XVIII. Killer

"Tu-tu l'hai ucciso" la voce di Wendy era scossa da un pianto che la stava rapidamente invadendo dall'interno, per essere poi liberato in calde lacrime sulle sue guance.
Pan era impassibile, quel sorriso odioso che non accennava a lasciare le sue labbra, le sopracciglia inarcate e la mano ancora sollevata in aria, ma ora vuota.

Wendy cadde a terra in ginocchio, trascinando sul terreno con sé il corpo morto del pirata. Si piegò su di lui, soffocando i singhiozzi sul suo petto freddo e immobile, stringendo la stoffa della sua maglia leggera, tirando, strappando, mugolando il suo nome.
Passarono dei minuti, forse addirittura delle ore.

Pan si sedette su di un tronco caduto e prese ad intagliare un ramo, raschiando il legno con il suo amato pugnale. Ogni tanto alzava lo sguardo sulla ragazzina con il viso soffocato ora tra le pieghe della maglia, ora tra i capelli del pirata.

Avrebbe dovuto godere a pieno di quel momento, inebriarsi dell'odio della giovane, ma qualcosa lo tratteneva. Percepiva come una sorta di fastidio in gola, il petto gli doleva ad ogni rantolio della ragazza.
Non poteva provare compassione per lei, doveva dimostrarsi divertito dalla sua situazione, doveva tramutare la tristezza della Darling in vero e proprio odio.

Eppure non riusciva ad essere totalmente distaccato ed insensibile. E non era l'aver ucciso un ragazzo innocente a turbarlo, era sapere in fondo a sé stesso che ottenendo l'odio di Wendy ne aveva perso qualcos'altro, l'amore. E non importava quanto avrebbe negato di desiderare l'amore di qualcuno, perché più forte urlava di detestare quel sentimento, più si sentiva vuoto senza di esso.

Uno spasmo lo attraversò e imprecò a voce alta quando il pugnale gli scivolò tra le dita sudate, spezzando a metà il legno tra le sue dita e incidendo un taglio profondo sul palmo della sua mano.

Wendy alzò lo sguardo, ipnotizzata dal sangue che scorreva lungo il polso di Pan. Era nero.
Nero di odio, di cattiveria, di sadismo, di distruzione.

Il ragazzo si alzò, calciando via i pezzi di legno e soffiando infastidito sulla mano, che in mezzo secondo tornò esattamente come qualche minuto prima.

Wendy si passò le mani sul viso, asciugando le lacrime e strofinando fino a graffiarsi la pelle. Il labbro inferiore le tremava visibilmente, gli occhi le bruciavano e un nodo in gola rendeva deglutire un'operazione estremamente dolorosa.

Riservò a Pan uno sguardo di fuoco, alzandosi dal corpo inerme del pirata.
"Guarisci anche lui" sibilò, sollevandosi sulle ginocchia.
Pan rise in risposta.
"Non sto scherzando. Hai guarito il tuo taglio, ora guarisci lui."

Il ragazzo percorse il suo corpo con lo sguardo, notando i tremolii leggeri che la scuotevano e la stoffa sporca del vestito che le copriva a malapena le gambe bianche.
"È morto" sibilò "Non lo posso guarire."
"Ma sei Peter Pan! Sei infallibile o sbaglio?"

La voce di Wendy, roca per il pianto, cedeva ad ogni parola, saltava da un'ottava all'altra, passava da un mormorio impercettibile ad un urlo assordante.
"Peter Pan non fallisce mai" lo prese in giro, mimando delle virgolette con le dita, "Se è vero, riportalo in vita"

Le labbra di Pan si inarcarono in un macabro sorriso.
"Cosa ti fa pensare che lo voglia riportare in vita? Sono stato io ad ucciderlo!"
"E perché l'hai fatto?"

Pan scrollò le spalle, infilando una mano in tasca.
"Sono stufo di starmene qui. Muoviti, ce ne andiamo."
Wendy strabuzzò gli occhi.
"Io non vado da nessuna parte con te" sbottò, facendo un passo indietro.

"Oh ma, cara Darling, non mi pare proprio di aver chiesto il tuo permesso" cantilenò lui e, con un ghigno sulle labbra, sparì dalla sua visuale, riapparendo alle sue spalle, le braccia avvolte attorno alla vita della ragazza e i piedi che avevano già lasciato terra.
"Non puoi lasciarlo lì" urlò Wendy, ma non ricevette alcuna risposta.

