Capitolo Due
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Damien aveva un'opinione ben precisa di sé stesso.
Credeva che le persone non fossero fatte per lui, e lui non fosse fatto per le persone. Non era esattamente infastidito dagli altri, ma pensava proprio di non essere in sintonia con il resto del mondo. Magari non era nemmeno felice, o magari non gli interessava, fatto sta che aveva preferito considerarsi uno stronzo e tagliarsi fuori dal frizzante mondo umano e innamorarsi del Mondo: dell'arte, del vento nelle giornate calde, del conoscere gli altri senza farsi conoscere. Qualcuno lo avrebbe chiamato sociopatico, altri solitario, altri - specialmente alcuni - malato... ma probabilmente era per questo che non era tagliato per le persone.
Immerso nei suoi pensieri, il silenzio della casa è interrotto soltanto da un vago ronzio ed un ticchettare continuo di orologi, sveglie, pendoli. Non era di certo la persona più varia del mondo ad arredare le stanze, né, probabilmente, la più sana.
Gli orologi ticchettavano indolenti, lasciando scorrere, lancetta dopo lancetta, secondo dopo secondo, il suo rimuginare, vorticante come un frullatore acceso dentro la sua testa. Non produce alcun rumore: nessun respiro, nessun fruscio, nessun scricchiolio vago della sedia su cui era seduto da quasi mezz'ora. Immobile, sfatto, con la testa appoggiata sul bordo dello schienale, buttata all'indietro come fosse un sacco troppo pesante. Un leggerissimo filo di fumo gli annebbia di tanto in tanto la vista, mentre l'odore del tabacco tiene il cervello attaccato al corpo dentro la stanza.
Si chiedeva più volte, da ore ormai, cosa voglia dire essere spaventato e già diverse volte si era risposto pensando al passato. Quando gli avevano detto che c'era il rischio di saltare nuovamente l'anno, quando si era accorto di essere rimasto solo a Bergamo nonostante fosse andato a convivere, quando tornando a casa la reazione generale di tutti fu un misto di delusione e fastidio... la lista era così lunga che era finito a ragionare sul perché si stava chiedendo cosa volesse dire essere spaventato. Fa cadere la testa da un lato, con un movimento minimo del capo: la sveglia fosforescente in fondo alla stanza segna le sette e trentaquattro, formando al centro del quattro un curioso gioco di luci a croce con l'ombra serale nella casa.
Tira pigramente su la mano con la sigaretta, aspirando fumo e buttandolo fuori, infastidito dalla stessa sensazione della nicotina nel corpo. Allunga tre dita verso il portacenere, premendo appena da sotto il filtro la mezza sigaretta da spegnere. Non riusciva ad uscire dal labirinto di pensieri in cui si era perso. Rimbalzava dal "perché lo sto facendo" al "dovrei davvero farlo?" al "cosa succederebbe se non lo facessi?" fino al "e quando poi non potrò più farlo?" senza passare nemmeno vicino una minima risposta che lo soddisfacesse. Non amava definirsi né paranoico, né complessato, ma doveva ammettere di essere entrambi, ora.
- Se dopo tutto questo tempo riesco ancora ad entrare in teatro e passare del tempo con Silvia, perché non dovrei trovare motivi per poi continuare quando tutto sarà... sì, beh, probabilmente sarà uno schifo, assolutamente diverso da come lo immagino e poi cioè... lo sappiamo, in fin dei conti questa storia non è la prima volta che la passi, no? Cadi sempre nello... no, no, non devo pensarlo, non devo. Io posso essere molto più semplice di così, per forza... devo solo sforzarmi di vedere le cose più semplicemente, prenderle più leggere... certo, finito, tutto qua. Caput. The end. Facile. Sì... facile - sospira. Riprende il controllo del proprio corpo e si appoggia con i gomiti sulla scrivania, affondando la faccia tra le mani.
Era sfinito.
Il lavoro, il teatro, la famiglia che spariva a poco a poco, i ricordi, le sfortune quotidiane... il mondo lo avrebbe di lì a poco azzerato del tutto. Ridotto a uno zero, addirittura uno come lui sarebbe risultato innocuo alla società. Per questo si ritrovava, nei momenti di scoramento, a pensare sempre la stessa cosa: non poteva lasciar marcire tutto per colpa della sua insofferenza al mondo. Certo, certo... era una merda, quella specie di ovale d'acqua e terra. Col tempo, si era fatto una teoria pluriconfermata da sé stesso che se sulla Terra esistono emisfero boreale ed emisfero australe, c'è anche l'emisfero "culo e oro" e quello "fango e merda". Le coordinate del suo GPS coincidevano sia con quelle di Via della Scalinata 12, all'incirca zona boreale centrale, sia con "se incontro un gatto nero non sono io a dovermi toccare le palle", che era un po' il Polo Nord dell'emisfero di fango e merda.
Sospira di nuovo, per poi fare un leggero scatto ed alzarsi. Si dirige verso il bagno con cadenza irregolare, come se i dettagli, nel buio della casa, lo distraessero lungo la strada che portava al cesso. Poteva sembrare un gatto cieco in cerca della preda.
