XXIX. Tortuga: Avevo una voce
Susan e Stephen rimasero alla grotta per qualche oretta a chiacchierare e riposare di fronte all'evocativo paesaggio marino, finché la ragazzina non cominciò ad avvertire una certa pesantezza alle palpebre, e decisero di tornare insieme a Fionnphort.
La traversata di ritorno fu più leggera, poiché i cuori di entrambi erano ricolmi di una spensieratezza che prima sembrava impossibile da raggiungere, arricchita dal senso di complicità che l'avventura aveva fatto sbocciare tra loro. Adesso si sentivano un po' meno soli.
La giovane dalle ciocche auree salutò con un abbraccio sentito l'amico, una volta che furono nei pressi della dimora dei Mclean, i genitori di Susan. Infatti, dopo essersi scambiata un ultimo rapido cenno con Stephen, lei si approcciò alla rustica capannella di legno e pietra, e si preparò a fare il suo ingresso con un breve sospiro. Rientrare in casa quel giorno aveva un sapore più dolce, e non solo perché sapeva che l'attendeva lo stufato di gallina di sua madre, ma soprattutto per la consapevolezza del tutto nuova nata in lei dopo quell'inaspettata giornata.
Adesso si sentiva un po' più pacata rispetto a prima, un tipo di calma che mai aveva provato, ma conseguente alla determinazione con la quale si era spinta fino al suo posto speciale senza la sua amica. Si sarebbe potuta chiamare crescita, oppure maturità.
Susan provava un senso di libertà sconosciuto fino a quel momento. Come se un gravoso fardello avesse appena allentato la tensione dentro di lei, pur non scomparendo del tutto.
Mentre i raggi del pallido sole delle Egadi schiariva dall'alto i suoi capelli, sfumandoli di un intenso color topazio, e la penombra lanciatale sul viso scuriva gli occhi fino a renderli opachi come alghe marine, posò con fermezza il palmo della mano sul portone e lo spalancò con uno scricchiolante cigolio.
"Sono a casa!" si annunciò, con voce argentina.
Subito il calore delle mura a cui apparteneva e il profumo inebriante dello stufato in fase di preparazione la accolsero nel migliore dei modi. Un sorriso fiorì sul suo volto senza che potesse controllarlo.
"Oh, eccoti, piccola!" Da un angoletto dell'unica stanza che componeva l'abitazione sbucò sua mamma, Lisa Mclean, dai tratti un po' ovali ma con due allegri occhi tondeggianti, castano chiaro come i suoi capelli lisci. La strinse a sé con affetto e poi le rivolse un ghigno furbo indicando la pentola, più simile a un calderone da strega, alla sua destra. "Stasera ci abbuffiamo alla grande." sghignazzò.
A Susan piaceva tanto il carattere un po' frivolo e vitale di sua mamma. In un certo qual modo le ricordava quello di Lavy, sia per i sorrisi frequenti e senza riserve che regalava a tutti, sia per quel fare pratico e intraprendente che faceva sembrare anche i più seri problemi nella vita dei semplici contrattempi da risolvere con un minimo sforzo.
Lei invece era diversa. Fino a quel giorno non avrebbe nemmeno mai pensato di tentare qualcosa di avventato come uscire in barca senza qualcun altro di cui si fidava. Senza le certezze che le trasmetteva la sua compagna. Per questo considerava la sua piccola avventura un enorme passo in avanti, perché seppure l'avesse intrapresa con Stephen, l'idea era partita da dentro il suo cuore. Il coraggio l'aveva trovato da sé. Ed era sicura che alla fine ci avrebbe provato lo stesso anche da sola.
Susan amava le persone come Lavy e sua madre. Ma le invidiava anche, e questo era il principale fattore di spinta che la portava a volersi migliorare. O quantomeno a raggiungere la sua autonomia.
"Ciao, mamma, come sta papà?" L'undicenne ricambiò l'abbracciò e assunse un'espressione apprensiva. "La tosse va meglio?"
