XXXVII - Dal diario di Lorenzo - dopo la finale
Inviai il vocale a Giulio. Non attendevo una risposta.
Ora che strada potevo imboccare? Cosa pensavo poco prima? Che quella era la mia ultima notte da divinità. Allora potevo fare davvero quello che mi pareva. Ma cosa? Ero vuoto. E quei maledetti semafori torinesi che ogni volta prendevo rossi mi costringevano a pensare.
Al quarto rosso, invece d’innervosirmi, chissà perché, mi guardai intorno. Ero circondato da palazzi alti, ero quasi in periferia. Alla mia destra era tutto silenzioso, passò un rider in bicicletta a tutta velocità. A sinistra invece c’era gente in giardino, fra cui dei bambini. Controllai l’ora: sì, erano davvero le 2 di notte e questi continuavano a fare baldoria. Ma certo, il giorno dopo c’era il ponte e i ragazzini non sarebbero andati a scuola.
All’inizio credevo che si trattasse di un compleanno, poi mi accorsi che erano dei tifosi, almeno due famiglie si erano riunite per celebrare la vittoria della Juventus. I bambini giocavano fra loro.
Uno invece, quello più vicino al marciapiede e a me, era da solo, palleggiava con la palla nell’oscurità. Eppure non si faceva ingannare dalle ombre notturne, era davvero molto bravo. Aveva un cane che gironzolava, scodinzolando ai suoi piedi. Potevo essere io. Il fatto che sulla sua maglia ci fosse scritto STROZZI 19 non doveva essere un caso. Alla fine qualcosa di buono potevo ancora fare. Per gli altri, ma soprattutto per me.
Il semaforo era diventato verde, ma io da lì non volevo andarmene più: ”Dirk, ti va di fare nuove amicizie?” chiesi al barboncino. Accostai, scesi dall’auto e urlai: ”Hey, Lorenzo Strozzi! Sei fortissimo! Qui si può parcheggiare?”
Lui si voltò. Grazie bambino. Grazie davvero. Per la tua espressione. Impossibile descriverla in una riga. Io per te ero ancora qualcuno. E tu lo eri diventato per me. Forse ero ancora sotto effetto del doping se avevo avuto le energie per fermarmi a giocare con te, o forse volevo solo ritrovare me stesso facendo ciò che amavo. Eppure in quel momento andava tutto bene. E stavolta per davvero.
“Che bel gesto!” esclamai appena finita la lettura, ma mi rabbuiai subito: quel quartiere periferico. Quei quattro semafori. Quel rider. Quel giardino. No, non poteva essere solo una coincidenza.
”Cosa ti succede?” chiese lui premuroso vedendomi persa fra i miei pensieri inquietanti.
“Lorenzo, io… Io ho visto quel rider che descrivi tu, quelle vie, quei palazzoni! Ero capitata in quelle vie ed ero convinta, senza saperlo, che le avessi percorse anche tu!!” esclamai sparando le parole come uscivano, ero troppo spaventata per cercare di dar loro un senso logico.
Lorenzo invece era tranquillissimo, mi sorrise: “Siamo fratelli, no? Penso che cose come queste possano accadere fra noi.”
Sorrisi anch’io, mi aveva tranquillizzata. Era assurdo, doveva essere lacerato dentro di sé eppure riusciva a trasmettermi serenità. Decisi di cambiare discorso.
“Hai fatto felice quel bambino, sei stato proprio bravo.” mi complimentai “ Dunque? Qual è l’idea di cui mi parlavi?
Lui mi sorrise a labbra serrate un po’ impacciato, grattandosi la nuca con la mano che non aveva più sulla mia pancia.
“Ecco… Quello è stato l’unico momento in cui è andato davvero tutto bene. Con quel bambino, a quell’ora impossibile, in quel luogo in cui mai avrei pensato di capitare. Vittoria, ho capito che io dovrò fare questo nella vita: giocare a calcio con i bambini. Forse, dopotutto, sono sempre rimasto un Peter Pan infelice, ma diventavo ancora più triste fingendo di comportarmi da adulto. Io voglio andare a giocare nei campetti di tutta Italia, tornare a fare quello che facevo da piccolo. Voglio fondare una scuola di calcio, non voglio ricordare nulla del mio passato, non era quella la vita che volevo. Dovrò trovare il modo di cambiare la mia identità perché tutti credono che io sia morto, e questa cosa dovrà rimanere così. Però sai, di una cosa sono convinto…” specchiandomi nei suoi occhi mi accorsi che ce li aveva lucidi. “ Sono convinto che, se dirò ai bambini di essere stato un campione, loro mi crederanno. Perché loro vivono nell’Isola che Non C’è.”
Cavoli, stava facendo commuovere anche me! Mi pulii fugacemente l’occhio destro mentre lui, avvicinandosi sempre di più a me, mi faceva la proposta che mi avrebbe cambiato la vita.
“Però da solo sarebbe noioso: vuoi venire con me?”
C’era anche da chiederlo?
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