La stella più fragile dell'universo

Mate!Au/Reincarnation!Au

Non era un giorno come gli altri.

Eren se ne rese conto subito, non appena le sue palpebre si levarono, destato da un sonno senza sogni proprio dal suo cuore, improvvisamente accelerato. Non si trattava di ansia, né tantomeno quell'improvvisa tachicardia lo fece sentire destabilizzato, nonostante riuscisse a percepire chiaramente quel muscolo battere furioso contro il petto. Si rese conto di essere nel bel mezzo di una silente crisi di pianto quando una lacrima calda cadde sul suo cuscino; fu in quel momento che raccolse dalle sue guance e dai suoi occhi quelle traditrici salate, che senza preavviso né permesso alcuno continuavano a sgorgare incontrollate. Poi successe una cosa, un evento che proprio non riuscì a spiegare a sé stesso, una sensazione che partì dalla bocca dello stomaco, impossibile da tenere a freno e che ben presto raggiunse la sua gola: una risata cristallina, genuina, una di quelle che, nonostante gli infiniti sforzi, proprio non si riesce a trattenere. Rise talmente tanto da sentire le gote arrossarsi per lo sforzo, talmente tanto da incentivare le lacrime.

Erano forse quelli i primi sintomi della pazzia?

Solo quando riuscì a calmare quelle emozioni così contrastanti tra loro, decise di poggiare i piedi sul pavimento e, ignorando l'inaspettato capogiro, frugò nell'armadio alla ricerca dei suoi vestiti. In particolare la felpa verde, quella con grosse ali bianche stilizzate sulla schiena, e un paio di jeans a sigaretta chiari. Non appena riuscì ad agguantare dal caos che era il suo armadio l'indumento smeraldino, si fiondò nello stanzino adiacente alla sua camera da letto per stirare quel capo completamente stropicciato. Doveva muoversi, sentiva l'impellente bisogno di uscire, ma allo stesso tempo doveva assolutamente indossare quella felpa, come se una forza superiore gli stesse imponendo una sorta di codice di abbigliamento per quella giornata. Diede una veloce occhiata allo schermo del telefono, rendendosi improvvisamente conto dell'orario. Erano appena le sette del mattino ed era domenica: era ufficialmente impazzito.

La domenica era santa, l'unico giorno della settimana che passava fuori da quella dannata università e che sfruttava per dormire quante più ore possibile, cercando in questo modo di recuperare il sonno perso in quei sette giorni. Eppure quella mattina non era andata come al solito.

Diede una veloce occhiata al suo polso, e alla sola vista il suo cuore mancò di un battito. Ormai aveva perso l'abitudine di controllarlo da parecchio tempo, eppure in quel momento gli venne naturale. Quel maledettissimo timer che, indelebile dalla nascita, brillava sotto la sua pelle scura, aveva ripreso a scorrere. Erano interi anni che il fatidico countdown per lui si era interrotto, talmente tanti che ormai aveva del tutto perso la speranza di incontrare la sua anima gemella: i numeri non avrebbero mai raggiunto lo zero tanto atteso, per poi sparire del tutto dalla sua pelle. Era andato da uno specialista, uno studioso che aveva dedicato interamente la sua vita alla ricerca di quel fenomeno tanto curioso. Ricordava bene l'espressione di pietà che si palesò sul viso di quel vecchietto dai baffi grigi e dalle palpebre cadenti, il sospiro che fece prima di dirgli con fare compassionevole che non avrebbe mai incontrato il suo mate.

«Quando il tempo smette di scorrere, nel novanta percento dei casi, l'anima gemella è morta prematuramente.» Lo informò, dandogli un'affettuosa pacca sulla spalla, gesto che Eren vide più che altro come un ridicolo atto di compatimento. Ancora rimembrava il fintissimo sorriso che rivolse a quell'uomo, e in seguito a sua madre; l'inesistente forza che, testardo com'era, si era imposto di ostentare. Le lacrime, pensava lo sciocco quattordicenne dell'epoca, non erano cose da uomini.

Nascondi, trattieni, il pianto troverà il suo tempo di notte quando il mondo dorme e si dimentica della tua esistenza.

