Partenze
Credevo di avere tutto sotto controllo, ma non avevo fatto i conti con Ethan.
Dopo l'incontro in biblioteca ho faticato a recuperare un briciolo di lucidità e trascorso le ore successive a passeggiare in solitudine sotto la pioggia. Ho sempre avuto le idee molto chiare sul mio futuro, ripromettendomi di fare il massimo per realizzare le mie ambizioni, ma ho trascorso un giorno intero a chiedermi se questo accordo sia la cosa giusta. Ormai il danno è fatto, l'unica cosa che posso fare è gestire i prossimi giorni al meglio.
Sydney.
Ho creduto per un istante di aver capito male, ma dopo aver ricevuto per email i dettagli del mio biglietto aereo, ho perso ogni speranza. Un volo infinito per un posto sperduto e con più di dieci ore di fuso orario rispetto a Boston. È assurdo anche per una ribelle come me.
Scartabello i siti online e scopro che troverò il caldo, più precisamente i primi giorni estivi, almeno questo mi dà sollievo. La mia valigia è comunque l'insieme di più soluzioni che considerano anche climi piovosi e rigidi: Ethan è talmente imprevedibile che potrebbe farmi salire su un volo per l'Alaska.
Ma perché stiamo andando in Australia?
Mi crogiolo su questi pensieri mentre giro i corn flakes nella ciotola, aspettando che si ammorbidiscano. Mi sento un po' come loro adesso, tutta la mia durezza si sta appassendo all'idea di passare dei giorni dall'altro lato del mondo con un ragazzo che neanche conosco. E non è un ragazzo comune, ma una bestia indomita.
«Tutto bene?» domanda mamma preoccupata.
«Oh certo» balbetto senza alzare gli occhi dalla tazza.
«Cosa hai deciso alla fine?» mi chiede più curiosa.
«Ho accettato quella proposta» ammetto «partirò domani per Sydney.»
Un attimo dopo sento un botto clamoroso. La pentola con la ratatouille è caduta in terra, facendo allarmare tutti in casa. Mio fratello arriva di corsa, ma tira un sospiro di sollievo vedendo mia madre sana e salva.
«Che è successo?» chiede dubbioso.
«Tua sorella va a Sydney.»
In tutta risposta lui scoppia a ridere. «E allora?»
Io li osservo in silenzio.
«Santo cielo, Elliott, è lontanissimo» urla irritata.
«Ma lasciala vivere» commenta «vai sola?»
«No» dico titubante «sono con un amico.»
Il suo ghigno divertito mi fa capire che ha frainteso la situazione.
«Aspetta» dico nervosa.
«Ti sei fidanzata?» domanda mamma con occhi luminosi.
«State fraintendendo» spiego «devo aiutarlo a fare una cosa di lavoro.»
«Aspetta, aspetta» sussurra Elliott avvicinandosi a me «non dirmi che vai con il giovane Stevens»
Lo fisso sconvolta, ma subito dopo curiosa. Elliott è un ragazzo intelligente, ma questo spiccato intuito mi colpisce.
«Tu che ne sai?»
«Sorella hai puntato in alto.» dice divertito.
«Spiegate anche a me?» dice mamma ancor più curiosa.
«Amanda frequenta il figlio dell'uomo più ricco di Boston» dice sicuro «ha una testata giornalistica, oltre che titoli bancari sparsi in giro per il mondo e uno yacht attraccato in Italia, credo a Capri» commenta.
Resto sbalordita. Non ne avevo idea. «E te che ne sai?»
«Lo sanno tutti» dice allegro «Stava al nostro college, le voci girano. Ma te eri troppo presa a studiare» conclude dandomi una pacca comprensiva sulla spalla.
Non lo sopporto. «Sai anche perché deve andare in Australia?» chiedo riluttante.
«Amanda vai laggiù senza saperne il motivo?» dice mamma sconvolta «almeno sei al sicuro?»
Mio fratello si siede accanto a me e ridacchiando mi sfila la tazza da sotto il naso.
«John Stevens apre un'azienda proprio lì» dice sicuro «suppongo che ci sarà l'inaugurazione. Ma anche questo è di dominio pubblico, è uscito un articolo qualche giorno fa anche sul tuo amato Daily» aggiunge.
Mi innervosisco pensando che mi sono persa questa notizia. Tutta colpa della confusione che Ethan mi ha messo addosso. Non ho valutato l'idea di prendere informazioni, una cosa che un qualsiasi giornalista farebbe.
«E dunque?»
«Dunque l'azienda è la Stevens & co., si tratta di una casa editrice più precisamente, e so che il figlio sarà amministratore delegato»
Spalanco la bocca sconvolta. Santo cielo sto per andare in un posto lontano con un finto fidanzato milionario. Quel filo di lucidità che ancora preservavo gelosamente, si disintegra all'istante.
«Amanda devi mettere i tuoi vestiti migliori in valigia» dice mamma felicissima.
Non riesco a ricordare l'ultima volta che l'ho vista così gioiosa.
«Mamma non c'è niente fra noi. E comunque non intendo assecondare quegli ambienti così finti.»
«Se ti accompagni a Ethan Stevens, devi accettare anche questo» commenta Elliott «complimenti Amanda, non ti facevo così calcolatrice.»
Gli faccio una linguaccia e scatto dalla sedia, diretta in camera mia. Dopo aver sbattuto la porta a dovere, riguardo la mia valigia. Nonostante tutto, sono costretta a metterci dentro un abito elegante.
Arrivo in aeroporto in perfetto orario. È pomeriggio e la partenza è prevista per le 18:30 circa. C'è molta confusione al gate dei voli internazionali e mi sento frastornata dal momento che non ho mai fatto un viaggio così lungo. Intercetto con gli occhi Ethan che, assolutamente a suo agio, sta leggendo qualcosa dal cellulare. Non sembra preoccuparsi della confusione, ma soprattutto non mi cerca chiedendosi se tarderò, sa per certo che mi presenterò all'appuntamento e per un momento sono tentata di far crollare tutte le sue certezze tornando a casa.
