Capitolo 26
«Finalmente!»
L'urlo di Marta mi perfora le orecchie mentre mi getta le braccia al collo e mi stringe con forza.
Suppongo di esserle mancata. Il mio rientro in ufficio non poteva iniziare in maniera migliore. Certo, non mi aspetto la stessa accoglienza da parte di Martelli, ma credo di potermi accontentare anche solo del suo saluto.
Mi guardo intorno, tutti sono voltati in mia direzione e mi sorridono come se non mi vedessero da anni. Ricambio con un cenno di saluto, poi la mia attenzione cade su quella che dovrebbe essere la mia postazione di lavoro. È stata completamente rivoltata e, ora, il materiale cartaceo di Marta si trova al posto del mio.
«Che è successo qui?»
Il mio tono è allarmato perché all'apparenza sembra che io non abbia più una scrivania.
«Bello, vero? Ci sono nuove postazioni per tutti, più grandi e funzionali. La tua è di qua.»
Pietro che nel frattempo ci ha raggiunte mi prende per mano e mi fa strada verso una piccola stanza situata proprio accanto all'ufficio di Martelli. Il mio nome capeggia in bella vista sulla porta in legno.
«Non ci posso credere. Ho davvero un ufficio tutto per me?»
«Certo. Come nuova assistente del boss hai bisogno di un posto il più vicino possibile a lui per ogni sua richiesta. E così eviti di dover condividere lo spazio con Marta e il suo lavoro che non c'entra nulla con il tuo.»
«E che fine ha fatto l'archivio?»
Sono ancora frastornata. Non riesco a credere che in mia assenza la stanza che prima era adibita ad archivio sia stata trasformata in maniera tanto radicale.
«È stato tutto digitalizzato, la sala relax è stata eliminata e ora al suo posto c'è la nuova sala riunioni. E ognuno ha una postazione più grande.»
Che vuol dire che la sala relax è stata eliminata? Era una stanza fondamentale. Se penso a tutte le volte in cui io e Alessio...
«Niente più sala relax?»
Scuote la testa e il suo sorriso, non capisco perché, mi infastidisce. Gli leggo in faccia una sorta di soddisfazione che non mi piace.
«Un caffè al giorno basta e avanza per rilassarsi e staccare la mente e per quello è sufficiente la macchinetta che c'è nel corridoio. E sul muro ci sono i turni per la pausa, così è tutto più efficiente e organizzato.»
Quindi ora non è più possibile prendersi una pausa al bisogno? È di vitale importanza seguire schematicamente le linee guida?
«Ma che bisogno c'era di eliminare la sala relax?»
«È stata una mia richiesta che è stata accolta subito positivamente da Martelli. Ogni giorno veniva speso lì dentro più tempo del necessario e questo significava meno lavoro. Meno lavoro, meno produttività, meno guadagno. Semplice.»
«A me piaceva quella stanza» pronuncio risentita e con una punta di nervosismo.
«A tutti piaceva quella stanza. Troppo. Ed è per questo che è stata eliminata. Sai quanti soldi ci ha perso l'azienda per il troppo tempo passato in sala relax?»
Quindi è tutta una questione di soldi. A lui non importa se le persone stanno meglio sapendo che possono prendersi una pausa quando ne hanno bisogno o che possono scaricare la tensione in pausa pranzo o a fine giornata con una partita a ping-pong. A lui importa solo di quel maledetto buco in bilancio che nulla ha a che fare con l'abuso di utilizzo della sala relax.
«E, a questo proposito, dovresti segnare il tuo nome sulla lista. È rimasto un unico buco vuoto tra le 10.15 e le 10.30.»
Guardo Pietro con una punta di tristezza mentre prendo la penna e mi affretto a segnare il mio nome prima di perdere anche il diritto al caffè. Non posso non notare che, di fianco al mio nome, c'è quello di Alessio. Questo significa che dovrò dividere la mia pausa assieme a lui.
«Pietro, pensi sia possibile scambiare i turni?» domando, scorrendo su e giù gli occhi sulla lista.
«Suppongo sia possibile, ma solo in casi eccezionali.»
Lui è un caso eccezionale. Un caso senza speranza però. Come fa a essere così fiscale, pignolo e ingessato?
