25 | Max- Il presente

2021, MCO

You haven't called in weeks
Haven't sent a single note
A rift between this team
The frozen earth has made its stroke


Amore e famiglia sono due concetti molto ampi, ed il bello di concetti così è che possono significare cose molto diverse per persone diverse.

O per la stessa persona, in contesti diversi.

Per quanto la gente pensi il contrario, Max non è un perfetto idiota e sa benissimo che non ha ricevuto un'educazione normale, che i metodi di suo padre sono stati quanto meno discutibili e che di alcuni momenti spiacevoli della sua infanzia è meglio non parlare con nessuno.

Questo, però, non significa che la sua non fosse una famiglia solo perché i suoi genitori non stavano più insieme, o che non avesse ricevuto amore solo perché avevano modi poco ortodossi di dimostrargliene.

Quando era piccolo Max ha imparato in fretta ad aggrapparsi alle piccole cose –i rari complimenti di suo padre dopo una vittoria, le zuppe calde di sua madre quando non si sentiva bene, i pomeriggi passati con Victoria a rincorrersi nel giardino di casa della nonna-, a considerarle preziose, a custodirle gelosamente.

E a sopportare, il resto del tempo.

Non gli è mai piaciuto immaginarsi come un martire, assecondare la narrazione che lo vorrebbe dipingere come una povera vittima dell'ego di suo padre, prevalentemente perché pensa che nessuno abbia il diritto di cancellare tutti quei momenti felici che ha difeso e protetto con tanta cura e che lo hanno mandato avanti, negli anni.

Non è il solo motivo, però. C'è anche un'altra faccenda, ben più spinosa.

Per quanto detesti ammetterlo, infatti, Max è consapevole che niente di tutto quello che ha subìto cambia il fatto che tutto quello che sa –gran parte di quello che, in fin dei conti, è-, che gli piaccia o meno, lo deve proprio a suo padre.

Non gli è grato, no- la gratitudine è un concetto difficile ed astratto che lui non è mai stato in grado di trasmettergli- ma è in debito con lui e Max sa bene che, presto o tardi, tutti i debiti devono essere saldati.


*


 L'androne delle scale è silenzioso, come sempre, ed i suoi passi rimbombano sul marmo con ritmo irregolare, vagamente trascinato. I manici in pelle del borsone gli segnano le dita e lo zaino sulla spalla sinistra pesa più di quanto ricordasse. Ha il peso del mondo addosso.

Adesso che l'effetto degli anestetici si sta esaurendo del tutto, Max si rende conto di quanto sia stato stupido e sconsiderato mettersi su un aereo poco più di ventiquattro ore dopo essere andato a schiantarsi contro le barriere a tutta velocità. Ha sempre pensato di avere una soglia del dolore piuttosto alta, ma non era mai stato coinvolto in un incidente così serio e –cazzo. Gli fa male tutto, ogni muscolo e giuntura e perfino le ossa, sul costato, dal lato sinistro, dove il bendaggio che gli hanno fatto al medical centre gli stringe forte e gli comprime gli organi interni. La testa gli pulsa, ferocemente, e il dolore gli sfoca la vista.

Le conseguenze delle sue azioni gli stanno piombando addosso tutte adesso, tutte insieme.

Sarebbe dovuto rimanere a Milton per qualche giorno per lavorare al simulatore e raccogliere un po' di dati per prepararsi al meglio all'ultima gara prima della pausa estiva: i piani erano quelli, ma i piani erano stati fatti prima che Lewis lo mandasse dritto in ospedale.

Per quanto lo riguardava, i piani potevano tranquillamente andare a farsi fottere.

Christian aveva provato a dissuaderlo dal mettersi in viaggio così presto, ricordandogli che l'appartamento a Milton era casa sua anche se non metteva piede in fabbrica, anche se voleva solo riposare un po' prima di tornare a Monaco. Si era addirittura offerto di ospitarlo a casa sua, se lo faceva stare più sereno.

Max aveva detto di no.

Aveva organizzato il volo in poche ore, la sera stessa, dopo aver discusso con suo padre.

