Inheritance

Fuori infuriava un temporale e la biblioteca appariva più tetra del solito. Le fiamme dei candelabri tremolavano, scosse dagli spifferi che si intrufolavano tra le fessure della pietra, ma quelle deboli raffiche erano nulla in confronto al vento che scuoteva le fronde dei ginepri nel giardino. Mai, in tutti quegli anni, le tempeste primaverili erano state così violente, o almeno da quello che Sigrid ricordava. 

Guardò distrattamente fuori dalla finestra, incrociando lo sguardo vuoto di un corvo cieco, appollaiato sul cornicione. L'uccello parve fissarla di rimando, inclinando la testa a destra e a sinistra, come se cercasse di carpire i suoi pensieri. Poi, quando il fragore di un tuono squarciò l'aria, gracchiò e si alzò in volo, sparendo velocemente alla vista. La ragazza sussultò e si portò una mano all'altezza del cuore. Solo quando udì l'ululato di un lupo in lontananza, tornò rivolgere l'attenzione al libro ai suoi piedi. Puntò il dito sulla frase che stava leggendo, scritta con la grafia pressoché indecifrabile di Merlino, ma memore dalla lavata di capo che le aveva fatto la volta scorsa, si sforzò di proseguire, anche se quella lettura non l'aiutava a mantenere la concentrazione. 

Il suo precettore, infatti, le aveva affidato il compito di studiare tutta la genealogia di famiglia, a partire da ancor prima della nascita di Uther Pendragon, suo nonno. I nomi dei suoi antenati elfici non solo erano difficili da mandare a mente, ma anche impronunciabili. 

Certo, questo esercizio di memoria si era rivelato utile per imparare alcuni incantesimi, ma, nonostante tutto, Sigrid avrebbe di gran lunga preferito che Merlino le impartisse altre lezioni di magia, piuttosto che riempirsi la testa di nomi di persone morte secoli prima. Sigrid era una principessa e, in quanto tale, aveva doveri più importanti a cui adempiere, tra i quali apprendere incantesimi e affinare la tecnica di combattimento. Per quanto riguardava quest'ultimo punto, in teoria non avrebbe dovuto neanche avvicinarsi a una spada, in quanto femmina, tuttavia suo padre aveva ritenuto necessario darle l'opportunità di imparare quantomeno a difendesi, vista la sua posizione.

Quel giorno Merlino doveva sedere in Consiglio assieme ad Artù e ai cavalieri della Tavola Rotonda e con quella pioggia non poteva di certo uscire. Almeno non aveva distrazioni.
"Va bene, allora... Anel, regina delle terre del Nord, andò in sposa a Caimech, re degli umani. Da loro nacquero Judol, Faolan e Niall. Faolan... mmm... morì giovane, quindi non ebbe prole, invece Niall fu moglie di Owain e generò... generò la principessa Mael e il principe Sèamus, forse? No, quelli sono i figli di Judol, o forse di Talfryn III?"

Corse a seguire col dito le linee delle due dinastie, scoprendo non solo di averle confuse, ma addirittura di aver sbagliato le morti. Sbuffò esasperata e chiuse di malagrazia il libro, il viso imbronciato e le labbra serrate in un'espressione rassegnata. Si alzò e, dopo essersi spolverata la gonna, andò alla finestra a osservare la pioggia che ticchettava sui vetri. Le sovvenne della tempesta che l'aveva accompagnata nel suo viaggio verso Tintagel quando era piccola, molto simile a quella che adesso si stava scatenando su Camelot.

Quando il ricordo della residenza della nonna si affacciò nella sua mente, si lasciò andare a un sospiro carico di nostalgia. Era una giornata uggiosa e l'inverno stava cedendo il passo al calore della primavera. Suo padre era entrato nella sua camera poco prima di mezzodì e le aveva annunciato che, almeno per tre giorni, le lezioni erano sospese. Merlino non sembrava granché sorpreso, probabilmente perché era già stato messo al corrente della decisione del suo sovrano. Sigrid, al contrario, aveva impiegato qualche secondo per capire cosa stesse succedendo, ma il sorriso di Artù le aveva messo le ali ai piedi. Per quanto la lunga gonna glielo permettesse, era corsa nelle sue stanze e, aiutata da Calien, la sua ancella, aveva indossato degli abiti adatti per viaggiare a cavallo. 