Un attimo dopo arrivo davanti a lui. «Ciao» dico stranamente timida.
Ethan alza i suoi occhi turchesi su di me. Mi osserva per un po' senza dirmi niente.
«Potresti almeno salutarmi» dico indispettita «sto per andare in un posto sperduto nell'oceano, non so neanche per quanti giorni, almeno dimmi che parleremo civilmente» aggiungo abbassando la maschera e gesticolando animatamente.
In tutta risposta Ethan mi fa un ghigno spaventosamente algido.
«Ansia di volare?» domanda divertito.
«Se fosse?»
Lui fa spallucce, poi si avvia costringendomi a seguirlo in silenzio.
«Non credo che avrai problemi ad ambientarti in quel posto sperduto» commenta annoiato «sembri già una down under.»
Non so bene a cosa fa riferimento, ma decido di lasciar correre.
Consegniamo le valigie e facciamo tutti i controlli previsti, prima di salire su un aereo che è un transatlantico. I posti sono particolarmente comodi e ci forniscono perfino una piccola sacchetta con un kit da viaggio in vista delle tante ore di volo.
«Ci vai spesso?» chiedo curiosa mentre maneggio i tappi per le orecchie.
«Quando posso» commenta guardando nell'oblò.
«Sei australiano?» proseguo.
«No.»
«Hai parenti allora? » insisto.
Ethan si volta verso di me. «Non ti riguarda.»
Lo guardo irritata, ma ancora una volta rinuncio. L'ultima cosa che voglio è litigare e so che abbiamo stretto degli accordi che non prevedono del contatto umano.
«Ho visto che tuo padre apre una casa editrice» commento fingendo di aver letto io la notizia elargita da mio fratello «immagino che andiamo a Sydney per questo.»
«Come sei perspicace» risponde improvvisamente nervoso.
Approfitto di questa sorta di apertura al dialogo per chiedergli l'unica cosa che ancora fatico a capire in tutta questa storia.
«Perché ti serve una fidanzata?» domando diretta.
Lo sto mettendo a dura prova, lo capisco da come sbuffa. Ha una personalità così altalenante che oscilla dalla fredda indifferenza alla rabbia. Due facce così diverse, entrambe però così negative e oppositive. Suppongo non abbia amici, come potrebbe averne?
«Mio padre ama le apparenze» ammette irritato «gli faccio credere ciò che vorrebbe fosse vero» conclude ostentando indifferenza.
Mi sorprendo. Per la prima volta ho ottenuto una risposta che seppur stringata mi lascia intendere molte cose. Forse non corre buon sangue, forse non sono i classici padre-figlio. Eppure Ethan sta per diventare amministratore delegato di un'azienda. Vorrei poterglielo chiedere, ma mi lascio condizionare dai suoi occhi profondi e cupi. Mi mordo la lingua e rimando la questione ad un altro momento.
Poco dopo, l'aereo decolla e io faccio un grosso sospiro.
Odio volare. Odio non poter gestire qualcosa e dovermi fidare, in questo caso del pilota, senza poter controllare la situazione in prima persona. L'idea che sarà così per alcune ore mi tormenta.
Stringo il sedile, senza accorgermene.
«Hai paura?»
Mi giro e lo osservo. Nei suoi occhi c'è.. un velo di preoccupazione.
«No.»
«Porter ti si legge in faccia» aggiunge con un divertimento che mi irrita.
«Forse un po'» ammetto.
Ethan si alza e prende qualcosa dallo zaino che ha nella cappelliera. Poi si mette di nuovo seduto e mi allunga una piccola pasticca tonda.
«Scherzi?» dico sconvolta.
«No. È un calmante» risponde algido.
«E tu credi che accetterò una pasticca.. da te? chissà cosa mi rifili.»
Ethan ride algido. «Dovrai compiere un atto di fede allora» sostiene fissandomi.
Scuoto la testa. Mi sto fidando di satana e lo sto facendo anche troppo. Perdere quel briciolo di autocontrollo che mi resta, prendendo un calmante, è l'ultima cosa che farò. Declino l'offerta mentre lui fa spallucce e mi ignora.
Trascorriamo così il volo più lungo e devastante della mia vita: Ethan che dorme o legge, mentre io sto con gli occhi spalancati, fingendo di stare bene. Non una parola, non un commento, neppure una provocazione.
Silenzio.
Un dannato e assordante silenzio.
Crollo per il sonno solo quando manca poco all'atterraggio.
Ritrovare il controllo della situazione è la cosa che mi da più soddisfazione, nonostante l'effetto del fuso orario già si faccia sentire, cammino allegra e soprattutto curiosa. Sono arrivata in Australia senza un preciso interesse, ma sono curiosa di scoprirla.
«Dove andiamo?» chiedo contenta.
«C'è un amico, ci pensa lui» commenta annoiato.
Ethan Stevens riesce ad avere amici? Questa rivelazione mi sconvolge.
Camminiamo finché non vedo in lontananza una mano alzarsi facendoci segnali. Appartiene ad un ragazzo che avrà più o meno la nostra età: alto, muscoloso, capelli biondi e ricci che spuntano da sotto un berretto messo di traverso. La sua camicia aperta e i pantaloncini corti con sotto un paio di sandali mi mettono stranamente a mio agio. Ma questa serenità si stempera in un attimo, quando Ethan mi afferra la mano.
«Segui il copione» sussurra a bassa voce.
«Copione? Non abbiamo deciso nulla» dico irritata mentre percepisco il calore della sua mano che si irradia lungo il mio corpo.
«Bentornato Eth» esclama il ragazzo «come è andato il viaggio? Santo cielo sei dimagrito amico.»
Lo fisso confusa. Ma come parla?
«Ciao Dante» risponde lui più caloroso del solito «come va qui?»
Ethan che si interessa per qualcosa o qualcuno è ancora più sconvolgente. Dante allunga lo sguardo oltre l'amico e mi guarda con curiosità.