Al suo risveglio si era fatto iniettare una dose massiccia di antidolorifici da Brad, aveva chiamato un autista che lo portasse in aeroporto e si era imbarcato. Sull'aereo aveva dormito profondamente e senza sogni, ma non si era svegliato particolarmente rinvigorito.

Che è un modo carino per dire che sta veramente da schifo.

Quando arriva alla porta giusta ­–all'interno 32, per ironia- Max inspira profondamente, affaticato, ed il dolore è talmente acuto che per un attimo deve appoggiarsi al muro per mantenersi in piedi, mentre rovista nella tasca esterna dello zaino alla ricerca del mazzo di chiavi.

Stringe il pugno attorno al portachiavi incastonato che Kelly gli aveva regalato l'anno prima per Sinterklaas e viene attraversato da un tipo completamente diverso di dolore. Più subdolo, reticente. Uno che ha bisogno di tutt'altro tipo di medicina per essere sedato.

Magari potrebbe regalarsi una bottiglia di William Laroue Weller per festeggiare l'aver salvato, miracolosamente, la sua miserabile vita.

Si odia un po' per il pensiero, Max non è uno che si piange addosso.

Forse, probabilmente, una doccia gelata sarà sufficiente.

Infila la chiave nella toppa e la sua fronte si aggrotta quando si rende conto che non incontra alcuna resistenza e, quando fa per girare, la porta si spalanca immediatamente. Deve ricordarsi di dire alla sua nuova domestica di chiudere sempre a doppia mandata. Di solito non è particolarmente paranoico, ma dopo la scorsa estate, quando dei ladri hanno fatto irruzione in casa di Pierre, ha iniziato a fare molta più attenzione.

Molte persone sanno dove vive, dopo tutto.

Max si chiude la porta alle spalle con un sospiro ed allunga il braccio alla ricerca del pulsante automatico per le serrande, in un gesto quasi inconscio. Ci mette una manciata di secondi a realizzare che c'è troppa luce dentro alla stanza, e che ci sono molte cose decisamente fuori posto –un coprispalle giallo appoggiato sul bracciolo del divano, un suo borsone con la zip aperta per metà, un mazzo di chiavi abbandonato sul tavolo accanto a due confezioni di cibo d'asporto ancora impacchettate con cura.

Il battito cardiaco accelera appena, accompagnato da una sensazione fastidiosa nella pancia, come di un vuoto che si allarga e prende spazio, facendosi strada dentro di lui.

Muove un paio di passi nell'appartamento, quel che basta per includere nel suo campo visivo uno spicchio della camera da letto, dove gli armadi sono entrambi spalancati e le tende agitate dal vento. Dall'interno, Kelly lo scruta con un'espressione indecifrabile.

"Max"

Le basta pronunciare quella singola sillaba –così breve, così familiare- per prosciugare ogni residuo di energia dal suo corpo.

La borsa gli sfugge dalle mani e si affloscia sul pavimento con un tonfo.

Se pensava che la giornata non potesse andare peggio, be'–evidentemente si era sbagliato. E anche di grosso.

C'è un'altra valigia, aperta sul letto, ed una pila di grucce vuote ammonticchiate lì accanto.

Ovviamente Kelly non si aspettava di trovarlo nel suo appartamento, ed ovviamente aveva pensato che fosse il momento migliore per venire a recuperare il resto delle sue cose. Quelle che usa più spesso –vestiti di tutti i giorni, prodotti per la cura della persona, una buona parte dei suoi gioielli e i giocattoli preferiti di P- sono già sparite gradualmente, senza che lui potesse rendersene conto.

Perché sono settimane che non si parlano, che non si toccano, che non si baciano.

Sono settimane che Kelly sta sgusciando lentamente ed inesorabilmente fuori dalla sua vita e, se deve dirla tutta, Max ha sempre pensato che fosse solo questione di tempo, prima che lei rinunciasse a mantenere perfino quelle lievi parvenze di rapporto che erano rimaste e lo lasciasse in via definitiva.

Parti di lui lo avevano accettato da molto tempo, da molto prima che la loro relazione si incrinasse in modo così irreparabile. Peggio, parti di lui avevano sempre saputo che non sarebbe durata, che lei se ne sarebbe andata, come se ne erano andate tutte.

Solo- non era pronto al fatto che succedesse proprio ora.

