Giorno 3 - Sera
Quando bussammo alla porta di Elise, fu lei stessa ad aprirci, sorridendoci mostrando i suoi inquietanti canini da lupa. Faticai a ricambiare, ed entrai.
La casa di Elise fu, fin dal primo attimo in cui la vidi, la più pulita di questo quartiere. Il grande salone in cui entrammo era illuminato solo dalle finestre e da una debole lampada da tavolo, ma non vi era traccia della sporcizia e della muffa che vi erano nelle altre case. Gli arredamenti erano tutti ai lati della stanza, per lasciar spazio a un grande tappeto blu.
Dentro la casa della lupa, c'erano Hana e Mark, seduti su un divano rosso piuttosto largo. I due mi riconobbero.
"Ciao, Ethan" salutò Mark. "Ciao, Enrico!"
"Salve" risposi, e poi volli raggiungere la sedia. Sentii un tocco leggero sulla spalla. Mi girai, ed era Elise, che reggeva un bastone da scopa.
"Prendilo, e cominciamo" disse lei.
"Ma quando combatto non uso—"
"Lo so. Voglio vedere come te la cavi con questo. È ottimo per vedere quanto controllo hai durante il combattimento."
"Se lo dici tu" risposi, e presi il bastone.
"Prima di cominciare, togliti la maglietta. Non abbiamo modo di lavarla bene se si impregna di sudore."
Come chiese lei, mi tolsi la maglietta che avevo, e rimasi in pantaloni. Hana ci lanciò delle canottiere, e io ne presi una. Tenevo comunque alla riservatezza. Lei fece lo stesso, e restò anche lei in canottiera e pantaloni. Almeno non fece alcun commento sul mio fisico, e perciò mi trattenni anch'io. E fui più tranquillo. Per quanto potessi essere tranquillo di fronte a Elise con un'arma in mano.
"Al mio segnale, partite" disse Mark. Io ed Elise annuimmo.
Mi preparai in posizione difensiva. Enrico era andato a sedersi con gli altri, e guardava con un'espressione di curiosità e preoccupazione. Davanti a me, Elise era pronta a combattere. Aveva un'espressione attenta, e già quegli occhi sarebbero sufficienti a farmi perdere l'equilibrio.
Mark batté su un blocco di legno sonoramente, ed Elise partì con una gittata. La schivai per miracolo. Tentai un affondo, ma lei parò il colpo, e tentò di attaccarmi il fianco sinistro. Provai a schivarlo, ma mi prese all'altro fianco.
Era una finta!
Persi l'equilibrio, e lei ne approfittò per fare un affondo. Per riprendere l'equilibrio, feci due passi indietro, e riuscii a prendere l'arma di Elise con la mano libera.
Stavo per cantare vittoria, ma lei fu più veloce di me, e io persi la presa sul suo bastone. Elise fece una capriola in avanti e mi atterrò con un rovescio inaspettato. Dopo avermi sconfitto, lei lasciò l'arma a terra e mi tese la mano.
"Non sei andato troppo male" disse lei. "Ma devi saper ragionare con la testa anche durante una lotta."
"Ci proverò" e mi alzai da terra con l'aiuto di Elise.
I tre spettatori applaudirono al combattimento. Ancora una volta, era stato breve, questa volta a causa della mia incapacità, ma era stato intenso.
"Possiamo provarci ancora" proposi.
"Certo" rispose lei, e preparò l'arma. Io raccolsi il mio bastone da terra, e mi preparai al secondo round. Questa volta, sarei stato più attento.
Tenevo l'arma stretta con due mani, e fissavo Elise, senza perderla d'occhio. Al segnale della volpe, caricai contro la lupa. Quando sferrai il mio primo colpo, lei fece slittare il suo bastone sul mio, e la mancai. Lei provò ad attaccarmi a sua volta, ma parai il colpo. E così continuammo a scambiarci colpi, opportunamente parati dall'altro, come i combattenti dei film. Con la differenza che combattevamo in silenzio, e io potevo sentire il sudore mio e di lei. A un certo punto, dai bastoni cominciarono a volare delle gocce.
Uno dei miei colpi le colpì il fianco, e lei si sbilanciò. Recuperò subito l'equilibrio, e parò il mio corpo. Cavoli se era audace! Le puntai contro il mio bastone, sfiorandone la gola, e lei fece lo stesso. I nostri sguardi erano ancora pieni di sfida, ma poi la fatica prese il sopravvento.
"Basta così" dissi. "Ho bisogno di aria."
Lei accettò, e lasciammo i nostri bastoni a terra.
"Sei andato molto bene, Ethan" disse ancora Elise. "In un posto come questo avrai tante occasioni per metterti alla prova."
"Già" risposi.
"Hai avuto la tua rivalsa contro di Jim" commentò Hana. Gli altri applaudirono.
Dopo il breve allenamento, io ed Enrico tornammo a casa. Volevo riprendermi dal combattimento prima di andare a cena con gli altri. Questa volta entrammo insieme a casa. Prima andai velocemente a lavarmi e poi, quasi come un rituale, ci sedemmo accanto sul divano.
"Stavì andànd bbene ppe me" disse subito Enrico, "Io so caccos in quantò a rissè. Pòzzo insegnàrt qualcosà."
"Ti ringrazio," risposi, "ma per il momento vorrei riposare."