«Tu devi essere la sua ragazza» esclama allegro, mi afferra la mano e la stringe contento «sono Dante» aggiunge
«Ciao, sono Amanda.»
«Non ci hai presentati mate.»
Ethan fa spallucce, mentre Dante lo guarda di traverso.
Un attimo dopo proseguiamo verso la macchina con Dante che allunga il passo lasciandoci indietro. Vorrei approfittarne per chiarire la nostra finta relazione, ma è difficile soprattutto perché continuo a fissare le nostre mani agganciate. Saliamo su un fuori strada e Dante parte in direzione di casa sua. A quanto pare, stranamente, alloggeremo da lui nei prossimi giorni.
«Allora da quanto state insieme? »
«Cinque mesi» dico io ricordandomi della discussione con Kathy.
Ethan si indurisce. Inizio quasi ad anticipare le sue reazioni, so che non vuole parlare della sua relazione con lei, ma è la prima idea che mi è balenata per la testa.
Dante annuisce. «Dove vi siete conosciuti? »
«Una festa.»
«All'università.»
Le nostre risposte si scontrano, proprio come c'era da aspettarsi. Mi pento per non aver insistito nel chiarire la nostra finta relazione. Dante mi fissa dallo specchietto.
«Una festa organizzata al campus» rido frivola «Ethan era così misterioso ma con una birra si è sciolto.»
«Oh mate » ridacchia «sei sempre lo stesso, eppure qualcuna è riuscita a conquistarti» commenta poi più serio senza togliere i suoi occhi da me.
Ethan finge una risata, mentre mi stringe la mano con prepotenza. Capisco che la mia iniziativa l'ha infastidito.
«Lei è così» dice più freddo «si attacca addosso e non la togli più di torno» aggiunge «come quegli insetti piccoli e fastidiosi, come una zecca.»
Lo fisso sconvolta, ma non gliela lascio passare.
«Le zecche si attaccano alle bestie» dico seria.
Ethan fa un ghigno divertito.
«Devo dirtelo, mate, non potevi trovarla meglio di così» dice Dante convinto.
Ethan mi fissa, dichiarandomi ufficialmente guerra con i suoi occhi inaccessibili.
Impieghiamo almeno un'ora per raggiungere l'appartamento dove alloggeremo, ma io mi dedico a osservare i paesaggi oltre il finestrino: la natura è protagonista, così selvaggia e libera, il vero macrocosmo che gli australiani rispettano vivendoci e seguendo delle regole sane. Questo aspetto mi piace molto. Anche in America teniamo all'ambiente sebbene il consumismo e la logica delle grandi metropoli sia ormai dilagante sul nostro territorio. Ho partecipato spesso alle campagne contro lo spreco alimentare o l'inquinamento ambientale, ma questo pianeta non sembra disposto ad adeguarsi ai cambiamenti climatici.
Il grattacielo dove abita Dante si trova nel centro cittadino. Sydney non è così grande come credevo, ma vedere l'Opera House in lontananza e l'attracco dei traghetti mi incuriosisce molto. L'appartamento non è grande ma ci sono delle belle finestre che rendono molto luminosi gli spazi e un bell'open space con la cucina e un tavolo dalle tinte chiare amplifica l'idea di una spaziosità che altrimenti mancherebbe.
Ben presto ho la conferma di ciò che mi aspettavo. Io e Ethan abbiamo una stanza in comune, come si addice ad una coppia purtroppo. Sono costretta a fingermi contenta del piccolo ambiente e del letto matrimoniale che dovremo condividere, ma sono anche così stanca da non avere la forza di commentare questo nefasto momento.
«Devo uscire, ho alcune cose da sbrigare» mi dice Ethan una volta rimasti soli.
«Mi cambio e vengo» rispondo assonnata.
«Non serve, vado da solo» mi risponde brusco «ci vediamo più tardi.»
Esce dalla stanza senza dire altro, lasciandomi sola in una casa che non conosco, in una città che a malapena saprei collocare su una carta geografica e con un ragazzo di cui ricordo solo il nome. Ma non mi sono mai fatta condizionare dalle difficoltà e prima di qualsiasi altra cosa scelgo l'unica che abbia un senso. Mi lancio sul letto e crollo per la stanchezza.
I primi giorni a Sydney sono estremamente monotoni. Mi trovo spesso a passeggiare in solitudine per la città, che scopro essere molto carina. Visito i musei, faccio un giro per negozi e mi fermo sulle banchine dell'Harbour Bridge a osservare il via vai della gente diretta al lavoro nella City. Gli australiani sono un popolo socievole, mi chiedono se ho bisogno di aiuto quando mi vedono intenta a studiare la piantina, o parlano disinvolti con me mentre bevo il cappuccino in qualche caffetteria. Lo slang è molto diverso da quello americano, ma dopo un impatto decisamente destabilizzante, lo considero molto caratteristico.
Sebbene il mio tempo sia spesso in solitaria, approfondisco la mia conoscenza con Dante. È un ragazzo che si conferma estroverso e solare, l'esatto contrario di Ethan che però è un suo amico. La parola "mate" è forse quella che Dante utilizza di più.
Ethan è un mate.
Il vicino di casa è un mate.
Perfino io sono una mate.
Immagino sia il suo modo di esprimere empatia e ammetto che funziona.
Scopro solo dopo alcuni giorni che all'ultimo piano del grattacielo ci sono una grande palestra e una piscina a uso dei condomini oltre che un bellissimo barbecue, per cui mi riservo del tempo per fare un tuffo visto il caldo che fa.
«Ehi ragazza americana» mi dice Dante sbucando all'improvviso «come va? »
Sorrido, mentre mi crogiolo in acqua. «Tutto bene grazie» rispondo sincera «sei molto disponibile e ti ringrazio per averci ospitati.»
Dante sembra contento del mio complimento. «É il minimo per Ethan» risponde sorridendo.
«Da quanto lo conosci? » chiedo curiosa.