Esce dal bagno quasi mezz'ora dopo, profumando di champagne chimico e rose dello stesso tipo, mentre Vivaldi dirige un Presto. Si dà qualche ultima sistemata: i capelli tirati da un lato, assestati in modo che un piccolo ciuffo gli coprisse parzialmente l'occhio destro, qualche braccialetto e bracciale, un filo di fondotinta per coprire le occhiaie. Dopo una mezz'ora di pescate dall'armadio, era ciò che considerava il top-notch del casual: camicia spiegazzata color vinaccio, con ricami nella fila di bottoni e maniche arrotolate, pantaloni neri, con cintura color panna, e Converse. Immancabili.
Un classico tizio, in mezzo a tanti altri classici tizi.
Sì, così dava l'aria di uno che se ne fregava di tutto e tutti. Sì, sì... avrebbe convinto chiunque che lui era semplice, diretto e risoluto.
- Forse i ricami però... e magari anche i bracciali potrebbero dare l'idea di preciso e complicato... - guarda i bracciali con disappunto, scuotendo la testa e togliendo una catenina d'argento, lasciando solo caucciù e metallo.
Esce di casa mentre ondeggia nell'aria l'ultimo violino dell'Estate.
...
C'erano molte cose di lui che avrebbero dovuto essere raccontate. A qualcuno, almeno. Un po' per farsi conoscere un minimo, da questo qualcuno, un po' per capirle anche lui. Nella testa, a volte, rivedeva cose successe anni prima e le spingeva via prima di poterci pensare abbastanza da capirne il perché. Non si poteva dire che fosse una persona introversa, non lo si riusciva a dire, ma giustamente, finché riusciva a concentrarsi sul mantenere la facciata, non avrebbe dovuto spiegazioni a nessuno. Di nulla.
Avrebbe lasciato le cose a macerare nella sua mente anche stavolta? Scuote la testa, mentre cammina verso il bar. Non voleva continuare ad avvertire quella costrizione al silenzio nel corpo. Non versava una lacrima vera da almeno un anno, e non era certo perché non avesse nulla per cui essere infelice, bensì per... imposizione. Almeno di questo si era convinto. Aveva paura a pensare anche al perché del suo non piangere. Scappava, chiaramente, da un qualunque ragionamento lo destabilizzasse, cosa fin troppo facile da fare.
Damien contro Damien, uno scontro a ormai qualche centinaio di metri dalla fine della corsa. Sì, sentiva decisamente il cuore sobbalzargli dentro e fargli male, mentre nella sua testa i carrarmati della ragione stavano schiacciando uno ad uno i fanti avversari, più precisamente il Reggimento "ignorare i problemi accumulati durante gli anni". Era seduto su dei lastroni di pietra poco lontano dal locale, e si teneva la testa fra le mani, con la faccia rivolta verso un ciuffetto di erbacce cresciuto al bordo del marciapiede.
Non si era ritrovato da solo con la sua testa in questo modo, ultimamente. Era sempre riuscito a riempirsi il tempo così tanto da scansare i pensieri veri con cosa fare a teatro, come impostare quella cosa, come seguire questo progetto, cosa dire a quelle persone, dove andare per fare quelle cose... il treno era arrivato al capolinea. Sarebbe ripartito, se ripartiva, solo parecchio dopo. Lui era lì, seduto su dei lastroni che sarebbero potuti essere i binari della sua personale ferrovia, ad aspettare che il treno di qualcun altro lo travolgesse, o a sperare che il suo biglietto non scadesse, per rinchiudersi di nuovo dentro l'unica locomotiva in funzione, con le sue poche sedie consumate e rovinate. Sospira, chiudendo gli occhi ed appoggiando lentamente la testa al muro.
"Se partiamo con questa disperazione già da adesso, più tardi mi chiedi di riprenderti mentre ti butti dal ponte e lasci tutto in beneficenza?" Damien apre gli occhi, guardando nella direzione della voce. Quindi, in fin dei conti... quindi sì. Era così. Lui era lì e non c'era modo che questa volta il treno ripartisse senza una grossa ristrutturazione della stazione, prima. Ecco, vedeva già i conducenti ridere tra di loro mentre andavano a prendersi un caffè al suo bar.
"Oh, eh... ciao" un lungo sorso di silenzio nella testa. Qualche pensiero selvaggio a correre qua e là, ma lo sguardo concentrato sulla trasformazione del ragazzo di fronte a lui.
"Non ero sicuro di venire, ma alla fine, insomma..." ridacchia, smuovendo appena le labbra rosa pallido, opache, forse opera di un burrocacao. Ha i capelli incredibilmente eccessivi, degni di un manga, tenuti su grazie a qualche miracolo e almeno un chilo di gel, forse colla di pesce. È vestito stranamente sobrio... con una camicia rossa buttata sopra una maglia bianca con scritto al centro un piccolo "This is me" arcobaleno e dei pantaloni neri piuttosto stretti, le cui estremità finivano in un paio di finte Converse rosse, sfumate di blu sul tacco.
Era impossibile non facesse quella domanda.
"Ma quelle le hai modificate tu?" Damien ha, a tutti gli effetti, un'attrazione insana per le scarpe. Una teoria del suo cervello prevede che una persona è tanto positiva, tanto quanto le sue scarpe sono belle e curate nella scelta. Un piccolo silenzio segue la domanda, mentre Alex si accuccia a sistemare i lacci delle scarpe, allentati.
