CAPITOLO VII

Tutti si stavano preparando per andare a vedere i fuochi d'artificio, ma il bel momento fu rovinato da mio padre.

– Mi spiace, abbiamo un problema. –

– Ovvero? – chiese Sydney.

– Sembrerebbe che la macchina non parta, ho appena chiamato il signor Carl per chiedergli quando posso portargli la macchina e mi ha risposto di passare direttamente domani mattina. –

Alla fine della discussione, l'esito fu negativo: la macchina non partiva e i fuochi furono rimandati direttamente al quattro luglio. Stavo iniziando ad odiare quel weekend.

La notte, Jackson, era ancora visibilmente turbato.

Continuava a guardare fuori dalla finestra, Dio solo sa quanto avrei voluto leggergli la mente.

Non avendo poteri paranormali optai per le domande.

– Tutto bene?

– Uh? Come scusa? –

– Stavi piangendo? –

– No, no, mi è solo... mi è solo andato qualcosa nell'occhio e quindi...–

Si notava lontano un miglio che stava mentendo; ormai Jackson era in mia compagnia da nove mesi e in quei frangenti, mi sentii libera di comportarmi come avrebbe fatto una vera amica.

– Jackson, guardami... avanti dimmi a che pensi? –

– Nulla, penso a cose banali. –

– Vivi nel mio stesso tetto da 9 mesi, credi davvero che ci possa credere? –

– Penso solo a quel giorno. –

– Il giorno del suicidio? –

In quel momento vidi Jackson sospirare, non era facile per lui parlarne.

– Sì, penso proprio a quel giorno. –

– Racconta, magari parlarne può aiutarti a sfogarti. –

– Non mi va, davvero. È tardi, domani mattina dobbiamo passare da mia madre a chiederle se viene con noi per il 4 luglio. –

Rimasi in silenzio per poi annuire, non volli insistere: Jackson si alzò dalla scrivania, dove era solito sedersi la notte per guardare le stelle e la luna.

Salì sopra l'armadio per sdraiarsi, lui dormiva sempre lì perché sapeva quanto mi potesse imbarazzare averlo nel letto, ma per quella notte, visto il suo stato d'animo decisi di mettere da parte l'imbarazzo.

– Jackson, vieni qui nel letto, magari sei più comodo. –

– Sto bene qui, grazie lo stesso. –

– Dai finiscila, vieni qui. –

– Ho detto di no, come devo fartelo capire? –

Ci rimasi un po' male nel vedere rifiutata la mia proposta, infondo, volevo essere solo gentile nei suoi confronti: mi girai dall'altra parte mettendomi in posizione fetale e provai a dormirci su.

La mattina successiva mi svegliai nella maniera peggiore, quel maledetto di Jackson amava svegliarmi nei modi più assurdi, di fatti mi urlò – Buongiorno!!! – mentre mi scaraventò un bicchiere d'acqua in pieno volto.

– Jackson, ma sei impazzito! –

– Almeno risparmi sull'acqua che utilizzi per lavarti la faccia. –

– Che ridi a fare!? –

– Dai sbrigati, ho sprecato molte energie solo per prepararti la colazione. –

– Almeno hai fatto qualcosa di gentile...–

Mi avviai verso la cucina: ero felice, almeno per una volta non dovevo preoccuparmi della colazione. Inoltre, mamma quella mattina non c'era per le varie commissioni del trasloco.

– Beh? La colazione dov'è? – esclamai vedendo il tavolo vuoto.

– Davvero credevi che l'avessi fatta? Muoviti a cucinare che siamo in ritardo! –

Dal nervoso escogitai un modo per picchiarlo e dissi:

– Jackson, saresti almeno gentile da passarmi le uova? –

Fece l'errore di farlo, così, mentre utilizzava la sua energia per prendere le uova, lo colpii in testa con una padella

– Così impari a prenderti gioco di me! –

– Mi hai fatto male! –

– Finiscila, sei un fantasma! –

– La padella in testa fa sempre male però! –

Improvvisamente, prese un uovo e me lo tirò in fronte: rimasi paralizzata.

– Oh... cavolo.... Ahahahah! – disse Jackson scoppiando a ridere.

– Lo trovi divertente? –

– Assolutamente! –

– Bene...– dissi sorridendo in maniera vendicativa.

Mi girai verso il tavolo in cerca di un qualche oggetto per vendicarmi, così, presi la farina e gliela tirai.

– Scusa... pensavo non stessi più utilizzando l'energia... Però dai, così hai davvero l'aria di essere un fantasma. –

– Brutta stron...–

Urlai divertita e scappai in camera, lui mi iniziò a seguire con aria vendicativa e ad un certo punto mi prese con forza buttandomi sul letto.

Iniziò a farmi il solletico, ma dopo qualche minuto entrambi ci guardammo negli occhi ad un centimetro di distanza.

Dopo due secondi passati a fissarci intensamente, con il nostro fiato che colpiva le nostre labbra, ci scansammo di colpo.