Questo aveva ripetuto a sé stesso ogni qualvolta sua madre provava ad intavolare il discorso. Scoprire che, da qualche parte nel pianeta, la sua persona avesse cessato di respirare fu una vera e propria agonia. La consapevolezza che avrebbe dovuto affrontare l'intera esistenza da solo, senza quel qualcuno che l'avrebbe preso per mano, accompagnandolo con un sorriso nei giorni luminosi e portando con lui i macigni dei periodi bui. Con gli anni imparò a fingere: come il migliore degli attori, inscenava il suo quotidiano spettacolo, trasformando la sua vita in un teatro fatto di maschere e costumi. Mentire per lui non era mai stato facile, sua madre si accorgeva delle verità celate in base al colorito che assumevano le sue orecchie. Eppure quella per lui fu molto più che una semplice menzogna: fu la sua corazza, il vestito che tutti avrebbero dovuto vedergli indosso, un modo di essere che, pur essendogli estraneo, doveva far parte di lui.

La routine che per per ben otto anni aveva caratterizzato le sue giornate, fu spezzata improvvisamente, quasi brutalmente, proprio dalla cosa che più di tutte aveva desiderato ma a cui inevitabilmente aveva dovuto rinunciare. E la sua anima, scossa, completamente in subbuglio, sembrava voler uscire dal suo corpo per volare di città in città e azzerare finalmente quel maledetto orologio. Fu la prima volta che riuscì a concretizzare il famoso detto: "al cuore non si comanda". Diamine se era vero, la mente non aveva più alcuna capacità decisionale, completamente inebriata dal moto di gioia nato nel suo petto, soggiogata dalla volontà di quella forza che per tutta la sua vita era stata assopita, complice di una mera rassegnazione.

Il tempo aveva nuovamente cominciato a scorrere e la sua anima avrebbe trovato la sua metà entro la fine di quel giorno.

...

Camminava per le affollate strade di Trost da ore ormai, circondato da passanti con volti anonimi, facce sconosciute che sfioravano il suo campo visivo per poi scomparire immediatamente dalla sua memoria nell'esatto istante in cui queste lo superavano. Cercò di regolarizzare il respiro, un flebile sorriso stampato in volto; la consapevolezza che il suo cuore avrebbe riconosciuto la parte mancante da solo, gli diede un incredibile sollievo. Si sentiva leggero, come se camminasse ad un metro da terra e avesse l'assoluta certezza che niente avrebbe potuto guastare quel momento. Passo dopo passo si addentrò nel cuore di quella immensa metropoli, dove da qualche anno si era trasferito per poter frequentare la facoltà di Beni Culturali, errando tra le vie come un vagabondo senza una meta precisa. Nonostante la sua andatura molle dicesse il contrario, era impaziente e dannatamente frettoloso; i minuti scorrevano lenti come intere ore, eppure incessanti e irrefrenabili.

Quando diede uno sguardo al suo polso, il suo cuore fece una vera e propria capriola nel constatare che ormai mancavano meno di sessanta secondi. Si trovava sulla piazza principale, al centro della quale regnava un'enorme fontana d'epoca barocca. Quella dove i turisti lanciavano monetine argentate, la stessa che lui in primis aveva utilizzato come ultima spiaggia, sperando ingenuamente che per avverare i suoi desideri bastasse uno spicciolo da cinque centesimi.

L'ansia prese il sopravvento su tutte le altre emozioni quando si accorse che lì c'era veramente troppa gente, e i suoi occhi di giada presero a squadrare ogni singolo individuo alla ricerca di una qualche affinità. E se non fosse riuscito a vederlo? Se quella calca informe di persone bastasse a tenerli lontani e a impedire quel fantomatico destino di cui tutti parlano? Era possibile che un'opzione del genere si tramutasse in realtà?

Trenta secondi.

E se la persona che attendeva da tutta una vita avesse avuto già una famiglia? In fondo non era raro che due Mate decidessero di non continuare una relazione, poco fiduciosi di un qualcosa stipulato da forze maggiori. Il cuore scalpitava rapido e i suoi piedi si mossero verso la fontana.

Venti secondi.

E se la sua anima gemella non fosse stata attratta da lui a livello fisico? Non aveva mai e poi mai pensato ad un'eventualità del genere, il giorno prima quella persona non esisteva nemmeno.

Dieci secondi.