"Io e una mia amica... cioè, la mia amica mi ha prestato le cose per farle e le ho fatte io, poi lei ha sistemato un po'..." Damien si era perso al "un'amica". Nelle sue mille e più interpretazioni del ragazzo, non aveva mai accostato alla sua figura qualcun altro, o anche addirittura qualcosa. Era sempre stato 'Alex figlio di un industriale', 'Alex artista di strada', 'Alex scappato di casa', 'Alex aspirante attore'... mai 'Alex l'amico di Qualcuno'. Damien aveva ormai preso la tangente dell'immaginarsi il ragazzo, ora in piedi, per quello che era effettivamente. A vederlo era più facile farlo: lo riusciva ad immaginare andare a scuola, la mattina, guardando a terra, o sospirando osservando il cielo, le macchine, mentre pensava a cosa fare da grande, o a dove andare il pomeriggio; lo vedeva chiaramente, in mezzo ai suoi compagni, un po' in disparte e a disagio, come la maggior parte dei ragazzini "diversi" a quindici o sedici anni. Senza libri sdolcinati nelle mani, forse un cellulare con un e-book scaricato. Probabilmente un gioco di strategia, anzi.
Improvvisamente Damien realizza, mentre Alex torna a sistemare i lacci un'ultima volta, che quella sera per lui doveva essere qualcosa di estremamente eccitante. Ora lo poteva capire, che mentre per lui, a metà dei vent'anni, quella serata era un revival di tempi andati, più imbranati e spensierati di ora, per Alex doveva essere un'occasione irripetibile, qualcosa che gli avrebbe fatto pensare che sarebbe capitata una sola volta nella vita.
Se lo vede davanti, mentre si guarda allo specchio, in un bagno piccolino: si veste, il busto stretto e pallido spruzzato da qualche profumo, anzi... da qualche deodorante particolarmente forte, poi la camicia, che scivola sulla pelle e si appoggia sugli slip stretti, colorati, a coprire... no, no. Ora stava prendendo un'altra tangente. No, no, no.
- Damien stai concentrato, non fare pensieri, non fare cazzate, non ti perdere in queste cose, ha appena diciott'anni a dirla tanta e tu non ti relazioni decentemente con qualcuno da almeno tre anni, quindi smettila, smettila - si alza dal muretto, mentre Alex è ancora intento a riallacciarsi le scarpe. Era stato un momento piuttosto veloce di perdizione, fortunatamente.
"Serve una mano?" ridacchia, avvicinandosi di un paio di passi.
"Vedi se a quasi diciotto anni devo farmi aiutare ad allacciare le scarpe! Mah! Ovvio che no! " anche Alex ridacchia, stringendo il nodo un altro po'. Passa velocemente all'altra scarpa, slacciandola e riallacciandola molto velocemente. Quando si rialza, Damien ha qualche sussulto: avrebbe giurato che il pomeriggio, al bar, Alex gli arrivava al mento. Eppure, ora... sembrava quasi della sua altezza.
- Suggestione Damien, suggestione... ti sembra soltanto - inarca un poco la schiena, scoprendo di essere in una posizione più gobba di quanto pensasse.
"Allora, andiamo? Alle dieci inizia una specie di serata pop jazz, roba che entra nel cervello" Damien apre un braccio, come ad invitare l'altro ad andare avanti.
"Ok..?" risponde, incerto, Alex. Aveva fatto qualche faccia strana? Era stato strano?
Damien, non rovinare questa sera. Non la rovinare.
...
[POV switch]
"Sono quasi tredici anni che gironzolo sui palchi... tredici anni che recito cazzate sui palchi per divertimento" sul bicchiere di Alexander a metà, con le due tazzine di noccioline e patatine appoggiate ai lati, le luci soffuse e alternate del palco brillano, mentre Damien dondola la testa, seduto su uno dei divanetti del locale.
"Ho visto così tanti 'attori', a detta loro, che ormai quando, e se, devo recitare con qualcuno, cerco di scegliere io con chi recitare" Alex, da parte sua, se ne sta stretto, appoggiato appena con la schiena. Era chiaramente un fascio di nervi legato da un paio di fili. Rideva, beveva di tanto in tanto, ma tutto gli sembrava un modo per evitare di far capire alla persona davanti a lui quanto poteva essere idiota in un semplice gesto. Lo stesso appoggiare le labbra al bicchiere e bere gli sembravano una possibile trappola per farsi scivolare il bicchiere di mano, o strozzarsi, o fare gesti strani. Di mangiare, poi, non se ne parlava. Il pericolo di cose tra i denti, o di ritrovarsi le mani piene di sale, o altri terribili pericoli del caso, erano da evitare.
"Hai iniziato a sedici anni? No... a tredici! Hai iniziato a tredici anni a recitare?!" era comunque piuttosto rilassato, tutto sommato. Parlava piuttosto tranquillamente, non aveva bisogno di sforzarsi a sembrare interessato in quello che diceva Damien. Come si era più volte immaginato, mentre lo guardava dal fondo del teatro, era una persona rilassante ed interessante, e divertente. Anche molto sciolta nei modi, senza essere particolarmente attento a maniere e altre cose.