Se Ethan non mi dice nulla, non significa che Dante non possa darmi informazioni su di lui e onestamente inizio ad essere stanca dei suoi silenzi.
«Da quando siamo piccoli» mi dice sedendosi su una sdraia vicino a me «per un periodo ha vissuto qui con la sua famiglia» mi spiega pensieroso «poi sono partiti all'improvviso in realtà, ma non ci siamo persi di vista»
Rifletto su questa informazione, che cercherò di approfondire. Il mio spirito investigativo alle volte sembra prendere il sopravvento su tutto.
«Non si direbbe che Ethan possa avere degli amici» dico di getto e mi pento perché io dovrei essere la sua ragazza.
Dante ridacchia. «Era più socievole un tempo» racconta «il trasferimento a Boston l'ha cambiato, ci sono cose che non condivide con nessuno. A quanto pare nemmeno con te» dice improvvisamente più serio.
Annuisco, non sapendo bene cosa dire.
Dante si alza e si siede sul bordo piscina mettendo le gambe in acqua. «Andiamo Amanda, ho capito come stanno le cose» dice d'un tratto più serio «se fossi davvero la sua ragazza non ti lascerebbe ogni giorno da sola."
Arrossisco, consapevole di essere stata smascherata. «Tu dici?»
«Dico che se fossi la sua donna, lui starebbe sempre con te» spiega «è un uomo molto leale e credo che di amore ne abbia ben poco intorno a sé» ammette «se ci fosse, non lo lascerebbe così facilmente.»
Non mi aspetto quel commento. Intuisco che la vita di Ethan sia sempre molto calcolata e priva di affetti, ma mi aspettavo che fosse una sua scelta.
«E poi non ha mai portato una ragazza qui» conclude deciso.
«Non potrei essere la prima?»
Dante ride. «Non sei male. Anzi forse potresti anche piacergli, chissà. Ma è evidente che non sei la sua donna.»
Non so se considerarlo un complimento o meno. Insomma anche se non mi interessa Ethan, ammetto che è sempre bello sentirsi dire di poter far colpo su qualcuno e lui è decisamente un ragazzo fuori dal comune. Mi rassegno all'evidenza ed esco dall'acqua per prendere posto accanto a Dante.
«Non so perché mi ha chiesto di essere la sua fidanzata, ma non lo dirai vero?»
«Sono leale almeno quanto lui» risponde onesto «puoi stare tranquilla»
Sorrido.
«Sei un bravo ragazzo» dico sorridendogli.
«Se non fosse per questo ruolo che interpreti, potrei provarci con te, mate.»
Scoppio a ridere. Alla fine un complimento è arrivato e non mi dispiace per niente, facendo crescere un po' della mia autostima.
Sento un rumore alle mie spalle e salto sul posto per l'inaspettato arrivo di Ethan. Non ci siamo più visti, se non per pochi istanti, e ora, per la prima volta, lo vedo in condizioni totalmente diverse dal solito. Ethan indossa una T-shirt nera aderente al corpo con sopra una camicia aperta, un po' come il suo amico Dante; al posto dei jeans o dei pantaloni eleganti, porta un pantaloncino un po' ampio con delle tasche laterali. Se non fosse per i suoi riccioli corvini e per i suoi modi freddi e sostenuti, faticherei quasi a riconoscerlo.
«Ehi mate » dice Dante contento «ti unisci a noi?»
Ethan gli sorride, facendomi rimbalzare il cuore nel petto. È la prima volta che vedo il suo ghigno trasformarsi in un'espressione di gioia, sincera e senza filtri. Capisco allora che è davvero legato a lui e forse ha tolto in parte la sua maschera, quella che a detta di Dante ha messo dopo essere andato a Boston.
Un attimo dopo rivolge i suoi occhi a me, mi scruta a fondo, indugiando sul mio corpo, ora più esposto, e mostrandomi uno strano divertimento attraverso i suoi occhi.
«Perché no» commenta slacciandosi i pantaloni.
Scopro che non porta il costume, ma semplicemente un paio di boxer, il che mi fa rabbrividire e mi vergogno di questa sciocca reazione. Sfila la maglietta, mostrando una muscolatura non troppo accentuata, ma piuttosto regale.
Si avvicina al bordo piscina e solo allora noto il tatuaggio che porta sul petto. Un cuore, proprio in corrispondenza di quello vero. E non è un disegno stilizzato, ma un vero e proprio organo, definito dettagliatamente, reso elegante da un effetto acquarellato che lo rende più delicato di quanto altrimenti sarebbe stato.
Lo fisso curiosa e noto che su un lato del cuore, c'è uno strappo, come se fosse reciso.
Un cuore spezzato.
Resto stupita da quel tatuaggio, dal posto che Ethan ha scelto per imprimerlo sulla propria carne e anche se potrebbe esserci un'unica possibile spiegazione, in realtà mi sembra troppo riduttiva per lui. Un cuore spezzato ha conosciuto l'amore e l'ha perso. Ma di che amore si tratta? Sentimento, passione.. una donna? O forse c'è altro che nasconde dietro quelle tenebre che ho sempre percepito guardandolo.
Improvvisamente Ethan cessa di essere solo il bullo che per anni ho avuto davanti agli occhi, e scopro di voler sapere di più, di volerlo conoscere per ciò che realmente è. Tutto questo non può che spaventarmi, soprattutto quando vedo che Ethan mi sta fissando. Nei suoi occhi c'è la consapevolezza di avermi catturata nella sua trappola, sa che ha il controllo su di me, forse l'ha sempre saputo e io mi sento stranamente come una farfalla intrappolata nella ragnatela del suo aggressore, destinata a essere fatta a pezzi.
«Dai mate entra in acqua.»
Dante mi riporta sulla terra e prende Ethan per un braccio buttandolo in acqua. Noto che fra i due inizia uno scambio di pacche fra amici, si perdono confabulando fra loro, mentre io li osservo silenziosamente.