E l'orologio, come mai si era interrotto per ben otto anni? Nelle sue ricerche sul web si parlava quasi sempre di morte o di cause sconosciute. Poteva esserci un errore, forse qualcosa in lui si era rotto o più semplicemente quel desiderio tanto ardito l'aveva condotto ad una serie di allucinazioni. Possibile che prima di quel momento non avesse preso in considerazione la seria opzione di aver del tutto perso la testa?

Cinque secondi.

Troppa, troppa gente. Avrebbe voluto far sparire tutti con il semplice schiocco delle dita, godendosi quel momento con tranquillità e naturalezza. Camminava svelto, girando come un matto intorno alla fontana, guardandosi in giro alla disperata ricerca di un segno.

Zero secondi.

Il suo cuore perse un battito e le lacrime cominciarono a pizzicare le sue pupille, crudeli e traditrici ancora una volta. Piangere in pubblico come un bambino, quante volte si era costretto a non farlo? Quanto tempo aveva passato al buio, sotto le dannate lenzuola, a sfogare tutta la rabbia fino a consumarla, unicamente per celarla alle persone che gli volevano bene?

«Eren...» Una voce, pareva tanto flebile, ma allo stesso tempo limpida e perfetta in ogni singola sfumatura; quasi gli parve che questa volesse nascondere la titubanza mentre, lentamente, scandiva quelle quattro lettere. E fu in quel momento che i suoi occhi si sollevarono, specchiandosi in iridi argentee come la luna, brillanti come le stelle nel cielo notturno, profonde più dell'intero oceano.

...

Non parlarono, farlo sarebbe stato inutile. I segreti che gli aveva nascosto erano talmente tanti che per spiegarli ci sarebbe voluta una nottata intera, e il tempo era un lusso che proprio non potevano permettersi. Eppure l'uomo, che tempo addietro gli aveva giurato la sua incondizionata fedeltà e devozione, non parve preoccuparsene; tante cose erano state taciute, tante bugie dette. Ma i sentimenti, quelli erano sempre stati chiari. Nessuna delle azioni sconsiderate di Eren era riuscita a metterli in dubbio, forse perché Levi si ostinava imperterritamente a restare aggrappato a quell'unica certezza che gli era rimasta: l'assoluta convinzione di avere al suo fianco la Speranza.

Si fissarono per secondi che parvero lunghi quanto anni interi, prima che Eren si chiudesse la porta alle spalle, avvicinandosi al suo capitano. I suoi occhi, smeraldi spenti secondo il maggiore, percorsero quel corpo martoriato. Strinse delicatamente il suo polso con una mano, portandolo all'altezza delle sue labbra per esaminare le ferite che gli erano state inferte. Due dita, due delle sue preziose dita, che tempo addietro erano state capaci di regalargli le gioie del Paradiso, non c'erano più, e delle stupide bende coprivano quel mutilamento, come se fossero sufficienti per nascondere una realtà tanto grave. Si ritrovò a baciarne le nocche, ispirando a fondo e cercando di cacciar via quella terribile sensazione all'altezza della gola. Raccolse il coraggio necessario per spostare lo sguardo su quel viso che tanto adorava, trovandolo impassibile come al solito, pazientemente in attesa di una sua reazione. E questa arrivò immediatamente, perché il groppo si sciolse definitivamente in un singolo singhiozzo, accompagnato da lacrime amare che solcarono il suo viso, rigandolo come ferite bollenti.

Ecco a cosa l'avevano portato le sue azioni: la morte di Sasha, l'odio di Connie, il dolore di Mikasa... E questo. Era riuscito a deturpare il volto del soldato più forte dell'umanità, a sfregiare le sue labbra e la sua guancia destra: le cicatrici non sarebbero andate via mai più, sarebbero rimaste impresse su di lui... Un promemoria che gli avrebbe ricordato, fino alla fine dei suoi giorni, quanto dolore era stato in grado di infliggergli Eren Jaeger.

In fondo aveva sempre saputo di essere un mostro, fin da quando aveva quindici anni; Levi era riuscito ad attenuare quell'odio che giorno dopo giorno si era radicato in lui con una morsa prepotente, riuscendo unicamente a rallentare quel processo irreversibile. E in quel momento, osservando l'occhio coperto di Levi, capì di essere giunto al punto di rottura.

