You Spin Me Round
Prompt: Scogli
YOU SPIN ME ROUND
La brezza della sera estiva non riscalda niente, eppure l'aria è così calda che sembra quasi di trovarsi all'inferno, eppure sulle braccia, Eddie Munson, si è alzata la pelle per i brividi. Stringe le ginocchia al petto, seduto su quegli scogli che danno sul mare, che man mano sparisce nel buio di quel tramonto ormai concluso. Il giorno ha lasciato il posto alla notte, le prime stelle sono visibili nel cielo e, un po' più timida, uno spicchio di luna fa capolino tra due nuvole. Le uniche che il vento ha disegnato su un cielo fino a poco fa sgombro di ogni cosa, forse persino di una realtà. Sembrava quasi finto, e a lui le cose finte non sono mai piaciute.
Sospira.
Il vento gli soffia all'indietro i capelli: sta cercando di farli crescere, li vuole lunghi come li portava suo zio da giovane – quando suonava in quella band, con i suoi amici: la metà sono morti per abuso di droghe, gli altri si sono dati alla famiglia e lo zio... be', si prende cura di lui, anche se a volte sembra quasi che gli manchi l'entusiasmo di farlo. O magari è solo un'impressione.
Eddie ha compiuto dodici anni il mese scorso, in piena estate, e sebbene non si senta un adulto, pensa di iniziare un po' a capire come funziona quel mondo e che forse, chissà, suo zio è solo stanco e annoiato da tutto e, a pensarci bene, quando riescono a fare qualcosa assieme, a volte lo vede sorridere e, quando non lo fa, almeno gli occhi sono illuminati da qualcosa. Eddie non sa cosa sia, ma gli fa piacere che sia così, solo che a volte si sente quasi responsabile di quella felicità, come se gliela dovesse ad ogni costo per ciò che sta facendo per lui e ora lì, seduto sugli scogli, a pensare tristemente a quanto sia incapace invece di preservarla, quell'allegria e che a volte, preso dalla sua indole impulsiva, fa cose che non vanno bene, combina casini a cui non può rimediare e, inesorabilmente, delude lo zio.
È scappato via dal camper che usano come abitazione in questi giorni di vacanza che si sono concessi, ma domani tutto finirà, la pausa estiva volgerà al termine e Eddie dovrà tornare a scuola, e non ne ha voglia. Nemmeno un po'.
Vuole restare qui, anche se è a pochi chilometri da Hawkins, ma gli sembra quasi di vivere in una di quelle sue avventure fantastiche, quelle che ha letto nei suoi libri fantasy preferiti, come Il Signore degli Anelli o Conan il Barbaro. Ed è scappato perché gli sembra l'unico modo per restare ancorato a quella felicità che si è costruito durante quei giorni, e vorrebbe che tutto questo durasse all'infinito, che i suoi viaggi in bicicletta fossero ancora volti a trovare vecchi tesori sepolti o un'arma leggendaria e, a Hawkins, non può vivere le stesse cose.
Nessuno è suo amico, a Hawkins. Nessuno è suo amico nemmeno qui (chi mai lo sarebbe? Amico di Eddie il mostro, quello che veste tutto di nero, che ha i capelli un po' troppo lunghi e che porta un anello con un teschio sul dito medio – dito che ama alzare ad ogni buona occasione, oltretutto), ma almeno non lo odiano. Lo ignorano.
Ad Hawkins, invece, no. Ci sono tutti quegli stronzi di merda, che hanno sempre una cattiva parola per ogni occasione, per ogni espressione che mette su, per ogni movimento, ogni occhiata, ogni parola... persino ogni respiro, e non ha voglia di tornare nella fogna, dove si sente il Re, ma è la cosa più umiliante di tutte.
Eddie il mostro, il re della fogna, il re dello schifo, porti male, lo sanno tutti!
Digrigna i denti, si preme le mani contro le orecchie, come se solo questo potesse fermare il flusso dei suoi pensieri e il ricordo di quelle persone che ridono di lui. Stringe gli occhi, e peggiora solo le cose. Li vede additarlo, deriderlo, fargli il verso e poi lo sgambetto e gli sputano addosso.
Non ha mai fatto o detto niente, fino a qualche tempo fa, poi ha iniziato a rispondere, ed è stato solo peggio e ha un ricordo così vivido degli ultimi giorni di scuola, che quasi gli viene la nausea e cerca di pensare ad altro.
Pensa al futuro, pensa a quando finalmente qualcuno lo accetterà e lo troverà simpatico; magari qualcuno come lui, o magari solo qualcuno che non ci trova nulla di divertente, nel prenderlo in giro. Che magari, anzi, è anche interessato a quello che ha da dire, a quello che gli passa per la testa, a tutta quella fantasia che non riesce proprio a tenere per sé, e che deve scaricare via facendo sempre qualcosa di sbagliato.
