Un ultimo colpo

Sono morti! Sono tutti morti! Dio mio...

Sento il battito del mio cuore, forte ed esplosivo.

Sento il respiro affannoso rimbombarmi nelle orecchie ovattate. È come se fossi immerso in un silenzio surreale. Colpi ed esplosioni sembrano appartenere a un mondo lontano.

Sono morti. Sono tutti morti.

Me lo ripeto in testa come un mantra. Non ci credo, non ci posso credere. È un incubo, solo un terribile incubo. Stava procedendo tutto bene, poi...

Mio Dio.

Ho sentito un fortissimo e improvviso fischio nelle orecchie. Poi nulla.

Quando ho riaperto gli occhi, mi sono trovato disteso a terra col viso nella sabbia. Ero immerso nel calore del giallo della sabbia sollevata dal vento, i miei occhi bruciavano per il rosso crepitante delle fiamme, vivace e acceso, in forte contrasto con il nero fitto del fumo. Ho spostato lo sguardo poco più lontano, davanti a me, e il mio stomaco si è subito ribellato alla visione della gamba che mi sono trovato davanti agli occhi. Era una gamba, solo una gamba, senza nessun corpo.

Sono un soldato, sono un sergente, ma a certe cose non ci si abitua mai. Non ci si può abituare alla morte, non a questa morte.

Sono scattato indietro, alzandomi troppo in fretta, tanto da barcollare. Ero come stordito. Mi sono guardato intorno con l'angoscia nel cuore, lo stomaco stretto in una morsa di puro terrore. Ho cercato con lo sguardo, ansioso e attento, nonostante la vista offuscata, ma dei miei compagni ho riconosciuto solo brandelli e sullo sfondo ho visto la carcassa della nostra Jeep ancora avvolta dalle fiamme.

Non posso crederci. Sono salvo solo grazie all'amore folle per il cibo troppo piccante che il mio intestino sembra non voler proprio tollerare. Ho esagerato ieri sera, durante i festeggiamenti per l'ultima missione portata a termine e una fitta alla pancia mi ha fatto scendere dalla Jeep giusto in tempo per salvare la pelle. Oh, quanto mi hanno preso per il culo i ragazzi quando ho chiesto loro di fermarsi, perché avevo bisogno di "correre". Così, l'ultima immagine che ho impressa prima del buio, sono i loro volti, sorridenti e pieni di vita, quando mi sono girato indietro per mandarli a quel paese allontanandomi dalla Jeep.

I ragazzi. I miei ragazzi.

Ho visto i loro corpi a pezzi. Quei bastardi li hanno ridotti in brandelli. Erano soldati, ma erano anche padri, fratelli, figli, mariti, fidanzati.

Sono l'unico sopravvissuto della mia pattuglia, rintanato come un topo impaurito tra le rovine di questa città che ormai non vanta che qualche brandello di muro. Mi guardo le mani doloranti a causa di tanti piccoli tagli, sporche di terra e di sangue. Mi tremano e non so se sia solo per il dolore.

Li ho visti morire. Cazzo, li ho visti morire tutti.

Resto solo io, sono salvo, ma senza mezzi per poter fuggire da qui e i militanti dell'ISIS sono ancora in zona. Non posso rischiare di finire loro prigioniero, non DEVO finire loro prigioniero. Essere catturato... no, non posso nemmeno pensarci. L'anoscopia che mi convinsero a fare anni fa, in quel periodo in cui ero perennemente costipato, diventa un ricordo quasi piacevole rispetto alla prospettiva di cosa mi potrebbe capitare nelle loro mani. Credo che l'idea di farsi ficcare un tubo su per il culo sia decisamente più invitante di tutto quello che mi aspetterebbe se riuscissero a catturarmi.

Con mani tremanti, prendo la mia fedelissima Desert Eagle dalla fondina. La osservo, la sfioro. Sento il freddo del metallo sulle dita. Ricordo quei colpi al tirassegno quando mio padre mi insegnò a sparare. Ha un valore inestimabile per me, non me ne separo da quando lui...

Un colpo. Solo un colpo e sarà tutto finito. Mike ce la puoi fare.

Ce la posso fare.

Un colpo. Basta premere il grilletto una sola volta per non finire nelle mani di quei maledetti, è molto meglio la morte. E quante volte hai già premuto il grilletto, eh, Mike? Premilo ancora. Un colpo non è nulla, è una fine rapida e dignitosa. Esattamente l'opposto di quello che ti aspetta se dovessi essere catturato.

Sento già il freddo della canna sulla tempia.

Forza, premi quel grilletto, stupido sergente codardo! Spara, Cristo!

DRIIIIIIN

«Cazzo!»

Sobbalzo dalla sorpresa e mi lascio sfuggire l'arma dalle mani. Cerco in fretta nelle tasche per spegnere quel maledetto coso, bestemmiando ripetutamente a bassa voce. Strano, non porto mai il telefono in missione, come diavolo c'è finito nella divisa?

