Capitolo 19

Una notte così, impreziosita da diamanti, oro e baci, Bucky non l'avrebbe mai dimenticata. A partire dalla calma atmosfera in auto, con la musica alla radio e il vento fresco della notte a creare correnti d'aria entrando dai finestrini abbassati.
Risate perfette e impazienza, quella di due giovani innamorati che desiderano fare ogni cosa nel minor tempo possibile, anche se potrebbero pentirsene e rimanere con poco alla fine. In effetti no, Steve e Bucky non avrebbero mai esaurito nulla.

Sfrecciarono sul ponte di Brooklyn ad alta velocità, nella strada quasi completamente deserta. Erano le due di notte quando parcheggiarono l'auto in una corsia d'emergenza e si affacciarono, come due matti, a guardare giù dal ponte. Altissimo, spaventoso, illuminato non abbastanza da poter far distinguere l'altezza che portava fino all'acqua. Bucky ebbe un leggero senso di vertigine, perché quando metteva a fuoco pareva che le onde annerite si muovessero davanti al suo naso, mentre nel vedere sotto di se' con meno attenzione si immaginava una caduta lunga chilometri.
Steve gli tenne la mano, tutto il tempo. La brezza che arrivava dalle onde scompigliò i capelli a Bucky, che per evitare di farli andare tutti davanti al viso si voltò a guardare Steve. La lacrima tatuata sotto l'occhio sembrò reale, brillante come se fosse vera. Steve si sentiva santificato da quella presenza, dalla semplicissima concessione dello sguardo di Bucky.
E si vedeva lontanissimo, dallo spazio stesso. Da ognuna delle quattro lune di Giove, addirittura.
Steve sapeva che la più piccola si chiamava Europa, screziata di viola e celeste, poi c'era Io, dalle mille tonalità di azzurro, e Callisto, tutta bianca a chiazze blu. Lo poteva testimoniare anche Ganymede, la luna più grande, viola e grigia, come se fosse saggia.
Ogni angolo infinito dell'universo vedeva quanto Bucky fosse innamorato di Steve e viceversa.

Allora Bucky si era chiesto, proprio sul ponte di Brooklyn, in quel momento, nel silenzio dei loro sguardi; come faccio ad essere sicuro di amarlo? Come?
Steve gli si avvicinò, e lui già si incenerì all'effetto che il suo profumo gli scatenava.
Si rese conto che nell'incavato del suo collo avrebbe potuto morirci, crollare dissanguato nell'estasi dell'amputazione senza provare dolore. Perché il profumo di Steve sarebbe stato il suo paradiso eterno.

Sul ponte non si baciarono, si strinsero solamente in un abbraccio talmente lungo che la marea sotto di loro si alzò. Servì ad entrambi per avere un'overdose della loro essenza. Ne sarebbero rimasti intossicati per giorni interi.

Poi Steve gli baciò la fronte, portandolo nuovamente alla macchina tenendolo per mano. Ripresero il loro viaggio a notte fonda oltre il ponte. Bucky non riuscì a capire quale fosse la meta di Steve, e glielo chiese diverse volte. Quando il tatuatore si decise a rispondergli disse;
«Ti porto ad una mostra.»
«A quest'ora della notte?»
«Si.» annuì ostinato, le mani strette al volante.
«Quale galleria è aperta alle tre meno dieci della notte?» il tono di Bucky era incredulo.
«Quella di Francis Bacon, di cui guarda caso ho due biglietti.»
«E da dove saltano fuori?»
«Non ti importa saperlo, l'unica cosa di cui dovresti essere informato è che li ho presi soltanto per te.»

Bucky non fece nessun'altra domanda. Seguì Steve nei corridoi di quella mostra poco illuminata e deserta, guardandosi intorno con fare dispersivo e curioso.
Le tele di questo pittore erano davvero grandi, e impressionanti. Al contrario di Frida Kahlo, Steve non si espresse con particolari biografici sulla vita di Francis Bacon.
Le opere in questione, però, squarciarono la mente di Bucky. E per quanto fossero macabre e spaventose, con tutte quelle bocche urlanti e i colori pastosi, James trovò solamente enorme bellezza.
Fu lui a fare da guida a Steve, a camminare avanti, ed esitare minuti interi davanti alle numerose tele. Le fissava e si assopiva, pieno di stupore.
Per quanto potesse ricordare, non aveva mai visitato molti musei, ed era certo di non aver mai visto una mostra come quella.
Sotto ad un dipinto, intitolato "Two figures", c'era una didascalia che scorreva su un display. Bucky capì perché Steve lo avesse voluto portare proprio lì, a presentargli quell'altro artista.

