genitori, che si stringevano forte e mi guardavano con dolore e delusione, un'espressione a cui ero abituata. Ebbi la sensazione che se lo aspettassero, loro tra tutti. La punta di rimorso che sentivo sempre quando deludevo i miei genitori mi colpì, seguita rapidamente da disgusto verso me stessa per non riuscire a fregarmene. Subito guardai di nuovo Zaria. Prima che Stillens riuscisse a riportare l'ordine, lei sussurrò. "Tu mi hai fatta spedire ad Azkaban; io ti farò uccidere."

Zaria fece un passo indietro, consentendo a mio zio di mettersi di nuovo di fronte a me. "Cos'hai da dire?" Chiese lui, una volta calato di nuovo il silenzio nella stanza. Adesso il silenzio sembrava impregnato di qualcosa di malevolo.

Feci un respiro. Mi ero preparata a questo. I momenti successivi avrebbero deciso il mio destino, ma se avessi giocato bene le mie carte, il mio destino sarebbe stato deciso da me. "Temo che Zaria non conosca tutta la storia."

Zaria sbuffò, e sembrava stesse per dire qualcosa, ma mio zio la zittì con uno sguardo. "Continua," comandò.

"Beh," dissi, cercando di non far tremare la voce. Lo sforzo di non sembrare spaventata stava iniziando a sfinirvi. "Sia Carrow che Potter stavano ascoltando ogni parola mia e di Zaria, attraverso un altoparlante. Stavo per dirlo a Zaria, se avessi potuto, e farmi dire solo se ci fossero altre bombe, ma non ho avuto modo. Non ha neanche fatto chiudere la porta prima di dirmi che dovevo stare al gioco, menzionando che ero una spia."

Dei brontolii si alzarono per tutta la stanza; Zaria sembrava sbalordita, il che era un ottimo segno. Lasciai che mi incoraggiasse un po'. "Come potete vedere, sono stata messa in una situazione molto difficile. Zaria ha messo in pericolo la tua migliore fonte sull'ES, zio. Mi sono dovuta inventare la cosa più assurda che potessi dire per sviare la Carrow e Potter," spiegai. "Se avessi detto qualcosa di altrettanto assurdo, avrei avuto una possibilità di convincerli che Zaria fosse semplicemente pazza." Mi guardai attorno nella stanza. "Ha funzionato. Gli ho detto che non avevo idea di cosa stesse parlando, e che sono stata al gioco solo per scoprire se ci fossero altre bombe. La Carrow se l'è bevuta, anche se Potter sembrava un po' sospettoso. E credo di essere addirittura riuscita a riguadagnare la sua fiducia."

Volarono dei sussurri, ma io rimasi concentrata su mio zio. La sua espressione era pensosa e illeggibile come sempre, ma sembrava leggermente sorpreso. Non capii se fosse un bene o un male. Di nuovo, sentii come una sorta di brezza scuotermi i ricordi. Era il momento. Mi concentrai sul ricordo falso, dedicandoci tutte le mie energie. Se avesse funzionato... Se non avesse scavato troppo in profondità...

Seguì un lungo momento di silenzio, mentre tutti pian piano capivano cosa stava succedendo. Non ruppi il contatto visivo, anche se volevo tanto. La Legilimanzia di mio zio si fece leggermente più insistente, e feci una smorfia quando la sentii più forte, mentre ripetevo il ricordo falso nella mia mente. Sì, Madama Ministra, non ho idea di cosa stesse parlando... Ah, capisco, sei stata furba a restare al gioco... Quella ragazza è pazza... I secondi passarono, e mi ritrovai a trattenere il fiato.

"Sta dicendo la verità," disse dopo troppo tempo. Quasi feci un sospiro di sollievo, riuscendo a farlo sembrare un semplice rilassarsi mentre finalmente distoglieva lo sguardo da me. Guardandomi intorno, vidi mia madre con una mano sulla bocca, praticamente in lacrime. Anche mio padre sembrava sollevato.

Stillens si rivolse a Zaria. "Quindi, hai messo a repentaglio la sicurezza di una delle mie spie più importanti, e hai l'audacia di dirmelo tu stessa senza nemmeno menzionarlo?"

"Io... Io non..." Zaria mi fissava a bocca aperta. Non capii se fosse scioccata, o se semplicemente non mi credeva. Forse entrambe.

"Le tue azioni sono state sciocche e insensate," continuò mio zio. La guardò freddo per un momento. "Rifletterò su quale sarà la tua punizione."

"No, per favore-"

Alzò una mano, e Zaria si ammutolì. "Qui abbiamo finito."

Mentre le persone iniziavano a uscire, mia madre corse da me. "Oh, mia cara, non sai quanto sia sollevata."

"Sapevamo che doveva esserci una spiegazione," disse papà, abbracciandoci entrambe.

Chiusi gli occhi. Per un attimo, non stavo affatto recitando. Era raro che i miei genitori fossero sollevati e felici per me, ma era una cosa che nonostante tutto volevo disperatamente. Un altro motivo per cui non mi sarei mai redenta del tutto. Se volevo ancora che i miei genitori fossero fieri di me, pur sapendo che fossero persone orribili, ebbene ciò non rendeva anche me orribile? La risposta era sì, ma non era una cosa a cui volevo pensare in quel momento. Accantonai tutti quei pensieri, odiandomi per provarli. Non dovresti volerlo.

Mentre mi separavo da loro, sentii una mano fredda sulla mia spalla. Stillens. "Devo dirlo, sono fiero di te. Te la sei cavata davvero bene, sia stanotte che al San Mungo."

"Grazie," dissi, non sapendo dove volesse andare a parare.