Sto per mettere giù quando leggo il nome sul display crepato. Meg. La mia Meg. Forse è l'ultima occasione che ho di sentire la sua voce. Tanto, ormai sono comunque fottuto. Decido di sentirla per l'ultima volta, voglio salutarla, voglio che sappia quanto la amo.

Premo il tasto verde dello schermo. Incredibilmente, sembra funzionare.

«Buon San Valentino, amore!»

La sua voce è calda e squillante, vivace, come sempre. In contrasto con il mio animo e il tremore che sento nel corpo e nella mente. Cerco di prendere un respiro, di sembrare tranquillo. Lo faccio per lei, per non farla preoccupare, tanto non cambierebbe nulla, non cambierebbe l'esito di questa storia.

«Buon San Valentino anche a te, piccola.»

Quasi non mi accorgo delle lacrime che mi riempiono gli occhi. Le ricaccio indietro, sono un sergente tutto d'un pezzo, vado in missione, uccido, non posso certo mettermi a piangere per così poco. Certo, ma lei non è "poco". Lei è il mio mondo. Non mi ero reso conto di quanto potesse essere difficile doverla salutare, doverla lasciar andare.

«Mi sto preparando per uscire, vado a pranzo con Sandy in quel bar in cui mi hai portato per il nostro primo appuntamento, così mi ricorderà di te.»

La sento armeggiare in casa mentre parla.

«Che bella idea. Senti, Meg...»

«Porca miseria, ho finito gli assorbenti interni! E ora come faccio?»

Ecco, le donne e le loro preoccupazioni, piccole ma che acquistano dimensioni titaniche ai loro occhi. Però mi strappa un sorriso. Io sono qui, negli ultimi istanti della mia vita, e lei, dall'altra parte del mondo, è preoccupata per le solite piccole cose di tutti i giorni.

«Non puoi aspettare fino a domani?»

«Ma no! Come faccio ad aspettare? Mi servono ora! Cavolo!»

«La vicina?»

«Chi? La vecchia? Figurati, quella è in menopausa!»

«No, dico Lucy o, come si chiama? Dai, la bionda del palazzo di fronte, quella che hai incontrato in palestra.»

«Ah, Lucile! Giusto! Dopo provo da lei! Come farei senza di te?»

Sospiro. Già. Come farai... farai che sei forte, più forte di quello che credi. Sei indipendente, sei ottimista e piena di vita. Andrai avanti, ci vorrà del tempo, ma potrai ricominciare, amare di nuovo, potrai continuare a vivere e avere dei figli con un uomo che non sarò io, ma non mi importa, perché so che starai bene.

«Mike?»

«Sì, scusa, sono qui.»

«Che succede?»

«Niente, tesoro.»

Vorrei dirle tutto quello che penso, vorrei... ma non posso. Non voglio. Sa quanto la amo, non ho mancato una partenza senza ripeterglielo mille volte. Ogni nuovo viaggio può essere l'ultimo. E voglio che sia serena.

«Sei in pericolo.»

«Ma no, tesoro, non ti preoccupare. Va tutto bene.»

Quanto è dura, quanto è difficile cacciare giù questo groppo in gola, quanto mi fa male sentire la sua voce preoccupata.

Sento una goccia scendermi lungo il collo. Sudore di paura, anche perché tremo dal freddo, accucciato tra le rovine. Armeggio con il terreno e raccolgo la mia pistola. La stringo tra le dita.

«Ma, cos'è allora questo frastuono?»

«Non è niente, tesoro, sono i ragazzi che stanno facendo casino di fuori. Sai, ieri abbiamo superato un raid difficile e stanno festeggiando.»

«Okey.»

Non pare convinta. Riprendo la parola. Non so quanto tempo mi resta, sento movimento attorno a me. Potrebbero trovarmi da un momento all'altro. Devo dirle quanto la amo, devo riuscire a mettere giù.

«Ti amo, cucciola. Oggi, come quattro anni fa. Oggi, come il primo giorno.»

«Anche io ti amo. Ma, Mike, mi stai spaventando.»

«Ma no, amore, davvero. È solo che... è San Valentino, e tu sei troppo lontana da me.»

Butto indietro la testa, poggiandola al muro di mattoni sbriciolati dietro di me, sbriciolati come si sta sgretolando il mio cuore. Questa volta le lacrime non le trattengo più. Ma sì, va bene così: sono un sergente, ma sto dicendo addio alla donna della mia vita.

Stringo la pistola tra le mani, penso a lei e a quello che sto per fare, penso a lei senza di me, penso a lei quando riceverà la notizia della mia morte, ai suoi bellissimi occhi castani che urleranno di dolore, che mi odieranno per non averle detto la verità in quello stramaledetto ultimo San Valentino.

Resta in silenzio per un po' mentre mi perdo nei miei pensieri.

«Hai il fiatone.»

«Ho appena finito un'esercitazione, vedrai che ora passa.»

Mi si stringe il cuore a continuare a mentirle così. Cerco di calmarmi. Cerco di riportare il respiro alla regolarità.