Il punto è che Francis non aveva paure. Non aveva limiti di nessun genere. Era la personificazione di tutto ciò che c'era di vantaggioso nell'essere omosessuale e bisogna ammettere che questo di frequente dava valore e al tempo stesso un'ombra sulle nostre vite. Anche se da giovane poteva essere stato effemminato, si trattava dell'effemminatezza del cuoio. Nonostante il suo esagerato manierismo, nessuno lo chiamò mai finocchio. Si muoveva da solo, lungo la sua personale scia di caos calcolato, e la sua omosessualità era una componente irreversibile sia della sua vita sia della sua arte.

Bucky alzò lo sguardo, quando smise di leggere. Puntò gli occhi sul dipinto e perse il fiato. Steve accanto a lui era il tocco di perfetta armonia che la sua mente cercava. Aveva visto già la maggior parte delle tele esposte, ma senza esitare o essere troppo avventato disse:
«È questo.»
«Cosa?» domandò Steve, a voce bassa.
«Il mio quadro preferito.»

Lo sfondo era una stanza, e la stanza era tutta nera con sottili pennellate bianche, trasparenti, che fungevano da ombre di fantasmi che davano profondità alle pareti. E al centro un letto, orizzontale, disfatto e bianco, caotico. Su di esso due figure, apparentemente due uomini. Nudi e dal viso astratto, sfocato. Uno sdraiato su di un fianco sotto al secondo, piegato su questo in una posizione che richiamava ad un atto sessuale.
I corpi erano tinti di viola chiaro, come i lividi sulla spalla di Bucky.
Erano due uomini che facevano l'amore e l'unica cosa che sembrava censurata erano le loro identità.

«Ero sicuro che ti avrebbe colpito.» gli disse Steve, avvicinandosi al suo orecchio. Rimanendo ancora lì davanti, Bucky fu in grado di guardarsi intorno e notare qualcos'altro. Lo indicò con l'incide sinistro, guidando lo sguardo di Steve.
«E quelli?» chiese, sorpreso e angosciato.
Rogers capì a cosa si riferisse, percependo il senso di paura che quelle figure gli trasmettevano ogni volta che le vedeva; «Three studies for figures at the base of a crucifixion. Forse i quadri più famosi di Bacon.»
Avvicinandosi distinsero meglio le cornici dorate in cui erano poste le tele. Tre quadri collocati uno accanto all'altro, tutti dallo sfondo rosso. Quello di sinistra, però, aveva qualche traccia di marrone sparsa come per imbrattare il resto. Non erano sagome umane, e nemmeno animali. Figure raccapriccianti, posti su tre piedi e cavalletti. Grigi, tozzi, fasciati e con bocche terribilmente oscene.
L'ultima, con il corpo rimise a quello di un animale, sorretta da una sola, magra e appuntita zampa, con il collo lungo e teso in avanti, un solo orecchio e una bocca enorme spalancata in un urlo mostruoso, fece sorridere Bucky.
«E questo, invece,» iniziò, attirando l'attenzione di Steve «questo è il mio dolore. Gridano tutti qui dentro, e mi sembra di riuscirli a sentire solamente io.»

La cosa più romantica di quella nottata fu la visita al museo, molto più intensa e intima del sesso stesso. Pensarono entrambi a questo, durante il tragitto in macchina per andare a casa, da Steve. Scoppiarono a ridere con complicità, scherzando su esilaranti posizioni e imprevisti bizzarri, canzonandosi l'un l'altro "spero tu abbia i preservativi!" oppure "sei in astinenza da un bel po', non è così?"
Invece di aver il magone addosso, ed un senso di malinconia e inquietudine alla vista di tutti quei quadri Bucky si sentì affascinato e libero in una maniera tale da alterare in maniera visibile il suo umore. Le cose stavano andando di bene in meglio e lui non c'era abituato per niente.

Quando si ritirarono nell'appartamento, però, tutto quel fremito e i progetti fatti con eclatante desiderio rimasero alienati nelle loro occhiate.
Tesi e tremanti, si resero conto di essere nervosi come due ragazzini ancora vergini.
Un conto era parlare e scherzare con leggerezza su un argomento ripetitivo come quello del sesso, un altro era mettere in atto quell'atto così fisico e personale.
Accecati dalla luce accesa da Steve i suoi due pappagalli emisero un cinguettio coatto, quasi fossero nervosi del fatto che quel chiasso a tarda ora avesse disturbato il loro sonno.
Fu Steve il più coraggioso, da bravo padrone di casa, portò Bucky in camera da letto senza dargli la vera e propria sensazione di voler arrivare ad un unico scopo. In verità, tesi per com'erano, continuando in quel modo non avrebbero realizzato granché.
Invece di ingigantire il suo nervosismo entrando in quella camera così privata, Bucky riuscì a trovare la prima porzione della calma semplicemente assopendosi con il profumo di Steve che riempiva ogni angolo delle pareti.
Si sedette ai piedi del letto, con le mani incrociate simili ad un segno di preghiera, tra le gambe aperte. Seguì Steve con lo sguardo, che sistemò le imposte delle finestre e qualche oggetto in disordine che in fondo non lo era, trovandone una scusa per stare in movimento e smaniare.
Non pensarono di essere ridicoli, ma lo stupore prese il sopravvento nel rendersi conto di quanto impacciati fossero in quel momento. Erano grandi e maturi, cosa gli stava prendendo?
E non era il fatto di non sentirsi pronti, di non voler fare l'amore, al contrario; era il desiderarlo così tanto a fargli avere timore di sciuparsi.