Fu davvero imbarazzante.

– Bene! Ehm... su, faccio colazione e andiamo? –

– S-sì, vai vai...–

Dopo una velocissima colazione uscimmo di casa.

L'imbarazzo era ancora presente, ma entrambi, facevamo di tutto per smorzarlo in qualche modo, così iniziammo a parlare di come sarebbe stato il weekend.

Tra un discorso e l'altro arrivammo davanti casa della signora Pete e bussai alla porta.

– Allyson! Che ci fai qui? – mi accolse piacevolmente sorpresa.

– Salve signora Pete! –

– Come te lo devo dire? Chiamami Christine, così da sentirmi meno vecchia. –

– Va bene. – dissi sorridendo.

– C'è anche quella peste di mio figlio con te? –

– Ciao mamma. –

– Come mai sei tutto bianco? –

– Allyson e la farina, trai tu le conclusioni...–

– Ahahah, siete delle pesti. Che ci fate qui? –

– Siamo qui perché io e i miei genitori vorremo che venissi con noi per il weekend del quattro luglio. –

– Oh, no... Purtroppo mi sono organizzata con Mary. –

– Oh, zia Mary! Come sta? – disse Jackson.

– Sta bene, la solita sorda. –

– Certo che tra la zia Mary che è sorda e lo zio Bear che è muto, tu, ne sei uscita fortunata. –

– Potevo uscirne meglio se non avessi avuto un figlio stupido. –

– Tua mamma mi sta già simpatica, sai Jackson? –

– Alla fine, siete andati ieri a vedere i fuochi d'artificio? –

– No Christine, a mio padre si è guastata la macchina e quindi abbiamo dovuto rinviare direttamente al quattro luglio. –

Dopo qualche battuta e risate varie, andammo via, d'altronde, dovevamo tornare a casa e iniziare a mettere tutti gli oggetti personali negli scatoloni per il trasloco.

Mentre tornavamo a casa fui incuriosita dalla famiglia di Jackson e decisi di provare a conoscere qualcosa di più sul loro conto.

– E così hai una zia sorda e il marito che è muto? –

– Già, se stai provando a sapere qualcosa sulla mia famiglia sappi che caschi male, non ti dirò nulla. –

– Andiamo...–

– Facciamo un patto, se il quattro luglio, ci ritroviamo da soli senza nessuno attorno, ti dirò tutto quello che vorrai. –

– Ma è impossibile! Ci saranno mia madre, mio padre e mia sorella! –

– Appunto. – disse ridendo.

Si passò tutto il giorno a fare gli scatoloni, ero stanchissima.

Finimmo intorno alle otto di sera, proprio mentre mia madre finì di cucinare.

– Allyson! Sydney! A tavola! –

– Eccoci... Papà, hai risolto per la macchina? –

– Sì, fortunatamente non era un grosso problema, solo un po' di sporco e qualche vite avvitata male, ma per domani mattina sarà pronta. –

– Weekend del quattro luglio, yeee! – urlò Sydney.

Fu una delle poche cene in famiglia divertenti. Finalmente una bella notizia: passare il weekend tutti assieme avrebbe staccato dalla monotonia del trasloco.

Quando arrivai in camera, lui, era sempre lì, sopra la solita scrivania a guardare le solite stelle.

– Tua sorella Sydney sembra simpatica, avete un bel rapporto. – disse Jackson.

– Vale anche per te la tua regola, se ci troviamo da soli nel weekend, ti parlerò di mia sorella. –

Jackson mi fece un sorriso e poi mi fece un cenno verso il letto; era tardi, aveva ragione, la sveglia avrebbe suonato alle prime ore dell'alba.

La mattina successiva fu terribile, avevo un sonno terribile e con gli occhi semi chiusi andai verso il bagno per sciacquarmi la faccia e svegliarmi.

La colazione fu veloce, dovevamo subito salire in macchina e partire per Salt Lake City.

– Non potevamo avere una casa nel bosco più vicina a Princeton? – dissi sbadigliando.

– No, Allyson, quella casa ci è stata regalata dalla nonna, perché cercarne una a Princeton se abbiamo questa? – disse mia madre.

Sbuffai, ma me ne feci una ragione.

Ci separavano oltre 2000 miglia, ma infondo, la pazienza ne valeva la pena.

– Ehi Allyson, appena arriviamo ti va di giocare con la Play Station? – disse Sydney.

– Hai trovato la Play Station one? –

– Sì e con quella anche tutti i giochi! –

– Non vedo l'ora! Si ritorna ai vecchi tempi! –

Jackson, che fino a quel momento era rimasto in completo silenzio, alla parola "Play Station One" esclamò:

– Play Station?! Quanto ci mette tuo padre ad accelerare?! –

Sorrisi, cercando di non ridere, d'altronde, solo io potevo interagire con lui.

Mio padre salì finalmente in macchina e tutti esaltati urlammo – Salt Lake City, arriviamo!!! –

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