"Beh, è migliorata un pochino. Oggi è stato molto più attivo del solito." rispose in tono gaio Lisa.
"Sta' pure tranquilla, Susie, sono solo gli acciacchi dell'età." ridacchiò, accomodato su una sedia avvolta da una pelliccia, il padre della ragazzina.
L'aspetto di Donton era arzillo e gioviale come sempre, a discapito dei suoi polmoni usurati dall'età e dal duro lavoro di una vita tra pesca e i pochi raccolti di cereali che le brulle e umide terre di Fionnphort offrivano.
I baffetti che decoravano il viso rotondo si sollevavano in modo giocondo quando sorrideva. Susan l'aveva sempre trovato buffo e la metteva di buon umore.
Gli stufati di sua madre aiutavano a mitigare le condizioni di salute sempre più precarie di Donton, ma la ragazza era preoccupata dentro di sé. Un altro dei motivi per cui stava inseguendo prematuramente la sua indipendenza era proprio l'inconscio timore di rimanere sola con sua madre, che avrebbe dovuto svolgere il doppio del lavoro, fino a sfiancarsi. Morire di stenti era fin troppo frequente per le famiglie del villaggio senza figli maschi e a cui venivano a mancare le figure paterne.
"Però riguardati, eh... Non caricarti tutto sulle spalle." Susan si avvicinò a lui per scambiarsi un cenno d'affetto, mentre Lisa ridacchiava alla sua impacciata premura.
Donton fece lo stesso. "Ma guarda che signorinella responsabile, abbiamo qua! Con te siamo in buone mani, eh?"
"Già, proprio così." rispose Susan, chiudendo gli occhi con una certa fierezza sul viso. "Sto anche imparando a pescare." aggiunse.
"Ah, quindi è per questo che hai fatto un po' tardi?" incalzò Lisa, ironica. "E dimmi, hai pescato vicino a una certa grotta e ti sei dimenticata la rete coi pesci lì, o roba del genere?"
"E-ecco... sì, proprio così. Domani tornerò a prenderli."
Susan si grattò la testa con aria colpevole. Fin da quando visitava quel posto segreto con Lavy e tardava a tornare a casa, avevano entrambe usato la scusa di aver pescato più a lungo del solito, ma sapeva bene che sua madre era a conoscenza delle loro escursioni e chiudeva puntualmente un occhio anche se qualche volta si presentavano a mani vuote.
"Questo mi porta alla mente una storia che una volta ho sentito da Lavy, quando era ancora piccola e Ginny era con noi al villaggio." affermò Donton, sognante d'un tratto.
La curiosità di Susan fu stuzzicata. Ogni volta che si parlava della madre defunta della sua amica d'infanzia, saltava fuori qualche aneddoto esaltante. Anche se allora era troppo piccola e non l'aveva mai conosciuta, la sua figura era interessante. Seppur non capisse mai bene perché avesse abbandonato sua figlia. Spesso aveva pensato che se lo chiedesse più lei che Lavy, ma poi aveva capito che quest'ultima si interrogava e rifletteva in solitudine, e non mostrava mai a nessuno le sue insicurezze, celandole dietro un sorriso sfrontato.
Quanto le mancava, quel viso gioioso e birbante. Quegli occhi azzurri e profondi come gorghi che trascinavano al suo interno chi li ammirava...
"Che tipo di storia? Quella donna era un cantiere vero e proprio di avventure." rise Lisa, svegliando Susan dalle profondità della sua mente.
"Una volta ricordo che, tra le varie assurde vicende di cui parlava, Lavy mi raccontò qualcosa che sua madre le aveva accennato, proprio riguardo quella grotta marina dove pescava insieme a Susie..." proseguì Donton.
"Era tutta euforica ed entusiasta, quindi lo raccontò in modo confuso, ma pare che Ginny le avesse detto di aver nascosto un tesoro immenso in quella caverna. La chiave che apriva il forziere però era nascosta chissà dove, e in più Ginny aveva fatto creare altre sei copie sparse nei Caraibi per confondere chi volesse trovarla. Non so come questo sia possibile, ma nessuno a parte lei stessa aveva mai conosciuto l'ubicazione della vera chiave e del tesoro, stando a quanto diceva Lavy. Se fosse vero, mi chiedo perché nasconderlo proprio qua e rivelarlo poi a sua figlia piccola."
