Capitolo 45

THE COUSINS' GANG POV

Buonasera a tutti!

Onestamente non pensavamo di farcela a pubblicare questo capitolo oggi, ma invece eccolo qua ehehe. Così come ha detto l'autrice, finora questo è il capitolo più lungo della storia, quindi speriamo vi piaccia.

Prima di lasciarvi leggere, volevamo dirvi che ieri abbiamo parlato con Natalie (la scrittrice di Psychotic) e le abbiamo detto che ha moltissime fan italiane che l'adorano e sia lei che la sua migliora amica (sì, stavano facendo shopping mentre parlavamo lol) vi ringraziano per tutto il supporto e l'amore che mostrate per la sua storia. E noi invece ringraziamo voi per leggere la nostra traduzione, davvero, grazie mille! E indovinate un po'? A Natalie farebbe davvero piacere se noi traducessimo anche Chaotic (il sequel). Ovviamente noi abbiamo accettato! (per chi volesse gli screen delle conversazioni ci contattasse sulla nostra pagina su Facebook) Fateci sapere se a voi piace l'idea e se lo leggereste!

Okay, buona lettura.

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Riuscivo solo a vedere nero. Nel piccolo ripostiglio non c'erano luci. Solo buio. Quest'ultimo era sospeso nell'aria insieme ad un silenzio inquietante, sommergendomi come una spessa coperta in una notte calda d'estate. Volevo disperatamente togliere le coperte e prendere una boccata d'aria fresca che non fosse la mia, uscire dal ripostiglio e cercare Harry. Ma non potevo, perché non avevo idea di dove fosse potuto essere. Era meglio aspettarlo qui e fidarsi di lui invece di farmi scoprire e rovinare tutto.

Così rimasi qui e aspettai. Sembravano passate ore da quando avevo afferrato la pistola dal fianco della guardia sconosciuta e da quando ero corsa in questa dannata stanza. Sin da quel momento ero rimasta nell'angolo dietro gli stracci, scope e sacchi per la spazzatura mentre aspettavo nel buio soffocante.

Non ero certa se Harry stesse bene, ma ero sicura di aver sentito delle guardie arrivare e trascinarlo davanti la porta. Non ero certa di dove si trovasse ora. Non ero certa con chi si trovasse ora e come avrebbe fatto a tornare da me. Non ero certa di come mi sentissi riguardo al fatto che avesse ucciso un altro uomo, non importava chi, solo poco tempo fa.

Ma di una cosa ero certa; lui mi aveva promesso che saremmo fuggiti, ero certa che lui avesse ragione. Perché non avevo mai conosciuto qualcuno con così tanta passione, intelligenza e determinazione quanto lui.

Tuttavia, ero preoccupata e i dubbi continuavano ancora ad artigliare il mio ottimismo. Ogni piccolo rumore mi faceva sobbalzare, aumentando il nervosismo che stavo già provando. Le mie mani erano viscide e avevo la nausea. Non importava quanto cercassi di credere nella mia speranza, ero un disastro. Ogni piccolo cigolio per me significava morte imminente, ed ogni passo che sentivo era l'arrivo di una punizione, facendo battere il mio cuore fuori dal petto. Se qualcuno fosse venuto a controllare questa stanza, sarei dovuta tornare nella mia cella dopo qualche orribile punizione da parte della Signora Hellman. E saremmo rimasti bloccati qui. Lori e Kelsey avrebbero perso i loro lavori. Sarebbe stata una vera catastrofe.

Immagini di Harry sotto una frusta sferzante o immagini di lui tremare sotto le crudeli cariche elettriche si ripetevamo continuamente nella mia mente, insieme a delle domande del tipo: stava bene? Era al sicuro? Chi stava con lui? Cosa gli stavano facendo? Come avrebbe fatto a tornare indietro? E se non fosse tornato?

Desideravo disperatamente che lui entrasse da quella porta così saremo potuti uscire da qui e far sì che la mia mente frenetica avesse potuto calmarsi. Aspettai ed aspettai per quel che sembrava un'eternità, ma non ci fu nessun cambiamento. Il ripostiglio era ancora solo riempito dall'ansia e dal mio respiro irregolare.

Ma, alla fine, dopo probabilmente un paio di ore, che invece erano sembrati giorni, udii la maniglia della porta girarsi. Trattenni il respiro, pregando Dio che fosse Harry.

La porta si aprì. Anche se solo per un breve momento, abbastanza, per chi io speravo entrasse.

Ero sul punto di dire il suo nome, di sospirare di sollievo. Lui era qui. Lui era al sicuro.

