Capitolo 14 - Cosa succede in Vaticano? (R)
Roma – 6 giugno 2026
Kephas.
Schiusi le palpebre. Il suono fastidioso di un ecocardiografo dettava in maniera regolare le mie funzioni vitali, e trasmetteva a video un'ombra che si agitava fra macchie brillanti. Mi trovavo disteso su un letto dal materasso morbido, con una flebo attaccata al braccio sinistro e strisce di garza avvolte su gran parte del corpo. I colori dondolavano davanti agli occhi, mischiandosi, e sentivo un dolore dietro la testa.
All'improvviso ebbi un flashback: un'enorme quantità di fuoco si stava sprigionando dalla Volkswagen Polo, a seguito di un'esplosione. Il mio corpo si librava fuori dalla macchina, a causa di un tamponamento, e rimbalzava al suolo con un tonfo. Lo sguardo al cielo, il busto intorpidito. Fischi assordanti, scintille, grida soffocate, e ancora fuoco. Chiusi gli occhi e scossi la testa di lato come per fuggire da quello scenario, invano. La mia famiglia era disegnata in alto dalle nuvole, dopodiché di nuovo incubi, ancora passato, l'abisso in ricordi infelici.
Schiusi le palpebre. Sentivo prurito nella pelle e speravo di non assomigliare a una mummia cosparsa di scottature e avvolta da rotoli di garza. Mossi le dita delle mani, poi quelle dei piedi. La vista era un po' annebbiata. Sollevai il capo spingendo i gomiti sul materasso: mi trovavo all'interno di una stanza quadrata dalle pareti bianche. Vi erano macchinari ospedalieri, un armadio di metallo scuro, quadri con versi biblici o raffigurazioni di momenti della vita di Cristo, una porta bianca alla mia destra e una finestra spalancata, grande quanto la porta, alla mia sinistra.
A parte il suono fastidioso dell'ecocardiografo, non vi era nessun altro tipo di rumore. Il sole era appena sorto; raggi giallo zolfo scendevano obliqui da un cielo fresco e azzurro. Alcuni mazzetti di rose canine si affacciavano al davanzale della finestra. Di colpo trasalii. Ero rimasto tutta la notte lontano da Palazzo Montecitorio?
Scesi dal letto con solo un paio di boxer addosso e alzai lo sguardo sul tetto, individuando una telecamera sopra la porta della stanza che si muoveva dal basso verso l'alto e viceversa. All'improvviso dei passi pestarono il pavimento al di fuori della stanza, e il tonfo divenne sempre più forte e profondo, fino a quando un uomo spalancò la porta, puntandomi una pistola in fronte.
"Chi ti ha mandato?" urlò.
L'uomo era giovane, ma aveva sul volto la stanchezza di una persona più anziana. Indossava una tunica bianca e un turbante dello stesso colore. Una catenina d'argento con un crocifisso appeso gli scendeva sul petto. La barba era un cespuglio nero, gli occhi due nocciole chiare, e alcuni riccioli scendevano da sotto il turbante.
"Nessuno!" risposi. "Perché avrebbe dovuto mandarmi qualcuno?"
Il mio corpo era immobile. Lo sguardo fisso sui suoi occhi.
"Qui le domande le faccio io!" urlò ancora, premendomi la canna della pistola sulla fronte. "Perché sei qui?"
Una cicatrice frastagliata pulsò sul lato destro del suo collo.
"Ho seguito il suono della vostra campana" risposi. "Non pensavo ci fossero ancora sopravvissuti."
"Quale campana?" sussultò lui. "Non le suoniamo da anni. Ti stai prendendo gioco di me? Qual è il tuo nome?"
"Mi chiamo Kephas" replicai, sorpreso, "e vi giuro che ho sentito una campana, altrimenti non sarei mai venuto fin qui."
L'uomo fece due passi indietro e abbassò l'arma. Lo sguardo accigliato e severo.
"Kephas..." disse, mordendosi le labbra. "Che strano nome... e che bizzarra storia, la tua. Ringrazia Dio se non ti hanno ucciso lì fuori o non sei morto nell'esplosione. Ringrazia Dio per essere stato così favorito dalla vita."