Steve si sedette vicino a Bucky, con un piccolo grinder trasparente. Lo ruotò in senso orario per sbriciolare meglio l'erba contenuta al suo interno. La dispose ordinatamente sulla cartina opaca e sistemò con cura il filtrino bianco. Leccò velocemente la carta, impaziente di portarsela sulle labbra per poterla fumare.
L'odore delle sigarette nauseava Bucky, il tabacco puzzava tremendamente, e gli ricordava malvolentieri il vizio di Brock. Invece il fumo dello spinello -ognuno che fumava Steve- profumava pungentemente, come se lo stesse tentando.

Già al terzo tiro l'umore di Steve migliorò notevolmente. Si rilassò con il corpo seduto comodamente sul materasso, socchiudendo gli occhi e portando la testa indietro per buttare fuori il fumo dalla bocca.
Bucky sorrise, trovandolo dolcissimo e buffo.

«Posso?» gli chiese, allungando la mano destra verso lo spinello.
La faccia di Steve lo fece ridere ancor di più per lo shock della sua domanda.
«Un tiro? Con le medicine che prendi?» si preoccupò.
«Non morirò di certo per una volta, sta tranquillo.» Bucky lo rassicurò, prendendogli dalle dita la sigaretta quasi giunta a metà.
Inspirò a fondo riempiendosi i polmoni di fumo dal retrogusto pungente, tossendo quando gli ultimi residui di vapore gli uscirono dalle narici. Rise, fiero di essere in una qualche maniera strafottente.

«Sicuro che non ti accadrà nulla, vero?» continuò Steve, gli occhi stanchi a quell'ora tarda dopo una notte movimentata come quella.
Bucky annuì, sorridendo amorevolmente. Prese un secondo tiro d'erba e tenne il fumo in gola. Si attaccò senza rimorsi alla bocca di Steve, mescolando ad un bacio lo scambio di sballo così rassicurante.
Fu una reazione a catena, da quel momento in poi. Un bacio lunghissimo, forse più di dieci minuti, anche se contare il tempo era l'ultima delle loro priorità.
E le carezze furono così magiche da togliere dai loro corpi ogni peso.
Bucky reagì d'istinto, accavallandosi sul bacino di Steve. Il più grande, continuandolo a baciare, assecondò quei suoi primi e deboli movimenti ad istigare un galoppo, osando toccargli le cosce e il sedere, scendendo di sfuggita fino all'interno coscia.
Poi però, quel momento di estrema foga si arrestò improvvisamente. Sospesi i baci e le lingue, la barba ruvida sui loro visi, le mani ad accarezzare tutta la schiena e le spalle, e il bacino a muoversi vertiginosamente in una simulazione di sesso nudo e crudo.
Fu Bucky a fermarsi, perché si distrasse a pensare se fosse più opportuno sfilarsi la maglia o meno.
Eppure doveva farlo, se davvero voleva fare l'amore con Steve. L'amore si fa senza vestiti, non sarebbe riuscito ad immaginare una cosa simile con indosso qualcosa per nascondere quel braccio.
La colpa era sempre sua.
Si innervosì perché non riuscì a trovare un modo veloce per mordersi qualunque parte del braccio.

Steve gli prese il viso tra le mani, quasi a costringerlo a non tenere la testa bassa per la frustrazione.
Bucky aveva fatto appena due tiri da quello spinello ormai spento e già si sentiva in uno stato difficile per lui da controllare.
«Buck.» Steve lo chiamò, autoritario e comprensivo.
James si morse il labbro, gli occhi lucidi e arrossati iniettati di collera.
«Non sei costretto a far nulla che tu non voglia fare.» disse Steve.
«Faccio ciò che sento, non credi?» rispose con una domanda amareggiata.
«Certo.»

Sostarono nel loro silenzio e si guardarono negli occhi. In fondo non avevano bisogno di spiegare troppi drammi con le parole. Steve aveva capito ogni cosa.
Gli accarezzò i capelli castani, sorridendogli con attenta leggerezza. Bucky lasciò le mani lungo i propri fianchi, lontani da ogni cosa.