Era riuscito a rovinare la cosa più preziosa che aveva, quelle iridi che tante volte si erano specchiate nelle sue, oramai erano solo un ricordo agrodolce stampato nella sua memoria. Non avrebbe visto mai più quel turbinio di emozioni, a cui unicamente lui aveva accesso, celato in quell'argento vivo, né tantomeno avrebbe più avuto la possibilità di ammirarlo mentre rovesciava all'indietro le pupille quando facevano l'amore e l'orgasmo lo coglieva all'improvviso.

Eren passò le dita su quei solchi, cercando di essere il più delicato possibile, come se stesse maneggiando un piccolo oggetto di cristallo che, sottoposto a troppa pressione, sarebbe andato in mille pezzi. Sapeva perfettamente che Levi odiava essere trattato come una bambolina e che, ancor di più, non sopportava essere compatito, e proprio questo lesse nel suo cipiglio canzonatorio. Ma Eren Jaeger non provava pietà per lui, bensì per se stesso e per quello a cui l'avevano portato le sue scelte.

"Possiamo solo prendere la nostra decisione e sperare di non pentircene in futuro."

Le parole che tempo addietro gli aveva rivolto il suo capitano rimbombarono nella sua mente, martellando dolorosamente contro le tempie. Non aveva preso quel consiglio alla leggera, in fondo aveva sempre considerato le opinioni di Levi come oro colato. Eppure, in quel momento, si pentiva di ogni singola cosa. Quasi come se gli avesse letto nel pensiero, le dita del suo superiore s'intrecciarono con una delle ciocche sfuggite al controllo dell'elastico che manteneva i capelli di Eren raccolti in modo disordinato, cercando di rassicurarlo con quel contatto.

«Sono orribili.» Sussurrò solamente, riferendosi all'insolita lunghezza di quei ciuffi spettinati; non sorrise, né cambiò la sua espressione atona, ma il suo subordinato percepì ugualmente l'affetto di quel gesto e di quelle parole. Fu in quel momento che si accasciò contro l'altro, facendo sfiorare le loro fronti per esplodere poi in una serie di singhiozzi straziati. E più piangeva, più sentiva la vergogna montare all'altezza dello stomaco: proprio lui non meritava di essere consolato, né tantomeno aveva il diritto di versare quelle lacrime.

Come avrebbe potuto riferirgli quello che aveva intenzione di fare, se le sue mani avevano preso ad accarezzare così dolcemente il suo volto? Si sentiva un egoista, sapeva perfettamente di dover risparmiare almeno quell'ennesima bugia a Levi, ma la consapevolezza non fu sufficiente a farlo parlare. Indorare la pillola sarebbe stato inutile, perché quello che sarebbe successo da lì a poche ore avrebbe ridotto in cocci per l'ennesima volta il capitano. Avrebbe provato a fargli cambiare idea, cercando inutili soluzioni che Eren sapeva non sarebbero servite a niente. L'avrebbe comunque scoperto l'indomani, quindi tanto valeva propinargli un dolce bugia piuttosto che l'amara verità, permettendogli di passare almeno quella notte nel modo più sereno possibile.

Furono le labbra di Levi a posarsi sulle sue, facendolo ansimare per la sorpresa. Era da troppo tempo che non lo baciava, da troppo tempo che non sentiva l'odore della sua pelle invadergli le narici come la più afrodisiaca della fragranze. Si ritrasse immediatamente, spalancando gli occhi, terrorizzato che quel contatto avesse causato dolore al suo capitano per via di quella dannatissima ferita, e lui non voleva fargli mai più del male. Ancora una volta il suo comportamento non ebbe bisogno di spiegazioni, Levi capiva ogni suo atteggiamento, leggeva ogni pensiero che attraversava le sue pupille. Così, cogliendo il motivo di quell'incertezza, lo baciò nuovamente, questa volta più irruente. Le dita del più basso s'intrecciarono ai suoi capelli, stringendoli forte tra le dita, impedendogli con quella morsa di allontanarsi nuovamente. Anzi, prese a trascinarlo nella direzione del materasso logoro, unico pezzo di arredamento presente in quella stanza buia e asettica, spingendovelo sopra e sovrastandolo con il corpo. Insinuò la lingua nella bocca del più giovane, facendola unire alla gemella nella più bisognosa delle danze.