Anche ora il mio istinto giornalistico mi spingerebbe a voler scoprire ancora e ancora, ma lo tengo a freno e decido di farmi avanti avvicinandomi a loro.
«Posso? » dico «mi state ignorando.»
«Hai ragione» commenta Dante «vuoi fare un salto sirenetta? »
Lo guardo confusa. Ma non mi lascia tempo, mi avvicina e mi prende in spalla senza troppa fatica prima di lanciarmi con forza in acqua. Scopro che la cosa mi diverte parecchio e finisco a giocare con Dante, lanciandoci acqua o spingendoci a vicenda sotto. Un vero combattimento anche se ne esco immancabilmente sconfitta.
«Eth sicuro che non posso provarci con lei? »
Capisco allora che Dante aveva già parlato con lui, prima che con me.
Ethan fa spallucce. «Te lo sconsiglio. Si attacca come le zecche e poi ancora per un po' deve essere la mia fidanzata.»
Sbuffo, irritata da quella offesa gratuita.
«Le zecche succhiano il sangue» commenta stupidamente Dante.
Lo guardo di traverso, facendolo ridere.
«Piuttosto perché non provi a divertiti anche te? » dico ostinata a Ethan.
«Lo sto già facendo» dice mellifluo.
«Non si direbbe» aggiungo stizzita.
Lui mi ignora e un attimo dopo esce dall'acqua, mostrandomi il suo corpo dannatamente bello e pericolosamente in vista. Mi costringo a voltarmi, mentre Dante ride alle mie spalle. Ha il potere di intuire cosa passa nella mia testa.
«Non male eh» commenta Dante
«Finiscila.. mate» ribatto con stizza
Alla fine passo un pomeriggio diverso dal solito, che si conclude con uno strepitoso barbecue a cui partecipano anche altri amici di Dante. Mi diverto e simpatizzo anche con un po' di persone, mentre Ethan se ne sta tendenzialmente per fatti suoi, eccezion fatta per una fitta chiacchierata con una ragazza che apparentemente mi ricorda Kathy. Evidentemente attira solo ragazze bellissime. Penso a me, ai miei vestiti dozzinali e i capelli raccolti in uno chignon maldestro e capisco perché mi ha chiesto di essere la sua fidanzata.
Rientro in camera che è notte inoltrata e mi stupisco trovandolo lì, sul mio letto e in tenuta per la notte.
«È il mio posto» dico di getto.
Ethan mi osserva un istante, prima di ignorarmi del tutto. «C'è un divano in sala.»
Spalanco la bocca e se per un momento penso di lasciar perdere, alla fine decido di far valere la ragazza combattiva che c'è in me. Non intendo soprassedere e sono stufa delle sue provocazioni prive di senso.
Vado in bagno, mi lavo e indosso la mia camicia da notte. Mi guardo allo specchio, pensando all'imbarazzo che proverò, perché anche se sono una ribelle e non ho particolare vergogna del mio corpo, ho comunque a cuore la mia privacy e considero quello che sto per fare come un gesto di grande intimità. Ma non gliela darò vinta.
Esco dal bagno e apro il lenzuolo per entrare nel letto.
Ethan mi rivolge uno sguardo sconcertato. L'ho mandato in confusione, ci sono riuscita.
«Beh? »
«Non ho problemi a dividere un letto con un uomo» dico fingendomi sicura «se ti infastidisce puoi sempre andare te sul divano»
Lo dico e con fare ostinato entro nel letto e poggio la testa sul cuscino.
Ethan non parla. Resta in assoluto silenzio, ma non distoglie gli occhi da me.
Colpito e affondato.
E anche se mi vergogno per quello che sta succedendo e mi rammarico per non avere un pigiama più bello di una camicia da notte sgualcita e larga, sono felice di averlo lasciato per una volta senza parole. La sua maschera è caduta.
Solo dopo qualche minuto spegne la luce sbuffando e poggia la testa sul cuscino.
Lo sento sospirare nervoso, al contrario di me che continuo a fingere anche se ho il cuore in gola per le emozioni che sto vivendo.
«Domani sera verrai a cena con me» mi dice monocorde.
«Dove? »
«A casa mia» commenta secco.
«Ci sarà la tua famiglia? »
«Ci saranno tutti.»
Non parliamo più. Io resto con la mia adrenalina, mentre lui, lui sembra un fantasma, lontano e nascosto fra le sue tenebre.
I genitori di Ethan vivono fuori città, in una villa che ricorda molto quelle americane, con un vialetto circondato da arbusti in fiore e un patio esterno accogliente e che sa di famiglia.
Le apparenze, come mi aveva detto lui, sono importanti per loro. La villa è di grandi proporzioni, solo dall'esterno intuisco che deve avere almeno 4/5 camere da letto e sicuramente sul retro si estende con un ampio giardino.
È da qualche ora che Ethan è nervoso, ancora meno socievole del solito, tanto che neanche quando tento di provocarlo ottengo una delle sue algide risposte.
Abbiamo pattuito alcune regole per evitare di cadere in errore con la sua famiglia. È confermata la nostra relazione di cinque mesi, ci siamo conosciuti in aula e abbiamo lo stesso interesse per il giornalismo. Ethan mi ha detto la sua data di nascita, i suoi interessi sportivi e di mitologia classica (ecco di cosa parlano i suoi libri) nonché il suo legame con gli animali e la passione per la vela. Per il resto mi ha precisato che dovrò arrangiarmi. Non conosco quindi i suoi difetti, se non quelli che ho provato direttamente, ma soprattutto i suoi pregi, e spero di non trovarmi in situazioni scomode.
Ho scelto un look edulcorato per l'occasione: una camicetta bianca con un traforo in pizzo San Gallo e un pantalone morbido nero, che lascia scoperte solo in parte le caviglie. Un semplice sandalo con la zeppa completa la mise che Ethan non commenta per cui suppongo di aver preso le scelte giuste.
