CAPITOLO 6. -POTHOS-

Il battito d'ali di una farfalla e il ronzio di una mosca, creavano maggior rumore delle loro esistenze. In quella casetta bianca situata in un verdeggiante prato curato, godeva di una migliore quiete di un cimitero.
Dimorava silenzio, parola alcuna volava.

Si udiva il leggero ticchettio dell'orologio, i respiri e il fruscio della punta della mina sopra il foglio.
William si trovava steso lungo il tappeto del soggiorno, scodinzolava con le gambe mentre disegnava e colorava. Giaceva in mezzo ai numerosi pastelli colorati privi di tappo, tra fogli di carta, matite e trucioli.

Un vero disastro, ma Loris non protestò, poiché sapeva che c'era maggior disastro nella sua testa.

Voci, richiami, pianti e risate.

Nella sua vita erano state tre le volte che aveva dovuto dire "addio" a qualcuno, ed era straziante.
Prima sua moglie, poi suo padre, e adesso anche al suo amato.

Tutti coloro che aveva amato con follia, lo avevano abbandonato. Gli restava solo il suo adorato bambino e la sua cara madre. Se Gavriel non fosse stato presente nelle loro vite, non solo si sarebbe meritato un posto in paradiso, ma avrebbe reso felice anche suo figlio, a cui riconosceva aver fatto molti torti.

Ma la sua assenza era pesantemente presente. Loris lo vivificava con la propria mente, ma così facendo, gli mancava ancora di più. Si sentiva la sinistra vuota, immaginava la sua voce e il suo delicato tocco sulla pelle.
Il verde presente fuori o in casa sua, era una beffa confronto a quello negli occhi suoi. Voleva poterli avere di fronte per ammirarli e amare, voleva respirare il suo pungente profumo, desiderava toccare il suo tonico petto senza pelo e bramava con ardore tutto il suo affetto.

William si avvicinò al padre, posò la mano sul suo ginocchio ed erse gli occhi verso di lui. Lo guardò con tenerezza, fiero della scelta che aveva preso. Ora non doveva più temere di essere sostituito, Gavriel non sarebbe mai diventato suo padre e nessuno avrebbe preso il posto di sua madre.

«Perciò lui non verrà più? Vero? Solo io e te?» chiese.
Loris condusse la mano sulla guancia del ragazzo e gli assicurò che nessuno si sarebbe posto tra di loro.
«Solo io e te, come prima...» disse.

Mentre coccolava suo figlio, il campanello di casa venne suonato, subito dopo la porta leggermente percossa. Chiunque fosse desiderava essere risposto il più presto possibile, così Loris si alzò e si diresse verso l'ingresso.
William si preoccupò, convinto che si trattasse ancora di Gavriel.
"Che cosa diavolo vuole? Mio padre ha scelto già me, perché non se ne va e basta?" pensava furioso.
Ma quando Loris aprì la porta, William si convinse che forse una visita dal signor Heinrich sarebbe stata anche mille volte meglio.

L'uomo, con sua grande sorpresa, si trovò davanti al pastore e con lui sua moglie.
Entrambi in abiti comodi e semplici, non si erano preoccupati dell'aspetto, sembravano aver saltato dal letto all'auto, i loro volti erano distrutti e per nulla radiosi come le domeniche.
Loris provò subito un enorme disgusto, venne divorato da una sgradevole sensazione di ostilità e ribrezzo. Fu colto da un volta stomaco, il cuor suo sguizzò di rabbia dal petto e la pelle si fece bollente d'ira.

«Signor Anderson» farfugliò la moglie, cercando disperatamente di tenere il capo dritto. A differenza del marito, il quale non ci provava nemmeno a guardare Loris in faccia. Era così imbarazzato, che restò con lo sguardo inchiodato allo zerbino.

«Salve» salutò Loris, le cui mani fremevano dalla voglia di strozzare l'uomo.