Ancora oggi, a un anno di distanza, ricordava perfettamente l'uggiolio lamentoso dei cani che annunciavano la pioggia. 

In ogni caso, suo padre aveva ordinato di condurre due cavalli fuori dalle stalle e di lì a un'ora erano già al trotto. Durante il viaggio, scortati da Lancillotto e da altri due cavalieri, Sigrid non si era annoiata. Cavalcavano quando il sole faceva capolino dalle nuvole e chiedevano ospitalità nei castelli dei regni vassalli quando il tempo non permetteva loro di procedere oltre. Più volte erano stati sorpresi dal temporale quando erano in mezzo alla campagna, ma alla fine nessuno aveva creduto davvero di arrivare asciutto a destinazione. 

Colta da una folgorazione, Sigrid corse verso lo scaffale della libreria e, tenendosi sulle punte, si allungò per prendere un vecchio tomo consunto. Il titolo non si leggeva più, ma lei era certa che fosse quello giusto, lo aveva sfogliato fin troppe volte per dimenticarselo. Lo poggiò delicatamente sul tavolo e lo aprì sulla mappa del regno. Con la punta del dito sfiorò la carta ingiallita e seguì il percorso che avevano battuto in quei giorni, soffermandosi ogniqualvolta incontrava il castello dei principi coi quali avevano banchettato: la luminosa corte di Aran, dove aveva conosciuto la principessa Caytlin e lady Dara; la dimora del vecchio conte Fiachra, che li aveva accolti col suo sorriso stanco e la tavola attorniata da cavalieri che, un tempo, dovevano essere stati la gloria del loro signore; infine la rocca di messer Jarlath e la sua consorte Fiora, un'elfa che si diceva essere una delle maghe più sagge del reame. Sigrid l'aveva guardata con timore e si era sentita nuda sotto quegli occhi perlacei, ma poi la donna aveva sorriso e il suo istinto le aveva suggerito che poteva fidarsi di lei. Quella sera stessa era venuta a conoscenza della leggenda che aleggiava attorno al castello di Tintagel. Non ricordava esattamente come fossero arrivati a parlare di quello, ma quando Lancillotto si era messo a discutere con Jarlath, Fiora l'aveva presa da parte e le aveva chiesto se credeva alla magia. 

- Certo che ci credo! - aveva esclamato lei, quasi indignata dalla domanda.
Artù le aveva lanciato un'occhiata di rimprovero, ma Fiora le aveva dato un buffetto sulla guancia, senza perdere il sorriso. Anche se l'aria era satura dell'odore del vino, la pelle dell'elfa emanava un intenso profumo di lavanda ed erba bagnata.

- Allora, visto che siete una bambina che sa molte cose, saprete che la residenza di vostra nonna ha un'origine magica. -

Sigrid l'aveva guardata sbigottita e aveva negato con la testa. 

- Perdonatela, Merlino l'ha appena presa come sua allieva. - aveva spiegato Artù, scompigliandole i capelli con un'espressione tra il serio e il faceto.

L'elfa era scoppiata in una risata argentina: - Lo avevo immaginato. In effetti, è ancora molto giovane per conoscere certe voci. Mi permettete di renderla partecipe della mia conoscenza?-
Il re aveva fatto un ampio gesto con la mano e poi aveva afferrato una coscia di pollo dal vassoio in ottone.

Sigrid si era sistemata per bene sulla sedia e, mentre sbocconcellava una mela, aveva ascoltato con attenzione il racconto. Durante quella serata, aveva appreso che molti credevano che fosse stata la magia del popolo elfico ad aiutare gli umani a erigere il castello di sua nonna, lady Igraine. Qualcuno addirittura sosteneva che fosse proprio quell'antica magia a rallentare l'erosione della costa, placando lo sciabordio delle onde durante le notti di luna nuova. Sigrid non sapeva se quelle dicerie fossero vere, ma qualcosa nella voce di Fiora l'aveva convinta che forse un fondo di verità c'era. Inoltre, ascoltare quella voce così melodiosa l'aveva incantata e distolta dalle noiose discussioni del re suo padre e di tutta la corte di messer Jarlath. 