Mi sorprende vedere che, arrivati a destinazione, Ethan non apre la porta di casa come farebbe un qualsiasi figlio che rientra dal campus, ma bussa, come se fosse un ospite.
Poco dopo ci apre una signora minuta con i capelli raccolti in uno chignon perfetto, piuttosto grande di età.
«Benvenuto signor Stevens» dice seria «è un piacere ritrovarla» aggiunge poi con un tono zuccherino.
«Grazie Nora» risponde Ethan con un sorriso sincero.
Entriamo in casa e ho la conferma di trovarmi nella villa di una famiglia decisamente ricca. Parquet e marmo spiccano in tutti gli ambienti, mobili di antiquariato si alternano ad altri di design e c'è un salone doppio che è grande almeno quanto casa mia. Ethan non sembra farci caso, forse abituato a quel lusso, nel quale però inizio a non vederlo poi così allineato come credevo.
Non devo attendere molto prima di vedere arrivare una signora verso di noi con un sorriso dolce e affettato.
Ethan mi prende la mano con noncuranza, come mi sarei aspettata.
«Ciao Ethan, tuo padre arriva a momenti, sedetevi intanto» il suo tono è equilibrato, quasi finto ma gli occhi sono gentili e sinceri.
Ethan riesce a essere gelido anche con sua madre. E anche questo non mi sorprende.
«Tu devi essere Amanda, sono Rebecca» mi dice gioviale.
«Molto piacere» le stringo la mano educatamente.
Prendiamo posto in salotto e scambiamo qualche convenevole, mentre la signora Nora ci offre dell'acqua rinfrescante con il lime.
La quiete si interrompe quando sento un'ondata di carisma arrivare alle mie spalle.
«Ecco la ragazza del momento.»
Mi volto e vedo finalmente John Stevens. Ammetto di essere emozionata e di aver immaginato talmente tante volte il mio incontro con lui che non so bene come comportarmi.
A ridestarmi è una stretta di mano più forte. Ethan me la sta letteralmente stritolando e dubito che se ne sia reso conto.
«È un piacere conoscerla signore.»
«Chiamami John» dice brioso.
È proprio come lo immaginavo, emana autostima, arroganza e intelligenza. È l'incarnazione vivente del sogno americano. Così diverso da Ethan che neanche gli somiglia fisicamente. John è alto e robusto, i capelli cortissimi sono biondi e le sopracciglia sottili ma definite. Gli occhi sono scuri e non troppo grandi. A prevalere sul suo volto grande sono il naso importante e la bocca carnosa da cui escono una moltitudine di parole.
Al silenzio di Ethan, corrisponde la loquacità del padre.
«Allora Amanda devi dircelo» dice sedendosi comodamente sul divano e iniziando a roteare i cubetti di ghiaccio nel suo bicchiere con disinvoltura «come hai fatto a metterti con lui?»
La durezza ma anche la lucidità con cui lo dice per un istante mi raggelano. Vuole essere simpatico canzonando il figlio?
«Non è necessario» commenta mellifluo Ethan.
Riconosco ancora i suoi modi di Boston. Non c'è disagio per quella provocazione, ma indifferenza.
«Eccome. Qui siamo tutti curiosi» afferma sicuro guardando sua moglie.
Rebecca invece di mettere una buona parola con il figlio, annuisce timida. In un istante comprendo la dinamica famigliare. John è il padrone di casa, l'uomo da assecondare che porta sempre e comunque i pantaloni. La moglie non ha voce in capitolo e accetta il suo ruolo probabilmente di facciata per mantenere quell'idea di famiglia che spesso John Stevens ha ostentato in pubblico, almeno a detta di mio fratello. In quanto a Ethan... beh lui resta il mio mistero..
«Ho imparato a conoscerlo» dico cercando di immaginare cosa vorrebbe sentirsi dire John «è un ragazzo così educato e poi è molto ambizioso.»
John sembra interessarsi alla mia risposta. Forse sto centrando la questione, ho capito che le apparenze contano e John ama essere venerato da chi ha intorno.
«Ora che vedo la vostra casa e questa famiglia non posso che averne conferma" concludo con finta ammirazione.
Non che non ne abbia, ma non sono il tipo di persona che venera qualcuno per così poco, soprattutto se mi sento costretta a farlo. Ma l'accordo con Ethan prevede questo in un certo senso e glielo devo.
«Bene» mi dice con una certa sorpresa «Ma ecco il componente numero uno" esclama fiero guardando oltre le nostre spalle.
Mi giro e vedo arrivare un ragazzo più grande di noi. Molto simile a John per bellezza e movenze, tanto da sembrare il suo alter ego se non fosse per le leggere lentiggini che spiccano e che evidentemente derivano dalla carnagione materna.
«Bentornato figliolo» esclama John contento.
«Papà, mamma...» risponde fiero poi guarda Ethan con occhi che non riesco a definire «fratello.»
Ethan non si scompone e fa un gesto flemmatico nella sua direzione, mentre lui si rivolge a me facendomi da baciamano.. una cosa rivoltante oltre che molto antiquata.
«Amanda» dice affabile «sono George, molto piacere.»
Sembra voler flirtare con me, ma mi dico che è impossibile. Ad ogni modo sorrido solo brevemente, rinsaldando la presa sulla mano di Ethan in modo che il fratello possa notarlo.
Poco dopo ci troviamo intorno al tavolo per cenare tutti insieme, come una vera famiglia. Non voglio farmi condizionare dalla prima impressione che ho avuto, anche perché so quanto è difficile relazionarsi con il carattere di Ethan e magari i suoi genitori ne soffrono, perciò mi predispongo al dialogo, ottenendo un discreto successo. Noto che George non fa che chiamarmi in causa e io non mi dimostro timida, risultando particolarmente efficace agli occhi del padre. Forse Ethan aveva calcolato anche questo, sa che sono una persona decisa e cercava qualcuno che fosse determinato anche davanti a una famiglia così carismatica.
«Ethan perché non ci hai portato prima questa dolce creatura?» domanda John curioso.