"In realtà, ho finito le elementari come protagonista nella recita di fine anno... diciamo che è passato un anno dove speravo di trovare qualcosa che non fosse proprio un corso di teatro con una compagnia teatrale, e dopo aver visto l'aria che tirava nei "corsi di teatro" alle medie, mi sono chiuso con la compagnia per cui ho lavorato quasi sette anni" la musica che arrivava aiutava molto il tutto: il pianoforte e la chitarra erano suonati in maniera molto soffice, con la voce che cantava The girl from Ipanema abbastanza bassa. Tutto era perfetto, e non voleva veramente rovinarlo con il suo solito essere una bestia, in queste occasioni "intellettuali". Ogni gesto doveva essere centellinato.
"Cosa hai fatto in quei sette anni? E poi perché sei venuto via?" un altro sorso. Abbassa un ciglio, guardando distrattamente verso il divano poco più lontano, dove un gruppo di gente, probabilmente amici, si tirano patatine. Torna con lo sguardo su Damien, che sospira, buttando la testa sullo schienale.
"Perché volevo girare... sono venuto via perché ho sempre voluto girare il mondo, e prontamente l'ho fatto involontariamente, con le mie relazioni da viaggiatore..." ha lo sguardo rivolto verso il soffitto, come se si fosse perso in qualche pensiero particolarmente mistico. Alex sospetta di aver fatto la domanda sbagliata.
"Ma le parti che ho fatto in quei sette anni... ah bè, alcune sono comiche! Specialmente quelle fatte negli ultimi tempi, quando spesso ero lontano da casa!" riprende, ridendo, Damien. Un recupero miracoloso, niente da ridire.
"I primi anni ok, personaggi secondari piuttosto così... niente di che, poi ho fatto il protagonista un po' di volte, tra cui uno di una rappresentazione molto modernizzata del Madame Bovary, dove facevo la storia dal punto di vista dell'amante" continua a ridacchiare, mentre Alex cerca di sciogliersi un po', appoggiandosi meglio al divano. Era piacevole, in tutti i sensi.
I trenta minuti seguenti si erano riempiti di uno scambio di battute sulla vita teatrale di Damien, di racconti su eventi divertenti, di paragoni con il cinema, fino ad arrivare alle aspettative che uno poteva avere lavorando nel teatro.
"E tu? Tu cosa vuoi fare? Sei interessato a recitare o ti piace solo spiare?" dice, a un certo punto, Damien. Alex lo osserva, con qualche traccia di imbarazzo sul volto, leggermente spiazzato dalla domanda. Si era praticamente sciolto sul divanetto, abbassando forse un po' troppo il livello di attenzione rivolto ai suoi gesti. Rinsavendo da quel relax innaturale, si era accorto che il sale si era insinuato sui suoi polpastrelli e doveva innanzitutto cercare qualcosa per pulirsi.
"Oh, beh... no, io non sono tipo da teatro credo - ridacchia, passandosi un tovagliolo sulle dita - faccio schifo a studiare a memoria, però mi piace un sacco osservare le persone recitare! Vedere quanto riescono ad essere 'reali' - fa una piccola pausa, sospirando - almeno finché poi non diventa un osservare se e quanto sono belle..." era perso con lo sguardo in un punto imprecisato del pavimento, a destra. Qualche secondo di silenzio di troppo, vuoti della voce di Damien, seguono la sua frase, che subito gli risulta fraintendibile al massimo livello. Alza lo sguardo, allarmato e nervoso.
Damien sorrideva in una posa che gli ricordava lo Stregatto, non un caso che fosse la prima cosa a passargli per la testa. Tutti i denti erano in vista, la faccia compiaciuta. Scoppia a ridere, passandosi una mano in faccia e tornando a guardarlo con attenzione.
"Mh... e come sono io?" ride, chiedendo con molta nonchalance. Alex sente parti del corpo infiammarsi, il desiderio di nascondersi sotto le mattonelle diventare un istinto irrefrenabile.
"Oh, ma no, no, non intendevo che guardo... cioè, tu no! Voglio dire, non è che tu non... oh cazzo! Che figura..." quasi gli verrebbe da ridere, se non fosse che in effetti aveva il sospetto di stare sembrando una pera appena caduta dall'albero e rotolata giù dalla collina. La risata di Damien, però, gli dava una prospettiva di "almeno non mi odia" e, anche se non capiva se fosse ottimismo o fiducia esagerata nell'altro, in qualche modo lo tranquillizzava.
...
[POV switch]
- Che assurdo, nemmeno sembra vero che io ora abbia così facilmente la certezza di non essere un pazzo visionario... o sono un mostro io a metterlo a proprio agio, o lui è un po' scemo... in entrambi i casi, Damien, mi sei piaciuto - pensieri di un ottimismo raro, per lui. Era sicuro la serata si sarebbe conclusa con una montagna di cose non dette, o appena accennate, o accennate e poi deviate, per imbarazzo o disagio o chissà cos'altro. Ora c'era un'apertura abbastanza grande per qualunque strana confessione volesse fargli su di lui, di quelle volte che lo aveva immaginato immerso nella sua vita, di quando lo aveva immaginato euforico quel pomeriggio, cercando di evitare di far capire che era caduto poco prima in pensieri di una lussuria non indifferente.
