2. Sul perché cambiare abitudini

*

          La luna ride oltre la finestra, uno spicchio sottile rivolto verso l'alto che sembra più il disegno di un bambino su una lavagna che un corpo celeste.

«Dotto', avete sforato di un'altra ora.»

Bruno sbadiglia di riflesso, gli occhi ancora fissi sulla fessura di vetro visibile oltre le tende in broccato borgogna, mentre la voce calda di Marisa gli sfiora il petto nudo assieme a note di rosa e gelsomino.

«E che problema c'è?» replica lento, senza muoversi. «Avverto Mamma Clara e compro una marchetta in più.»

«Io vorrei dormire, però.»

«Pure io,» ride piano lui, e inclina il volto a guardarla. «Vedi? Dormiamo, nessun problema... però il sonno non te lo pago.»

Marisa si solleva sui gomiti, privandolo del suo calore morbido. Incastra il mento sui palmi, accentuando la forma a cuore del suo viso, e lo punge con lo sguardo scuro oltre le ciglia d'inchiostro.

«Dottore, ve ne andate da solo o no?»

«Vabbuò, non ti scaldare. Me ne vado io.»

Marisa sorride furbetta e gli rifila un pizzicotto sotto al mento, tirandogli la barba corta, quando lui fa per accarezzarle un seno. Raccoglie poi le lunghe ciocche con un fermaglio e raggiunge per prima il bagno. Bruno rivolge un'occhiata fuggevole alla sua figura formosa e nuda, poi si adopera per scalciar via le lenzuola amaranto che gli si sono avviluppate tra le gambe. Recupera le mutande disperse nel letto e s'infila in bagno a sua volta per rinfrescarsi, pur con gesti un poco rallentati.

Si ripete ogni volta che non dovrebbe andare al bordello dopo il turno pomeridiano in ospedale; ogni volta non si dà ascolto e ogni volta se ne pente quando l'euforia del sesso cala e scema in molle spossatezza.

Si caccia la camicia nei pantaloni e si risistema le bretelle, mentre Marisa si copre con una veste da camera in raso semitrasparente addosso. È quasi più bella così che nuda e a letto, mentre si raggomitola sulla Luigi XIV nell'angolo, coi folti capelli che sono un tutt'uno con le venature mogano dei braccioli. Osserva i suoi movimenti come una gatta curiosa.

«Va tutto bene?» le chiede Bruno, seduto sul letto ad allacciarsi le scarpe. «Non t'ho chiesto niente, oggi.»

«Com'è normale.» Pare un poco divertita da quelle sue premure. «Stò bbuono, non vi date pensiero.»

«Non me ne do, faccio solo il mio lavoro e di certo lo faccio meglio dei tubisti* vostri.»

«E ogni tanto potete pure non faticare, dotto'. Mi parete 'no poco sciupato, a forza 'e faticà

Bruno sorride e scuote il capo, affatto risentito. Marisa, dopo tanto tempo, certe confidenze con lui può prendersele.

Si alza in piedi, le dita che già recuperano un sigaro dal taschino e una banconota dal portafoglio. Si sporge a premerle un bacio sulla guancia, premendole al contempo in mano i soldi, che lei fa sparire abile nel corsetto.

«Per il disturbo. Non farti beccare,» le dice all'orecchio, risistemandole una ciocca con l'indice. «Ci vediamo direttamente lunedì prossimo, mi sa.»

«Non sabato?»

«Vorrei, ma ho un caso tra i piedi con la polizia. Mi prenderà tempo.»

Marisa finge un piccolo broncio, strizzando le labbra piccole e piene in un modo puerile che gli strappa un sorriso.

Bruno toglie il cappello dall'appendiabiti e lo fa roteare con la punta delle dita nella calotta. Dipende da Ricciardi, quanto lo terrà impegnato quel caso: da quanto puntigliose saranno le sue richieste e da quanto rapido sarà nel risolverlo. Lui, il suo l'ha fatto, visto che ha passato tre ore sulla necroscopia di Battaglia – e vorrebbe scordarsela.