In seguito, era caduta in un sonno profondo e la mattina seguente e per tutte le restanti miglia la sua mente non aveva fatto altro che ripensare alle parole dell'elfa. Immaginava un'epoca lontana, dove uomini, elfi e spiriti vivevano sotto lo stesso cielo, impegnandosi per costruire un regno giusto e in armonia con le leggi della natura. Durante quel periodo perso nelle nebbie del tempo, il Popolo della Foresta aveva aiutato a erigere il castello di Tintagel, dove lady Igraine, aveva vissuto fino a quando non aveva sposato Uther Pendragon.

Totalmente immersa in quelle fantasie, Sigrid quasi non si era resa conto di essere arrivata a destinazione, ma, non appena aveva visto le mura grigie della città stagliarsi in lontananza, non era riuscita a nascondere lo stupore. Il castello era una struttura immensa, forse anche più grande di Camelot stessa, con le quattro torri angolari orientate secondo i punti cardinali. All'interno si snodavano lunghi corridoi, che collegavano stanze con arredamenti spartani ad altre quasi più lussuose di quelle della regina. Artù le aveva narrato la storia del castello e dei suoi precedenti abitanti e Sigrid aveva osservato i quadri appesi alle pareti, completamente rapita. 

In silenzio, Lancillotto li seguiva a debita distanza, facendo qualche commento colorito all'indirizzo di questo o quel sovrano, nonostante l'espressione a dir poco stupita del ciambellano. 

Quando erano giunti nella sala del trono, una donna vestita con un pesante abito verde e una toque di ermellino sulle spalle si era fatta loro incontro. Un opale dalla stessa tonalità del vestito le splendeva al collo. Sigrid l'aveva guardata intimorita, ma, non appena aveva incrociato i suoi occhi azzurri, la paura si era dissolta, come spazzata via da un vento caldo. Era stato in quel momento che la bambina aveva realizzato di aver già visto quel volto: era lady Igraine, moglie del defunto Uther Pendragon, sua nonna.

- Mio signore. - aveva esordito la dama, chinando il capo e abbassando gli occhi quando giunse davanti ad Artù.

Aveva una voce delicata, quasi come quella di Fiora.

- Lady Igraine. - l'aveva salutata di rimando il re, seguito da Lancillotto e Sigrid, - Vi ho per caso disturbata? -

- No, niente affatto. - aveva accennato un sorriso, indicando con lo sguardo il libro aperto sul trono, - Mi rammarico di non essere agghindata come dovrei. -

- Siete sempre meravigliosa, madre. -

Il re aveva lanciato una rapida occhiata al cavaliere, che aveva sospinto Sigrid verso di loro.
La vecchia regina l'aveva studiata confusa e poi, come se avesse ricordato qualcosa di importante, aveva incrociato lo sguardo del figlio, sconvolta.

- Lei è...? -

- Sì, è proprio lei. - 

Artù aveva posato le mani sulle spalle della bambina, stringendole appena per trasmetterle sicurezza. Lady Igraine era rimasta qualche secondo in silenzio, senza sapere cosa dire. Poi, con un gesto imperioso della mano, aveva ordinato a tutti di lasciare la sala. Dopo un attimo di esitazione, le guardie e i servi erano usciti, chiudendo la porta. Quindi la vecchia regina si era inginocchiata e, con grande sorpresa di Sigrid, l'aveva abbracciata e le aveva accarezzato con delicatezza la testa. Le mani le tremavano, ma la stretta era salda, forte come quella del padre.

- Per gli dei... non credevo che l'avrei mai vista. - aveva esalato, forse più rivolta a se stessa che ai suoi ospiti.

Poi si era allontanata e l'aveva osservata da capo a piedi, e solo allora Sigrid si era accorta che aveva le lacrime agli occhi. Si era sentita confusa e aveva fatto saettare lo sguardo dalla nonna al padre, cercando di capire il perché di quella reazione, ma nessuno di loro era sembrato propenso a parlare. Un silenzio carico di domande aveva riempito l'aria. L'unico suono udibile era il verso dei gabbiani e il rumore delle onde che si infrangevano sulla scogliera.
- Milady, vi ho fatto del male? - aveva balbettato Sigrid, per poi concentrare la sua attenzione sull'opale della nonna. 