Era sicuro di sentire quell'odore. Era un odore pungente ma non fastidioso, che mai riusciva a capire se fosse una sua suggestione di quando le cose andavano bene, o se semplicemente fosse qualcosa che capitava nei paraggi sempre in momenti positivi della sua vita. Sentiva il sangue scorrergli nelle vene, quasi come un vampiro svegliatosi dopo il lungo sonno di un paletto nel cuore.
- Rinato - era una parola strana, rinato. Figuriamoci, poi, nel suo caso.
In qualche parola e poco più di due ore, il passato, quella slavata sacca di rancore lasciata dai suoi anni indietro, era sparito. Il rancore con sé stesso, sì, quella sensazione d'oppressione dentro, era svanita, forse solo momentaneamente. A lui bastava per riprendere fiato, dopotutto.
Parlavano delle sue passioni, dello studio di cui rifiutava a dire per quale liceo fosse, perché non gli piaceva, della voglia di andarsene dal paese, di come era meglio imparare l'inglese, del più e del meno. Qualche ricordo, un po' sbiadito, attraversava di tanto in tanto Damien. Qualche nome, qualche volto dei suoi anni al Ginnasio, si affacciavano un po' opachi nella sua mente ma venivano rifiutati, come un pacco postale non ritirato dal destinatario. La musica era ormai arrivata al mood notturno: trip hop e acid jazz. Damien amava quel mood, di solito.
Oggi qualcosa non andava, in quel senso di stantia apatia legalizzata. Aveva bisogno di aria.
"Senti, usciamo, fa caldo qua dentro..." dice Damien, alzandosi e prendendo in mano la giacca a vento. Il sassofono stona mentre escono dalla porta del locale, che dà sulla strada arancione dei lampioni. Qualcosa montava nel suo cuore, mentre osservava Alex guardarsi intorno interdetto, fra le persone appoggiate con bicchieri di plastica contro il muro del locale. Se avesse dovuto dire ora a qualcuno cosa sentiva nel cuore, avrebbe risposto qualcosa assurda come "sento i fiori schiudersi". I violini suonavano il resto.
"Alex... sei mai stato in un teatro di notte?" gli dice, all'improvviso, con un'euforia nella voce che mai avrebbe voluto dare a vedere. L'uscita era risultata soltanto a malapena infelice, giusto quanto bastava per farlo sentire un serial killer.
"Oh... bè, una volta ho visto lo spettacolo serale della Bisbetica Domata..." risponde Alex, ridacchiando. Era chiaro che l'idea di entrare nel teatro di notte, al buio, senza nessuno intorno, era stata colta al volo. Il teatro era proprio lì davanti e Damien, anche se non aveva le chiavi dello stabile, sapeva benissimo che una porta d'emergenza sul retro aveva l'allarme disattivato perché difettoso. Solo gli attori e chi lavorava lì dentro sapevano che oltre il sottoscala a cui si accedeva da quella porta, c'era l'accesso immediatamente dietro al backstage.
Ridevano, mentre entravano. Tutto era un quadro inquietante di notte: le luci mancanti, i rovi poco lontani dalla porta, distante solo un paio di metri dal muro di cemento armato, le ombre delle luci provenienti dalla porta aperta: un mare di nero era tagliato di una piccola fetta dalla luce blu dell'esterno, ad illuminare le figure proiettate dei soppalchi di legno e travi di sostegno del palco, così come gli strumenti vari ammucchiati lì da una parte e la prima sedia di una delle file del pubblico. La polvere formava una piccola coltre di particelle davanti ai loro occhi.
"Avremo bisogno di un po' di luce per accendere le luci del palco... se accendiamo qualcosa di più poi ci trovano e ci fanno un culo così grosso da volare via!" bisbiglia Damien divertito, frugandosi le tasche in cerca del telefonino. Tira fuori infine il piccolo cellulare, da cui poco dopo parte un flash che illumina i due metri davanti a loro. Chiudono la porta del teatro, piombando nel totale silenzio interrotto leggermente, soltanto, da qualche macchina fuori, il cui rumore attutito appariva però come un fruscio molto silenzioso.
"E le telecamere?" chiede Alex, sussurrando, come se qualcuno li stesse ascoltando. Damien sospira, sorridendo.
"Sono solo in costumeria, sala luci, backstage ed entrate... ma che vuoi facciano, che mi caccino per essermi introdotto a teatro a recuperare il portafoglio che ho perso?" segue un attimo di risate soffocate di Alex, mentre percorrono una piccola rampa di scale e si ritrovano, dopo una seconda porta antincendio, nel backstage. Lo scricchiolio del pavimento e di tanto in tanto delle sedie li accompagnano finché non arrivano ad accendere due faretti del teatro. Lo stanzone, con solo il palco basso come fonte d'illuminazione, pare assumere forme ancora più inquietanti: gli stemmi sui colonnati appaiono più appuntiti e negli spazi vuoti, neri, paiono esserci mille e più sfumature di colore, con ombre irreali date dalle varie rifrazioni della luce sul legno lucido.
"Ma toglimi una curiosità... non ti annoi mai a guardare me o gli altri a provare sul palco? Ti ho visto così tante volte lì in fondo che ci scommetto per te è tipo rito fisso startene lì a ridacchiare mentre qualcuno prova..." avanza Damien, sedendosi sul bordo del palco. Alex rimane giù, osservandolo divertito.