«Possiamo entrare?» domandò la donna.

Loris volse lo sguardo verso suo figlio, quest'ultimo si mostrò terrorizzato, sebbene il padre fosse presente, temeva che presto si sarebbe trovato tra le grinfie del pastore.
Guardò il genitore e scosse il capo, pregandogli di non farli entrare.
Ma Loris era curioso di conoscere la ragione per cui si trovassero alla sua porta, pensò che forse erano giunti per porre ulteriori scuse o per cercare una soluzione.

Così acconsentì e aprì loro la porta.

Il ragazzo si alzò in piedi e si affiancò strettamente al padre. Gli avvolse il braccio e non osò distarsi, né a salutare la coppia. La donna vedendo ciò, si amareggiò.
Voleva bene a William, lo aveva da sempre considerato come suo nipotino. Vederlo sottrarsi dalla loro presenza le spezzava il cuore, non poteva nemmeno abbracciarlo per consolarlo.

Loris si sedette sulla poltrona, accanto a lui c'era anche il ragazzo, entrambi in attesa di ascoltare la coppia.

Quest'ultimi fecero per accomodarsi lungo il divano, ma Loris negò loro di farlo.
«Non vi ho detto che potete sedervi» pronunciò.
Era così indignato e disgustato dalla loro presenza, che non riusciva più a gradirli. Casa sua e i suoi mobili erano molto più puliti delle loro mani, non li avrebbe permesso di contaminare il suo soggiorno.
Di conseguenza la coppia fu costretta a rimanere in piedi, ma non protestarono, riuscivano a comprendere i motivi del genitore offeso.

«Io e mio marito siamo qui, per...» iniziò la moglie, ma incapace di proseguire a parlare per via del disagio, Loris continuò per lei.

«Delle scuse suppongo»
Daniel sollevò di poco la testa e riuscì a guardare il figlio, William lo ricambiò con uno sguardo iniettato di odio, un odio così profondo da potergli creare un buco in fronte dalla grande intensità con cui lo stava guardando.

«Per favore, non ne parli a nessuno della comunità» balbettò, rompendo lo sguardo con il ragazzo.

«Mio figlio ha registrato ciò che tuo marito gli ha fatto, potrei anche denunciarvi se volessi. Ma non lo farò, non lo farò perché il castigo che loro potranno dargli saranno solo un paio d'anni dietro le sbarre. Ma il castigo di Dio sarà mille volte peggio» profetizzò Loris.

Il pastore cercò di farsi vicino e di toccare il ragazzo, con l'intento di porgli le proprie scuse. Ma nel compiere dolci approcci e parlando con una voce tenera e calma, il ragazzo si strinse ancor di più al genitore, nauseato da quella mano responsabile di atti osceni.

«William, caro mio...» disse.

Ma la sua mano venne improvvisamente respinta con un violento schiaffo.
«Non lo toccare!» sbraitò Loris, incredulo di quello che l'uomo stava per compiere.

«Io sono mortificato, sono desolato e me ne pento» ribatté Daniel portandosi su entrambe le ginocchia, la moglie vedendolo decise di fare lo stesso.

«Mi ci pulisco il culo con le tue scuse» dichiarò.

«Loris, siamo giunti qui per chiedere perdono» marcò la donna, che non si trovava dalle parti di nessuno dei due uomini.
Odiava Loris per aver sollevato quell'argomento da acque che se rimaste calme nessuno si sarebbe dovuto scomodare. E odiava altrettanto il marito per essersi cacciato in quel guaio, guaio che avrebbe rovinato le loro immagini e che avrebbero raso al suolo la chiesa intera.

«No, voi siete qui per chiedere pietà! Temete che andrò a parlare, ecco perché siete qui. Se fossi in voi cercherei un buco dove nascondere quelle facce toste» Ribadì Loris.
«Mio figlio ha solo quindici anni! Compiuti nemmeno più di tre mesi fa, e tu, schifoso verme, hai avuto le palle di fargli quello che hai fatto? Non ti vergogni?»