Ma mi fermai proprio un secondo prima. Poiché questa persona, dalla sua struttura delineata dalla fioca luce rossa, non era Harry. Il mio stomaco sprofondò. Tutto ciò che riuscii a scorgere fu che questa persona aveva una struttura più lunga, più grande e più robusta. E non c'era nessun segno di ricci arruffati sopra la sua testa.

Trattenni il respiro e ritornai contro la parete, stringendo la pistola che tenevo vicino al petto. L'uomo senza nome entrò dentro e chiuse la porta dietro di lui.

Oh, no. Oh, merda.

Il mio cuore batte così rumorosamente nello spazio silenzioso da essere sicura che lui lo avesse sentito. Era un altro paziente, lo sapevo bene. Qualcuno che era corso qui per sfuggire alle guardie, proprio come me. Non avevo idea da che reparto venisse, e non avevo idea di quanto fosse pericoloso.

L'oscurità ritornò quando chiuse la porta dietro di lui. E questa volta, non ero da sola nel ripostiglio.

Non si era ancora accorto di me. Tutto ciò che stava passando nella mia mente erano un mucchio di parolacce che solitamente solo Harry avrebbe usato, nel panico, preoccupazione e paura. Non riuscii a pensare a niente se non a tenere chiusa la mia bocca e a sperare che se ne sarebbe andato. Lo sentii respirare pesantemente, come se avesse corso. Ero grata per questo poiché sovrastava qualsiasi rumore che sarebbe potuto sfuggire da me. E se avesse sentito o se si fosse guardato in giro e scoperto che ci fosse un'altra ragazza qui, magari non avrebbe voluto farmi del male. Forse voleva soltanto fuggire, forse si stava nascondendo per alcuni minuti e poi sarebbe andato via.

Ma ben presto si calmò, questa persona anonima che si trovava solo ad un metro e mezzo di distanza da me. Il suo respiro rallentò. Il mio cuore stava martellando contro il mio petto e stavo cercando di non entrare in panico, facendo del mio meglio per trattenere il suono del mio respiro pesante. Pregai a Dio che stessi facendo un buon lavoro per passare inosservata.

Ma improvvisamente lo sentii muoversi. Non fisicamente, ma ci fu qualcosa nell'aria. Un cambiamento nella fissa tensione, un guizzo di movimento nell'oscurità. Trattenni il respiro.

Era qualcosa di piccolo, qualcosa che non riuscii a sentire. Qualcosa come una girata di testa o un sollevamento di mano. Il mio corpo iniziò a tremare con scosse nervose mentre chiudevo gli occhi, trattenendo il respiro.

Nel silenzio tombale, udii del tessuto muoversi sulla pelle. Sicuramente si trattava di una girata di testa. E dal cambiamento nell'aria, capii che si fosse girato nella mia direzione. Sapeva che io fossi qui.

Parlò con un profondo e rauco sussurro che mi fece venire i brividi.

"Ti sento respirare."

HARRY'S POV

I miei occhi si aprivano una volta ogni tanto. Ma era tutto sfocato quando lo facevano. Lottai per svegliarmi, qualcosa di importante stava trovando la strada per arrivare nella mia mente offuscata. Dopo si chiusero di nuovo mentre io scivolai ancora una volta in uno stato di incoscienza. Venni trasportato dalla realtà di una piccola, strana stanza d'ufficio a dei sogni su Rose, risate e spiagge assolate. Quando sognai, lei indossava un costume da bagno bianco, uno di questi nuovi indumenti chiamati bikini. Le sue lunghe e nere onde cascavano sulla sua schiena e stava correndo sulla sabbia polverosa, urlando e ridendo mentre io la rincorrevo. Mi sentivo libero, solo noi due insieme a sollevare delle goccioline d'acqua quando entrammo in essa. E dopo ritornai nella strana stanza con le pareti rosse, le mani dietro la mia schiena.

Dopo le cose divennero di nuovo sfocate, e stavo leccando un cono gelato, mano nella mano con lei mentre passeggiavamo sotto la notte imminente sul cielo grigio sopra di noi.

Dopo ritornai alla realtà. Andavo avanti e indietro nella realtà, la mia mente combatteva contro le droghe che cercavano di abbattermi. Preferivo di gran lunga rimanere nei miei sogni, ma dovevo ricordarmi che Rose non si trovava davvero nella mia mente incosciente. Era fuori di qua, fuori da questa stanza, da qualche parte mentre contava su di me che l'avrei trovata. Così lottai l'oscurità e i sedativi iniziarono lentamente ad andare via. Le cose non erano ancora del tutto chiare, ma ero sveglio.