Dopo una gara disastrosa che ha drasticamente ridotto qualsiasi speranza avesse di vincere il campionato, dopo un incidente terribile che ha rischiato di ucciderlo, dopo essere scappato come un ladro da Londra pur di non dover vedere il disprezzo e il disappunto sulla faccia di suo padre.

È così ingiusto.

Era arrivato così vicino ad avere tutto, ed ora, ora-

"Max" ripete Kelly, cauta, senza accennare a muoversi. La sua voce è carica di emozione, ma il cuore a questo punto gli batte talmente forte che Max non riesce a distinguere quasi nient'altro. La realtà sta perdendo i contorni, e lui è alla disperata ricerca di qualcosa che lo tenga ancorato a terra.

Resta congelato sul posto, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e le mani che tremano appena, la bocca dischiusa e muta. La guarda e basta –composta, sospesa, bellissima nel suo vestito corto leggero– e si chiede se non sarà per l'ultima volta.

Non sarebbe in grado di dire una parola nemmeno se ci provasse.

Il suo sguardo si sposta ancora una volta sulla valigia, e Max non riesce a fare a meno di pensare al giorno in cui la mamma e Victoria erano andate via da casa, alle urla di suo padre, alle minacce, agli pneumatici tagliati di netto, al coltello che lui le aveva puntato contro. Sophie aveva detto Max, Max vieni. Ed anche allora Max era rimasto congelato sul posto, incapace di muoversi, di parlare. Aveva guardato il taxi sfilare con metà della sua famiglia lungo il vialetto e poi sparire all'angolo della strada, senza sapere cosa fare. Aveva pianto molto, tutto il giorno e tutta la notte. Aveva solo dieci anni. L'unica volta che Jos gli aveva rivolto la parola, gli aveva detto che piangere non le avrebbe fatte tornare, e su questo, su questo aveva avuto ragione.

È il motivo per cui Max non piange, quando vede la valigia. Anche se il groppo che gli ostruisce la gola sa di lacrime, e gli occhi gli bruciano per quanta fatica sta facendo a comprimere tutte le sue emozioni.

Se Kelly vuole andare via, non la fermerà.

Non farà una scenata, non la minaccerà, non la costringerà a rimanere in un posto in cui non vuole stare. Non prometterà cose che non può mantenere, non mentirà, non dirà ti prego e non lasciarmi.

Gli costa molto –quasi tutto- ma Max è abituato ai sacrifici, e sa che è il momento di scontare i suoi debiti.

"Ho provato a chiamarti"

Il suo cellulare è ancora spento, sepolto da qualche parte nello zaino. Ha accuratamente evitato di riaccenderlo per posticipare quanto più possibile l'inevitabile confronto con suo padre. Stupido, stupido Max. Avrebbe dovuto sapere che non si scappa dalle proprie responsabilità.

"Scusami" dice, e quando ritrova la voce è rauca e sottile, quasi patetica. Si porta una mano fra i capelli in un gesto automatico, per provare a mascherare il suo imbarazzo. "Non ho-, scusami. Posso andare via. Tornare dopo."

Kelly lo guarda, accigliata.

"Cosa stai dicendo, Max?"

"Prenditi tutto il tempo che ti serve. Non potevi sapere che sarei tornato prima ed è stato così idiota da parte mia. Fai con calma, io adesso vado e-"

Kelly lo interrompe prima che possa mettersi più in ridicolo di quanto non stia già facendo.

"No, no, Max, no." Dice, facendo un passo verso di lui. "Non me ne sto andando."

Max la guarda come se le fosse appena spuntata un'altra testa.

"Sto tornando a casa." Prosegue lei, accennando un sorriso timido. "Se ci vuoi ancora."

Prima ancora che possa soffermarsi su quello che Kelly ha appena detto –dare un senso a quelle poche frasi, capirne davvero il significato- succede un'altra cosa. La piccola P compare dal corridoio e si fionda direttamente fra le sue ginocchia, abbracciandole forte, quasi mandandolo a tappeto.

E Max, Max è assolutamente senza parole.

"Max Max Maxie Max!"

Si china, sulle ginocchia che a stento lo reggono, e per un attimo non sente alcun dolore. Solo una sensazione di calore che gli si irradia dentro.