"Forse voleva spingere proprio Lavy a trovare la chiave, qualora avesse preso il mare come lei, un giorno. Una volta trovata, infatti, avrebbe saputo dove andare per aprire il forziere, e sarebbe stato proprio casa sua. Romantico!" azzardò Lisa, accarezzandosi il mento con gli occhi rivolti verso l'alto, stuzzicata. "Poteva essere un lascito che ha conservato per lei. Chissà, magari anche la vera chiave è qui a Fionnphort da qualche parte."
Lisa era capace di lasciarsi andare alle fantasie più sfrenate con disarmante facilità.
"Ma... è assurdo! Lavy si è spinta per gioco in fondo alla grotta una volta, e non ha trovato nulla! In più, non ne ha mai parlato, né sembrava intenzionata a trovare un tesoro." disse un'incredula Susan, a cui la storia aveva intrigato più di quanto pensasse. Ora aveva un motivo per tornare nella grotta, ma non sapeva se dirlo a Stephen o no.
"Dopotutto, Lavy era una bambina quando ha sentito la storia." ribatté Donton, sospirando. "Credo l'abbia dimenticato e basta. Non è per trovare una chiave per un forziere che è partita, questo è sicuro."
Susan assunse un'aria riflessiva, mentre cercava di rivangare ricordi in cui la compagna parlava di tesori e chiavi. Ma era inutile, non ne rimembrava alcuno. Forse Lavy l'aveva davvero dimenticato, e Ginny era morta insieme al suo lascito nascosto da qualche parte in quel luogo suggestivo prima di rivelare la posizione della vera chiave tra le sette sparse nei mari.
Sempre se avesse voluto rivelarla.
Sicuramente, nelle Indie Occidentali qualcuno era a conoscenza di un tesoro del genere, se la storia corrispondeva a verità. In quel caso, Lavy ne avrebbe sentito parlare.
Susan non si sarebbe stupita se quella piccola caccia al tesoro fosse una sorta di gioco che Ginny Thomson aveva preparato per sua figlia, nel caso avesse deciso di seguire le sue orme.
Lavy era paralizzata.
Gli occhi sgranati fin quasi a uscire dalle orbite rendevano l'espressione sul suo viso un misto tra incredulità, angoscia e soprattutto ira. Nelle sue pupille era riflessa l'immagine dell'uomo che le aveva tolto tutto. La causa per la quale adesso continuava ad avanzare, giorno dopo giorno, quasi per inerzia. Il fulcro stesso della sua sanguinaria vendetta.
Tutto taceva. L'unico suono che si erse sul silenzio dominante, squarciandolo con violenza, fu l'urlo del capitano Sabers. Sarebbe stato più consono definirlo un ruggito.
La bocca si spalancò a mostrare i canini aguzzi, le vene le solcarono le tempie e la fronte, le pupille divennero quasi invisibili nelle sclera insaguinate per quanto si rimpicciolirono in quel grido di puro odio e furia. L'ombra gettata sulle sue spalle dal portone di ingresso dava l'idea che fosse un demonio sommerso dall'oscurità più nera.
"Uh?" Boyd Lafonte riuscì solo a mormorare questo, prima che Lavy gli si fiondasse contro, le sciabole già incrociate e pronte a dilaniarlo come artigli giganti e affilati.
In un istante, si scatenò un putiferio, e la quiete che fino a un secondo prima aveva aleggiato completamente sulla locanda si tramutò in una marea di scatti metallici per le pistole che ogni presente aveva cominciato a estrarre.
Lavy fu costretta a fermarsi un attimo prima di raggiungere il bersaglio, poiché almeno dieci canne erano puntate contro di lei. Si bloccò proprio a un palmo di muso da lui, gli occhi due braci incandescenti a formare uno sguardo omicida che non distaccò per un solo momento dal nemico.