Si avvicina e approfitta del fatto che siamo soli per darmi un bacio. Abbiamo deciso di essere comunque discreti sul posto di lavoro.
«Bentornata» sussurra.
Detesto ammettere che sarà pure ingessato, ma quando bacia...
«Lisa questi sono i tuoi impegni per la giornata.»
Marta entra senza prendersi la briga di bussare, lancia uno sguardo in direzione di Pietro che mi sta accarezzando la schiena.
Con uno sbuffo, getta il plico di fogli che teneva in mano sulla mia scrivania e poi se ne va sbattendo la porta dietro di sé.
Ma che le prende?
Guardo Pietro come se potesse dare una risposta alla reazione di Marta, ma lui si limita a un'alzata di spalle e a un bacio veloce a fior di labbra prima di andarsene.
Com'è che i miei colleghi sembrano di colpo impazziti?
Non faccio in tempo a sistemarmi dietro la scrivania che il telefono squilla.
«LISA! Riunione con i soci. ORA!»
Ed eccole lì, le urla maledette. Quanto mi sono mancate.
***
«Cosa ci faccio qui?» sussurro al boss appena entro nella stanza e mi siedo accanto a lui.
«Fai silenzio, ascolta e prendi i dovuti appunti» è la risposta pungente che mi rivolge.
Mi zittisco all'istante, mi sistemo meglio sulla sedia e inizio a giocherellare con la penna che tengo in mano. Percepisco una strana tensione a cui però, non so dare una spiegazione.
Proprio di fronte a me, Alessio si sta rosicchiando le unghie. Odio quando lo fa. Perché non posso più fermarlo come facevo prima.
Rivolgo l'attenzione verso Stefano, il terzo socio della Farber che si occupa della sede estera. Il fatto che lui si trovi qui non è un buon segno. Se è volato da Taiwan per condurre questa riunione, significa che c'è qualcosa che non va.
«Gentili soci, è inutile girarci intorno, la sede di Taiwan necessita di molti cambiamenti e ci serve qualcuno che ci aiuti nella gestione aziendale, considerando anche i problemi di risanamento in atto per questa sede.»
«Cosa proponi?»
Alessio, rimasto zitto fino a quel momento, interviene e io non posso non notare che continua a guardare verso il basso. Quasi avesse paura di incrociare il mio sguardo, ma anche di farsi vedere turbato. Lo è, sono certa di questo. Lo conosco troppo bene da quel punto di vista.
«Il piano è che due impiegati di questa sede, vengano in loco a Taiwan e ci restino almeno finché l'azienda non sarà in grado di auto gestirsi nuovamente.»
«Non c'è possibilità di trovare qualcuno direttamente là?»
La mia domanda coglie tutti impreparati, perfino me. So che pare inopportuna e che ho ricevuto l'ordine di rimanere in silenzio, ma voglio capire che bisogno c'è di far trasferire due dipendenti considerati i costi e la situazione traballante in cui versa l'azienda.
«Abbiamo valutato tutte le ipotesi e quella proposta ci sembra quella più in linea con le esigenze dell'azienda. Il periodo previsto è di sei mesi, massimo un anno e sono sicuro che le due persone scelte faranno un ottimo lavoro.»
Stefano mi sorride mentre elenca in maniera approfondita le problematiche che dovranno essere affrontate a Taiwan in quell'arco di tempo. La mia mente per un attimo si rifiuta di immagazzinare ulteriori informazioni. Sento un peso alla bocca dello stomaco e una strana sensazione di costrizione a livello del petto.
Sposto lo sguardo in direzione di Alessio, mi sta fissando. Riesco a cogliere appena in tempo il suo mi dispiace mimato con le labbra prima di venire invasa da uno tsunami.
«Pietro e Marta mi raggiungeranno in sede la prossima settimana. Poi discuteremo di alcuni dettagli. Ci sono domande?»
Guardo tutti quanti con le lacrime agli occhi. Shock totale. Resto immobile, incapace di reagire alla notizia appena appresa.
Pietro e Marta lo sapevano e non mi hanno detto nulla?
«Lisa, hai scritto tutto?» domanda Martelli che non pare far caso al mio stato catatonico.