«Scusa, ma è tutto un fottuto casino...cioè...» mormorò Bucky.
«Lo so, lo so.» Steve rispose con tono calmo e dolce.
«Non è solo la storia del braccio! Almeno, è soprattutto per quello, ma non riesco a smettere di pensare.» si portò i palmi delle mani alle tempie per alleviare il pulsare alla testa.
«A cosa?» domandò Rogers.
James si bagnò le labbra aggrottando le sopracciglia. Si convinse che se non avesse fumato quell'erba non avrebbe mai avuto il coraggio di dire una cosa simile.

«Al mio ex.» finalmente trovò una scusa per portare il polso alla bocca, per mascherare un singhiozzo. Lo morse forte, appena uno strato superficiale di pelle che tirò quasi fosse elastica. Steve, con disinvoltura, riaccompagnò quel braccio al proprio posto facendo smettere Bucky di mordersi.
Quel gesto spiazzò James, che iniziò a tremare.
«Non devi pensarlo se non conta più nulla. È ancora importante per te?»
«No! Cristo...» imprecò. Le lacrime iniziarono a scendere sul suo viso, maledicendosi di aver rovinato ogni cosa. Ma ciò che più li lasciò convinti di quell'amore invisibile fu il fatto di rimanere uno sopra l'altro, senza sentire il bisogno di allontanarsi.

«Ti hanno raccontato qualcosa su di lui?» chiese, notando lo smarrimento nello sguardo di Steve. Era evidente che non sapeva nulla.
In risposta lui scosse la testa; «Perché, cosa dovrei sapere?»
«È morto.»
Silenzio, forse era stato troppo cruento a dirlo in quel modo.
«È stato il mio primo e unico ragazzo. Ma era violento, e non avendo un posto in cui andare ho vissuto con lui. Lui che era troppo manesco e aggressivo.»
«Stai scherzando, vero?» gli occhi di Steve erano un oceano in tempesta, sfumati in un azzurro pieno di rabbia, incredulità e dolore.
Gli prese la vita con parsimoniosa delicatezza, per sentirlo tutto suo.

«È tutto vero.» il tono di James assunse qualcosa di macabro e rancoroso; «Abbiamo avuto un incidente in auto, in cui lui ha perso la vita.»
«Cazzo, non avrei dovuto coinvolgerti in un contesto simile.» Steve fece per alzarsi e mettere Bucky più a proprio agio, ma questo non gli diede possibilità di sbarazzarsi di lui.
«No, non pensarlo nemmeno. Per me c'è stato solamente lui per anni, anche se a pensarci bene non credo di averlo mia amato. Ero solo e non aveva niente, e lui è stato l'unico affetto importante che mi ha reso parte della sua vita. Ma io sono stato troppo stupido, mi sono lasciato sottomettere. Non ho molti bei ricordi del sesso con lui, e non voglio assolutamente paragonarlo a te, perché tu sei oro in confronto a lui, pace alla sua fottuta anima.» Bucky assunse una posizione più sicura, toccandogli il viso barbuto e avvicinando il viso al suo; «Ma sono così malato Steve, dappertutto. E non so più come comportarmi, perché ogni cosa non mi sembra sicura.»

«Bucky tu sei morto, e lo sai già. Vivi con questa consapevolezza, ma sei morto. Morto come lo è un cadavere, ecco, esatto tu sei come uno di loro. Il tuo processo biologico si è fermato, le tue cellule si sono spente, la tua attività celebrale è ferma, tu ormai non senti più niente. Io lo capisco, anche se per gli altri sei ancora effettivamente vivo, benché respiro, cammini, osservi, ascolti, ti nutri; io però riesco a guardare meglio. Perché ti vedo che sei morto amore mio, tu lo sai, io anche, allora che ne dici di esserlo insieme?» e fu Steve.
Bucky scosse il capo; «Mi avevi detto che avresti cercato di consolarmi.»
«Esatto, ma per farlo devo diventare come te. Morti ma circondati da fiori, fino a che non riesco a farti resuscitare.»
«Mi hai chiamato amore mio.» bisbigliò Bucky, il cuore che correva velocissimo.
«Perché è quello che sei per me.»

James lo baciò, prendere l'iniziativa di farlo era la cosa che di più preferiva al mondo. Steve lo strinse fortissimo tra le braccia.
«Basta dolore, almeno per un po'.» gli disse Steve, respirandogli sulla bocca.
«E cosa vorresti fare?» domandò il moro, aggrappato alle sue spalle.
Steve sorrise con moderato divertimento, baciandolo a stampo sulle labbra per poi rispondergli; «L'amore, fino a quando non guarisci.»

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