Aveva già imparato quanto fosse inutile dimenarsi tra le braccia di Pan, lui non avrebbe mollato la presa, ma ci provò lo stesso, urlando e scalciando.
Pan piantò le unghie nei fianchi magri della ragazza, cercando di zittirla, ma la fece solo urlare più forte.

Nemmeno quando atterrarono sul duro selciato dell'accampamento la lasciò andare.
Wendy barcollò toccando terra e lui, con un'abile mossa, la fece voltare, stringendo per la vita quel corpo scosso dai singhiozzi.
La ragazzina alzò lo sguardo, incrociando quello muto di Pan, nessun sorriso sarcastico nessuno sguardo accecato di odio e cattiveria.
Solamente i suoi occhi ombreggiati dalla luce che vagavano sul viso coperto di lacrime di lei, osservando ogni particolare, ogni lentiggine sulla pelle arrossata degli zigomi, ogni tremolio delle palpebre sotto le lunghe ciglia bionde, ogni minuscola caratteristica che la rendeva fragile.

Mentre la osservava Pan pensò che le ricordava un cristallo caduto. Si era crepato sulla superficie, ma più lo si stringeva tra le dita, per cercare di aggiustarlo, di farlo tornare come prima, più le crepe aquistavano profondità e si espandevano a ragnatela, fino a che il cristallo non sarebbe esploso in mille pezzi. E a quel punto non ci sarebbe stato più niente da fare.

Allungò le dita incerte verso il suo viso, raccogliendo le lacrime calde sulla sua pelle e spazzandole via dalle sue guance morbide.
Wendy si avvicinò di più a lui e, con un gesto inaspettato perfino per sé stessa, si appoggiò al suo petto, stringendosi a lui, le dita strette attorno alla maglia sulla sua schiena.

Odiava Pan, odiava quello che aveva fatto e ancora di più odiava sapere che non si sentiva nemmeno minimamente in colpa per aver ucciso un povero ragazzo. Ma tutto ciò di cui aveva bisogno ora era qualcuno che la abbracciasse in quel modo, che la stringesse a sé fino a farle male, che la consolasse in silenzio.
A volte un abbraccio valeva molto più di mille parole.

Soprattutto se era di Peter Pan che si stava parlando.

I singhiozzi si fecero poco a poco meno rumorosi e le lacrime si diradarono, mentre Pan disegnava silenziosi ghirigori con le dita sulla pelle della sua schiena.

Perché permetteva a Wendy di stargli così vicina? Perché non faceva nulla per allontanarla, per ripeterle qual'era il suo posto?

Sapeva che l'avrebbe dovuto fare, così come sapeva che prima o poi avrebbe interrotto quel momento che lo volesse o meno, e loro due sarebbero tornati esattamente al punto di partenza. Nemici?

Forse.
Eppure due nemici non si sarebbero mai stretti a quel modo. O forse la morte era capace di fare anche questo? Di unire cuori che si odiano? O magari di separare cuori che si amano?

Pan ne sapeva ben poco di morte, ma se il suo piano non fosse andato come sperava, si sarebbe dovuto mettere in pari ben presto.
E per quanto sapesse che ormai il suo piano era a buon punto, la paura di una morte incerta lo stava ora quasi soffocando.

Riportò la sua attenzione su Wendy, il petto della ragazza che si alzava e abbassava lentamente sul suo, la guancia umida di lei appoggiata alla sua spalla, il respiro morbido.

Era così pura. Riusciva a percepirlo dal suo respiro, dall'odore della sua pelle, così candida.
Passò una mano sotto le sue ginocchia, sollevandola da terra e portandola nel suo rifugio.
La fece distendere sul letto, incrociando per un attimo il suo sguardo confuso.
Senza dire una parola le voltò le spalle e, a passi lenti, uscì dalla tenda lasciandola sola.

Era stato uno stupido.
Uno stupido ragazzo incapace di liberarsi dei sentimenti.
Perché non provare niente era così difficile?

Era tardi, il suo cuore batteva piano, a cadenze irregolari, il petto iniziava a fargli male e comunque non aveva la forza di portare a termine quel piano.
Cosa stava aspettando? Una benedizione?

Si addentrò nella foresta, un alone di rabbia che lo circondava tenendo a dovuta distanza perfino le piante.
Un fulmine squarciò il cielo rosato e una serie di tuoni gli rimbombarono nella cassa toracica.

