CAPITOLO 16 - NUOVE TRADIZIONI

Meg

Faceva freddo, o per lo meno questo era ciò che avrei dovuto sentire, ma in realtà non provavo nulla oltre alla morsa del senso di colpa che mi portavo nel petto.

Continuavo a ondeggiare avanti e indietro, con le gambe raccolte al petto e le braccia a circondarle, nascondendo il viso sulle ginocchia. Ero di nuovo tornata bambina per la seconda volta in pochi giorni, permettendo che il mio passato tornasse a galla e mandasse all'aria tutta la mia sicurezza in un battito di ciglia. Ero stata davvero una sciocca a credere che fossi riuscita negli anni a dimenticare, perché certe cose non possono finire nell'oblio, ma resteranno sempre parte di te e, finché non ci si decide ad affrontarle, queste ti ritorneranno sempre addosso come un boomerang, rendendoti impossibile avanzare nella tua vita.

E io ero proprio rimasta impantanata nelle immagini di un'infanzia vissuta a metà, nel mio cuore che non era mai stato integro perché mancante di un pezzo di affetto che mi era stato volutamente sottratto e che in quei giorni, qualcuno, aveva cercato di colmare, ma che io avevo avuto troppa paura per lasciarglielo fare, temendo che una volta sostituito quel frammento alla fine non avrebbe retto, portandosi dietro con se altre parti, ritrovandomi così più irricomponibile di prima.

Un eco di passi leggeri sulle travi in legno sopra cui ero sospesa giunse alle mie orecchie, ma non mi servii sollevare la testa per capire di chi si trattasse, perché quel profumo floreale lo avrei riconosciuto tra mille.

«Come sapevi che ero qui?» chiesi con voce lievemente malferma, a causa delle lacrime che avevano iniziato a scendere dal momento in cui avevo messo piede in quel luogo.

L'oscillare del dondolo su cui ero rannicchiata si arrestò, accompagnato da un sospiro della ragazza che immaginai essersi accovacciata ai miei piedi.

«Perché ogni anno, da quando abbiamo iniziato l'università, a Santo Stefano venivamo a trovare la nonna per passare una giornata insieme solo noi tre», rispose con voce carezzevole, verso quei giorni in cui la casa alle mie spalle veniva riempita dalla risata di quella donna che ci aveva amate con tutta se stessa, e che invece ora era avvolta in un silenzio straziante.

Abbandonai quel rifugio che mi ero creata per guardare quegli occhi ambrati, screziati da pagliuzze dorate, che erano come un raggio di sole in grado di rischiarare le mie giornate più torve, sperando che potessero anche quella volta scacciare la tempesta delle mie paure che stava avanzando all'orizzonte e far spuntare nuovamente un sorriso sul mio viso, esattamente come quello che stava solcando il suo.

«Ollie... » invocai flebile il suo nome, come una preghiera di aiuto che non riusciva ad essere espressa.

Avrei volute raccontarle tutto, rivelarle ciò che era successo, quello che sentivo e i miei dubbi in merito, ma nulla di tutto ciò riuscì a scavalcare il muro di timore dietro il quale mi ero trincerata. Ma alla mia migliore amica non servirono parole articolate con la bocca, perché lei era in grado da sempre di leggere il linguaggio del mio cuore.

«Coraggio, entriamo in casa. Ho sgraffignato di nascosto le chiavi ai miei genitori, altrimenti mi avrebbero rotto l'anima solo perché volevo tornare qui, chiedendomi spiegazioni. Muoviamoci, prima che mandino gli elicotteri della polizia a cercarmi», disse cercando di farmi sorridere e aiutandomi ad alzare da quella struttura in ferro su cui da adolescenti ci sedevamo d'estate a chiacchierare, sorseggiando un tè freddo; quanto mi sembravano ormai lontani quei giorni.

Mi appropinquai con lei verso l'ingresso, continuando a tenerle la mano fino a quando non varcammo la soglia, richiudendoci il portone in legno dietro di noi. Non appena misi piedi in quel luogo che pullulava di eventi della mia adolescenza mi venne da piangere nuovamente, sentendo il freddo e l'aria stantia causati dall'assenza di quella donna dalle piccole braccia ma da un cuore immenso, che sapevano scaldare quel posto con la sua semplice presenza.

Ollie mi aiutò a togliermi di dosso il piumino e la sciarpa, andandoli a depositare, insieme ai suoi, sull'appendiabiti sospeso sul muro alla nostra sinistra, per poi riprendermi per mano e tirarmi delicatamente verso il salone, accendendo le luci.

Ci bloccammo in contemporanea sullo stipite della porta che delimitava quella zona della casa, gelandoci di fronte alla scena che ci si parò davanti: il divano avorio era ricoperto da una stoffa nera, come anche il tavolo, le sedie imbottite, il mobiletto in legno con gli sportelli in vetro e i quadri alle pareti. Tutto sembrava essere stato oscurato, coperto da quel tessuto spesso che stava cercando di eclissare anche i nostri ricordi lì, sovrastandoci con la sua assenza di colore.

Percepii le dita della mano della mia amica irrigidirsi e tremare leggermente, per poi riacquisire la loro fermezza, come i passi che mosse, con sguardo grave in volto, per iniziare a liberare quei complementi di arredo che avevano adornato tutta la sua vita.

