What a nightmare is

C'è un momento, per tutti, dove bisogna provare qualcosa prima di affrontarlo.
A volte bisogna aver sofferto di più, molto di più per ottenere l'insegnamento più importante di tutti: una storia.
A volte è meglio sentirsi vivi sanguinando che ridendo.
Senza aver bisogno di piangere o ridere, semplicemente tenere il dolore dentro sé stessi per dimenticarsi cosa significa soffrire. A volte Faith ripensava a tutto ciò che aveva lasciato in America, a tutto quello che le era successo. Giaceva nel letto con gli occhi spalancati mentre Lilibeth dormiva beata, e Faith avrebbe dato la sua stessa vita per continuare a vederla dormire senza incubi. Lo sguardo bloccato dal soffitto, le nocche arrossate dopo aver tirato pugni contro i sacchi di sabbia in palestra. Soltanto giacere nel letto e lasciare tutto attraversarle il cuore e la mente, senza motivo di alzarsi e smetterla di perdersi nel passato. Le persone cadono perché hanno volato troppo in alto. Faith Davis era fatta di ossa rotte e riaggiustate con il tempo, ma senza avere davvero l'intenzione di rimetterle insieme. Ogni notte sui suoi occhi passavano immagini di Hannah e di ogni persona che fece parte della sua vita precedente. Non dimenticò nessuno, e ogni notte tornavano da lei a farle compagnia. Quando nemmeno l'abbraccio dei suoi genitori l'avrebbe distolta dal soffrire, dal tremare e respirare pesantemente rivivendo tutto per l'ennesima volta e non essere in grado di fermarsi. Faith tirò un pugno sordo al materasso e si alzò con le vene del collo in risalto a causa del respiro affannoso.
Quasi si strappò il pigiama ed infilò la solita camicia azzurra a quadri neri e tutto il resto, uscendo dalla stanza mentre le primi luci dell'alba dipingevano d'oro Cambridge. Uscì senza problemi dal Peterhouse anche se incontrò qualche persona di ronda in giro, ma la conoscevano e la lasciarono andare senza dire nulla. Non le importava di sentire la fredda brezza mattutina che le si infilava nel sotto pelle, sinceramente non aveva bisogno di nessuna sensazione in quei frequenti momenti.
Camminando vide apparire come per magia tutte le persone che le avevano fatto del male, o che lei aveva ferito.
Camminò spedita come se già vedesse la sua meta che per la prima volta stava raggiungendo. Nel mentre Robert era appena tornato da una nottata turbolenta fatta di risse continue nei pub della città, era coperto di lividi e sporco di sangue. Aveva un serio problema a controllare quella che più di tutte è la sua debolezza: la rabbia.
Scappava sempre prima dell'arrivo dei poliziotti oppure invitava i suoi sfidanti in vicoli bui e stretti.
Era difficile da ferire lui, a volte pareva immortale per la ferocia con cui si accaniva contro gli sbronzi come lui.
Le mani tremavano incontrollate e dalle nocche continuava a scendere sangue, la canottiera tutta una macchia rossa.
Nemmeno nella sua stanza si sentiva al sicuro, voleva evitare di bere davanti a Faith.
Raggiunse il bagno e si sfilò la canottiera lanciandola nel cestino, alzando per qualche minuto lo sguardo sul proprio riflesso. Pareva essere invecchiato di colpo: il volto era piegato e accartocciato da cicatrici e ferite ancor sanguinanti, le spalle massacrate da colpi di cinghia inflitti dal padre e dai colpi sferrati nelle risse. Sulla schiena la situazione era ancora peggio. Il petto era costellato da linee chiare sulla pelle, seguivano ognuna un percorso diverso. La maggior parte costituivano la sua vita da ragazzo fortunatamente. Sfiorò una ferita grondante di sangue sull'anca, reprimendo un soffocato gemito di dolore. Iniziò a medicarsi da solo, cuocendosi le ferite e spalmando una crema rigeneratrice su tutto il resto del corpo. Non alleviava per niente il dolore. Strinse i bordi del lavandino e continuò a guardarsi, le ultime gocce rosso scuro picchiettavano sul fondo bianco di ceramica. Pensò alla famiglia che Faith gli aveva donato soltanto stando al suo fianco e fidandosi anche quando non avrebbe dovuto farlo, e lui la ringraziava andando in giro a far botte con chiunque lo provocasse e ad ubriacarsi.
-Sei una delusione.
Disse tra i denti digrignati iniziando a respirare e ringhiare come un lupo, stringendo forte i bordi del lavandino.
La sua rabbia non era rivolta contro chi lo provocava o lo feriva, ma verso sé stesso. Troppo egoista per farsi del male da solo, troppo codardo a scaricare la furia contro gli altri.
Dopotutto le persone con cui si batteva era un po' nella sua stessa situazione, aveva la stessa sofferenza negli occhi.
Abbandonò la sua energia accasciandosi contro il freddo muro del bagno, un braccio abbandonato sul ventre mentre guardava il vuoto. Intanto la sua Faith era giunta a destinazione: il cimitero. Vagò tra le lapidi per cercare un solo cognome e quando lo trovò si trovava dinanzi una delle tombe più belle a livello architettonico. C'era un grosso angelo di marmo che spalancava le braccia verso l'alto, come se volesse abbracciare il cielo. Ai suoi piedi c'era una lapide bella grossa e lunga, una di quelle familiari, dove con caratteri dorati c'era scritto:
                                                                                                       R.I.P
                                                                      Eloise Annabelle & William Charles Davis
                                                                             " Death is what happiness hides."
Distolse lo sguardo prima di leggere la data di morte, inspirando l'aria di desolazione del posto e stringendo i pugni.
Poté vedere i suoi genitori guardarla mentre lei cercava di abbracciarli venendo respinta e rifiutata.
-Guarda cosa sei diventata.
Disse la sua illusione con disprezzo mentre lei rincorreva con l'immaginazione i suoi genitori che si allontanano da lei, in una giornata nevosa. Correva e cercava di farsi perdonare non sapendo che cosa avesse fatto, così cadde in ginocchio e tornò alla realtà toccando il freddo terreno senza dar retta al dolore. Il suo fiato veniva trasformato da nuvolette grazie alla condensa, guardava dispiaciuta le scritte e non poté fare a meno di piangere. Questa volta piangendo le rimase un groppo in gola doloroso che le impediva quasi di respirare, il petto sobbalzava per i singhiozzi.
Ansimava addolorata sempre con gli occhi catturati dalle immagini della sua infanzia felice con i suoi genitori e Wonder. Quando giocavano nel frutteto, Lionel che la teneva stretta a sé cavalcando,  scartare i regali sotto un enorme albero di Natale. Prendersi un momento e capire cosa si prova con la parola famiglia. Ma erano momenti destinati a finire molto presto perché adesso era rimasta soltanto lei a piangere e urlare senza emettere alcun suono.
Non è ancora abbastanza questo dolore, perché è già successo, il peggio deve ancora accadere.
La vita è un incubo ad occhi aperti e gli incubi sono la verità dei sogni.




*Ho passato ore a vedermi video tributi a logan capitemi. Commentate e votate altrimenti vi crucio...*
Qua da Shinimal è tutto
Al prossimo capitolo.

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