La luce del sole si era riflettuta sulla gemma, facendola brillare come una stella.

- No, piccola. - commossa, lady Igraine le aveva spostato una ciocca nera dalla fronte.

Artù le aveva sorriso e Lancillotto le si era affiancato, dicendo: - Ho pensato potesse farvi piacere incontrarla. - 

Le labbra della regina avevano tremato: - Non sapete quanto io sia felice ora... -

- Non capisco. - aveva mormorato Sigrid, spaesata.

Lady Igraine aveva sgranato gli occhi e li aveva puntati su Artù: - Non le avete detto nulla? -
- Non è una storia che possa essere raccontata senza la vostra partecipazione. Desidero che sappia tutta la verità, ma dalle mie labbra sentirebbe solo una versione dei fatti. Voi potrete dirle ciò che io non ho mai potuto sapere. - 

Artù aveva parlato con lo stesso tono di sempre, ma Sigrid aveva percepito esitazione. Aveva congiunto le mani in grembo e, nervosa, aveva intrecciato le dita nell'attesa che la sua curiosità venisse soddisfatta. Fremeva e a stento era riuscita a soffocare le domande che le si erano ammassate nella testa, ma anche il solo pensare di porle le aveva messo addosso una profonda inquietudine, perché, in cuor suo, aveva paura della risposta che avrebbe ricevuto.

Lady Igraine era rimasta in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto, immerso in chissà quali riflessioni. Quando era tornata a parlare, la sua voce aveva perso qualsiasi calore.

- Accomodiamoci nell'ala ovest del castello, questa storia necessita di un luogo adatto per essere raccontata. -

Li aveva condotti in una sala disadorna, con un lungo tavolo al centro e solo qualche candelabro accesso a illuminare l'ambiente. 

Quel giorno avevano discusso a lungo, scaldati solo dal fievole calore delle fiamme e da qualche boccale di vino fruttato. Sigrid aveva appreso che sua madre non era una delle concubine del re, come finora le avevano detto, ma Morgana, la prima figlia di lady Igraine e del conte Gorlois, sorella di Artù e, soprattutto, una strega traditrice. Con il cuore in tumulto, la vecchia regina e suo padre le avevano raccontato di Avalon, delle voci nelle nebbie, del rito che aveva unito Morgana e Artù e come, da quell'unione, fossero nati lei e Mordred, il fratello che non aveva mai conosciuto. 

Ricordava di aver provato a trattenere le lacrime, ma poi era scoppiata a piangere, incapace di accettare la realtà che le era appena stata rivelata. Nella sua mente aveva sempre saputo che Artù la teneva all'oscuro di qualcosa: infatti, per quanto le volesse bene, Sigrid non aveva mai compreso il motivo per cui le riservasse sempre così tante attenzioni, persino renderla allieva di Merlino. Eppure, in quel momento, quando finalmente aveva scoperto le sue vere origini, la verità era stata troppo dura da accettare.

Adesso, a distanza di quasi cinque anni da quel viaggio, ci ripensava con un sorriso amaro. Lady Igraine si era presa cura di lei durante tutta la loro permanenza a Tintagel, standole vicino e cercando di non lasciarla mai sola, nonostante la barriera che Sigrid aveva eretto tra sé e il mondo esterno. Alla fine non aveva più avuto la forza di respingere le attenzioni di quella donna e si era abbandonata al calore dei suoi abbracci.

Sigrid aprì la finestra e si allungò verso l'esterno, lasciando che l'acqua le bagnasse il viso. Socchiuse gli occhi e si abbandonò a quelle carezze liquide e gelate, incurante delle gocce che le inumidivano le vesti. Il temporale era diminuito d'intensità e il vento era meno pungente, meno freddo, tanto che persino i cani avevano smesso di uggiolare. 

Suo padre non l'aveva mai disprezzata per il ventre che l'aveva messa al mondo e, nonostante il sangue che le scorreva nelle vene, l'aveva sempre amata. Decise che si sarebbe dimostrata una brava figlia e avrebbe adempiuto al suo compito: diventare regina di Camelot e regnare in pace.   

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