Gli uomini della sua ciurma reagirono di riflesso, così come Jack e Anne e i membri della loro. Altre armi da fuoco furono alzate verso l'equipaggio di Lafonte che si nascondeva dentro la Steady Dock Inn dall'inizio.
Chi non era coinvolto nella disputa si limitava a osservare la scena tra stupore e muto interesse, a seconda della persona. L'arcigna oste sembrò posare la mano su qualcosa sotto il bancone.
"Ma guarda un po' chi si rivede!" Boyd, un sorrisetto vincente sul volto butterato, passò da cima a fondo per intero la silhouette della sua assalitrice, che si concesse solo due rapide occhiate ai suoi lati per valutare la situazione, i denti digrignati e i muscoli frementi. "Mmh.. Mi sa che non mi sovviene il tuo nome, ma quello che vedo invece lo ricordo eccome!"
Quel tono irrisorio, quella mancanza di rispetto totale, la voce graffiante e acuta allo stesso tempo, la mente di Lavy non li avrebbe mai confusi con nient'altro al mondo. Strinse ancora di più la presa sulle sciabole, sbuffò dal naso e dalla bocca, incapace di trattenersi. L'unico pensiero che la frenava era la possibilità che i suoi compagni, Flicker e Nick, andassero incontro a una brutta fine nel caos della battaglia, per una causa di cui non erano nemmeno a conoscenza e non li riguardava. La colpa stavolta l'avrebbe davvero uccisa.
"Pensavi davvero che non avrei sistemato qualche uomo qui, sapendo che è uno dei luoghi che frequenti di più? Perché non ci diamo una calmata, capitano Sabers? Stavo comunque per andarmene, non ho bisogno di sprecare vite inutili per una ragazzina arrabbiata." continuò Boyd, loquace e pungente come al solito.
"Caccia i coglioni e affrontami." ringhiò Lavy, la voce impastata dalla rabbia e i denti stretti.
Per qualche attimo, tutto tacque e sembrò che l'altro stesse sul serio valutando l'idea di assecondarla oppure no. Assumersi un rischio per eliminarla subito o lasciarla in balia della sua cieca vendetta, finché questa non l'avrebbe consumata dall'interno. Essere l'incubo di qualcuno era certamente qualcosa che Boyd Lafonte anelava, e che lo compiaceva.
"L-Lavy, che sta succedendo? Quest'uomo è il pirata con cui avevi un conto in sospeso? Boyd?" Ci pensò Nick a spezzare la tensione, il moschetto puntato contro uno sconosciuto che teneva la pistola fissa sul cranio della sua superiore.
"Cerchiamo di evitare che la situazione sfoci in una strage, eh..? Non c'è bisogno che sistemiamo tutto qui e ora. Anche se siamo tra nemici questo non è il posto, né il momento adatto." azzardò Jack, urgente. Erano di poco in inferiorità numerica, aveva notato, e l'ambiente era stretto e senza vie di fuga tranne una, coperta da Sabers. "Nassau ha appena superato una crisi, Lavy." tentò di parlarle, e lei gli rivolse solo un dubbioso sguardo di sottecchi, indecisa sul da farsi. Rischiare di portare tutti con lei in un bagno di sangue, o trattenersi per il bene dei suoi compagni. Cosa che con estrema fatica stava facendo adesso.
Perlomeno, anche Lafonte e i suoi uomini sembravano restii allo scontro, come testimoniavano i furtivi passi dell'uomo per aggirare man mano Lavy e giungere sull'uscio.
In tutta risposta a Nick e Jack, Boyd sogghignò. "Se considerassi tutte le sgualdrine di Nassau mie nemiche, allora adesso avrei contro un esercito." rise. E nel mentre, a leggeri passi, si avvicinò all'uscita, aggirando per gradi la donna che lo schermava. "Se le è successo ciò che le è successo, la colpa è solamente sua, che si è fatta ingannare come l'ingenua che è. Stammi a sentire, dolcezza: potrai anche giocare a fare la piratessa, circondarti di gente disperata come te, impugnare due sciabole e credere di essere invincibile, avere uno scopo come la vendetta, e ne hai pure il diritto. Ma io so chi sei. Nient'altro che una ragazzina senza la minima idea di come funzioni il mondo."