"No, mi rilassa... ci vengo quasi sempre perché quasi sempre ho bisogno di rilassarmi, non è che sono poi così strano..." il ragazzo passeggia un po' in tondo, per poi dirigersi verso le scalette per salire in scena.
"Non mi hai ancora parlato di come è la questione a casa... i tuoi genitori? La tua famiglia, in generale, com'è..." un leggero rimbombo accompagna le parole di Damien. Il ragazzo sospira, ormai quasi al centro del palco.
"Beh, perché dovevo dirtelo? Sono una famiglia normale... abbiamo anche mio nonno in casa, e per un periodo i miei si erano separati... però ora è tutto ok, ho un fratello ma è molto più grande di me e si è pure sposato... niente di interessante, capito" dice, gesticolando con la mano come a sventolare via le varie cose mentre le elencava. La sua faccia era così annoiata che Damien si stava preoccupando se l'avesse infastidito così tanto a chiedere della sua famiglia.
Era un vizio tutto suo fin da quando era un moccioso curioso: voler sapere tutto, morbosamente, e sistemare tutto quello che non gli piaceva.
"Fammi uno show!" esplode gioviale, dopo qualche secondo di silenzio, Damien. Il ragazzo ride di gusto, mettendosi in una posa drammatica.
"Oh noooohhhh... io esibisco la mia maestà soltanto su grandi palchi e per il più grande pubblico, dolcezza!" ridono. Le risate rimbombano rumorose nel teatro.
"Dai! Tutto questo tempo in teatro, qualcosa lo saprai fare no?" continua l'uomo, ridacchiando. Alex risponde con un'occhiata saccente, muovendo la mano, sventolandola.
"Vieni su, facciamo Cleopatra" dice serio, dopo qualche secondo, il ragazzo. Damien tenta di rimanere impassibile, indeciso se prenderlo seriamente o meno, trattenendosi dal ridere. Voleva davvero vederlo recitare, ma di certo non Cleopatra.
"Ma come conosci... aspetta, e devo farla io Cleopatra? O tu?" chiede, salendo le scalette.
"Tu zitto e fai Marcantonio, ovvio no?!" Alex sospira. Era evidente che, per quanto cercasse di trattenerlo dentro e recitare la parte dell'essere impassibile, stava avendo letteralmente una batteria di fuochi artificiali nel petto.
Da parte sua Alex era già la seconda volta che si chiedeva, mentre cercava di ricordare le battute, se non sarebbe svenuto di lì a poco. Sentiva la testa partire per altri lidi, mentre le idee si accatastavano e si confondevano maliziose ai desideri impulsivi.
Il ragazzo era intento ad osservare Damien, che aveva recuperato da dietro le quinte un bastone e lo aveva infilato a mo' di spada nella cintura. Rideva. Probabilmente avrebbe rovinato tutto a seguire l'istinto, si stava ripetendo Alex.
"Quale scena facciamo, bellezza?" ride, di nuovo. Alex deglutisce, teso ma divertito.
"Mi pare chiaro... quella dove attraversano il ponte!" la risata di Damien scema, con lui intento a riprendere fiato, mentre un sopracciglio si leva, perplesso. Annuisce, aspettando che il ragazzo parta.
"Vado?"
"Vai"
Con un colpo di tosse, Alex si porta una mano al fianco, portandosi avanti con l'anca.
"A... Andiamocene insieme! Vieni con me in Egitto, nella terra dei sogni, dell'amore, del... mmmhhh... mistero! - cerca di non ridere, sentendo gli sforzi di Damien di non ridere, si concentra sullo sguardo affllitto - forse, poi, dopo, potresti occuparti di Roma, forse dopo! Sposare Ottavia..." incrocia lo sguardo di Damien: un mix di divertimento e sorpresa.
"Oh zitta! Zitta!" Damien si avvicina di qualche passo, cambiando repentinamente espressione, rabbuiandosi in faccia quanto bastava per renderlo un Marcantonio piuttosto deciso. Alex alza le sopracciglia scure, recitando sorpresa e desiderio.
"Ti farò ubriacare dei miei baci più morbidi e dolci... - fa una pausa, avvicinandosi di un altro passo lentamente - riempirò la tua anima di piacere così profondo che, qualunque cosa accada, la memoria di me non t'abbandonerà finché vivrai!" il ragazzo apre le braccia, stringendole poi al petto. Tende una mano verso Damien, ormai recitando in tutto e per tutto la propria parte.
"Cleopatra!" l'altro si avvicina di un altro passo, stringendo il pugno. Volta lo sguardo a terra, come pensieroso, per poi riportarlo su Alex.
"Vieni! Il mio galeone è pronto per salpare in un meraviglioso viaggio al cospetto del magnifico cielo stellato! In questa notte d'amore, io sono..." gesticola ancora, avvicinandosi a Damien, ormai sfiorandolo con le mani.
"Aspetta! Questa... la fanfara! I miei soldati, loro..!" l'uomo si allontana, guardandosi attorno allarmato.
"Marcantonio!" grida Alex, tendendo ancora più le mani verso Damien.
"Cleopatra!" l'uomo sorride, improvvisamente.
"Cleopatra, non verrò! Non ti sei mai mostrata a me come Madre Natura ti ha creato, così vali meno dei miei soldati!" Alex ride. Le risate di entrambi rimbombano nel teatro vuoto.