«Si fratello, te la sei tenuta in grande segreto solo per te» aggiunge George con un velo di malizia.
Ethan gli rivolge uno sguardo glaciale. Non corre buon sangue soprattutto con lui.
«Le cose rare non si condividono.. almeno quando è possibile» risponde freddo.
George ride aspro. «Sei sempre così dannatamente insolente» gli dice sottovoce in modo che gli altri non lo sentano, ma io sono troppo vicino per non percepire quelle parole e vedere con i miei occhi una forchetta conficcarsi nella gamba di Ethan.
Salto sulla sedia e rivolgo il mio sguardo altrove per evitare di reagire. Non riesco a tollerare una cosa del genere e mi sento rabbrividire.
Ethan resta in silenzio e finalmente capisco. Non era un bullo. O se lo è stato la ragione è molto profonda e appartiene a quella dinamica così violenta e triste che ho potuto constatare. Reazione, accettazione, paura. Potrebbero essere talmente tante le motivazioni, ma non posso ancora avere un quadro completo.
«Che intenzioni hai per il futuro Amanda? » domanda John riportandomi alla realtà.
Deglutisco a fatica e bevo un sorso di vino rosso per buttarmi di nuovo nella conversazione, cercando di dimenticare ciò che ho appena visto.
«Voglio diventare giornalista ovviamente» dico decisa consapevole che quello è il mio terreno e posso essere sincera «sto seguendo un corso di giornalismo investigativo e un laboratorio extra sull'argomento.»
«Ambiziosa» commenta John quasi ammaliato «e poi? »
«Con una collega vorremmo aprire una nostra testata giornalistica in futuro» spiego sicura «attualmente ho scritto un articolo e ne devo preparare un altro» concludo altrettanto seria.
Intuisco subito che John gradisce i miei modi decisi e la determinazione con cui parlo dei miei progetti lavorativi. Probabilmente sono il tipo di persona che lui ammira perché si riconosce in questo stile di vita e suppongo che abbia cresciuto i suoi figli con questa logica.
Ecco perché Ethan è così rigido e perché calcola sempre tutto. Non da ultimo ho la conferma che mi ha scelta proprio perché ricopro il ruolo alla perfezione.
«Complimenti Amanda» commenta John «apprezzo le persone intraprendenti. Senza la lungimiranza cosa saremmo altrimenti? » dice con convinzione.
Se non avesse intrapreso questa carriera, immagino che John sarebbe potuto essere un ottimo politico. Ha l'aria dell'arringatore e potrebbe convincere gli altri di qualunque cosa se solo lo volesse. Ethan ha il suo stesso potere ammaliatore.
«Peccato che hai una ragazza così sveglia» dice George rivolgendosi al fratello «mentre tu non sai che vuoi dalla vita» conclude sfidandolo.
Ethan tace, evidentemente non intenzionato a litigare.
«Dovresti prendere esempio da lei» aggiunge John «hai deciso cosa fare? »
Non so a cosa fanno riferimento e purtroppo mi pento di non avergli fatto altre domande, odio perdere il controllo della situazione che attualmente mi sta scivolando via dalle mani.
«Tranquillo sarai il primo a saperlo» risponde Ethan con noncuranza.
«Tu che ne pensi Amanda? » prosegue John ignorando il figlio «potrebbe lavorare con te al tuo giornale? Magari si decide a prendere sul serio il lavoro per cui studia.»
Fremo sulla sedia, mentre noto che ho tutti gli occhi puntati addosso. Siamo arrivati a un punto di non ritorno. La mia risposta dirà molto del nostro rapporto o del non rapporto che io e Ethan abbiamo. Ai loro occhi siamo fidanzati, significa che dovremo conoscerci bene, essere confidenti oltre che sentimentalmente complici. La domanda che John mi sta facendo include che io conosca alla perfezione le aspirazioni di Ethan, cosa assolutamente non vera.
Rifletto a lungo e penso che dovrei calcolare la risposta da dare, ma alla fine, inaspettatamente, mi sento solo indignata per il modo in cui lui e George trattano Ethan. Dovrebbe essere libero di fare ciò che desidera e mi domando se davvero vuole essere un giornalista. Non viene sempre a lezione e spesso è disinteressato in aula. E poi ci sono quei libri di mitologia. Cosa vuole Ethan per sé e quanto influisce il carisma di suo padre nella sua vita?
Alla fine scelgo di seguire solo il mio istinto, nel rispetto di come sono e di ciò in cui credo davvero.
«Credo che Ethan dovrebbe fare ciò che desidera davvero» dico decisa prendendogli la mano.
Percepisco il tremore della sua, ma la mantengo allacciata alla mia per evitare che sfugga.
«Penso che ognuno dovrebbe realizzare i propri sogni e Ethan deve seguire i suoi» concludo convinta.
George non sembra dello stesso avviso. «Bisogna vedere se ne è all'altezza» dice con il divertimento del bullo.
«Certo che lo è» continuo decisa «dovresti saperlo anche te dato che sei il fratello.»
George sembra quasi irritato da questa affermazione, come se lo avessi insultato. Mi sorprendo che Ethan continua a restare in silenzio, subisce la sua famiglia molto più di quanto mi sarei aspettata.
«Sei un'idealista Amanda» dice d'un tratto John «ma nella vita bisogna saper afferrare le occasioni, non solo sognarle» continua convinta «e ci vuole la spina dorsale per certe cose.»
Resto un momento in silenzio, riflettendo su queste parole che fatico a cogliere nel loro significato più profondo e forse non lo capirò mai.
«Non è un problema di questa famiglia» dico sorridendo.
John ride divertito, George mantiene i suoi occhi fissi su Ethan che invece guarda da tutt'altra parte, deciso a non proferire parola. Avrei dovuto intuire da quel gesto e dalla sua mano gelida che non avrebbe gradito le mie affermazioni, perché la punizione arriva molto presto.