"Lafonte!" Lavy urlò ancora, in preda alla frustrazione più atroce. "Affrontami, bastardo!"
"No." sogghignò lui, ormai prossimo alla porta, una soddisfazione sadica nello sguardo che istigò solo di più l'altra.
"Cane, combatti! Ti sto sfidando a duello! Codardo! Combatti con me, pezzo di merda!" Lavy continuò così, sotto le espressioni dei suoi alleati, frustrati per l'impossibilità di aiutarla, di dare sfogo alla violenza da lei rappresentata. Da lei ricercata così disperatamente.
Jack e Anne tacevano, mesti in volto poiché sapevano quale fosse l'origine delle pene della ragazza. Flicker sentiva un dolore atroce allo stomaco, al solo vedere il suo capitano, per lui sempre calmo e sicuro, caldo, in quello stato pietoso.
"Continua pure ad annegare nel tuo dolore, Lavy. Ti guarderò affondare senza concederti mai nemmeno una mano a cui aggrapparti." Dopo queste parole, Boyd Lafonte uscì dalla locanda, e gradualmente tutti i suoi uomini lo seguirono.
Lei continuò a gridare, ormai fuori controllo, provò a raggiungerlo ma Flicker riuscì a trattenerla a stento, aiutato da Anne e Jack, tanto era difficile contenerla.
"Lavy, calmati!" gridò la rossa, ma invano. Ormai era in una piena crisi di nervi.
La tensione calò, ma Lavy rimase immobile a fissare il punto da cui il suo nemico giurato era uscito, vuota nell'animo. Le fitte al petto le ricordavano una disperazione che a lungo aveva soppresso così tanto che lasciarla uscire tutta in una volta era stato davvero troppo da sopportare. Una disperazione che adesso prendeva forma tramite le lacrime sulle sue guance, copiose e amare.
Il suo corpo prese a sussultare violentemente. I suoi singhiozzi furono tanto fragorosi che in un attimo fu circondata dai suoi amici. Ma lei non riusciva nemmeno a percepirli.
Fu portata fuori dalla locanda da Flicker e Nick, mentre gli altri rimasero dentro per cercare di calmare gli animi.
I due uomini misero metri tra il loro capitano e il luogo in cui era stata posta con brutalità di fronte al suo trauma, senza preavviso né preparazione. Aveva passato settimane, mesi, a pregustare il momento in cui avrebbe rincontrato il suo nemico, il nucleo stesso del suo incubo, ma quando era successo per davvero non era riuscita a fare proprio nulla di quello che si era immaginata. Le circostanze l'avevano del tutto colta alla sprovvista.
A contatto con l'aria fresca, Lavy riuscì a riguadagnare almeno il controllo sul proprio corpo, e a riagganciare la mente alla realtà, fino a pochi secondi prima persa altrove, in posti surreali che somigliavano sempre alla nave chiamata Dama Negra, il posto dove ogni sua paura diventava vivida.
"O-ora possiamo fermarci... Nick, Flick, fermatevi, va bene così!" intimò loro, che la assecondarono.
La piratessa passò le mani sulla sua camicetta beige sotto la cappa lunga, come a volersi scrollare di dosso la pesantezza accumulata su di lei. Si trovavano su un sentiero in discesa poco lontano dal locale, davanti a una staccionata mezza marcia in legno. Gli alberi e l'erba dello spiazzo più selvatico alle loro spalle ravvivavano il paesaggio col loro verde tenue. Il cielo era limpido e azzurro, come sempre da quelle parti.