Le pareti iniziarono a chiarirsi. Erano dipinte di un marrone rossastro. Sollevai la testa e strizzai gli occhi attraverso la nebulosità, riuscendo a scorgere una vecchia scrivania di fronte a me con una frusta poggiata sulla sua superficie.

Altri tavoli e sedie erano sparsi indietro contro le pareti. Un tavolo si trovava di fianco a dove sedevo io, con una piccola lampada a batteria sopra. Dava l'impressione di una stanza da interrogatorio. La sedia dove ero seduto io si trovava da sola al centro della stanza. Provai ad alzarmi, ma non ci riuscii. Le mie mani erano legate dietro di me, intorno al metallo della sedia. Tuttavia, non sembrava essere il solito materiale tagliente delle familiari manette che stringevano le mie mani. Il tessuto era più ruvido, più pruriginoso, ma flessibile. Corda.

Dove diavolo mi trovavo?

Ero da solo nella stanza. Non sapevo chi mi avesse portato qui o perché, o cosa avessero intenzione di farmi. Ma sapevo che non importava come, mi sarei liberato da queste dannate corde e avrei trovato Rose. Probabilmente era così fottutamente spaventata, tutta sola nel ripostiglio buio. Se fosse successo qualcosa, sarebbe stata tutta colpa mia per non essere stato lì.

Ma tutto ciò si disperse dalla mia mente quando sentii il click del maniglia della porta. Non riuscii a trattenere la mia agitazione quando la Signora Hellman in persona entrò dalla porta, con quel compiaciuto e spavaldo sorriso sulle sue labbra.

"Stavi cercando di fuggire, non è così Harry?" Chiese mentre chiudeva la porta dietro di lei. "Tu e Rose pensavate di poter semplicemente fuggire?"

Non risposi. Non sapevo cosa diavolo stesse cercando di fare, ma non mi stavo arrendendo.

"Beh, ci vorrà qualcosina in più di qualche vecchia uniforme da guardia e dell'interruzione della corrente per lasciare questo posto."

Ero ancora seduto con un'espressione vuota, sopprimendo un sorriso divertito. In fondo in fondo sapeva che questa fosse l'uniforme di suo figlio morto. Volevo lanciargliela su quella faccia compiaciuta e rugosa. Ma mi morsicai la lingua per trattenermi. Divulgare quell'informazione avrebbe potuto più farmi del male che aiutarmi.

"Tuttavia, sembra che qualcuno stia mancando. Non riesco proprio ad immaginarmi che tu l'abbia abbandonata. Quindi dimmi, Harry. Dov'è Rose?"

"Vattene a fanculo."

Ridacchiò alla mia risposta, scuotendo la testa. E dopo gironzolò attorno a me, prendendosi tutto il suo dolce tempo. Poggiando una mano sullo schienale della sedia, si trovò solo a qualche centimetro di distanza da me mentre si chinava. E dopo la sua mano sferzò contro la mia guancia. Forte.

L'azione mi sorprese, stordendomi. Mi aveva appena schiaffeggiato?

Tale madre tale figlio.

"Dimmi dov'è," comandò, come se niente fosse successo, come se la mia guancia non fosse di un rosso acceso e come se non stesse bruciando. E mi aveva rotto il cazzo, insieme alla sua arrogante presenza.

Così le sputai in faccia.

Si tirò immediatamente indietro, strofinando con la mano la sua espressione disgustata. Mentre non stava guardando per un momento, tirai la corda, i mie polsi si distolsero sotto lo stretto nodo. Strinsi i denti e le mie braccia divennero tese a causa dello sforzo per liberarmi, separando i miei polsi con tutta la forza che riuscii a radunare.

Niente.

Ci fissammo entrambi con tutto il nostro odio a causa delle azioni di entrambi.

"Ti ho preso, Harry," iniziò, emettendo le sue parole come un veleno. "E alla fine troveremo anche lei. Tutte le guardie sono alla ricerca dei pazienti in ogni centimetro di questo posto. E se tu mi aiutassi e mi dicessi dove posso trovarla, renderebbe le cose molto più semplici. Vi riporterò indietro nelle vostre celle senza nessuna punizione." Fece una pausa, lasciandomi prendere in considerazione la possibilità.

"Ma se non lo fai . . ci saranno delle conseguenze molto severe. Specialmente per lei."

"Non ti dirò un cazzo. Anche se volessi farlo, non ho idea di dove sia."

"Cazzata," disse. "Allora che ne dici di questo, se non me lo dici, la farò trasferire nel Reparto C. Non la rivedrai mai più." Dietro alle sue parole c'era un sorriso sadico e disgustoso.