Penelope gli allaccia le braccine al collo, lo riempie di baci umidi su tutta la faccia, dice sei mancato tanto tanto tanto così e Max sa che non farà alcuna differenza, ma non può più fermare le lacrime.

Così la stringe forte, piange, e le singhiozza nei capelli che sanno di ciliegia, e lascia che lei si appenda al collo della maglietta, e prema le dita sul suo collo, dove i lividi hanno iniziato a scurirsi.

Quando sciolgono l'abbraccio, Penelope gli tocca le guance bagnate.

"Non si piange"

Max sorride, ed è un sorriso triste, ma non fino in fondo.

Non si piange è una frase che ha sentito tante volte, ma piuttosto raramente negli ultimi dieci anni, e mai da una bambina. Gli dà la misura dello stato pietoso in cui deve trovarsi, ma sorprendentemente non gli interessa granché. Sa che questo è un altro di quei momenti preziosi che lo aiuteranno ad andare avanti nei giorni difficili, e vuole imprimerselo nella memoria ad ogni costo.

Una mano più grande, calda, gli accarezza il volto per poi sparire dietro alla sua nuca, fra i suoi capelli.

La voce di Kelly gli arriva dritta all'orecchio, rotta.

"Credevo di averti perso."

"Lo credevo anche io." risponde Max, in un sussurro, nascondendosi nella piega del suo collo e lasciando che lei lo circondi con il braccio.

E pensa che suo padre ha sempre avuto ragione, che forse non è fatto per sogni ambiziosi e risultati importanti. Che è mediocre e non vincerà mai il campionato, che è insignificante e non avrà mai la ragazza dei suoi sogni.

Eppure, per la prima volta nella sua vita, forse, a Max nemmeno interessa. Forse questo –vittorie, adrenalina, una piccola famiglia da cui tornare- è abbastanza. Perché come fa a non essere abbastanza qualcosa che è già molto più di quello che merita?


Più tardi, quando si mettono a letto, Kelly si infila sotto le lenzuola alla ricerca del suo corpo caldo. Intreccia i piedi con i suoi e poggia delicatamente una mano sul suo petto, all'altezza del cuore, e Max si sente a casa.

Due settimane dopo volano in Ungheria, insieme. Doveva essere un'occasione per riallungare su Lewis, ma la gara si rivela un vero disastro.

E, cosa ancor peggiore, non per colpa sua.

Questa consapevolezza lo avrebbe distrutto, probabilmente, ma Kelly lo stringe fra le braccia, gli dice sei un campione, non significa niente e come te nessuno mai.

Sono bugie, ma Max ha scoperto che, in fin dei conti, un po' gli piacciono le bugie. 

Sul telefono, però, ha un messaggio di Charles, e questo, probabilmente, gli piace di più.

Dice: puoi ancora vincere, non ti azzardare a mollare il colpo.

Mollare il colpo? Per chi mi hai preso, Leclerc?

//Spazio autrice (chi non muore si rivede, questa volta letteralmente)

A tutte le persone che mi hanno espresso la loro vicinanza su IG dico solo grazie. A chi, invece, legge questo capitolo senza sapere nulla di quanto accaduto chiedo scusa per essere sparita. Purtroppo ho avuto un grave problema di salute che mi ha tenuta un mese in ospedale e mi ha stravolto la vita.

Finalmente sono a casa e riesco a tenere gli occhi aperti, quindi ho deciso di far qualcosa per me stessa e riprendere in mano Twin Flames. Questo capitolo era nelle bozze da dicembre, ma dopo un'esperienza traumatica accaduta poco prima di Natale non avevo avuto più alcuno stimolo a continuare. Ora, mi dico, potrebbe essere la cosa che mi salva la vita.

Nuovamente Max, finalmente a casa, in tutti i sensi possibili.

Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va. Con un commento, un voto o un messaggio sul mio profilo IG dedicato: @/ itstods_wattpad. Mi farebbe molto piacere sentire le vostre opinioni, soprattutto in un momento come questo. Spero di avervi fatto felici con questa sorpresa, so che non ci speravate più! (nemmeno io)

A presto, spero. 

Baci, bacini e bacetti

T.

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