Ci separiamo dalla famiglia di Ethan, accordando di vederci il giorno della inaugurazione della casa editrice, in occasione della quale è previsto un vero e proprio evento in villa. Saliamo in macchina e, per tutto il viaggio di ritorno, lui non mi parla, neanche quando provo a domandargli qualcosa, ma sento tutto il suo astio nei miei confronti.
La macchina si ferma sotto l'appartamento di Dante e Ethan resta immobile, tenendo il volante con una rabbia incredibile. Vedo le nocche delle sue mani sbiancare e i suoi occhi sono crateri profondi e bui.
«Forza» dico di getto «dimmi cosa ho sbagliato» insisto alzando la voce.
Ethan esplode come un temporale estivo, voltandosi verso di me e incendiandomi con lo sguardo.
«Ti avevo detto di attenerti al piano» dice con una freddezza che mi fa tremare «ma tu, Porter, devi sempre andare oltre» continua crudele.
«Cosa avrei dovuto fare? » dico ostinata «osservare mentre ti mettevano i piedi in testa?»
Lo dico e non me ne pento. Se voleva un bambolotto, allora non doveva chiamare me. Ethan mi afferra il mento con la sua mano, attirandomi a sé con prepotenza. Percepisco astio, rancore ma capisco che c'è molto di più in quello sguardo notturno, senza luce, né stelle. Ma sono certa che ci sono, da qualche parte devono esserci.
Il modo con cui mi stringe la mandibola mi fa quasi male.
«Che dolce Porter, credevi di dovermi proteggere.. » mi dice con un ghigno «devo darti una triste notizia allora. Non ho bisogno delle tue maldestre dichiarazioni, che suonano talmente false e bugiarde» prosegue con spocchia.
Non abbasso la testa neanche ora. «Dovresti semplicemente ringraziarmi Ethan» dico convinta.
Lui in tutta risposta ride. Una risata amara e avvelenata. «Sei una sciocca» dice lasciandomi il mento con disprezzo.
Mi sento le ossa del viso indolenzite, ma dentro di me una fiamma arde più viva perché non capisce che questi modi non mi allontanano, né mi offendono, ma mi invitano a insistere nelle mie convinzioni. E lui, questa sera, aveva bisogno di me.
Una volta a casa Ethan non dice altro e si chiude in bagno, al contrario di me che mi crogiolo sul divano anche se in silenzio. Dante si è già ritirato in camera e non ho compagnia, mi limito quindi a mandare un messaggio a casa sperando che lo possano leggere nonostante le ore di fuso orario, poi, sorprendendomi, scrivo anche a Kathy. Non so neanche perché mi ritrovo a farlo o forse perché in fin dei conti ho subìto il peso di questa cena molto più di quanto avrei voluto.
Mi passano per la testa le affermazioni di John, così rapaci e perentorie, i modi di George, melliflui e prepotenti, le assenze di Rebecca e infine la sottomissione di Ethan. Mai avrei creduto di vederlo indifeso e la mia non è compassione, solo tristezza, perché quelle tenebre che vedo, si annidano nella sua casa.
Scrivo a Kathy alla fine, dicendole che niente è come mi sarei mai aspettata e sento molta malinconia dentro di me.
Vado a letto con questa tristezza addosso, Ethan ha spento tutto e mi da le spalle mentre mi infilo sotto le coperte. So per certo che è sveglio perché anche se non parla è come se le sentissi tutte le cose che vorrebbe dirmi e davvero non volevo farlo stare peggio, avevo intenzioni molto diverse.
«Mi dispiace» sussurro alla fine quasi senza accorgermene.
Intuisco che ho la sua attenzione, quando si muove fra le coperte sbuffando.
«La verità è che ridirei le stesse cose» dico più decisa «e forse mi hai chiesto di venire proprio perché sapevi che io non mi sarei fatta condizionare da loro» ammetto «non ringraziarmi, non fa nulla. Ma non meriti quei comportamenti» aggiungo più pensierosa «nessuno li merita.»
La luce filtra attraverso la finestra e la camera non è del tutto al buio. Riesco a vedere Ethan che mi osserva in silenzio, più calmo o forse solo rassegnato per come sono andate le cose.
«Sei convinta che non le merito Porter?» sussurra piano.
Non mi lascio intimidire. «Certo che no. Devi fare quello che vuoi della tua vita e poi.. » tentenno.
«Poi? » chiede più curioso.
«Tuo fratello è disgustoso» dico senza vergogna.
Una smorfia si dipinge sul viso di Ethan che sembra improvvisamente divertito dalla mia ammissione così spontanea.
«Su una cosa siamo d'accordo allora» dice furbesco.
Sorrido anche io, sentendomi più serena. Ho subìto la serata e mi è dispiaciuto litigare con Ethan. È assurdo che senza neanche conoscerci, siamo riusciti direttamente a scontrarci, ma sono felice di aver mantenuto fede a me stessa, non sono disposta a cedere solo perché abbiamo fatto un accordo. Mi sento ancora osservata da lui e mi chiedo cosa pensa.
«Non provare mai compassione per me» dice aspro come se mi avesse letto nella mente.
«Non intendo farlo» rispondo sincera «tutto ciò che ho detto lo pensavo» aggiungo decisa «forse potremo provare a conoscerci non pensi? » chiedo possibilista.
Ethan sbuffa.
«Non è una buona idea Porter» dice quasi disturbato.
Ma io non credo sia così e forse, questa è la prima idea buona che abbiamo avuto in tutti questi giorni. Questo in fondo è il nostro primo sincero confronto e voglio essere diretta.
«Sei arrogante, un bastardo unico, ma siamo qui ora e forse dovremo concederci la possibilità di sapere qualcosa di più l'uno dell'altro, anche solo per far funzionare questa cosa» dico determinata.
Ethan riflette a lungo, penso abbia capito chi ha davanti.
«Immagino sia inutile controbattere» commenta «e onestamente vorrei dormire» aggiunge infastidito.
Chiudo gli occhi, sentendomi inspiegabilmente felice.
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