"Ah sì Marcanto'? Tè! Guarda! Tutta 'na spalla te faccio vede'!" Alex si abbassa un'estremità del collo della maglietta, scoprendosi la spalla e mostrandola. Ridono alle lacrime, come due bambini che giocano insieme.
"No! Non basta mia cara!" segue Damien, voltandosi. Alex si toglie la maglia con un gesto repentino, avvicinandosi a Damien e prendendogli la mano.
"E così, mio signore..?"
Fanculo alla morale. Cosa è giusto e cosa no, nella vita? Aveva venticinque anni, poteva ancora farne cazzate. In quel preciso istante in cui i suoi occhi, voltandosi, incrociano prima lo sguardo imbarazzato del ragazzo davanti a lui, poi la sua bocca socchiusa, indifesa, ed infine il petto minuto e color terra di Siena. Quelle poche nozioni su di lui che voleva tenere a mente durante il loro incontro si perdono in un oceano immenso fatto di ormoni, pensieri ed erezioni, fantasie ed emozioni miste all'odore di sesso che quella creatura portava così innocentemente addosso. Lo trasudava, lo sapeva.
È Damien a muovere una mano sul volto dell'altro, passandola fra i capelli sull'orecchio. L'altro si avvicina alla sua bocca, portandogli le mani intorno al collo. Le labbra si sfiorano appena, morbide, per poi unirsi per qualche secondo, allontanarsi e tornare strette, aprirsi, lasciar scorrere le lingue e proseguire per secondi, e poi minuti, muovendo le mani dalla testa verso il collo, seguendo le curve dei fianchi lentamente, tremanti. I respiri corti, mentre i loro petti nudi si univano, stretti in un abbraccio e stesi sul palco. Lo scricchiolio soffocato del legno, i pantaloni che scivolano via, e poi l'ansimare emozionato di Alex, mentre Damien scende famelico sul suo corpo, man mano sempre più istintivo, arrivando a morderlo per poi proseguire. Il teatro ed il suo eco confondono i gemiti ed i respiri pesanti.
[POV switch]
"Io non... Damien io non... oh! Damien, io... non l'ho mai..." per quanto provasse a dire qualcosa, era sicuro che uscissero soltanto parole incomplete, e gemiti. Aveva rischiato sì, aveva rischiato e lo sapeva, ma Dio se era valsa la pena.
"Ssshhh..." è l'unica risposta.
Le mani di Damien scivolano ovunque, penetrano il corpo del ragazzo, baciando qualsiasi lembo di pelle la sua bocca potesse toccare. È questione di attimi, prima che Alex invochi ripetutamente qualche divinità, aggiungendo di tanto in tanto qualche parola mozzata. Il suo sguardo era rivolto, in un misto di sofferenza e godimento, nelle iridi dell'uomo.
Quel braciere d'ansia che lo aveva fatto tremare fino a quel momento, era ormai divampato a tal punto da sapere chiaramente di non avere alcun controllo sul proprio corpo e, giudicando dai suoi pensieri di amore duraturo e imperituro, sul suo cervello. Era, in quel momento, in ogni modo possibile e immaginabile, "suo". Le idee e i pensieri divagavano, traballando fra lucidità e delirio: era la sua prima volta, che assurdo farlo in un teatro, era con un uomo, voleva urlargli il desiderio di sussurrargli d'amarlo, mentre s'insinuava dentro il suo corpo, aveva il sapore di mandorla sulla lingua, non s'aspettava fosse così, ma conta come sesso al primo appuntamento?
Nessuno gliel'avrebbe mai portato via quel lunghissimo attimo di follia.
Quasi un'ora e mezza dopo le prime battute di Cleopatra e Marcantonio, i due giacevano uno sopra l'altro, ansimanti, intenti a baciarsi e stringersi, incuranti di qualsiasi cosa li circondasse o li riguardasse, al di fuori di loro due.
Entrambi si trattenevano, uccidevano parole troppo premature e pericolose che continuavano a presentarsi di fronte ogni ragionamento, spinte dal fiato in gola e dal fuoco nel fondo dell'anima. Parole interrotte e sguardi intensi.
Era tutto compreso, era tutto capito. Tutto era chiaro, ad entrambi. Qualche risata, baci.
"Me l'hai detto senza parlare" aveva detto Damien, quando Alex aveva cominciato a mordersi il labbro per non dire nulla, mentre si fissavano. Sapeva bene che si erano conosciuti davvero solo oggi, che anche se lui lo osservava da mesi, forse addirittura anni, ciò non significava che non fosse uno sconosciuto, un estraneo che, dopo qualche ora passata a parlare, aveva avuto il suo corpo e, probabilmente, ogni pensiero che avrebbe formulato di lì al prossimo secolo. Poteva essere solo lui a provarlo? Poteva essere stato tutto un impulso, un impeto. Potevano ancora pentirsi.
"Dentro te hai una parte delle cose che vorrei dirti" gli sussurrava Damien, appoggiato accanto a lui. La mano libera gli accarezzava i capelli, mentre l'altra lo teneva stretto da una spalla.