Lui congedò i miei genitori, e loro si allontanarono di malavoglia. "In quest'ultimo mese, come di certo avrai notato, non sei stata contattata per niente."

"Mi sono chiesta se avessi fatto qualcosa di sbagliato," ammisi. "Ora capisco di che si trattava."

Lui annuì. "C'erano due motivi dietro questa scelta. Se fossi stata colpevole, sarebbe stata una punizione a sé stante, aspettare mentre il tuo fato era in bilico. Tuttavia, dato che non lo sei, è stata più che altro una prova della tua resilienza. Suppongo che tu te la sia cavata bene in quest'ultimo mese?"

"Suppongo di sì?" Provai a non farla sembrare una domanda, ma non funzionò granché bene.

"Ottimo. Wren, credo sia arrivato il momento per te di assumerti più responsabilità. Hai finalmente superato gli scrupoli che ti trattenevano, e sei pronta."

Provai a non irrigidirmi. Più responsabilità? Cosa doveva significare? Come avrei dovuto rispondere? Fortunatamente, non mi diede tempo di farlo.

"Welling, sfortunatamente, è stato cacciato da Howgarts. Ora capisco che hai bisogno di sapere con chi lavori, altrimenti sfortunati incidenti come questo capiteranno più. A breve posizionerò un'altra spia ad Hogwarts. Non sarà efficace come Welling, purtroppo, in termini di potere, ma ritengo che tu e lui, lavorando insieme, riuscirete a fare molto."

"Chi è?" Chiesi curiosa.

"Te lo farò sapere presto," mi assicurò mio zio. Addirittura sorrise (freddamente, senza un briciolo di emozione, ma era comunque un raro segno di umanità). "Ti stai finalmente rendendo degna della tua famiglia, Wren. Mi hai quasi reso orgoglioso." Con quell'unico commento, girò i tacchi e se ne andò.

I miei genitori rimasero a farmi le fusa per qualche altro minuto. Zaria e Magnus tenevano il broncio vicino la porta, e capii che Magnus, almeno, doveva aspettare me. Ciò mi fece venire in mente di controllare l'orologio, vidi che erano quasi le due del mattino, ed insistetti che dovevo andarmene presto. Dopo un ultimo abbraccio da mia madre, lasciammo la stanza.

Magnus alzò gli occhi al cielo mentre i miei genitori uscivano prima di noi, e mi lanciò la bacchetta. "Fortunella," disse, con voce sufficientemente bassa per essere sentito solo da me. "Non vedevo l'ora di passare del tempo da solo con te." Il suo tono mi disse che non intendeva nulla di buono, e rabbrividii involontariamente.

"Lasciami in pace, Caldwell." La mia voce era abbastanza forte da essere sentita dai miei, in caso Magnus avesse strane idee.

"E dove sarebbe il divertimento?" Magnus si fermò nel corridoio, costringendomi a fermarmi dietro di lui. I miei genitori sparirono dietro un angolo davanti a noi, e Magnus rimase fermo finché il rumore dei passi non svanì. Strinsi forte la bacchetta, all'erta. Che cosa voleva fare?

Niente, sembrava. Si girò. "Tutta tua, Zar."

Qualcuno mi afferrò da dietro e mi sbatté contro il muro. Sbattei gli occhi sorpresa, con la testa che mi faceva male all'improvviso e senza fiato. Entro pochi secondi Zaria Hempsey mi aveva girato il braccio così forte che lasciai la bacchetta. Mi bloccò al muro. Sta per uccidermi, pensai.

"Non ti credo," disse lei, premendomi la bacchetta contro il collo. "Hai mentito lì dentro, e non so come hai fatto a cavartela."

Mi dimenai inutilmente, respiravo a malapena, la paura mi attanagliava. "Io... No, tu non..."

"Cosa hai fatto? Come lo hai convinto che dicevi la verità? È impossibile anche per un Occlumens. Quelli possono nascondere le cose, ma non inventarsele da zero." Tirò leggermente indietro la bacchetta, consentendomi di respirare. Sembrava si aspettasse una vera risposta.

"Non ho mentito," riuscii a dire.

"Sì invece!" Urlò lei, lasciandomi andare giusto per un attimo solo per poi sbattermi di nuovo contro il muro, ancora più forte. Sussultai. "Hai mentito, e lo dimostrerò! Mi hai fatto fare la figura della stupida, e la pagherai!"

"Per favore, basta." Alternai rapidamente gli occhi tra la bacchetta premuta contro il mio collo e gli occhi di Zaria, in cui vidi una determinazione e una rabbia più che capaci di uccidere.

"Continua pure a fare questo giochetto con tuo zio," Zaria disse. Non capii se tremava per l'adrenalina, o se ero io che tremavo. Forse entrambi. "Se non si rende conto della tua insulsa recita, va bene. Ma io so la verità, Predatel. E in un modo o nell'altro, la dimostrerò. La pagherai, anche se dovrò trascinarti all'Inferno io stessa!" A quel punto mi lasciò andare, ed io caddi in ginocchio. L'aria mi tornò tutt'ad un tratto nei polmoni, e mi presi qualche secondo per ritrovare l'orientamento,

Per un momento, rimasi seduta sul pavimento, a guardare Zaria andare via. Anche Magnus la guardò, poi si girò di nuovo verso di te. "Più tempo ci metti, più mi annoierò ad aspettarti. E tu non vuoi che mi annoi, vero?" Afferrai la mia bacchetta da terra e mi tirai su, allontanandomi quando fece per prendermi il braccio. Lui lasciò stare, e mi portò fuori in silenzio.






Spigolo autore

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Alla prossima!

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