• Epilogue •

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«Che state facendo?» La voce dell'uomo risuonò nella stanza spaventando i due ragazzini colti con le mani nel sacco, tanto che, nel vano tentativo di nasconderla, la telecamera cadde sul pavimento.
“...Jooheonie, avevo dimenticato di dirti che ti amo.”
Diamine.
Adesso o mai più, Heesung.
«Perché Minhyuk-ssi ha deciso di lasciarci...? Non ci voleva?» La ragazzina di tredici anni sembrava scossa mentre porgeva quella domanda all'uomo che li aveva cresciuti. Non avrebbe mai pensato di chiederlo davvero a suo padre, ma ci aveva riflettuto per così tanto tempo su quell'ipotetica conversazione. Non avrebbe mai immaginato di poter guardare suo padre in viso e pronunciare quelle parole con così tanta sfrontatezza. Avevano passato otto anni completamente soli: lei, suo fratello gemello e suo padre, solo in tre, perché all'appello mancava sempre qualcuno. Heesung e Jeongseok ricordavano poco in realtà, non avevano neppure cinque anni quando uno dei loro genitori adottivi se n'era andato, ed era andato davvero troppo troppo lontano per poterlo raggiungere.
Erano cresciuti così. Minhyuk non c'era stato a svegliarli la mattina per andare a scuola, non c'era stato a preparare il pranzo o sparecchiare la tavola, non c'era stato per aiutarli a fare i compiti, non c'era stato per congratularsi con loro quando ricevevano un bel voto dagli insegnanti, non c'era stato per commentare insieme qualche film, non c'era stato per sgridarli di non passare troppo tempo con i videogiochi, non c'era stato per il bacio della buonanotte, non c'era stato per portarli a fare una passeggiata al parco, non c'era stato per insegnargli ad andare in bicicletta, non c'era stato a guardare i loro disegni per la festa del papà, anche perché lui non c'era mai stato in quei disegni. Non c'era stato per sorvegliarli e indirizzarli verso la strada giusta.
Minhyuk non c'era mai stato.
Era diventato imprescindibile il chiedersi il perché di quella scelta per i due bambini. Adesso avevano capito qualcosa di quella questione, ma in realtà niente aveva ancora un senso ai loro occhi privi di esperienza.
I due ragazzini, prima del ritrovamento della videocamera, molte volte non ricordavano nemmeno bene i tratti del volto di Minhyuk: li avevano memorizzati a stento tramite qualche vecchia foto. Non erano mai riusciti a vederlo come parte integrante della famiglia, avevano passato appena tre anni insieme, poiché quando erano stati presi in adozione i bambini avevano già compiuto due anni.
Minhyuk era stato una presenza fantasma.
Anche l'integrazione per loro due nella società era stata complessa. D'altronde erano figli adottivi di una coppia formata da due uomini e non era per nulla scontata nel loro paese l'accettazione di una cosa simile. Certo, meglio degli anni precedenti, ma non era considerata una cosa "normale".
Inoltre, spiegare che uno dei due fosse morto rendeva le cose ancora più difficili. Nonostante ciò, la cosa più orribile da accettare restava l'essere costretti a vedere quotidianamente la tristezza sul volto stanco del loro adorato padre. Jooheon tentava sicuramente di nasconderlo; era un buon padre, non avrebbe mai voluto far preoccupare i suoi bambini, ma spesso involontariamente la malinconia aveva la meglio. In fondo, non erano più così piccoli, riuscivano ad immaginare il dolore di perdere una persona alla quale si ha dedicato la propria vita. Per quanto potesse essere minuzioso nel nascondere tutto, loro si accorgevano di quando nei momenti peggiori si chiudeva in camera, se prestavano attenzione potevano sentire persino i suoi singhiozzi riecheggiare attraverso le mura sottili. Ricordavano il suo volto deturpato dal pianto quando anni prima avevano preteso una spiegazione a quella mancanza, senza tuttavia ottenere una risposta precisa. Jooheon aveva solo paura, una paura comprensibile, per questo entrambi i ragazzi cercavano di far sì che non portasse tutto il fardello da solo. Non lo meritava. Non meritava di essere lasciato solo dalla persona che amava.
