Glimpse of Us


Glimpse of Us


«Non vengo qui da una vita. Non credevo che ormai fosse completamente abbandonato.»

Eddie si infila le mani nelle tasche del giubbotto di pelle e si gira a guardarlo; anche le mani di Steve sono al sicuro dentro le proprie tasche, quelle del bomber verde e bianco della Hawkins High. Si è diplomato già da un anno, eppure continua imperterrito a indossarlo quando capita, soprattutto quando è con lui. Gli dà quasi la sensazione che, la scelta di quell'esatto capo di abbigliamento, abbia in qualche modo creato tra loro un ulteriore legame. Nemmeno i capelli sono curati come un tempo; il re della chioma fluente ha smesso di pasticciare con la gelatina ed è diventato finalmente un uomo e, a dire la verità, Eddie pensa che stia molto meglio così, che con quel ciuffo modellato manco fosse una statua greca.

Gli scappa un sorriso e torna a guardare il cancelletto mezzo aperto del parco nel quale stanno per entrare. Non era previsto nel programma giornaliero, ma hanno solo fatto una passeggiata, dopo aver cenato con un panino in un fast food e aver bevuto una birra a testa.

«Ci facciamo una passeggiata nei paraggi? Così mi fumo una sigaretta!», gli ha proposto, e Steve ha accettato, alzando le spalle, con un sorriso che ha sempre quel tono da va bene qualunque cosa.

Per quello sono finiti lì, al vecchio parco a sud di Hawkins, ormai deserto. L'erba alta ha coperto parte dello scivolo e della piccola giostra girevole – che ha perso i suoi colori sgargianti di un tempo e ora a malapena è riconoscibile. C'è uno di quei castelli di legno con le corde, ma sembra in procinto di crollare solo a lanciargli un'altra occhiata molto intensa. Poi, poco lontano dallo scivolo, ci sono due altalene con le catene, arrugginite da far schifo, ma ancora abbastanza visibili. Anzi, a dirla tutta, sul terreno c'è il segno dell'erba che ha smesso di crescere, segno che qualcuno ancora, ogni tanto, ci si siede sopra e le fa funzionare.

«Non vengo qui da quando avevo... non lo so, dieci anni?», dice Eddie, e intanto si incamminano per sedersi ognuno su un'altalena e, con enorme sorpresa di entrambi, sono abbastanza grandi da contenerli.

«Anche io. Forse qualcosa di più.»

«Magari ci siamo pure incontrati. E magari hai anche giocato con Eddie "lo strambo" Munson senza nemmeno saperlo.»

Steve gli lancia un'occhiata di traverso, mentre inizia a spingersi avanti e indietro, quasi distrattamente, usando la frizione dei piedi sul terreno.

«Mi ricorderei di un ragazzino fatiscente, non credi?», lo prende in giro e Eddie gli fa la linguaccia; poi tutti e due scoppiano a ridere.

«Non ero così, da bambino. Ero... abbastanza normale!»

«Abbastanza? Dio santo, Munson, devo preoccuparmi?»

«Ero strano, ma non così!», cerca di giustificarsi, fingendo un tono indignato e Steve, di tutta risposta, alza gli occhi al cielo. «È vero, razza di idiota! Ero un bambino un po' iperattivo, ma non andavo in giro con le magliette dei gruppi metal e le croci rovesciate addosso! Avevo i capelli corti e un po' più chiari ed ero un po'... rissoso. Diciamo che me la prendevo un po' se non mi lasciavano giocare.»

«Probabile allora che un paio di pugni ce li siamo tirati.»

«Ma non mi dire! King Steve faceva a pugni per i giocattoli!»

«Ho fatto a pugni per cose ancora più idiote, da più grande, quindi non è così difficile da credere», risponde l'altro, ma non sembra per nulla offeso da quel fatto, anzi. Eddie intravede nel suo sguardo una sorta di vergogna, per essere stato così. Come se, l'aver voluto mantenere una certa posizione con la violenza, fosse qualcosa di cui non va fiero.

Forse è così.

Eddie inclina la testa, pensieroso. «Più o meno è andata così anche per me, con la differenza che a un certo punto della vita ho iniziato a prenderle di santa ragione per come mi vestivo, per la musica che ascoltavo, per essere uno sfigato che va dietro ai giochi per bambini...»

«Eddie, io mi ricordo qualche risposta del cazzo che ogni tanto ti usciva di bocca, che secondo me ha qualcosa a che fare con questa storia», ironizza Steve, ma continua a non farlo con il tono cattivo che Eddie avrebbe immaginato. Ha smesso di usare quel tono da tempo, e forse con lui non lo ha mai nemmeno adottato.

«Può darsi», ammette, e gli tira un pugno amichevole sul braccio, «Non che tu fossi da meno, no?»

«Ho mai detto di avere buonsenso?», risponde, restituendogli lo stesso gesto, e poi ridono di nuovo e scende il silenzio.

Il giorno ha ormai calato il suo sipario, tirando giù la tenda blu della notte, puntellata di piccole chiazze bianche nel cielo e uno spicchio di luna sottilissimo, che sembra quasi una fessura nel cielo. Alzano entrambi lo sguardo, con le mani strette alle catene delle altalene e, quando Eddie distoglie lo sguardo dalla notte e lo posa su quello di Steve, si sente piccolo come quando aveva dieci anni e giocava in quel parco, con suo zio che lo guardava da lontano, fumando una sigaretta appoggiato ad un albero.