Daniel guardò nuovamente il figlio, unì i palmi delle mani e intrecciò le dita.
«William, ti prego, perdonami. Io mi vergogno assai di quello che ti ho fatto, riconosco di aver errato. Ma non ero in me, il diavolo me lo ha fatto fare» disse.

Ma William non si degnò nemmeno di guardarlo, restò a fissare suo padre, ora presente e in grado di proteggerlo.

«Dov'è Olsson? Perché lui non è qui?» chiese Loris.
«Ho provato a convincerlo, ma si è rifiutato. E poi lui non c'entra, ho fatto tutto io» rispose Daniel.

«Stronzate, anche lui è stato partecipe!» sbuffò, e si rese presto conto, che tutta la situazione era solo una grossa barzelletta, solo uno spreco di tempo.

Daniel e sua moglie non erano veramente pentiti, erano solo preoccupati per la chiesa. Se davvero erano dispiaciuti, Daniel avrebbe convocato tutti i fratelli e le sorelle della comunità e avrebbe confessato apertamente il suo peccato.
Lui e Olsson si sarebbero rasati il capo e denudati, chiedendo perdono e clemenza agli occhi di tutti.
Solo con l'umiliazione avrebbero ottenuto il perdono, ma così facendo Loris si sentì preso in giro.

«Sparite dalla mia vista, e non osate mai più a bussare alla mia porta o giuro che tutto il Canada verrà a sapere quello che avete fatto! Mostri!»

La coppia si rialzò e si diresse verso la porta, spinti dalle imprecazioni del padre e dallo sguardo minaccioso del figlio.
Usciti dalla casa, Loris tirò subito un profondo sospiro di sollievo.

«Incredibile» sospirò.

Il ragazzo lo lasciò e tornò a sedersi sopra il tappeto, meditando su quanto appena successo.

«Amore, come ti senti?» chiese Loris.

«Sto bene» rispose il figlio, riprendendo a disegnare.
Il padre si chinò verso di lui e colse tra le mani il suo piccolo viso sottile.
«Tu lo sai che se ne avessi la capacità, tornerei indietro nel tempo» disse.
William gli sorrise e lo rassicurò.
Lo aveva già perdonato, non nutriva alcun rancore.
Sapeva che suo padre non aveva colpe, era stato anche lui vittima del gioco di Daniel, lui e Olsson lo avevano ingannato ed egli era cascato nel tranello poiché accecato dalla loro falsa luce divina.
Loris non era nemmeno l'unico, erano in molti nella chiesa che stimavano il pastore, lo lodavano ignari delle sue perversità.
Loro ricevevano sermoni e lui giovani vergini, li seduceva e se li faceva suoi.

Se non per le abitudini da ficcanaso del padre, forse William non glielo avrebbe mai più detto.

«Sul serio papà, tu non hai colpa»

Calò il sole e s'issarono la luna e le stelle, il cielo si ombreggiò e si erse un po' di freddo.
Loris e suo figlio si trovavano nella camera matrimoniale, il ragazzo sedeva davanti lo specchio, mentre il genitore lo pettinava.
Aveva capelli indomabili, agitati come puledri a cui bisognava mettere la morsa. I denti del pettine sembravano non riuscire nella loro impresa, affondavano e riemergevano senza aver compiuto nulla.
Boccoli corvini e ribelli, tali a quelli della madre.
Belli e vivaci, ogni ciuffo pareva aver vita propria, rammentavano il villo di una pecora nera.
Ma Loris non si arrese, era deciso a sistemarli. Mentre spazzolava, scoprì il collo del giovane, rivelando le chiare sfumature di baci lungo la pelle.
Potevano essere le labbra di Adric, o quelle di Daniel. Per la prima volta in vita sua, pregò che fosse opera compiuta da quel ragazzo moretto.
Almeno lui e William condividevano la stessa età, ed erano uno innamorato dell'altro. Daniel invece era più vecchio di Loris, non ne ricordava l'età ma sapeva di essere più giovane di lui di qualche anno.

