Capitolo 4.2

Non me lo aspettavo.

Finora era stato piuttosto ritroso con me, al punto da sembrare di non volersi far conoscere.

Provai a indovinare qualcosa dei suoi pensieri, fissandolo spudoratamente, ma Zeno ricambiò con un sospiro, e una risata sconsolata che mi mandò k.o.

«Potresti anche rispondere, sai», disse. «Giuro che non ti tocco, se è questo che temi.»

«Temere?» farfugliai.

Se mai era il contrario. Volevo che mi toccasse! Per uno spericolato istinto che, a quanto pareva, mi spingeva verso di lui, anche se la ragione frenava.

«Già la prima volta che mi hai visto, sei stata ben chiara in merito», sottolineò, in tono ironico.

Non mi tocchi! Mi lasci andare oppure mi metto a gridare e faccio accorrere qui tutto il quartiere.

Mi vergognai subito per la reazione esagerata che avevo avuto quella sera nei suoi confronti.

Ero stata approcciata da una persona indistinta nell'ombra, e mai avrei previsto che sarei finita un giorno per desiderarlo, il suo tocco.

«Io non lo temo.»

«Ne sei proprio sicura?»

«Sì.»

Era me stessa che temevo. Le mie emozioni, così fuori controllo da quando lo avevo incontrato. E l'ignoto.

«Bene, allora non ti dispiacerà se ci fermiamo anche oltre il tramonto.»

Lo disse con naturalezza, quasi lo avesse sempre avuto sulla punta della lingua, e avesse aspettato il momento adatto per tirarlo fuori.

Mi fece volare, proprio come aveva fatto Leonardo Da Vinci da questo spiazzo, su, sempre più su, fino alle nuvole bianche e al sole.

«Okay.»

Ignorai una indicazione di accesso vietato, perché Zeno voleva visitare una cava al suo interno, ed era così entusiasta che non riuscii a dirgli di no.

Non era da me infrangere le regole a questo modo, ma dovevo ammettere che ora che lo avevo fatto, mi sentivo più viva che mai.

Ero davvero io, quella in una grotta umida, con un ragazzo che conoscevo appena?

Pazzesco!

Proseguimmo fino al centro seminterrato della cava, facendo attenzione a non inciampare sulle pietre franate dall'alto, e aiutandoci a vicenda.

Ringraziai mille volte la mia idea di rinunciare ad andare al parco con i tacchi. Sarei di sicuro rotolata in un fosso davanti a lui, altrimenti.

Il passaggio era tortuoso, e non proprio sicuro, non a caso l'ingresso era stato sbarrato ai visitatori, ma ciò non pareva disturbarlo.

Faceva di gran lunga più freddo lì, la roccia era avvolta in una selvaggia penombra, e lo spazio era grande, percorso da cunicoli bui in direzioni opposte.

«Non sono luoghi che si vedono tutti i giorni, questi», commentò il ragazzo, lanciandomi un'occhiata complice. «Scommetto che non c'eri ancora stata.»

«No, mai.»

«Ti piace?»

Stavo per rispondere che era una semplice cava ostruita, senza niente di particolare, quando successe qualcosa che azzerò completamente quel mio pensiero.

Zeno sorrise tra sé e sé.

Io abbassai la testa, sbattendo più volte le ciglia, scioccata e quasi accecata.

Una polvere d'oro si era riversata ai nostri piedi, ricoprendo lentamente l'intero pavimento della grotta, a più strati, fine e brillante, come un tappeto di piccoli diamanti di luce dorata, e sfavillava proprio sotto di noi.

Non avevo mai visto uno spettacolo più favoloso di questo.

Era... unico.

Passò qualche secondo prima che mi abituassi alla luminosità che sprigionava, poi non mi dovetti più sforzare, e potei bearmi di ogni scintillio di quel nascosto tesoro.

Sopra di noi, una volta scura e rocciosa; sotto di noi, un brillio adamantino.

Incrociai gli occhi serafici di Zeno, soddisfatti e per niente stupiti, e infine, capii.

Era opera sua.

«Ester?»

Ero senza parole, continuavo ad abbassare lo sguardo su quella meraviglia di luce che spolverava completamente il terriccio, sostituendolo, e a rialzarli su di lui. Non sapevo che cosa fosse più bello da guardare.

La grotta, la magia inaspettata, Zeno.

Era tutto...

«Incredibile», dissi.

Lui mi sorrise, rilassato e vagamente divertito, poi si piegò sulle ginocchia, e immerse le mani in quel mare d'oro apparso all'improvviso.

Prese una manciata di polvere, e si risollevò, con una sicurezza e una fluidità che mi ammaliarono, ancora, ancora di più.

Alcuni granelli scivolarono tra le sue dita, facendo piovere luce dorata a terra.

«Questo sono io», disse.