Continuò a camminare, calciando ogni sasso, foglia o ramo che si frapponesse tra lui e una meta ancora indefinita.

Possibile che Peter Pan dovesse morire?
Gli ci era voluta un'eternità a immagazzinare tutto quel potere, a forgiare una personalità così complessa, ad imparare a non aver paura di nulla e a mascherare il poco terrore che gli capitava di provare.
E ora l'irrazionale paura di morire lo stava divorando.

Stupidaggini, Peter Pan è immortale!
Questo aveva risposto alla regina delle fate nell'udire quella maledetta profezia. Ma lei non aveva sorriso, come lui si aspettava, né ammesso che fosse uno scherzo. Era tutto vero.
Nessuno è immortale, aveva precisato e con quello era sparita nel nulla.

Da quel momento Pan aveva fatto finta di nulla, aveva tentato di dimenticare quelle parole, di ignorare le voci nella sua testa che gli ripetevano cose che si rifiutava di sentire.
Ma Wendy Darling era arrivata lo stesso.

Si può anche fingersi sordi o cechi, ma il fato non si ferma davanti a simili sciocchezze, non si arresta di certo per uno stupido gioco. E il timer di Pan aveva iniziato a ticchettare.

Sarebbe dovuto tornare all'accampamento, avrebbe dovuto ripetere il rituale, e in quel modo sarebbe stato salvo. Ma non era dell'umore adatto. C'era qualcosa dentro di lui che gli diceva di continuare a vagare per la foresta, di rimandare ogni cosa, di aspettare. Ancora.

E a volte non si può far altro che abbandonarsi ciecamente all'istinto, senza nemmeno sapere dove ci porterà.

Era forse preoccupato per la piccola Darling?

Impossibile. Si era sempre interessato solo alla metà della profezia che lo riguardava e avrebbe continuato così. Nessuna distrazione, nessun sentimento.

Wendy aprì lentamente le palpebre, cercando di scollare le ciglia superiori da quelle della rima inferiore.
Una luce fioca filtrava dai rampicanti sull'entrata della tenda di Pan.

Voleva restare chiusa lì dentro per sempre.
Era stata una stupida ad affezionarsi ad una persona sull'Isola in quel modo. Era scontato che Pan avrebbe fatto ogni cosa per distruggere ogni rapporto che lei potesse creare eppure si era lasciata trascinare lo stesso. Forse era stata troppo ottimista credendo di poter tornare a casa.
Forse non sarebbe mai tornata a Londra e tanto valeva abituarsi a vivere lì.

Ma quello era vivere? Nel continuo timore che Pan avrebbe fatto qualcosa, nella continua attesa di poter tornare dalla sua famiglia, nella più completa solitudine.
Non aveva qualcuno con cui parlare, con cui scherzare, con cui sfogarsi. E c'erano talmente tante cose che avrebbe voluto dire che quella solitudine la distruggeva dall'interno.

Un pensiero le attraversò la mente. Nate.
Il suo corpo giaceva probabilmente incustodito nel mezzo della foresta, Pan era lontano e per lei sgattaiolare fuori di lì non sarebbe stato difficile.
Non riusciva a pensare in grande, a studiare un piano per andarsene veramente, ma quel poco che poteva fare era dare a Nate il rispetto che gli doveva, dargli per lo meno una degna sepoltura o, in qualche modo, portarlo ad Uncino.

Probabilmente la prima opzione sarebbe stata più facilmente realizzabile, considerato che la Jolly Roger era introvabile.

Dopotutto, era colpa sua se Nate era morto. E il solo pensiero di essere stata la causa della sua morte, la uccideva.

Spazio Autrice.
Vi giuro che adoro i vostri commenti. Siete tantissimi e alcuni mi scrivono anche in privato e davvero fatico a credere che questa storia abbia tutto questo successo.
Quindi grazie mille a tutti voi che cliccate la stellina, che commentate, che attendete con ansia i miei aggiornamenti, love you

Beh siamo già al 19 capitolo e sinceramente vorrei potervi dire se siamo verso la fine, a metà o a che punto dell'intera storia ma ho sempre nuove idee e sto cercando di incastrarle assieme per dare un senso alla trama, quindi non so proprio quanto durerà.

Prossimo capitolo a 50 voti.
Bacini♡

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