Il pensiero di Eren vagò inevitabilmente al loro primo e fugace bacio, quello che lui gli aveva rubato nel vecchio quartier generale una settimana prima di partire per la riconquista di Shiganshina. Il suo capitano l'aveva preso da parte per fargli una delle tante paternali che gli propinava ogni qualvolta bisognava partire per una missione, e proprio quando il discorso di Levi era arrivato alla solita raccomandazione sul non essere troppo impulsivo, Eren sbuffò lievemente, abbassandosi su quelle labbra dannatamente petulanti e zittendole definitivamente. Ricordava alla perfezione l'espressione assolutamente immutata di Levi dopo quel bacio, talmente innocente da sembrare quasi inesistente, e le sue sopracciglia aggrottate mentre gli intimava di non interromperlo mentre parlava. Per Eren quella era stata la settimana più bella e intensa della sua vita, i giorni che avrebbe ripercorso nella sua mente anche il giorno seguente, sicuro che quei ricordi avrebbero reso la sua morte più dolce.

Levi lo destò dai suoi pensieri, mettendo una mano sul petto del ragazzo, sollevandosi e posizionandosi a cavalcioni sulla sua erezione, strusciando su di essa il fondoschiena ed illuminandosi quando vide finalmente Eren, il suo Eren, stringere il labbro inferiore tra i denti. Si rotolarono su quel lenzuolo di pessima fattura, svestendosi di tutti quegli indumenti superflui e pesanti. Eren baciò i segni scuri causati dalle cinghie del dispositivo di movimento tridimensionale, sentendo il suo superiore gemere per quel contatto umido che bramava da così tanto tempo. Ma quando Levi schiuse le gambe, respirando affannosamente, pronto ad accogliere tutto ciò che il suo moccioso aveva da offrirgli, vide Eren scuotere il capo.

«Ti voglio dentro di me.» Disse in un sussurro, sorprendendolo con quelle parole. Eren adorava avere le redini della situazione, per poi perdersi nel corpo del corvino; amava affondare in lui, colpendo quel punto nascosto così forte da fargli dimenticare ogni cosa, eppure in quel momento desiderava altro. Levi si portò nuovamente su di lui, aprendogli le gambe e accarezzando la sua entrata con una falange inumidita di saliva, ma ancora una volta venne fermato da una mano di Eren che gli afferrò debolmente il polso, prima che questi potesse effettivamente penetrarlo.

«Se non lo faccio ti farò male.» Gli fece notare, senza nascondere il cipiglio preoccupato nato tra le sue sopracciglia. Ma ad Eren non importava, voleva farlo esattamente in quel modo e, dedicandogli un flebile sorriso, provò a rassicurarlo. Levi si allungò, pescando dalla sacca malandata sul pavimento dell'unguento profumato, cominciando a cospargere con dosi generose prima la sua erezione, poi l'apertura del compagno. Lasciando andare la boccetta e facendola rotolare sul pavimento, puntellò le ginocchia sul materasso, per poi inserirsi tra quelle gambe oscenamente spalancate e penetrarlo con un unico movimento fluido. Gli occhi di Eren si gonfiarono di lacrime non appena il suo superiore fu completamente dentro di lui, e queste cominciarono a sgorgare dopo il primo affondo. Levi s'interruppe immediatamente studiando la sua espressione, immobile e controllato come sempre. Ma Eren lo pregò di continuare, spingendolo con i talloni e affondando i denti nel labbro inferiore fino a sentire il sapore metallico del sangue. Era così che lo voleva, traendo da quell'esperienza, che sapeva di per certo sarebbe stata l'ultima, tutte le sensazioni possibili, a partire dalle scariche di dolore, che gli rammentavano che sì, era ancora vivo. Gli sembrava tutto così giusto: quelle fitte che pian piano diminuivano d'intensità, cedendo il posto a dolci ondate di piacere. Ed Eren strinse il suo capitano con tutte le forze che aveva in corpo, rincorrendo quell'imparagonabile sensazione che solo facendo l'amore con lui riusciva a sentir montare nel basso ventre. Era certo di non averlo mai sentito così suo mentre si faceva prendere, spalancando le labbra contro quelle dell'altro e ingoiando i gemiti rochi che sentiva vibrare sulla sua carne, percorrendola centimetro dopo centimetro fino a toccargli il cuore, muscolo che ricordava di avere solo quando Levi lo faceva battere in quel modo. Le lacrime incontrollate che sgorgavano dai suoi occhi, la sensazione delle unghie di Levi che affondavano nelle sue spalle, segnandole; un tripudio di emozioni che avrebbe voluto durasse per l'eternità. E mentre vennero simultaneamente, una meravigliosa certezza s'insidiò nel suo petto: erano nati unicamente per cercarsi e per amarsi, anche in un mondo completamente sbagliato, in un modo o nell'altro c'erano riusciti. Ci sarebbero riusciti ancora e ancora.

