Aoristo, chi era costui?

A confronto, l'imperfetto sembra una banalità incredibile. Eppure mi ricordo che per impararlo bene facevo le flessioni e recitavo l'imperfetto medio di βάλλω. Ma fin lì nulla di male. La cosa carina fu la comparsa, nella mia vita da adolescente, di questo tempo chiamato aoristo. Sbam, da un giorno all'altro entra nella tua vita e non puoi farci niente. È un po' particolare... Può essere debole, forte, fortissimo, sigmatico, cappatico e via discorrendo.
Da quel giorno mi si aprì un mondo. Oh Dio, quale mondo mi si aprì innanzi! Il mondo che il greco aveva tentato di mostrarmi fino a quel momento appariva del tutto chiarificato, come un vetro appannato che viene pulito improvvisamente da un potentissimo straccio. Ecco cosa è stato l'aoristo per me. La porta per comprendere l'azione del tempo, corrosiva e impetuosa, irreversibile come l'azione di un archeologo. Improvvisamente capivo la differenza tra un istante e un atto duraturo. Mia nonna mi diceva: «si usa l'imperfetto quando si dice che si stava saltando, perchè l'azione poteva esser continuata, ma quando dici che saltasti dalla finestra, ti sembra di poter ripetere l'azione? No, salti una sola volta e poi non puoi farlo più. Ecco, questo è il caso in cui usi l'aoristo.». Un'immagine più puntuativa di quella, chi avrebbe potuto immaginarla?
L'aoristo poi non mi ha più lasciata, e tante volte ho sbagliato nel tradurlo quante l'ho profondamente amato per esser stato la chiave chiarificatrice di quel mondo a me prima oscuro.

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