«Io...no...non lo so...»
«In che senso non lo sai? Se non hai preso appunti cerca in qualche modo di rimediare perché sarai tu a occuparti di tutte le pratiche per il temporaneo trasferimento dei tuoi colleghi.»
Esce dalla stanza borbottando e io affondo la testa nelle mani in un gesto disperato.
Non possono allontanarmi da Pietro. Non ne hanno alcun diritto. Non ora che l'ho scelto.
Sono sconvolta, delusa e arrabbiata.
Il vociare attorno a me si esaurisce e mi rendo conto di essere rimasta sola. Alzo la testa e tento di ricompormi quanto basta, ricordando a me stessa dove mi trovo. Non sono sola. Alessio è l'unico rimasto nella sala riunioni ed è il solo a essersi accorto di come sto.
E d'un tratto, come se il mio gesto e le mie parole mi aiutassero a sentirmi meglio, gli punto un dito contro e riverso tutta la mia rabbia su di lui, certa che sia solo ed esclusivamente colpa sua se Pietro se ne va.
«Sei contento adesso?»
«Lisa, di cosa dovrei essere contento?»
«Sei stato tu vero? Tu hai scelto di mandare Pietro a Taiwan! Tu vuoi allontanarlo da me! Dimmi perché lo hai fatto. Dimmelo!» urlo
«Lisa, mi dispiace ma...»
«Ma cosa? Le circostanze ti impongono di fare il tuo dovere di vicepresidente e togliere di mezzo l'unica persona che poteva farmi felice?»
Lacrime e parole escono senza controllo. Non riesco a fermare il casino che c'è dentro alla mia testa e dentro al mio cuore.
«Lisa, io non ho scelto niente. È stato Pietro a proporsi per partire, io mi sono opposto. Ho chiesto di andarci io sapendo che ti avrebbe lasciata qui da sola. Non potevo sopportare l'idea che qualcun altro oltre a me ti lasciasse andare. Lisa pensi che mi piaccia vederti stare male? Non sai quanto mi odio per quello che ti ho fatto, ho cercato fino all'ultimo di convincere gli altri soci che Pietro dovrebbe stare qui, ma lui è stato più convincente di me a farsi scegliere.»
E Pietro non me ne ha parlato. Mi ha tenuto nascosto il fatto di avere chiesto di essere trasferito in Cina. Una cosa così importante sono venuta a saperlo a trattativa già conclusa. Mi sono fidata, gli ho dato tutta me stessa e ora lui sembra voglia gettarmi via.
«Tu però lo sapevi e hai ben pensato di tacere. Ipocrita come tutti gli altri.»
«Non era compito mio informarti che il tuo fidanzato se ne andrà via per sei mesi!»
Invece, sì. Era anche compito tuo.»
«No, Lisa. Lui avrebbe dovuto informarti, non io. Pietro è il tuo fidanzato, non io dannazione!»
In un impeto di rabbia Alessio afferra il barattolo di vetro pieno di graffette e la scaglia ferocemente contro il muro. Una piccola scheggia rimbalza e colpisce il mio braccio prima di finire a terra tra gli altri mille pezzi.
Lo guardo sconvolta. Appoggio la mano la mano sulla ferita appena fatta. Brucia, ma mai quanto il fuoco che sento dentro al petto.
Non mi muovo di un solo passo. Lui si avvicina in silenzio e mi accoglie fra le sue braccia.
«Mi dispiace, Lisa. Non sai quanto» sussurra.
Scoppio a piangere. Tutte le lacrime finora trattenute riaffiorano, si scagliano contro il suo petto. Contro quel cuore che accelera sempre di più.
Quando si stacca riprovo di nuovo quella sensazione di vuoto che mi lasciava ogni volta che lui si allontanava da me. Quella sensazione che non ho mai provato con Pietro.
La verità è che, il suo abbraccio, è ancora l'unica cosa che mi tiene ancorata qui assieme a quel senso di felicità che ho cercato in tutti i modi di ritrovare con Pietro e che credevo di aver finalmente ottenuto. Ora la sua partenza e la vulnerabilità di fronte ad Alessio mi hanno rimesso davanti all'ennesimo bivio e all'incertezza della strada da percorrere.
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