Sbottai in una risata e l'uomo spalancò le palpebre.
"Favorito dalla vita? Preferirei non parlare di certi argomenti."
"Come vuoi" disse lui, sbuffando. "In quell'armadio scuro troverai vestiti della tua misura. Indossali e sparisci, anche se non ti assicuro che riuscirai a tornare vivo da dove sei venuto."
Piccole gocce di sudore apparvero sulla sua fronte, e rotolarono sul muscolo della guancia che tremava dalla parte destra del viso.
"Chi ha cercato di uccidermi?" domandai. "Perché la mia macchina è esplosa? Chi mi ha tamponato?"
L'uomo sollevò di nuovo l'arma.
"Basta con queste domande!" sbraitò. "Non sono affari che ti riguardano. Piuttosto, sei solo?"
Un brivido mi paralizzò la schiena.
"Kariot! Giacomo! Mi staranno cercando! Che ore sono? Da quanto tempo sono qui?"
L'uomo spalancò le labbra in un'espressione di stupore, abbassando di nuovo l'arma.
"Ma quanti siete? Anzi, no, non voglio saperlo." Brontolò qualcosa e scosse la testa. "Hai passato la notte in questa stanza, dopo aver ricevuto le cure mediche dei nostri dottori. Ormai saranno le sei e trenta del mattino. Adesso prendi le tue cose e vattene."
Emisi un sospiro di sollievo.
"Forse sono ancora a Palazzo Montecitorio" pensai nella testa. "Avranno lasciato passare la notte, probabilmente."
Mostrai un sorriso, seguito da un mezzo inchino.
"Vorrei ringraziarti, buon uomo" dissi a voce alta. "Troverò il modo di sdebitarmi con te per le cure ricevute, ma devo chiederti ancora un favore. Mi serve una ricetrasmittente. Puoi procurarmela?"
L'uomo mi guardò di sbieco.
"A cosa ti serve?" domandò, grattandosi la barba con la canna della pistola.
"Devo parlare con i miei amici" risposi. "Devo fargli sapere che sto bene."
L'uomo portò la mano libera davanti agli occhi e si stropicciò le palpebre, scuotendo la testa.
"Spero per loro che non siano venuti a cercarti. In caso contrario, potrebbero essere stati uccisi."
Aggrottai le sopracciglia, strofinando il naso con le dita.
"Cosa c'è lì fuori di così tanto spaventoso?"
"Non sono tenuto a dirtelo" sbottò lui. "Sono affari del Vaticano, nozioni di storia che non ti riguardano."
"Capisco..." dissi con garbo. "A ogni modo siete usciti a salvarmi, quindi avete messo a repentaglio la vostra vita, uscendo lì fuori."
L'uomo brontolò ancora qualcosa, scuotendo la testa con gli occhi chiusi. Quando li riaprì, lo sguardo era diventato severo.
"Mettiamola così: tu non mi piaci." Il buon uomo digrignò i denti e ripose la pistola in una tasca frontale della sua tunica. "Cercherò una ricetrasmittente, ma non aspettarti altre grazie dal Signore, per oggi." Sollevò una mano a coprire le mie nudità, mentre con l'altra si nascondeva gli occhi. "Adesso, per carità, mettiti addosso dei vestiti. Poi raggiungimi in cortile." Si voltò di spalle e uscì fuori dalla stanza, lasciandosi dietro una scia di dubbi non colmati.
"Non sono affari che mi riguardano" pensai. "Dopotutto, se avesse voluto uccidermi, lo avrebbe potuto fare. Perché cercare delle risposte inutili ai fini del progetto di Goethe? Prima lascio questo posto, e meglio è."
La frequenza con cui aveva utilizzato le parole 'Dio', 'Signore', e tutte le grazie da loro derivanti, mi avevano solo convinto a non proferire parola sui lavori, in corso d'opera, realizzati a Palazzo Montecitorio. Di certo non era il luogo adatto per affrontare certi argomenti o pensare, addirittura, di convincere il buon uomo, e tutti i suoi coinquilini, a cambiare il mondo con metodi tutt'altro che religiosi.