Normalmente mi sarei incazzato. Avrei provato a liberarmi dalla corda, avrei serrato la mascella e avrei gridato minacce e oscenità. Ma ero troppo confuso, troppo stanco a causa degli effetti della droga, ancora presente. Inoltre, urlare non avrebbe cambiato nulla. Le avrebbe solo dato la soddisfazione per avermi provocato.

Così invece, provai un'altra tattica. Guardai l'inutile stanza, la corda dietro di me, la Signora Hellman e la sua presenza. Notai che fuori dalle porte tutto fosse tranquillo. Eravamo da qualche parte isolata rispetto all'intero reparto.

"Nessuno sa che siamo qui, vero?"

"Cosa?" Chiese, confusa e irritata.

"Le altre guardie, i dipendenti. Li hai mandati tutti a cercare gli altri pazienti che sai che sono bloccati nelle loro celle così che tu avresti potuto torturarmi ed interrogarmi senza farlo sapere agli altri."

"Che sciocchezza," disse, giustificando la mia teoria. Ma il suo sorrisetto compiaciuto era svanito. "Questo è il mio istituto, posso fare ciò che voglio ad esso e ai pazienti."

"No, non puoi. Pensi di poter usare tutti noi come delle pedine in questo tuo gioco contorto, di poter fare cose del genere. Ma sai che se qualcuno dei dipendenti scoprisse lo schifo che sta succedendo al Wickendale, perderesti il tuo lavoro. Quindi mi hai nascosto qui segretamente, lontano da tutti gli altri. Mi torturerai lontano dal Reparto così che puoi ancora essere una boss senza denunce di maltrattamento. Quindi magari funzionerà, magari sarai in grado di fare ciò che vuoi e nessuno ci troverà. Ma non trasferirai Rose da nessuna parte, lo sappiamo entrambi questo. Certo, puoi punirci quanto vuoi. Ma rispiarmati la cazzata che porterai Rose in un altro Reparto, perché dopo qualche settimana o mese, le persone inizieranno a notare che lei non appartiene lì."

La Signora Hellman rise dal profondo del suo petto. "Harry, penso che tu stia dimenticando che ci sono altre opzioni."

"Tipo quali?" Domandai. "Le lobotomie? Gli interventi chirurgici al cervello? Signora Hellman, penso che tu stia dimenticando che Jane è sparita la scorsa settimana. Se uccidi uno di noi due, come pensi reagirà la stampa ai pazienti perfettamente in salute caduti come mosche al Wickendale?"

La Signora Hellman deglutì, senza distogliere i suoi occhi intensi dai miei. Non poteva farci un cazzo ora che tutti gli impiegati conoscevano il nostro nome e le nostre facce. Avrebbe potuto trascinare Rose in quella sala operatoria tra qualche mese, ma non ora. Non quando Jane era appena sparita, non quando c'era tutto questo trambusto. E inoltre, il peggio che avesse potuto fare lo aveva già fatto. Dall'isolamento, alle frustate e alla terapia dell'elettroshock. Quindi non avevo nulla da perdere.

E se ci fosse stato qualcosa che avrebbe potuto fare per farci del male, la gente se ne sarebbe accorta, e la Signora Hellman lo sapeva.

Ma un "vedremo" fu tutto ciò che disse in risposta, rimanendo composta. "Non sottovalutarmi, Harry."

Questa volta fui io a ridere.

"Se vuoi scusarmi ora, devo andare ad assicurarmi che le guardie stiano facendo il loro lavoro," disse.

Suonò più come 'devo assicurarmi che nessun dipendente venga a cercarmi e ti trovi legato qui.'

Ma prima di uscire dalla stanza, prese una striscia di stoffa dalla scrivania, mettendosi dietro di me.

"Che cazzo stai facendo?" Chiesi.

Non rispose.

Prima che me ne accorgessi, un pezzo di stoffa fu avvolto attorno la mia bocca così che non avessi potuto parlare o chiedere aiuto.

Che fottuta psicopatica.

"Torno subito," mi minacciò, prima di lasciare la stanza.

La Signora Hellman aveva raggiunto un nuovo livello del male. Chi cavolo si credeva di essere? Nessuno, neanche una direttrice, aveva il diritto di legare i suoi pazienti e coprire le loro bocche per farli stare in silenzio. Questo non riguardava più il suo odio nei miei confronti, questo era una specie di vendetta disgustosa per quello che avevo fatto a suo figlio. Era una donna maligna con dei piani maligni. E anche se non avessi idea di quali fossero i suoi piani, non avrei voluto scoprirli.

