Capitolo nove

Harper non aveva provato tanta paura in tutta la sua vita, nulla di paragonabile nemmeno il giorno in cui aveva scoperto di essere malata.

Era sempre stata una persona forte e determinata, e non aveva mai avuto timore della fatica. Dopo la morte dei genitori e del fratello, rimasta sola con la nonna, Harper si era assunta responsabilità d'ogni tipo già da subito.

Aveva imparato a fare tutto da sola, quindi non aveva mai avuto bisogno di nessuno. Nemmeno il pensiero l'aveva mai sfiorata, presa com'era stata a prendersi cura della nonna, della loro casa e preparare il suo futuro come avvocato. Eppure...

C'era sempre stata una piccolissima parte di lei che, un giorno, sperava l'arrivo di una persona speciale, qualcuno che portasse un po' di novità nel suo mondo solitario e odiosamente tranquillo.

Nonostante fosse una pazzia, aveva compreso una cosa fondamentale: quel qualcuno era arrivato, ma non era di certo ciò che si era aspettata, come nelle sue fantasticherie da ragazzina.

La brezza della laguna le strappò un brivido.

In quel breve quarto d'ora, con Giacomo che la teneva per mano, avevano percorso una decina di vie strette e buie. I loro passi riecheggiavano nel silenzio della notte, come spari di una pistola a piombini.

Lui teneva lo sguardo fisso in avanti, arrabbiato. Giacomo non aveva proferito una sola sillaba, da quando l'aveva strappata dalle braccia di Lorenzo Foscarini. Il suo viso era cupo, ma non come prima.

Harper guardò le loro mani unite e arrossì. — Dove mi stai portando? — chiese in preda alle palpitazioni.

Lo udì bofonchiare qualcosa in italiano, per poi volgere lo sguardo luminoso su di lei.

— Alla clinica — fu la sua risposta secca. — È quello il tuo posto.

Impaurita alla prospettiva di tornare nel luogo da cui era fuggita, tornò a mordersi le labbra a sangue.

— Perché? — domandò ancora, trattenendo il fiato.

— Perché sì, Harper.

— Questa non è una risposta!

Giacomo si arrestò di colpo, facendola quasi cadere in avanti. Si girò verso di lei e la guardò dritto negli occhi con circospezione. — Sì, perché sei un'incosciente — mormorò in tono d'accusa. — Credevi di poter fuggire come se nulla fosse? Di non subire conseguenze? Sei stata fortunata che ti abbia trovato subito! Lorenzo non ha pietà nemmeno per i suoi simili, figurati per un essere umano come te!

Lei sussultò, mordendosi le labbra più forte di prima. Giacomo strinse gli occhi, poi portò la sua attenzione oltre la sua spalla. Un pizzicore fastidioso alla nuca condusse Harper a imitare il suo gesto. Si girò indietro e si accorse che un'ombra si muoveva nella semioscurità dei vicoli...

Lorenzo Foscarini li stava seguendo.

Harper riconobbe il bagliore dei suoi occhi assatanati nel buio. In cerca di conforto tornò a fissare Giacomo, con il corpo scosso dalla paura. — Non si avvicinerà — la rassicurò lui, stringendo più forte la sua mano. — Io non glielo permetterò.

Lei annuì esitante, anche se non riusciva a smettere di tremare. Se chiudeva gli occhi, poteva ancora sentire il fiato gelido di Lorenzo sul collo e la punta affilata dei canini contro la pelle.

Nonostante vedesse solo l'ombra del malvagio vampiro biondo, immaginava bene la sua espressione perfida, quale tipologia di pensieri perversi gli stesse attraversando la mente mentre la guardava da lontano.

Harper rabbrividì ancora, non riuscendo a smettere di pensare a cosa avesse rischiato quella notte. — Io... Non ne sapevo nulla.

— Appunto, Harper, non sapevi — continuò Giacomo severo. — Posso comprendere che tutta questa storia ti ha mandato fuori di testa, ma questo non ti giustifica: ti sei messa in pericolo. E poi...

— Stai dicendo che la colpa è mia? — scattò dissestata, dimenticando tutto, interrompendolo bruscamente. — Stai affermando che la mia reazione è stata esagerata?

— Non è questo ciò che volevo dire, lo sai bene. — Scosse il capo, fissandola con aria di rimprovero. — Non vuoi proprio capire...

— E certo! — Harper strattonò la mano e lui lasciò libera. — Perché tutti desiderano diventare vampiri, no? L'unica cretina sono io che non voglio! Sono una stupida umana!

Lui le lanciò un'occhiata di biasimo. — Ora ti stai comportando come una bambina, Harper.