"Va bene." Enrico si alzò, mi diede una pacca sulla spalla, e poi andò a prendere qualcosa da un ripostiglio. Era una vecchia radio. Enrico prese quella, prese in fretta e furia un CD, e venne a posare sul tavolino la radio.
Mise il CD dentro la radio e l'accese, poi selezionò velocemente un brano. Una volta scelto il brano, andò a sedersi vicino a me sorridendo, come se si aspettasse una reazione da parte mia su quello che sarebbe partito alla radio.
Sentii partire uno strumento a fiato, che non riconobbi, e subito dopo il pianoforte a fare d'accompagnamento. Era l'inizio di una canzone, che non conoscevo. Provai a chiedere a Enrico di che canzone si trattava, ma lui mise il suo dito indice sul mio becco. "Ascolta" disse. Dopo il suo gesto, rimasi in silenzio, fino a quando partirono le prime parole:
Napule è mille culure
Napule è mille paure
Napule è a voce de' criature
Che saglie chianu chianu
E tu sai ca' non si sulo
Enrico lasciò la canzone in playback, e cominciò a parlare:
"Ca' te ne parè?"
"Sembra caruccia" dissi. "Di chi è?"
"Pino Daniele" rispose Enrico entusiasta, "È o' mie cantànt preferitò! Peccàt sia mortò nu' paiò e' annì fa, o' duemìl quindìc si nun errò."
"Questa è la prima volta che ascolto una sua canzone" risposi. "Mi spiace che sia morto."
"Tutti moriranno, Ethan" rispose Enrico, ridendo impacciato. Aspettammo fino a quando la canzone finì, e poi Enrico spense la radio. Poi lui si addormentò sul divano. Era così vicino a me. Era veramente adorabile quando dormiva. Il pelo arruffato che aveva sul suo faccino mi tentava. Ma bloccai la mano: lo avrei svegliato.
Dopo qualche minuto mi addormentai anch'io.
Venne a svegliarci Mark, che bussò alla porta almeno quattro volte. Andai ad aprirlo.
"Oh, ciao Mark" dissi, dopo uno sbadiglio. "Ci eravamo addormentati."
"Buono a sapersi. Ceniamo tra poco. Cominciate a venire."
"Ok, vado a svegliare - yamn - Enrico."
"A dopo" disse Mark, e andò via correndo. Lasciai la porta aperta, e svegliai Enrico. Non fu difficile svegliarlo, ma di contro lui si alzò lentamente dal divano.
"Ci simme propeto addormentatì, e su chistu schifò e' divanò" disse lui, mezzo sorpreso.
"Già" risposi. "Dobbiamo andare a cena."
Sentite le mie parole, Enrico si alzò dal divano, e insieme andammo alla mensa insieme agli altri. Una volta arrivati, vidi subito degli strumenti musicali, cosa che non mi aspettavo proprio. Mark suonava un violoncello, e Jim una chitarra. Non erano modelli particolarmente pregiati, per quello che ne sapevo, ma la loro presenza in un posto come questo non era scontata.
I due stavano suonando un duetto a me sconosciuto. Il violoncello portava una melodia elegante e raffinata, con un suono un po' sporco ma piacevole per l'orecchio. Mark se la cavava bene, da quanto vedevo. Jim invece accompagnava la melodia con la chitarra, e lo faceva con il sorriso. Non il sorriso di un leader, ma il sorriso di un ragazzo, che passava un momento piacevole con coloro che amava.
Quando finirono il brano, i nostri applausi furono pieni di soddisfazione. Mark e Jim si alzarono in piedi, e fecero un inchino, come dei concertisti.
"Grazie a tutti" disse Mark. Era un po' timido, ma era felice.
Quando tornarono seduti, Jim diede una pacca sulla spalla a Mark.
"Sei stato fantastico" disse. "Te l'avevo detto che lo saresti stato."
"Grazie, Jim."
"E dopo questa," disse Jim, alzandosi in piedi, "vorrei una parola da Ethan."
Mi alzai subito in piedi. Jim mi fece cenno di sedermi, e poi mi lasciò parlare:
"Cosa c'è?" chiesi timidamente.
Jim abbassò la voce, e mi sorrise:
"Cosa pensi di questa comunità? Di noi ragazzi? Libero di dire quello che vuoi!"
Come se fosse facile! Avrei voluto rispondere che stavo bene, nonostante tutto, e che per esempio adoravo passare il tempo con Enrico. Ma in quel momento mi ricordai che... ero in un posto lontano dal mondo, senza possibilità di scappare, con ragazzi che per quanto disposti ad aiutarmi erano pur sempre persone che conosco da soli due giorni. Non sapevo nemmeno dove fosse mio zio. E non potevo tornare indietro, contattare mia madre, i miei amici. La mia vita era... cambiata, e... loro mi guardavano, aspettando impazienti una mia risposta.
Come se non bastasse, sentivo quella voce cavernosa dire frasi incomprensibili. Sembravano quasi delle formule magiche, o qualcosa di simile. Non mi sentivo più in me, e non riuscivo più a reggermi in piedi. Era come se fossi stato molto stanco, come se fossi nella situazione in cui avrei voluto un letto su cui dormire. Mi sentii cadere, e poi chiusi gli occhi. Attorno a me, sentivo solo suoni sommessi, e poi il nulla.
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