Si sente piccolo come quando lo hanno gettato nella giostra e l'hanno fatta girare così forti che, quando si è fermata, è sceso vomitando.

Si sente piccolo come tutte quelle volte in cui, pur mettendocela tutta, alla fine se ne stava sempre solo in disparte ad aspettare che qualcuno gli tendesse una mano e gli dicesse che andava bene così com'era.

Poi c'è stato un giorno in cui Eddie ha capito che quella persona non sarebbe arrivata mai e che, dunque, si sarebbe preso lui quella responsabilità sui più deboli, i più piccoli, i più emarginati, tendendo loro la mano, aiutandoli a non essere soli. E quando ha messo su i Corroded Coffin e poi l'Hellfire Club, alla fine qualcosa si è mosso, qualcosa è cambiato, è diventato il salvatore degli sfigati, un padre migliore di quello che ha avuto ma, se si guarda dentro, vede ancora quel bambino che cerca una mano pronta a tirarlo su e a salvargli la vita, accettandolo per quello che è, qualunque cosa decida di essere.

Abbassa lo sguardo, perché ha pensato una cosa stupida. Una cosa così stupida che è troppo persino per lui, che è il re degli stupidi. Degli inetti.

«Noi non ci siamo mai picchiati.» Sbotta Steve, all'improvviso, e quando Eddie sente il suo sguardo addosso, alza gli occhi sui suoi e li incrocia.

«Avremmo dovuto?»

«No, era solo una constatazione, calmati! Vuoi che ti picchi ora?», scherza Steve e Eddie non trattiene uno sbuffo divertito, raccogliendo la provocazione.

«Non ci tengo! Non corro tutte le mattine e non gioco a basket nei weekend per tenermi in forma come fai tu, ho già perso a prescindere», ammette, e Steve annuisce, fingendosi particolarmente orgoglioso di quel fatto. «E poi sono un fifone, lo sai! Scappare è la mia specialità!» Gli fa l'occhiolino, e Steve tace per secondi interminabili, che passano a guardarsi senza dire niente di niente, mentre il vento soffia leggermente e profuma di pioggia e erba appena tagliata.

Poi Steve si alza in piedi; lo fronteggia. Stringe le dita intorno alla sua altalena; le loro mani sono così vicine che può sentire il calore emanato dalle sue falangi. Piega la schiena per guardarlo da più vicino, e Eddie fa altro che rimanere ancorato nei suoi occhi con la speranza di rimanervi intrappolato per sempre. Ma la vera catena, che poi lo imprigiona, è quel bacio che riceve e che sa di tante cose non dette. Ci sono tante cose che avrebbe voluto dirgli prima che succedesse, perché Eddie Munson la sentiva già nell'aria, che quella cosa sarebbe successa, prima o poi, tra di loro.

Non è stupito poi così tanto, per quello si sbilancia in avanti e approfondisce quel bacio come se gli stesse dando il permesso di non indugiare sulle sue labbra come se fossero fatte di vetro.


«Steve ti adoooora!», gli ha detto Robin, una volta, tra i corridoi di scuola, mentre andavano insieme in mensa.

Lui ha sbuffato e le ha dato uno spintone amichevole. «Se quello è adorarmi cosa farà quando mi odierà?»

Lei ha riso. «Non credo esista questa eventualità. Ti adora sul serio.» Gli ha fatto l'occhiolino e Eddie ha scordato come si respirava.


Ha scordato anche adesso, come si fa, anche se tutto è così naturale che non sembra nemmeno la prima volta.

Non si sono mai picchiati. Non si sono mai nemmeno parlati, a dire il vero. Non si sono mai scambiati un saluto, un gesto di scuse, un'occhiata più lunga di mezzo secondo, eppure ora sono in un vecchio parco giochi abbandonato, dove probabilmente hanno pure passato del tempo insieme senza poterlo ricordare, a scambiarsi il primo bacio come dei ragazzini.

Quando si staccano restano a guardarsi e, passato quel leggero imbarazzo iniziale, Eddie alza le sopracciglia, umettandosi poi le labbra e annuendo.

«Non male.»

«Non male?», domanda Steve, indignato, «È tutto quello che sai dire, Munson?»

«Ehi, ho bisogno di un attimo per elaborare, okay?»

«Testa di cazzo», sbuffa l'altro e Eddie scoppia a ridere, reclinando la testa all'indietro. Poi gli prende il colletto del bomber della Hawkins High tra le dita e se lo tira addosso, rubandosi un altro bacio, per il quale Steve non protesta nemmeno.

Quando si staccano si scambiano un sorriso e poi... e poi Steve gli tende la mano, invitandolo a prenderla tra la sua e alzarsi in piedi per tornare sulla via di casa.

Eddie resta per qualche secondo muto a guardare quelle dita pronte ad afferrarlo e a tirarlo su. Poi alza gli occhi su quelli di Steve e capisce. Capisce che, finalmente, il piccolo Eddie ha trovato qualcuno che lo accetta per quello che è, che lo ama anche per le sue stranezze, per come è diventato. Capisce che, dopotutto, anche se ha dovuto aspettare così tanto, alla fine quella persona esiste.

Afferra quella mano e vorrebbe non lasciarla più andare.

È felice che, ad averlo finalmente salvato, sia stato proprio Steve.


FINE 

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