«Eddie.» È la voce dura di suo zio, che lo chiama. Non sembra più arrabbiato come lo era prima, anzi. Non sa come lo ha trovato, ma in verità non è nemmeno sorpreso. I posti solitari sono i suoi preferiti e lui lo sa e poi... be', non si allontana mai troppo, da casa. Non ci riesce. «Torniamo al camper, domani ci aspetta un lungo viaggio.»
Si prende un lungo momento di silenzio. Contempla il mare che si è ormai fuso con il cielo, sembra quasi che ci sia il nulla cosmico di fronte a lui. È quasi un sollievo, vorrebbe caderci dentro.
«Arrivo», borbotta, e poco dopo si alza, sospirando.
Salta giù dagli scogli, raggiunge lo zio, che gli stringe goffamente un braccio intorno alle spalle, come a rassicurarlo che torneranno, l'anno prossimo, e che forse quella è una promessa. L'unica che può fargli, l'unica che gli possa dare un motivo per continuare ad andare a scuola almeno con uno scopo: partire e tornare agli scogli che tanto ama.
Dà un ultimo sguardo al mare, voltandosi leggermente, e si morde le labbra. Sanno di sale. Spera di ricordare quel sapore almeno fino a Natale.
•••
Il ritorno a scuola è sempre traumatico, e più si allungano i suoi capelli, più i suoi guai diventano grossi. Più le prese in giro diventano cattive.
È già pronto a quella scarica di insulti, di derisioni, che lo gli stanno per arrivare addosso e, appena varca la soglia della scuola, non ci fa nemmeno caso.
«Ehi, guardate! A Munson sono cresciuti i tentacoli!»
«Sembra più femminuccia, eh Munson?»
«Guardatevi intorno, e attenti a non farvi male, che Eddie è tornato a portare sfiga!»
Parole. Cumuli di merda, che escono fuori da buchi di culo a forma di bocche. Tutto qua. Non c'è altro da dire. Non è cambiato niente, è sopravvissuto l'anno scorso, può farlo anche quest'anno, no?
Infila le mani in tasca, in un paio di jeans neri strappati sulle ginocchia. Le converse rosse ai piedi sono un po' rovinate, spaccate sotto. Sente l'erba pizzicargli la pianta dei piedi, ma non gli viene da ridere. Per niente.
Poi qualcuno gli fa uno sgambetto, ridendo e scappando via, e Eddie non realizza; non sfila nemmeno le mani dalle tasche e in meno di un secondo pensa che si spaccherà il mento, appena il suo corpo cadrà contro il terreno.
E invece no. Resta sospeso a mezz'aria, come se qualcuno avesse bloccato il tempo. Il suo corpo resta inclinato, come la torre di Pisa e, alzando le sopracciglia, cerca di elaborare un pensiero coerente.
Poi si volta, ed è lì che sente il braccio sinistro fargli quasi male. Qualcuno lo ha preso in tempo, prima che potesse cadere a terra e lo tiene ancora saldamente.
«Dio santo, c'è mancato poco che ti si cancellasse la faccia contro l'erba, Munson.»
Eddie apre la bocca, e non sa che dire, e quando Steve Harrington strizza gli occhi quasi dolorante, si rende conto di quello che è appena successo.
«Ora però rimettiti in piedi. Sei magro ma pesi, eh!», dice ancora Steve, e lui si precipita a mettersi in posizione eretta, accanto a lui, che ora si sta spolverando le spalle, come se quel gesto lo avesse sporcato di polvere. In verità è qualcosa che gli vede fare spesso, quando lo osserva da lontano; quando mangia da solo in mensa e vede Steve sempre circondato da un sacco di gente: è uno che piace, a suo modo un piantagrane anche lui, ma è l'unica persona che non gli ha mai rivolto la parola né per fare amicizia, ma né tantomeno per prenderlo in giro.
Eddie non pensa che sia una brava persona, ma tra tutti è l'unico che si salva. Ora, in questo momento, lo ha sorpreso.
«Quello stronzo di Finn... voglio vedere come piangerà il giorno in cui qualcuno lo farà a lui, lo sgambetto», mormora Steve, e sembra parlare quasi solo ed esclusivamente a sé stesso.
Eddie ha perso la capacità di parlare, intanto, perché è la prima volta che parla con qualcuno, lì a scuola e soprattutto che viene salvato da uno degli scherzi di cattivo gusto del mondo.
«Grazie», dice solo, e sa di averlo detto con il tono più monocorde che gli potesse uscire fuori. Steve sembra non badarci, gli fa solo un cenno con la testa, arricciando le labbra, come a dire: nessun problema.
«Non camminare con le mani in tasca, Munson. Non so se la prossima volta ci sono per salvare il tuo naso», risponde Steve, e poi fa cenno a qualcuno che sta arrivando e, senza aggiungere altro, se ne va.
Eddie resta immobile a lo segue con lo sguardo, mentre altri insulti nel frattempo tornano ad appesantire l'aria ma, ora, sta dando loro meno importanza di quella che meritano.
E magari Steve Harrington, dopotutto, è davvero una brava persona.
Fine
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