"Dentro di te c'è qualcosa che cancella il mio passato, qualcuno di cui posso fidarmi" continuava l'uomo, mentre cominciava ad ascoltare a tratti, corrotto dall'accogliente caldo del corpo di lui. Un ultimo pensiero lo accompagnava verso l'addormentarsi: dentro di lui ci sarebbe per sempre stata una parte di un'altra persona. Per sempre, una parte soltanto sua.
...
[POV switch]
Un leggero crepitio aveva accompagnato il risveglio di Damien. Quell'insolito e morbido caldo del corpo raggomitolato di Alex era stato scosso da qualcosa di estraneo alla questione. Si volta, cercando di aprire gli occhi per vedere qualcosa. Distingue un paio di scarpe, e dei pantaloni. Dei pantaloni neri, stirati.
"ARICCIA!" la voce pare scuotere la terra. Qualcosa di piuttosto pesante gli cade sulla vita, mentre sente il ragazzo sussultare, dietro di lui.
"PAOLO, Paolo, Paolo... non urlare, dammi un attimo e ci togliamo" dice, mettendo le mani avanti e voltandosi di tre quarti. Alex era accanto a lui, intento ad osservarlo con una faccia mista a un morto ed un cane beccato a fare la pipì sui vestiti.
"Dai, tranquillo, rivestiti" gli sussurra, alzandosi ed infilandosi velocemente i boxer ed i pantaloni. Il Paolino era andato poco più avanti e si stava buttando sulla prima sedia a portata di culo.
"Damien, questo oggi mi ammazza..." dice Alex, fuggendo dietro le quinte coprendosi con i vestiti appallottolati. Damien finisce di infilarsi le scarpe e si butta la maglietta addosso.
"Ariccia, no, ma con comodo" il vecchio tamburella col piede a terra. Damien non aveva una visione dai colori esattamente brillante a causa del sonno e del risveglio improvviso, ma avrebbe giurato che la faccia paonazza dell'uomo era pitturata dagli occhi giganteschi, lo sguardo infuriato e le labbra assottigliate. Non era una situazione troppo bella, in effetti.
"Paolo, guarda, dovevamo andarcene, non è che volevamo rimanere qua a dor..." il Paolino alza una mano. Continua a tamburellare, avvicinandosi di un paio di passi Damien trova esattamente quello che si era immaginato: un quasi sessantenne rosso come un peperone, i capelli radi ancora a posto ed il naso sovrastante due fessure rosastre.
"Ariccia, hai dieci secondi, dieci, per portare il tuo e il suo culo fuori di qua fino a che io non sto cu nu sciuri ddasupra e sottoterra, picchì... no, senti, vattene perché poi mi fa' pigghiari pu' culu pur'ammia, che qua... Gay Pride è diventato, mo' mancavi tu" Damien era interdetto. Aveva un senso, quello che aveva detto l'uomo, ma qualcosa non gli tornava. Era chiaro che era incazzato nero, imbarazzato anche, ma certo che fra le milioni di reazioni che avrebbe potuto avere, quella era piuttosto contenuta. I motivi potevano dividersi in "motivi nobili" e "motivi mobili": nel primo caso era un non fare rumore, non fare scenate, risolvere il problema da vigilantes pacato e conciso, pure professionale volendo. Il secondo mazzo di motivi era un "se si viene a sapere che la gente qua dentro tromba io perdo il lavoro" con magari pure l'aggiunta di "du' froci" al posto di "la gente". Non volendo fare troppo il cavilloso, Damien va a recuperare Alex per andarsene e basta.
"Alex, hai fatto?" si affaccia dietro le quinte, cercando Alex. Guarda un po' in giro, non vedendo nessuno. Osserva in lontananza la porta d'emergenza socchiusa, capendo che era uscito da lì. Ci si dirige, in quanto comunque doveva uscire.
Una volta messa la faccia fuori, continua a cercare il ragazzo con lo sguardo, senza vederlo. Sospira. Doveva essersi traumatizzato un sacco, forse anche troppo. Nemmeno aveva il suo numero di cellulare, sempre ammesso che ne avesse uno, poi.
Per qualche secondo Damien si ferma, poco lontano dal teatro. Se non fosse che sentiva ancora l'odore di Alex sui vestiti e sulla pelle, avrebbe giurato che s'era sognato tutto e Alex se l'era inventato lui, masturbandosi nel teatro e immaginandosi tutto, come qualunque altra persona sola da troppo tempo e sulla via della pazzia avrebbe fatto. Tuttavia, l'odore rimastogli addosso lo convinceva che stava semplicemente pensando troppo.
Non sapeva nemmeno dove abitasse, tra l'altro. Era come se fosse un'ombra materializzata per qualche secondo accanto a lui, svanendo fra le sue braccia durante un abbraccio. La Goccia era poco lontana, e lui aveva ancora venti euro avanzati dalla sera prima. Dà uno sguardo veloce al telefonino, che appena si illumina alla pressione dei tasti, fa ondeggiare una spina di pixel dicendo "batteria quasi scarica". Le otto. Ancora tutto chiuso.
Sospira, incamminandosi verso casa, continuando a guardarsi intorno, nel tentativo di scorgere da qualche parte Alex. I ricordi della sera prima sembravano così irreali da impensierirlo seriamente e farlo lucidamente pensare alla possibilità di una sua invenzione. Anche se Paolino aveva nominato anche lui, chiaramente...
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