Si avvicinò a me, con una nuova dolcezza negli occhi eterocromi, e quando fu abbastanza vicino, lasciò andare in aria la polvere che teneva chiusa nel suo palmo, facendola librare sopra di noi.

Cadeva oro.

I granelli luminosi volteggiarono tutt'intorno, come frammenti incantati, e si posarono sui miei capelli, sulle braccia, sugli abiti, e su quelli di Zeno.

Ne eravamo ricoperti.

«Chi... sei tu?» chiesi, con un filo di voce.

Lui mi sollevò il mento con il dito, e al suo tocco avvertii distintamente calore, così tanto calore che si espandeva dentro di me, da sentire le prime goccioline di sudore bagnarmi la pelle.

Cercai nel verde e nel blu dei suoi occhi la risposta che non mi aveva ancora dato, e che era diventata una questione tanto importante da non farmi pensare più ad altro.

Vitale.

Era proteso su di me, con la bocca carnosa a pochi centimetri dalla mia, ma non udivo il suo respiro, solo il mio, accelerato e veloce.

Sembrava stesse trattenendo il fiato, eppure appariva disteso e a suo agio, molto più di quanto non lo fossi io, e non capivo come potesse essere. Possibile che Zeno... non respirasse?

Inumidii le labbra, secche e vogliose di lui, e attesi, impaziente, un altro suo gesto.

Ma il ragazzo ritrasse la mano troppo presto, e indietreggiò di qualche passo, lasciandomi insoddisfatta.

Stordita. Tremante.

I granelli di polvere d'oro luccicavano ora sulle sue guance, e sui suoi capelli biondi, già di quel magnifico colore ambrato, rendendolo di una bellezza diversa, ardita.

«Colui che realizzerà i tuoi desideri», disse.

                                                                     ✴

Ci perdemmo il tramonto; il tempo nella cava era trascorso in una cascata di polvere luminosa, senza che me ne accorgessi, a cercare di conoscere Zeno, di scintillare ai suoi occhi almeno quando ero nella sua luce.

Tutto quell'anomalo e ricco splendore all'interno della grotta aveva fatto passare in secondo piano quello osservabile all'esterno, dalla vetta.

Stava calando la sera sul Montececeri, in giro vi era solo qualche coppia, come potevamo essere scambiati noi due, frettolosamente.

Eravamo tornati allo spiazzo di Leonardo Da Vinci, sulla cima della collina, e lì ci eravamo fermati, poco prima che il ragazzo scegliesse un punto tra alcuni alberi, indicandomelo, avventuroso.

Dopo che avevo annuito, sorridente, si era levato la sua giacca, davanti al mio sguardo attonito, posandola a terra, e ci si era seduto sopra, con le gambe distese.

«Vieni accanto a me», mi stava esortando, con un tono gentile, incoraggiante.

Seguii la sua esortazione senza remore, e mi posizionai anche io sulla sua giacca, mentre lui sollevava il viso, perdendosi nella sconfinata volta celeste.

Senza un tetto...

Amava proprio quello che vedeva dal basso, lo amava in modo incondizionato, folle, e io riuscivo a capirlo dalla sua espressione profonda, assorta.

 Si vede meglio il cielo.

«Non c'è posto migliore di questo per riempirsi gli occhi di bellezza e di stelle, non trovi?» mi chiese.

Piegai il capo all'indietro, come il suo, cercando una angolazione che potesse farmi vedere quello che vedeva lui, e in quel momento realizzai, realizzai che quello era uno dei tre desideri di quando ero bambina.

La Terrazza di Fiesole, nonna Iside, e quel foglietto lasciato incustodito su una panchina qualsiasi, mi avevano condotta proprio qui, a questa serata con Zeno.

Piansi.

Era la gioia per qualcosa di inatteso, di insperato, che si avverava. Le stelle, guardate dall'oscurità e dall'altezza del parco, erano strabilianti, tanto vicine da poterle quasi sfiorare con gli occhi; si scolpirono nei miei ricordi, si impressero nella mia anima.

«Il cielo ci osserva, Ester.»

Mi accarezzò una guancia, pulendo i granelli dorati dalla mia pelle misti alle gocce delle mie lacrime, mentre con lo sguardo fissava la mia bocca.

Ritirò la mano, e in quel suo delicato e rispettoso movimento, notai di nuovo il disegno nero a forma di k sul suo polso.

Me lo ricordavo ristretto, appena accennato, ma adesso mi pareva diverso.

Più esteso.

  Mi sono divertita molto a scrivere in questi giorni, spero di esservi riuscita a trasmettere un'atmosfera da sogno attraverso la mia fantasia, che era il mio obiettivo per questa magica parte. Attendo le vostre impressioni sul capitolo, su Ester e Zeno, su come sta andando avanti la trama :-) Vi aspetto nei commenti.

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