— Non m'importa della tua opinione! — ribatté, incrociando le braccia. — Io non tornerò alla clinica con te, punto e basta!

Giacomo s'immobilizzò, come una statua di marmo. Poi, all'improvviso, le afferrò di nuovo la mano e la trascinò in un angolo semibuio del vicolo.

Harper emise un'esclamazione sofferente, così sollevò il viso di scatto e dischiuse le labbra, con l'intenzione di gridare. Ma quel che vide la fermò: Giacomo Farussi aveva la fronte aggrottata, gli occhi lucidi, i lineamenti del viso distorti dal dolore e dalla tristezza.

— Harper, perdonami — sussurrò amareggiato — ma non mi stai lasciando scelta. — E dette quelle parole biascicate, sfiorò la sua fronte con l'indice e lei iniziò a vedere tutto offuscato.

Tutt'a un tratto, contro la sua volontà, si ritrovò a chiudere gli occhi. Allorché, nel panico, tentò di muovere le braccia e le gambe, e non ricevette alcuna risposta.

Allo stesso tempo provò a parlare, con l'intenzione di chiedergli cosa stava accadendo, cosa le avesse fatto; era come se il suo corpo non fosse più suo.

Si sentì cadere in avanti, poi le braccia di Giacomo afferrarla di peso. Lo udì ordinarle di seguirlo e, nonostante avesse voluto gridargli di no e restare ferma, si ritrovò a obbedirgli senza neanche protestare.

Era come se fosse diventata una marionetta i cui fili erano mossi da un improbabile burattinaio, come il povero Pinocchio con il suo Mangiafuoco.

* * *

La risata fragorosa di Lorenzo Foscarini gli giunse alle orecchie.

Indispettito, Giacomo ordinò a Harper di fermarsi e si girò indietro ad affrontare quel maledetto vampiro. — Cosa ci trovi di tanto divertente? — ruggì furioso.

Il "Primo" delle Sentinelle si avvicinò con fare altezzoso, mentre continuava a ridere di lui in quel modo tanto sfacciato. — Non credevo che avresti mai usato i tuoi poteri — osservò sarcastico. — Non si fanno queste cose alle signore, Giacomo. Sei un bambino cattivo!

Lui gli indirizzò un'occhiata truce.

Quel commento era un colpo inferto al suo orgoglio.

Per secoli si era sempre distinto dagli altri vampiri: aveva deciso di essere più razionale e assertivo di Lorenzo e delle Sentinelle, di qualunque altro vampiro su quella dannata terra. Sentirgli affermare quelle parole, proprio da un tipo spietato come lui, era davvero frustante e, allo stesso tempo, anche umiliante.

La realtà era che Harper sembrava capace nel far emergere il suo lato peggiore.

In ogni caso, fece finta di niente e accolse la ragazza tra le braccia, sollevandola e sorreggendola con attenzione e molta premura; non poteva sopportare ancora di vederla muoversi come un'automa.

Quando la sorresse con delicatezza, si accorse che la fronte di Harper era aggrottata. Giacomo era stupito, e un po' sorpreso, che stesse lottando per tornare lucida. Ma non poteva liberarsi da quella condizione ipnotica, non di certo da sola, dacché soltanto un vampiro era in grado di risvegliarsi da quell'orrendo stato di dormiveglia e fuggirvene.

Si prese un attimo per fissarla, per contemplarla con minuziosa attenzione, rendendosi conto che quella ragazza aveva davvero un tempra più forte dell'acciaio. Con l'animo pervaso dall'ammirazione per la giovane, riprese il cammino verso la clinica con lei in braccio, fingendo che Lorenzo non fosse alle sue spalle e se la stesse ridendo ancora.

Svoltato l'angolo della via in cui si affacciava la clinica, lo udì affermare: — Giacomo. Aspettami!

— Torna nella tua cripta, Lorenzo. Non ho bisogno del tuo aiuto — rispose lui asciutto, senza voltarsi indietro né fermarsi.

— Ora basta. Non approvo da te questo modo di comportarsi! — riprese il vampiro, piccato. — Ho il compito di riportare quell'umana alla Direttrice Grimani. Non intrometterti ancora nei miei compiti.

Questa volta fu il turno di Giacomo di ridere. — Ebbene, stavolta, non adempierai ai tuoi compiti — dichiarò gelido. — Il tuo intervento non è più necessario, Lorenzo. Puoi andare. — Così facendo accelerò il passo per seminarlo. Era arrivato il momento che si dileguassero, proprio come stava facendo la luna su Venezia.

L'alba stava arrivando.

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