Capitolo 3: "Schegge"

"Il problema non è quando assaggi e non ti piace, ma quando assaggi e non ti basta."

Con non poca difficoltà riuscì a chiudere la cerniera del trolley, rigorosamente sedendomici sopra, per qualche strana ragione non riuscivo mai a contenere le mie cose in un piccolo spazio, eppure mi ero portata lo stretto indispensabile.

Tipo tutta la casa.

Un leggero ticchettio alla porta mi interruppe dalla mia attività distruttiva di chiusura della valigia, e borbottando una sorta di "prego prego!" Continuai imperterrita a darmi da fare con la cerniera.

Lo strusciare delle ciabattine di mia mamma, sul pavimento di marmo in graniglia in tipico stile anni '50, lo avrei riconosciuto anche ad occhi chiusi, esattamente come l'ondata di gelsomino che si portava dietro, così iniziai a parlarle senza nemmeno girarmi.

"È tutto pronto per domani! Devo solo riuscire a..."

"Frena, frena lo so che sei organizzatissima! -quasi le scappò una risata- volevo solo chiederti se ti andava di mangiare qualcosa, sei a digiuno da ieri sera..."

Mi girai guardandola come se fosse impazzita.

Sapeva che ero a dieta ferrea, rientravo per un pelo negli standard di peso consentiti, se avessi preso due chili in più sarei già stata automaticamente fuori dai giochi, non ci pensavo proprio a riempirmi di carboidrati, fritti, cibi pre-cotti o cose simili, tanto meno la sera. Sfortunatamente per la carriera che volevo intraprendere, vivere nella capitale con le peggio abitudini alimentari al mondo non aiutava.

"Ma quale digiuno! Ho mangiato una mela a mezzogiorno, cinque mandorle nel pomeriggio...ah ho preso gli integratori come tutte le mattine, sono a posto così grazie." -tornai a dedicarmi alla cerniera difettosa-

Lo vidi nei suoi occhi, scuri, profondi e disgustosamente simili a quelli di mia sorella maggiore, che era carica d'accusa e che non avrebbe mollato la presa fino a che non avrei buttato giù qualcosa. Maledetta Dottoressa Robinson, maledetti i suoi consigli alimentari e maledetta me che mi complicavo la vita di mio.

"Nicole cosa mi hai promesso?"

"Mamma non ricominciare..." -sbuffai-

"Puoi lasciar perdere quella cerniera e parlarmi?! E girati!"

Respirai a fondo e girandomi le feci cenno di continuare col suo sproloquio degno dei migliori nutrizionisti di real time.

Detestavo tutta questa iper attenzione addosso a me, ero perfettamente in grado di auto gestirmi e non c'era cosa nella mia vita che più detestavo che sentirmi dire cosa potessi o non potessi fare.

"Non voglio stressarti ma tu non collabori! Stai seguendo il programma che ti ha dato la dottoressa Robinson?"

Quella cretina di psicologa? Certo, come no, ho smesso di andarci dopo la seconda seduta in cui cercava di farmi avere un pianto liberatorio a tutti i costi.

"Vuoi sapere se sto mangiando? Se è questo che ti preme sì, lo sto facendo, come vedi sto in piedi e sto benissimo." -girai su me stessa con evidente sarcasmo-

Il bel faccino di mamma Kate non era ancora convinto, era sempre stato come se lei in fondo sapesse sempre esattamente se le stessi mentendo o dicendo la verità, forse era la persona a conoscermi meglio al mondo oppure non mi conosceva per niente ma eravamo così simili da capirci immediatamente. Questo non l'avevo mai saputo valutare.

"Voglio solo che tu stia bene tesoro. Non c'è niente che mi prema di più della tua salute ed è evidente che tu non stia bene...non devi vergognarti delle tue emozioni, è normale avere delle debolezze ma non puoi tenerti tutto dentro o lo canalizzerai nel modo sbagliato..."

Sbottai dando un colpo così forte alla cerniera da riuscire finalmente a chiudere il trolley.