Restò a fissare con incanto il sottile collo del figlio, ricordando di come anche il suo sembrava una schiacciata di more. Ma i baci di Gavriel non solo lasciavano segni sulla pelle, persino nell'anima. "Oh Gavri, mi manchi un sacco..." pensava amareggiato, ignaro di aver concepito tale pensiero nello stesso momento in cui anche Gavriel lo aveva fatto.
Laggiù presso la sua incantevole villa, seduto nella vasca da bagno assieme la sua principessa; guardava i suoi occhi sottili e ostili mentre meritava sul corpo dell'amato e di tutti i baci a lui lasciati.

"Loris, non immagini il dolore che mi hai procurato; mi manchi così tanto che persino le mie ossa sentono la tua assenza. Mi sento come una brocca senza acqua, come un vestito senza ricamo e come un cielo senza tono. Ti voglio qui più di qualsiasi altra cosa..."

I loro pensieri si unirono ma non i loro cuori, questi dovettero patire la distanza e sottostare alla decisione presa. Loris anche se addolorato, non l'avrebbe revocata. Lo aveva fatto per Cristo e per il figlio, a cui voleva molto bene.

«Quando avevo dodici anni...» disse spezzando il silenzio, il ragazzo erse il capo e gli occhi verso il riflesso del genitore alle sue spalle.
«Un uomo dall'aspetto gentile, mi stava invitando nella sua auto. Non lo avevo mai visto prima, non ne conoscevo né nome né origini. Aveva la portiera aperta e sedeva sul sedile del guidatore, teneva una gamba fuori e un braccio teso per invitarmi, il lato destro di lui invece si trovava nell'auto.
Diceva di avere con sé una scatola con dei micetti, li voleva dare in adozione perché non poteva più prendersene cura. Mi domandò se fossi interessato a volerne uno, ma io rifiutai. Così mi disse "Io lavoro tutto il giorno e tutti i giorni, non ho nessuno a cui poterli dare. Se li abbandonassi moriranno di freddo e fame, una bambina prima di te ne ha adottati due, e un altro bambino ancora ne ha adottati tre. Se non li vuoi, almeno ti andrebbe di vederli? Sono tanto teneri e hanno pochi giorni"
Le sue parole suscitarono la mia curiosità, abbandonai l'altalena su cui stavo dondolando e mi avvicinai al suo veicolo»

«E poi?» chiese scioccato il ragazzo, finora ignaro di questo racconto.
Il padre sospirò e proseguì a narrare.

«Mi disse che le portiere posteriori dell'auto non funzionavano, e che quella del passeggero fosse gravemente guastata. Mi costrinse così a salire sulle sue gambe per poter entrare e vedere i micetti, ma quando entrai nel veicolo, non vidi traccia dei cuccioli. Il momento che realizzai di essere cascato nel suo laccio, fu troppo tardi. Mi ritrovai sotto il suo braccio e con il viso prospetto un fazzoletto.
Stava cercando di stordirmi con del cloroformio ma io mi agitavo così tanto che non riusciva nell'intento.
Iniziai a gridare con tutta l'aria che avevo nei polmoni, chiamai i miei genitori pregando che sarebbero giunti prima che potesse essere troppo tardi»

«E arrivarono?»  domandò il figlio.
«Alla fine mia madre sentì le mie urla e corse subito in mio soccorso, l'uomo fu costretto a gettarmi fuori dall'auto e andarsene prima di farsi riconoscere. Ero illeso ma stavo bene, quando mia madre mi trovò scoppiò in lacrime e mi strinse fortemente tra le sue braccia. Non l'avevo mai vista così tanto terrorizzata, il suo terrore mi spaventò e mi ritrovai a piangere per lei»

«Giunti a casa mio padre me le diede di santa ragione, vidi letteralmente le stelle  da quante ne presi. "Da un bambino così intelligente non me l'aspettavo, sei una vergogna" mi disse. Mi bastonò così forte che il giorno seguente mi trovai a letto con la febbre, incapace di alzarmi e camminare. Me le ricordo bene, ogni singola bacchettata, sentivo le ossa tremare sotto la pelle...»