«Ti ritroverò, sempre.» Promise, baciando la fronte di colui che più di ogni altro era riuscito a farlo sentire umano, per poi abbandonarlo addormentato in quel groviglio di lenzuola.

Gli addii, in fondo, non erano mai stati il suo forte.

...

Aveva sentito storie, racconti di anime affini che conoscevano i nomi reciproci prima ancora di incontrarsi, ma aveva sempre ridotto tutto a sciocche leggende raccontate da ciarlatani in cerca di attenzione. Eppure le sue labbra si mossero in automatico, sfiorate da quel quel nome che uscì fuori con la delicatezza di una carezza.

«Levi.» Una lacrima silenziosa solcò la sua guancia, bagnandola fin giù al mento. Allungò una mano nella sua direzione e, a pochi millimetri da quella dell'altro si ritrasse, come scottato: il terrore che il suo Soulmate semplicemente si dissipasse come polvere nel vento, anche con un solo tocco, fu sufficiente a bloccargli finanche i muscoli. E quasi come se gli avesse letto nel pensiero, le dita dell'altro s'intrecciarono immediatamente alle sue, stringendole come se quel singolo contatto rendesse il tutto più vero.

Spiriti immortali, destinati a incontrarsi e a rincontrarsi sempre, vita dopo vita, secolo dopo secolo, corpo dopo corpo. Un sentimento antico quanto l'intero universo, guidato dalle stelle e dal tempo. Fu come svegliarsi da un lunghissimo sogno, come ritornare a casa dopo un viaggio sfibrante, come varcare la soglia del salone e godersi il caldo di un camino dopo aver passato l'intera giornata fuori al freddo dell'inverno.

«I-Il timer... Era bloccato. Io pensavo che tu... Che tu fossi...» Non riuscì a terminare la frase, anche il solo pensare ad una cosa del genere gli dilaniava il petto ancor di più ora che si ricordava di lui.

«Ci sono andato vicino. - sussurrò, indicando il suo volto, solcato da profonde cicatrici e il suo occhio destro, tanto vitreo da sembrare innaturale. - Sono stato in coma... Incidente in moto. I dottori mi avevano dato per spacciato, ma mio zio non ha mai voluto staccare le macchine. Mi sono svegliato due mesi fa, ma solo ieri ho avuto i permessi per uscire e-.» le braccia di Eren si ancorarono al collo dell'uomo stringendolo come se ne andasse della sua stessa vita, come se quello fosse l'unico modo di non farlo fuggire via.

Era corso da lui.

«Ma guarda che storia: sono costretto a sorbirmi un moccioso piagnucolone anche in questa vita. - la voce assolutamente piatta, e un flebile sorriso nascosto nella spalla del castano. - In fondo mi avevi avvertito del fatto che mi avresti ritrovato» Sussurrò, poggiando una mano sulla sua nuca, insidiando le dita tra i suoi capelli e scompigliandoli dolcemente.

«Pensavo di averti perso, capitano.» Ammise, baciando quei capelli, sempre perfettamente ordinati, godendosi il suo profumo e notando piacevolmente che questi non era cambiato di una virgola.

«Non preoccuparti, ora sono qui. Non vado da nessuna parte.»

...

Angolo Autrice:

Innanzitutto un ringraziamento speciale ad Ackerbitch che ha betato per me questa piccola os.

E un ringraziamento a te che mi ispiri giorno dopo giorno, che mi sproni, che mi supporti genuinamente e quotidianamente. Anche il nostro timer c'ha messo un po' a raggiungere l'agognato numero zero, l'unica cosa che rimpiango è quella di non averti conosciuta prima. So che non sai gestire i miei attacchi di affetto, ma sono inevitabili. Sei l'amica che tutti dovrebbero avere la fortuna di avere ma che, egoisticamente, preferisco tenere per me. _selenewhite_ grazie di tutto e per tutto.

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