"Adesso basta! Sembrano le stronzate della Dottoressa Robinson, perché credete tutti che io mi stia tenendo tutto dentro? Che cosa poi? Mia sorella è morta e io non posso farci niente. Non la riporterò indietro urlando o piangendo, non è che se tutti si disperano devo farlo anche io! E poi sentiamo, quale sarebbe questo tanto decantato modo sbagliato in cui canalizzo il dolore? Uhm? Fumando spinelli? Oppure attaccandomi alla bottiglia pur essendo astemia?" -mi impuntai buttando fuori a raffica tutte le parole che mi passavano per la mente-

Sentì la gola chiudersi e pizzicare ma come al solito ingoiai il tutto come un amaro boccone, troppo pesante da digerire, troppo doloroso da tirare fuori.

"Oh Nicole un esempio ce l'avrei: andando nei cessi a vomitare tutto quello che ingurgiti per esempio."

Come l'ha scoperto?

La sua affermazione mi lasciò così spiazzata da freddare il fiume di parole con cui la stavo investendo, all'improvviso l'atmosfera si era raffreddata lasciando aleggiare soltanto il gelo, esattamente lo stesso gelo che portavo dentro da ormai tre anni.

Tre anni, tre mesi e sei giorni dalla morte di Charlotte ed io non avevo mai versato una lacrima, nemmeno una.

Per questo ero stata catalogata come una specie di figlia problematica da recuperare assolutamente, perché non mi sono uscite due lacrimucce, perché non ho soddisfatto le aspettative di chi mi circondava con la mia non-disperazione? Perché dovevo piangere se non ci riuscivo?

Me lo ero chiesta tante volte il perché di questo, mi sono data dell'insensibile, poi della stronza, poi dell'anafettiva e infine dell' insensibile, stronza, anafettiva.

Tutti pensavano che io avessi reagito alla sua morte come a quella di uno sconosciuto.

Quello che nessuno poteva capire era che semplicemente io non avevo reagito, non ci avevo nemmeno provato. Lei per me era ancora lì. Si sentiva ancora la sua presenza in casa, e non mi riferivo a qualche evento di natura paranormale, era presente nel senso che c'era ancora la sua gigantografia in bianco e nero appesa in salotto in bella mostra sopra al finto caminetto, enorme foto in cui il suo sorriso smagliante e perfetto rideva, in groppa a una ducati 750 SS, tenendo tra le mani il primissimo profumo dei tanti che da lì in poi avrebbe sponsorizzato; e non era finita lì, il corridoio offriva una sua serie di scatti, primi piani per la precisione, nuovamente truccata e vestita da una delle più celebri case di moda, e anche in quel caso il suo sguardo pareva voler perforare il vetro della cornice; senza contare la vetrinetta in salotto, a quattro piani, tutti interamente dedicati ai premi vinti da bambina, i riconoscimenti, era stata una Miss di praticamente qualsiasi cosa. Poteva mai cessar d'essere una simile presenza?

"Allora? Non fai più la strafottente? Ho ragione vero?"

Mi ridestai dai miei stessi pensieri e in tutta risposta diedi una scrollata di spalle.

"Ti sbagli, non ha niente a che vedere con Charlotte; e poi l'ho fatto una volta sola, due forse...una scemenza, ero solo molto stressata per l'ammissione a questo concorso."

Incrociò le braccia col suo solito fare ancora più sarcastico del mio piegando la bocca nella sua classica espressione da non ti crederei nemmeno per un milione di dollari.

"Una scemenza, certo. Avere un disturbo alimentare da stress post-traumatico è una scemenza. Quando smetterai di fare la bambina e ti deciderai ad affrontare le cose?"

Quanto detesto questi paroloni da manuale psichiatrico: stress post traumatico. Andiamo, che scemenze. Solo le signorine d'alto borgo possono permettersi simili paturnie, cosa che a me decisamente non è concessa, ho ben altro cui pensare che ai melodrammi.

"Quando la smetterete di soffocarmi se proprio ti interessa. Mamma è tutto sotto controllo okay? Non ho nessun disturbo alimentare e ti ho detto che sto bene."

"Se lo dici tu. Se davvero è come dici ti consiglio di lasciar perdere, se la semplice ammissione ti ha ridotta a chiuderti in bagno, casualmente dopo ogni pasto, non oso pensare come reagirai allo stress del concorso vero e proprio."