«No tesoro, Minhyuk vi voleva bene, davvero molto...» Le sue parole suonarono dolorose. Sembravano essere state estirpate a forza dalle sue corde vocali vibranti. Il suo viso era contratto in una smorfia arresa, il suo sguardo posato sulla videocamera che giaceva sul tappeto, adesso spenta. Forse era scarica, forse addirittura si era rotta. Probabilmente era arrivata anche la sua ora, come se si fosse sforzata di restare intera e utilizzabile fino al momento in cui la verità sarebbe dovuta uscire allo scoperto. Una sorta di scherzo del destino.
«E allora perché? Non mi sembrava più tanto triste insieme a te.» Heesung inclinò la testa lateralmente, sotto lo sguardo attento di suo fratello. Non lo sembrava affatto dagli ultimi video, anzi, al contrario, sembrava rinato.
Entrambi fissavano il padre in attesa di quel fatidico responso che aspettavano da anni e che, adesso, dopo aver trovato quella vecchia cinepresa, speravano di ottenere davvero.
«Non lo sembrava nemmeno a me.» L'uomo sorrise con amarezza. I suoi occhi erano colmi di lacrime e di rimpianto, ma la sua immensa forza gli permise di contenersi. «Non mi sono accorto di nulla...» Di quanto fosse distrutto dalla morte dei propri genitori - i due pilastri più importanti della sua vita - a causa di una perdita di gas che aveva avvelenato la loro abitazione. Di quanto tornasse stanco da lavoro perché riceveva continuamente insulti per via del suo orientamento sessuale. Di quanto si sentisse calpestato quando, camminando per strada, qualsiasi sconosciuto rivolgesse loro occhiate truci. Di quanto accusasse la solitudine nei momenti in cui il minore gli comunicava di dover restare fuori per fare commissioni urgenti. Di quanto lo opprimesse veder crescere i bambini guardando gli altri che erano diversi perché avevano genitori normali. Di quanto si credesse sbagliato ad aver fatto quella scelta, ad aver costretto entrambi a quella vita fatta di delusioni e cattiverie. Di quanto avesse bisogno d'amore in quel periodo, mentre invece lui aveva da pensare tutto il giorno al suo nuovo ed impegnativo lavoro. «È che io ho voluto vedere che stesse andando tutto nel più perfetto dei modi, come lui mi lasciava credere. Sono stato cieco, questo è il perché. A volte le persone hanno bisogno di aiuto... ma sono troppo buone per chiederlo.»
Accarezzò i capelli dei suoi bambini, con una mano sulla testa di ciascuno, delicatamente. Lente lacrime gli solcarono il viso, senza che potesse trattenere oltre quell'emotività che cercava costantemente di reprimere. Non voleva aver paura di essere umano, di mostrare quel lato ai suoi figli. Teneva a loro più di qualsiasi altra cosa al mondo. Nessuno di loro due avrebbe mai dovuto imparare a nascondere le proprie emozioni, no. Nessuno avrebbe dovuto imitare Minhyuk. Il suo unico errore era stato quello di essere troppo altruista, di preoccuparsi così tanto degli altri da voler eclissare se stesso.
Ma Jooheon non aveva dimenticato nulla: non uno sguardo, non una carezza, non una parola. Ogni ricordo di Minhyuk era impresso a fuoco nella sua mente e lo perseguitava al punto da lasciarlo senza fiato nei momenti più bui, da obbligarlo a notti insonni fatte di orribili rimorsi. Eppure sapeva di avere ancora non una, bensì due, persone bellissime per cui vivere: i suoi figli. I bambini suoi e di Minhyuk. Quello che insieme avevano voluto per dare prova del loro amore.
«Lui vi amava. Sono sicuro che ovunque sia ora vi ami ancora. Non dite più queste sciocchezze, d'accordo?» Parlò con dolcezza attirando a sé i ragazzi e abbracciandoli teneramente. Non avrebbe mai rimpianto nulla di quel presente, nonostante restasse insito in lui il voler rimediare al passato. Ognuno sa, tuttavia, che la vita non torna indietro, il tempo non percorrerà mai la sua via al contrario, il destino è un circolo che non può essere scalfito... Non si può riavvolgere ciò che è stato. E l'amore, l'amore resta il perno di quel cerchio infinito. Un amore che neppure la morte può distruggere, poiché la morte è "fine" e un sentimento del genere non giungerà mai al termine.

E forse sarebbe stato meglio
che quella videocamera fosse
rimasta nel suo solito cassetto,
finché le batterie non si fossero
completamente ossidate, finché
non si fossero lentamente consumate
fino a marcire, proprio come
era successo al cuore del suo
vecchio proprietario.

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