«Perché ti ha picchiato? Che colpa ne avevi tu? Avevi solo dodici anni e quell'uomo ti aveva ingannato» protestò il figlio, infastidito dal gesto del nonno.

Loris dichiarò di non aver mai provato rancore verso il proprio padre, con il tempo aveva compreso la ragione per cui lo avesse punito.
Era stata colpa sua, così sveglio eppure così facile da bighellonare. Le cinquanta bacchettate ricevute quel giorno, dovevano servire per svegliarlo e affilare la sua guardia verso gli uomini immorali simili a Daniel.
Ma il dolore non aveva dato i suoi frutti, il bruciore e le lacrime non avevano prodotto alcun risultato. Loris si era fatto nuovamente imbrogliare da qualcuno che pretendeva di essere suo amico, sfruttando il dono di un viso puerile e amichevole.

«Il nonno era davvero cattivo, picchiarti così a te, quando avrebbe dovuto picchiare quel pedofilo come tu hai fatto con quello lì» disse William.

«Mio padre era il miglior uomo che abbia mai conosciuto, il miglior padre che io avessi potuto desiderare. Lo amavo tantissimo e ora comprendo ogni sua lezione e castigo, tutto ciò che ha fatto lo ha fatto per i suoi figli, lo ha fatto per me...» ribatté Loris, assolutamente legato e devoto al genitore mancato.

«Ciò che voglio farti capire, è che l'amore di un genitore verso un figlio è la cosa più naturale e genuina che esista. Io ti ho amato ancor prima di vederti, niente e nessuno potrà mai sostituirti o cambiare l'amore che ho per te» disse accarezzando la testa del giovane.
«Ma tu lo ami» sostenne.
Loris sospirò e annuì.
«Si ma, amo più te» dichiarò.

William cennò un sorriso, si volse e abbracciò il padre.
"Sta davvero rinunciando a lui per me?" si chiese "Oh papà, mi spiace di averti dato dell'idiota".
Provò colpa per tutti gli oltraggi scritti sul diario, anche se giustificati, sentì che alla fine suo padre non era affatto perfido. Non era perfetto, né il miglior genitore sulla terra, ma era suo papà e nulla lo avrebbe cambiato.

Loris sarebbe stato disposto anche a morire per suo figlio, avrebbe donato tutto per la sua sicurezza. Ora che vedeva con gli occhi di un padre, capiva le paure e le gioie che i suoi genitori avevano provato. Dal timore di perderlo alla felicità di vederlo eccellere, dal dispiacere di punirlo all'orgoglio di vederlo maturare.

Non aveva dubbi su Gavriel, sarebbe diventato un ottimo padre. Ma se né il figlio né il Signore lo gradivano nella sua vita, allora era meglio così.

Andarono a letto, ognuno nel suo, ma Loris non riusciva a chiudere occhio. Era perso a remare sopra un relitto nei propri pensieri, lontano dal proprio corpo, distante dalla stanza.
Il suo pensiero era verso di lui, così come l'anima e lo spirito.

«Pa, posso dormire qui con te?» sussurrò una voce dalla porta.
Loris fece cenno senza rivolgere al ragazzo lo sguardo, in quell'istante, non voleva proprio guardarlo.
William si avvicini e salì sul letto del genitore, si rimboccò sotto le coperte e si appisolò subito.

Ma Loris ancora non si voltò, benché impegnato a meditare sul suo amato...

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