Della serie: Auguri Nicole, per un altro favoloso giorno nel tuo miserrimo anonimato! Peccato tu non possa eguagliare nemmeno un mignolo dell'eccellenza della tua defunta sorella maggiore bla bla bla.

Il solo guardarla mi stava dando sui nervi, non capivo se era un modo per buttarmi giù definitivamente o trovare un pretesto per farmi crollare, ma no, atteggiamenti simili su di me avevano solo che l'effetto contrario: stimolarmi a farcela ad ogni costo.

"Io non mollo proprio niente. Quella che ha gettato la spugna sei tu, papà e alla fine...perfino Charlotte lo ha fatto. Fortunatamente io sono molto ma molto diversa da ognuno di voi. Forse non lo hai capito ma se ho accettato di rinchiudermi per tre mesi in una casa con sette estranei, di cui tre mi tirerebbero volentieri una coltellata, e non sto scherzando, e perché io non mollo un cazzo. Adesso se vuoi scusarmi..."

Ecco, hai esagerato. Figlia odiosa e ingrata fra 3,2,1...

Quella tremenda sensazione di disgusto e odio verso me stessa mi pervase completamente ancora una volta, e l'avevo sentita attanagliarmi la gola già dalla primissima domanda di mia mamma, che superai dalla soglia della mia stanza con una spallata andando velocemente nel bagno in fondo al corridoio, prima che lei riuscisse a raggiungermi gridandomi dietro.

Mi detestavo e provavo in quei momenti di poca lucidità una tale rabbia e un odio per me stessa, con una forza ed un ribrezzo tanto grandi da distruggermi, da farmi desiderare di liberarmi.

Con gesti ormai meccanici tirai su la tavoletta del water e inginocchiandomi iniziai a tirare fuori la tosse, colpi sempre più forti che iniziarono a diventare conati, la mia laringe si contraeva e distendeva, contraeva e distendeva...al che per accelerare il tutto, mi infilai come di prassi l'indice e il medio in gola, spinsi fino in fondo alla lingua agevolando l'ultimo terribile ma liberatorio conato, facendomi gettare quel poco che conteneva il mio stomaco nello scarico.

Ed era allora, in quei momenti, che tutta la rabbia, la frustrazione, l'ansia e l'odio verso me stessa uscivano da me, mescolandosi al rigetto nel water e scomparendo insieme ad esso col getto d'acqua dello scarico. Era una singola e frammentaria sensazione di pace e liberazione meravigliosa, io e il mio silenzio, io nella mia bolla di pace eterna.

Era morire e resuscitare.

Passò qualche minuto, in cui ripresi respiro e trovando la forza necessaria per non crollare a terra mi rialzai quel tanto per arrivare al rubinetto, classico anni '70, come la moquette rosa che ricopriva il pavimento, semplicemente orrendo pensai, come pensavo da sempre di tutto l'arredamento di quell'angusto bagno, ma in quel momento l'unica cosa che volevo era sciacquarmi, lavarmi i denti e togliermi dalla bocca quel sapore disgustoso, e perfino quel rubinetto non mi sembrò più tanto terribile.

Infine uscire da lì e andare a dormire come se niente fosse successo.

Come se niente se stesse succedendo, dopotutto era così, no?

Non stava succedendo assolutamente niente, io stavo bene e stavo per iniziare un'emozionante nuova avventura.

Stavo bene.

Mi buttai il getto d'acqua direttamente sul viso, sfregandomi e tirandomi su, mi guardai riflessa in quel piccolo riquadro dello specchio, fissando il mio solito riflesso: la bocca troppo carnosa per essere così piccola, il neo sotto di essa che non avevo mai gradito, gli occhi di un brillante castano sempre troppo poco sinceri e le sopracciglia perennemente corrugate; e convincendomi che quella era Nicole Gould, la ventiduenne con una vita quasi perfetta e nessun problema pregresso, nessun rapporto malato col cibo e assolutamente alcuna fissazione.

"Andrà tutto bene okay? Andrà tutto bene Nicole, tutto bene..." -sussurrai più e più volte-

Almeno, finché non sarei crollata nel tunnel di autodistruzione che mi stavo scavando con le mie stesse mani, andava tutto bene.

Io stavo bene.

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