«Mike, se fossi in pericolo, davvero... me lo diresti?»

«Certo amore, quando mai ti ho tenuto nascosto qualcosa?»

Lo faccio per lei, lo sto facendo per lei, ma mi sto odiando. Sono certo sia la cosa giusta?

«Io lo vorrei sapere, voglio sapere se ti devo salutare.» Sento la sua voce rompersi sulle ultime parole. Ma voglio che il suo ultimo ricordo di me sia sereno, voglio che sia un sogno da ricordare, da ripassare nella memoria ancora e ancora, non un incubo da dimenticare.

«Ci salutiamo ogni volta che parto, perché questa è la vita del soldato. E ogni volta non sappiamo se potremo riabbracciarci. Ogni volta è unica, ogni volta è magica, perché potrebbe essere l'ultima.»

La sento piangere dall'altra parte del mondo. La sento piangere troppo lontano da me per poterla abbracciare.

«Non piangere, tesoro. Sono sempre tornato da te. Non posso stare senza i tuoi occhi, ho bisogno di vedere il tuo bellissimo sorriso, di perdermi nel tuo sguardo. Tornerò da te anche questa volta, e tutte le successive. Non ti abbandonerò mai, sarò sempre con te. Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata nella vita e abbiamo ancora tanti San Valentino da festeggiare insieme.»

«Ti amo, sergente.»

«Ti amo, koalino.»

La sento ridere, una risata tra le lacrime. Il soprannome con cui amorevolmente la prendo in giro per essere particolarmente affettuosa nei miei confronti, per essere un koala al mio ritorno da ogni missione, quasi impossibile staccarsela di dosso.

«Dai, Sandy ti starà aspettando. Ricordi cosa devi ordinare?»

«Certo, non potrei mai dimenticarlo. Ci vediamo presto, vero?»

«Sì, presto. Ciao, tesoro.»

«Ciao, amore mio.»

Il suo ultimo saluto è un sussurro lieve. Riaggancio, anche se, per riuscirci, devo fare uno sforzo sovrumano. Mi fermo ancora un secondo a guardare la sua immagine sullo schermo. Mamma mia, quanto è bella. A volte mi sembra di dimenticarlo.

Torno alla realtà, come se fossi rimasto estraniato in quella telefonata, come se per un attimo fossi davvero dall'altra parte del mondo con lei. Sento il rumore dei mezzi, ma in lontananza. Respiro affannosamente con la schiena appoggiata a quel muretto, restando all'erta e in ascolto. Stringo la pistola con entrambe le mani.

Poi, silenzio. Un silenzio quasi surreale. Mi sembra di sentire solo il crepitare degli incendi e il suono del vento che, gelido, mi sferza il viso, probabilmente ustionato. Lo sento pungere.

Temporeggio ancora un attimo nel mio nascondiglio, incredulo.

Cazzo, cazzo, cazzo, sono salvo! Non ci posso credere. Oh, mio Dio. Meg mi ha salvato la vita. La mia Meg, la mia ancora di salvezza, il mio punto fermo, il mio koala. Potrò stringerla ancora una volta, potrò di nuovo vedere quegli occhioni commossi al mio ritorno.

Piango, piango come un bambino. Non mi importa se sono un soldato, o se sono addirittura un sergente. Voglio piangere, perché so che posso tornare a casa. Posso tornare da lei.

Devo fare uno sforzo sovrumano per alzarmi in piedi. Le gambe mi fanno male, come se fossero ferme da mesi. Riesco a muoverle e, lentamente, esco dal mio nascondiglio. Guardo il vicolo, è deserto. Intorno a me, ancora silenzio.

Ce l'ho fatta. Non mi pare vero.

Ora devo solo trovare il modo di tornare alla base.

Proseguo, i miei passi sono tremanti e instabili, avanzo tra le rovine e la polvere. Acquisto sicurezza e, con essa, aumento velocità. Mi accorgo di avere ancora la Desert Eagle in mano. La osservo e sospirando comincio a riporla nella fondina.

«يا انت» (ehi, tu)

Un soldato appare davanti alla mia visuale. Entra nel vicolo, mi corre incontro. Si ferma, quasi interdetto. Mi guarda. Lo sento urlare qualcosa in arabo, incomprensibile. Riconosco la sua divisa e sento uno scalpiccio di passi in avvicinamento. Altri soldati girano l'angolo. Me li trovo davanti, con le armi puntate verso di me. Cazzo, sono troppi.

Non ci penso un istante.

La mia Desert Eagle mi sarà fedele per l'ultima volta.

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NOTA:

E anche questa volta abbiamo armi che non si usano in guerra e sergenti che vanno in missione col telefonino in tasca... ma va tutto bene! Basta aggirare il problema, no? Vero @DomenicoNigro5 ?! 😂

Grazie comunque per la traccia, molto nelle mie corde! E "grazie" (rigorosamente tra virgolette anche questa volta) @Team_noir per le frecce di Cupido obbligatorie 😨😱😰 

PROMPT:

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