"Lavy, quella reazione di prima... e l'altra volta, quando hai mozzato la testa a quell'uomo... insomma, ci spieghi cosa succede? Cos'è che ti fa così male?" Il tono di Nick era spezzato. Lo feriva nel profondo, vederla in quello stato, dominata dalle tenebre. Riusciva a sentirlo, il suo dolore, e faceva male anche a lui.
"Non sei costretta a parlarcene, vogliamo solo aiutarti in qualche modo." gli fece eco Flicker, scuro in volto. "Vogliamo che tu stia bene."
E non credo che uccidere Boyd Lafonte cancellerebbe tutta quella rabbia, si trattenne dall'aggiungere. Non poteva ancora permettersi di dare sentenze del genere, di giudicare. Non sapeva nemmeno cos'era successo tra quei due, anche se adesso iniziava a immaginarlo. Per odiare così tanto un uomo, le cose che poteva aver fatto erano uccidere un suo caro, oppure averle provocato un dolore atroce in prima persona. E Flicker pensava di aver intuito di quale tipo di dolore si trattasse.
Lavy si appoggiò di schiena alla staccionata, lo sguardo fisso a terra. I due compagni, i suoi primi veri compagni da quando era a Nassau, si trovavano ai suoi lati, come a proteggerla dentro un guscio saldo e forte. Forse, era solo una suggestione, poteva provare ad aprirsi un po'. Poteva tirar fuori qualcosa, dare concretezza alle sue fobie. Conferire loro un suono da riconoscere. Renderle più reali, in modo da poterle affrontare.
Con loro due magari, poco a poco, poteva esserne in grado. Ma doveva almeno compiere il primo passo, e quello era necessario che lo facesse da sola, trovando il coraggio dentro di lei.
"Lui... Boyd Lafonte mi ha..." Si morse un labbro, mentre i respiri più forti le allargavano le piccole narici, per la loro intensità. "Mi ha..." La voce le morì quasi in gola, frantumandosi come vetro sulla roccia.
Né Flicker né Nick l'avevano mai vista tanto fragile. Ma dentro di loro, entrambi si sentivano privilegiati a essere autorizzati a guardarla così. Lei che era sempre distaccata, flemmatica, divisa dal mondo e dal prossimo da un invisibile muro di mattoni nel quale si era murata viva, e che finalmente iniziava a incrinarsi un po'.
Le diedero tutto il tempo che le serviva per esprimersi, senza forzarla. Era una sua scelta se continuare oppure no. Se parlare o decidere che non ne era in grado. Non ancora.
Ma Lavy era ormai certa che se non l'avesse fatto in quel momento, in futuro l'avrebbe rimpianto. Forse non sarebbe più riuscita a trovare quel coraggio di cui aveva bisogno. Le guance rosse e gli occhi lucidi, aprì ancora bocca, tremando ogni secondo di più.
"M-mi ha... Mi ha violentata..." riuscì a bisbigliare appena. E subito scoppiò in lacrime, gli argini ormai distrutti. Il suo era un pianto silenzioso, ma liberatorio. Pieno di ogni cosa. Dolore, rabbia, tristezza, sollievo. Speranza. "Mi ha violentata insieme a tutta la sua ciurma! Mi hanno rubato tutto, mi hanno rubato me stessa!" aggiunse, in un singhiozzo smorzato. Rabbioso, anche.
D'istinto, entrambi i suoi accompagnatori provarono ad abbracciarla, e lei, esitante, alla fine si abbandonò al tenue contatto con i due. Non riuscirono a dire nulla per consolarla. L'unica cosa che si sentivano in grado di fare in quel momento era far sì che si sfogasse, che si liberasse dal peso che aveva trattenuto dentro di sé per troppo.
"Io non ero così!" pianse la ragazza. Perché era questa, lei, in fondo. Una ragazza a cui avevano rubato l'identità, e che stava lottando per riconquistarla. Ma forse ci aveva provato da sola per abbastanza tempo.
Quella fu la prima volta che Lavy dava voce al suo dolore. E forse fu la prima volta che sentì di riaverla, una voce, da quando era nata Sabers.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top