Tolto l'ultimo strato ingombrante, venne verso di me, che ero rimasta a fissarla svolgere quell'arduo compito senza riuscire a muovermi, per quanto quello spettacolo mi avesse sconvolta. Intrecciò ancora le nostre dita, spronandomi a seguirla e facendomi mettere a sedere sul divano, dove mi avvolse in una coperta tirata fuori dal cassettone accostato al muro dietro di noi; sembravo davvero una bambina spaurita dopo un brutto sogno, con sua madre che si prendeva cura di lei.

«Copriti, hai preso freddo lì fuori.» mi accarezzò una guancia con il dorso della mano, rivolgendomi un sorriso spento in volto, segno di quanto ciò che avessimo trovato avesse turbato anche lei.

Si diede da fare, uscendo all'esterno per prendere della legna e poi accendere il fuoco nel camino in mattoni, come ci aveva insegnato a fare la nonna una ormai lontana sera d'inverno proprio come quella. Quando una leggera fiammella fece la sua comparsa, ardendo sempre di più ad ogni soffio d'aria emesso dal mentice che Ollie stava usando per alimentarla, si rialzò da terra, venendo a prendere posto al mio fianco.

«Allora... hai voglia di parlarmi di cosa è successo o facciamo il gioco del silenzio?» proruppe dopo qualche secondo, riportandomi finalmente al presente, anche se le parole continuavano a rimanermi sospese lungo quel canale che partiva dal cuore e arrivava alle labbra, ostruite dai resti rotti di giocattoli mai ricevuti e scarpette da ballo mai esibite.

«Ho capito, ci penso io!» Un sospiro rassegnato arrivò vicino a me, mentre continuavo a fissare le fiamme del camino salire sempre di più, con la bocca leggermente aperta.

La vidi alzarsi e dirigersi con passo svelto verso il corridoio, tornando poco dopo con due oggetti ingombranti sotto braccio, che conoscevo alla perfezione.

«Ma... ma... » niente, non riuscivo neppure a chiederle che intenzioni avesse, nonostante ciò che era andata ad adagiare sul parquet in legno scuro alla sinistra del focolare, mi avrebbero dovuto già chiarire i suoi propositi.

«Facciamo progressi, almeno adesso hai detto due parole, anche se erano la stessa. Coraggio, vieni qui con me ad addobbare l'albero. Te lo ricordi ancora che la nonna ci aspettava il 26 per farlo insieme a lei, visto che negli ultimi cinque anni non potevamo tornare a casa per l'8, vero?»

E come avrei mai potuto dimenticare uno dei giorni che più attendevo durante l'anno, solo per poter passare del tempo in quella casa di cui avevo costantemente nostalgia quando ero a Milano.

Mi bastò udire il nome di quella dolce e irriverente donna, che mi aveva accolta tra le sue braccia come fossi sua nipote, per muovermi, finalmente, e andare ad aiutare la mia amica.

Mi misi a sedere a terra, con le gambe incrociate, estraendo dalla scatola di cartone alcune sfere dorate, per andarle ad appendere su quei rami finti che la ragazza seduta nella mia stessa posizione aveva dispiegato.

Restammo in silenzio, adornando l'abete che si frapponeva tra noi due, iniziando a colorare quella sua trama verde di luci bianche e palline oro e blu, con gesti che trasudavano l'amarezza di giorni che sembravano troppo lontani.

«Mi manca... » esordii dal nulla, percependo distintamente in quell'assenza di rumori la mancanza di un elemento basilare: la sua risata.

I genitori di Ollie avrebbero potuto togliere tutto da quella casa, lasciando ogni stanza vuota, ma non era nulla al confronto del vuoto che invece riusciva a creare la scomparsa della voce della donna che aveva riempito per anni quelle mura piene di scatti della sua vita.

«Anche a me, Meg... anche a me», rispose flebile, con un nubiloso sorriso ad arricciarle le labbra, rispettando la promessa che era stata costretta a mantenere dal giorno in cui ricevette quella fantomatica lettera, che io stessa le avevo dovuto consegnare.

Distolse i suoi occhi leggermente velati da tediose nubi che intaccavano quelle distese solitamente limpide, andandoli a puntare verso la foto incorniciata sulla mensola in legno grezzo del camino, come se la donna in essa raffigurata l'avesse richiamata a sé. «Mi manca, ma bisogna andare avanti, volenti o nolenti e, conoscendola, si sarebbe infuriata nel vederci in questo stato pietoso nel parlare di lei, mentre sicuramente avrebbe appezzato il fatto che abbiamo deciso di fare l'albero in casa come quando c'era ancora. Sarebbe una bella tradizione da portare avanti negli anni, non credi?» mi domandò, aprendosi questa volta in un sorriso sincero.

Alzai e abbassai il capo una volta, rigirandomi tra le mani quella sfera di plastica blu, esattamente come stavano facendo le immagini dei giorni precedenti, che avevano iniziato a roteare nella mia mente insieme ai miei pensieri. In fondo mi ero rifugiata lì per poter riflettere, di conseguenza da qualche parte dovevo pur iniziare. Inspirai ed espirai a lungo, per aprire insieme ai miei polmoni anche le mie emozioni.

«Ollie... ho rivisto mio padre... »

E la nostra santa Ollie ha trovato Meg, ormai quella povera ragazza è esperta di fuggitivi! Nel prossimo capitolo saprete cosa starà facendo Matt. Vi lascio con un'immagine che ho realizzato per le nostre due fantastiche ragazze, augurandovi una buona giornata!

Ed ora i saluti... questo è uno di quelli che rimarrà nella storia...

AL PROSSIMO MARIANGELO LO CHIAMAVANO AUTUNNO!

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