Se il caro commissario si sbriga, può darsi che quel sabato sera lo passerà con lui in trattoria a brindare come promesso, invece che al bordello.

Marisa lo ferma che già sta aprendo la porta, e la sua voce si allunga mentre si stiracchia:

«Ah, comunque: dovete cambiare accompagnatrice, la prossima volta, ché oggi erano tre settimane di fila con me.»

«Di già?» Bruno si volta con lieve sorpresa, per poi ammiccare verso di lei. «Il tempo vola proprio, con te.»

Lei ride, con un gesto frivolo della mano esile.

«Ma fateme 'o piacere.»

Bruno solleva appena il cappello a mo' di saluto galante.

«Vabbuò, vorrà dire che varierò un po', come al solito.»

«E tanto lunedì questo c'è la nuova quindicina*. Terrete larga scelta, dotto'.»

«Meglio per me. Buonanotte, Mari',» si lancia dietro nel chiudere la porta, e sente la risposta già assonnata di lei attutita dietro il legno.

Si accende il sigaro che ancora è nel corridoio, rivestito di quadri e tappeti nella gamma del rosso, e scende a passo lemme nel salottino d'ingresso contornato da specchi. Qualche avventore è ancora steso sui divanetti a languire con una o più ragazze in braccio o accanto, ma c'è aria di chiusura, sebbene sia sabato.

Rivolge un cenno di saluto a Mamma Clara, di vedetta dietro il bancone a fumare una lunga sigaretta con bocchino e a guardar storto i soliti flanellisti* che non le lasceranno una lira. Bruno pesca due gettoni* aggiuntivi dalla cassetta, con un tintinnio di latta scadente, e posa sul bancone le lire corrispondenti.

«Per tre ore, ve la siete rubata, mica una,» lo apostrofa lei, arricciando sul mignolo una lunga ciocca nera e ondulata. «Mi devo far pensieri, dottore?»

«'A Maronna me ne scampi,» alza gli occhi al cielo lui, sbuffando fumo di lato, una premura che lei non gli riserva.

Mamma Clara alza un sopracciglio, ma non insiste. Insiste invece Bruno a guardarla fisso, finché non la vede sospirare, prendere il registro contabile e segnar qualcosa accanto al nome di Marisa.

«Ricordatevi che la prossima setti–»

«Sì, sì, me l'ha già detto Marisa, nun ve ne fate

Agita il sigaro a mezz'aria, scacciando via il promemoria a suon di ghirigori grigiastri. Attraversa la guardiola, ignorando come sempre l'agente di posta*, ed esce nell'aria tiepida di fine giugno. È notte fonda e via Chiaia è deserta, animata solo dal respiro del mare là vicino.

Tira un paio di boccate accanto all'ingresso della casa di tolleranza, indorata dai lampioni quasi fosse un rinomato atelier lì, nel mezzo della Napoli bene e con tanto di guardie a preservarla. Lo fa sempre sorridere, quel fatto, sebbene un poco amaramente. Gli brucia assai, riconoscere che quei buffoni in nero almeno una cosa utile l'hanno fatta*.

Poi s'incammina verso via Roma, senza fretta, godendosi la frescura notturna e l'odore denso di salsedine. Quel dì tiene un po' troppi pensieri a vagargli in capa.

Le preoccupazioni di Mamma Clara sono infondate: se pure s'infatuasse di qualcuna, preferirebbe comunque frequentarla là dentro che portarsela sotto il proprio tetto. Ammogliarsi? Dei figli? Non è mica così matto da volerne, manco per sbaglio, figurarsi per far piacere alla gente che si ritrovano adesso in giro; e se ne accerta per bene, di non diventar padre quando sta in compagnia, così come di non prendersi qualche schifezza gonorroica*.