Mi staccai la flebo dal braccio e presi i vestiti dall'armadio di metallo, indossandoli sopra le garze. Diedi uno sguardo furtivo fuori dalla finestra e uscii fuori dalla stanza. Pavimenti, pareti e soffitto del silenzioso corridoio, che proseguiva fino a perdersi in lontananza, erano fatti interamente di lastre levigate di marmo bianco. Tenui filamenti di venature grigie e oro serpeggiavano attraverso il marmo. Torce in sostegni di ferro, disposte a intervalli regolari lungo le pareti, gettavano una luce tremolante sull'austero corridoio. L'aria immota era impregnata del forte odore di pece e di una pallida caligine di fumo acre. In vari punti delle pareti, si intersecavano altri corridoi che portavano in luoghi oscurati dall'ombra.
Camminai per un centinaio di metri e giunsi in cortile, dove il buon uomo mi aspettava in piedi su un prato fiorito, con le palpebre abbassate, le mani racchiuse in preghiera, e una ricetrasmittente appesa al collo con un laccio di juta. Regnava un caldo silenzio, e il profumo dei fiori quasi mi stordì. Dai rami di una dozzina d'alberi da frutto cadevano frammenti d'oro che, accarezzando l'aria, producevano un suono d'archi. Tutt'attorno fiori violacei, piante da frutto, farfalle e uccellini cinguettanti. Il buon uomo spalancò le palpebre. I miei occhi a qualche metro dai suoi.
"Kephas..." farfugliò, quasi con sdegno. Con dei gesti aggraziati si liberò del laccio di juta appeso al collo e mi porse la ricetrasmittente. "Fai quello che devi fare e lascia questo posto, prima di deturparlo con la tua oscurità."
Afferrai la ricetrasmittente senza badare alle sue parole, selezionai la stessa frequenza utilizzata per comunicare con il grattacielo di Goethe, ma nessuno rispose. Niente. Silenzio tombale. Il buon uomo scosse la testa, volgendo gli occhi al cielo azzurro.
"Mi dispiace per i tuoi amici..." disse a bassa voce. "A mezzogiorno porgerò una preghiera per loro."
Strinsi le palpebre, contraendo i muscoli della mascella. La ricetrasmittente schiacciata nella mano.
"Loro non sono morti!" esclamai. "Non sanno nemmeno che mi trovo qui. La tua ricetrasmittente fa schifo."
Il buon uomo estrasse la pistola dalla tasca frontale della sua tunica e la agitò in aria, con gli occhi sbarrati sui miei e i denti bianchi in bella mostra.
"Allora va' da loro," urlò "se sei certo delle tue convinzioni."
Con un scatto d'ira mi gettai su di lui e, dopo una breve colluttazione, lo feci cadere sul prato. La pistola, adesso, era nelle mie mani. Il buon uomo sollevò le braccia in segno di pietà e strinse gli occhi, impaurito.
"Non uccidermi!" gridò, con voce acuta e stridula.
Il suo corpo era teso e tremava come una corda di violino.
"Adesso," dissi con enfasi, poggiando la canna della pistola sulla sua fronte, "mi dirai esattamente cosa è questo posto e cosa sta succedendo all'interno e all'esterno di queste mura. I miei amici potrebbero aver seguito le mie tracce ed essere rimasti coinvolti in spiacevoli sorprese. Che ne so... un'esplosione, per esempio."
Tirai indietro il cane della pistola e l'uomo emise un gemito acuto. Tutt'a un tratto dei versi di stupore si alzarono in cielo, silenziosamente, uno dopo l'altro. Volsi lo sguardo intorno, e a giro apparvero le sagome di altri uomini, nascosti negli angoli più bui del Vaticano. Uno, due, dieci, e ancora di più, forse cento. A quel punto il buon uomo, con voce tremolante, bisbigliò: "Sei capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato".
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