Al massimo, diventerebbe il miglior cliente del bordello – sempre che non lo sia già, ché di certo un habitué lo è diventato, andandoci una volta a settimana fisso – pure due, alle volte. Però, tutto ciò che gli offre Marisa, a parte i suoi servizi, è la fiducia di non ritrovarsi una chiavica d'uomo nel letto, sia in senso morale che igienico. E gli offre riconoscenza, pure: quella gliela legge ancora negli occhi dopo tanto tempo.

A volte pensa che è di lei, che Mamma Clara dovrebbe preoccuparsi. Anche per questo non fa storie alla regola non poter vedere la stessa ragazza più di tre settimane di fila nello stesso mese – e anche per questo accoglie di buon grado la quindicina, per variare un po' di tanto in tanto. Anche se, alla fine, torna sempre da Marisa che, non sa per quale tacita intesa con Mamma Clara, non viene mai ricollocata in altri postriboli. Accade, alle volte, per determinate ragazze a cui s'affeziona, anche se lei non lo ammetterebbe mai – e non stenta a credere che a Marisa si sia affezionata assai.

Sbuffa fumo argenteo nell'aria e storce la bocca. Gli è presa a male, quella sera, nonostante le ore di compagnia siano volate; e sono state più ore di silenzio e carezze e facezie che d'altro – Marisa non ha protestato, ché sa che lui le paga quanto quelle d'attività regolare.

Però lo inquieta sempre, il pensiero di dover scegliere qualche altra ragazza al posto di Marisa per quella singola volta al mese. Non c'è un vero perché logico.

A parte il fatto di alterare quella che è di fatto un'abitudine che gli scandisce la vita, così come lo è andare in ospedale ogni giorno, o prendersi caffè e sfogliatella la mattina prima di andarci, o leggere qualche saggio in poltrona – possibilmente all'indice – prima di coricarsi per la notte.

Spegne il sigaro contro il corrimano della scala esterna e pesca le chiavi di casa di tasca.

È ironico che le sue poche abitudini fisse siano tutte correlate al lavoro, che l'unica che ne esuli sia a pagamento e che le restanti non includano altre persone.

Si mette a letto con la luna storta, in contrasto netto con quella all'insù ancora appesa in cielo oltre gli scuri.

A rallegrarlo un poco, appena prima di chiudere gli occhi, è il pensiero che, se Ricciardi si dà una mossa a chiudere il caso, quel sabato può sperare di passarlo a cena fuori per festeggiare. E sarebbe bello, pensa già mezzo assopito, che diventasse un'abitudine pure quella: perché col lavoro ha a che fare solo di nome e perché, soprattutto, è una compagnia che non si paga.

Note dell'Autrice:

Cari Lettori,
lo metto come disclaimer, ma spero abbiate letto questo capitolo attraverso la famosa lente dell'epoca storica. Per quanto Bruno nutra sentimenti egalitari, stiamo comunque parlando di un uomo nato nel 1892 e cresciuto in un determinato contesto sociale con una determinata visione del sesso e delle donne. Quindi, niente, gli vogliamo bene lo stesso perché un po' ci prova, ma rimane figlio del suo tempo.

Stendo un velo pietoso sulle ricerche che ho dovuto fare per stilare questo capitolo; trovate tutte le mie note a margine in corrispondenza degli asterischi GUARDATE COSA NON SI FA PER IL REALISMO.

Questo capitolo pone qualche base per future riflessioni, giuro che non è fine a se stesso e che quel piccolo accenno alla riconoscenza di Marisa (il nome è colpa di PhoenixoftheParadise) avrà lumi in futuro.

Grazie per aver letto e a prestissimo, ché con questa storia STO A ROTA (degli Angeli *Bruno le dà una botta in testa*)

-Light-

P.S. Per chi conosce la serie: ovviamente, sapete il rapporto tra Bruno e le prostitute è a dir poco problematico, ma io trovo che la faccenda sia stata trattata un po' all'acqua di rose, prima, e per il puro gusto del dramma finale, poi. Troverete qualche riferimento e ripresa, magari anche qualche somiglianza con Lina qua e là, ma rimane farina del mio sacco e si prefigge di rappresentare delle dinamiche verosimili tra lui e le varie ragazze.


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