Mi guardai in giro freneticamente alla ricerca di un qualcosa, qualsiasi cosa per liberarmi da questa dannata sedia. Tirai e tirai la corda, strappandola con la massima forza. Cercai di staccarla, provando dolore al petto e sentendo la crescente raucedine della mia gola. Sforzai tutto il mio corpo mentre trattenni il respiro e strinsi i denti, volendo lacerarla.

Il tessuto scavò nella mia pelle fino a che non lo sentii strapparsi in superficie, una piccola quantità di sangue colò dal mio polso sinistro.

Non si era nemmeno spostata. Cercai di strisciare contro il legno della sedia, su e giù per allentarla. Ancora niente. Cazzo.

Doveva esserci un modo, ce n'era sempre uno. Doveva esserci qualcosa.

L'accendino.

Sì, il fottuto accendino.

Lo avevo infilato nella mia tasca prima di uscire dall'ufficio di Kelsey. Sentii la pesantezza del metallo contro l'anca, e sospirai di sollievo al fatto che fosse ancora qui. Finalmente un po' di fortuna.

Mi mossi così che le mie dita sfiorassero il tessuto della mia uniforme per prenderlo.

Le mie braccia erano attorcigliate in un modo doloroso, e così anche il mio fianco dal momento che le volevo vicine al mio fianco. La corda mi stava tagliando e faceva fottutamente male, ma continuai ad avere l'immagine di Rose nella mia mente e ne approfittai per spingere ulteriormente.

Le mie mani erano quasi nella mia tasca, e strinsi i denti per il dolore e per lo sforzo. Solo un altro po'.

Ero sicuro di non potermi muovere di un altro centimetro ma in qualche modo ci riuscii, il dolore andò via a causa della perdita di sensibilità alla mano. Finalmente, sentii il freddo metallo sulle mie dita. Inclinai la mia anca verso l'alto e l'accendino scivolò nella mia mano.

Mi sedetti con un sospiro, trasalendo per il sangue che scorreva nella mia mano come mille aghi di puntura. Non persi tempo ed eseguire il compito banale di accendere l'accendino per un scopo non così tanto banale e piegai la mia mano verso l'alto in modo che la fiamma leccasse la corda. E pregai Dio che si fosse bruciata prima che qualcosa sarebbe successa a Rose.

ROSE'S POV

Tutto il mio corpo si intorpidì. La paura era paralizzante, il mio corpo riempito da terrore come se fosse cemento pesante. Il mio battito cardiaco risuonò nelle mie orecchie mentre indietreggiai di nuovo verso l'angolo. Le parole sussurrate continuavano a ripetersi ancora e ancora nella mia mente. "Ti sento respirare."

Si mosse con molta lentezza, a malapena facendo rumore per non disturbare la quiete. Il mio respiro si smorzò in gola. Avevo avuto paura tante volte ma mai come questa volta, mai con il pericolo così vicino, mai stordita nel silenzio e incapace di muovermi. E la cosa peggiore era che non c'era niente che io potessi fare. Se fossi fuggita, Harry non sarebbe stato in grado di trovarmi. Se avessi chiesto aiuto, le guardie mi avrebbero sentita. Se avessi combattuto, avrei avuto a malapena una chance.

Harry sarebbe stato in grado di trovare un modo, ma io non avevo la sua forza. Così rimasi qui come una codarda, con delle gocce di lacrime che cadevano lungo le mie guance. Sì, avevo una pistola nelle mie mani, ma avevo dei grossi dubbi che sarei riuscita ad usarla.

"Chi sei?" Chiese l'uomo. La sua voce suonò rude e minacciosa persino in queste semplici parole. Era familiare.

Una ruvida mano mi toccò la spalla, ed io trasalii.

"Rispondimi."

Il crudele comando nella sua voce mi fece rispondere.

"Rose," sussurrai debolmente.

Non serviva a nulla rimanere in silenzio, non importava chi fossi, l'uomo aveva già preso la sua decisione. Potevo dirlo dalla sicurezza dietro la sua voce. Qualsiasi cosa stesse pianificando di fare, il mio nome non avrebbe cambiato nulla.

Ridacchiò profondamente, una risata rombante che avevo già sentito prima. Qualcun altro che io conoscevo aveva questa risata. E proprio in quel momento, la sua identità albeggiò su di me.

"Ciao, Rosie."

Norman. Ovviamente doveva essere Norman.

"Sei qui tutta sola?" Rinfacciò. "Dov'è Harry, Rosie? Dov'è il tuo principe azzurro?"

Deglutii. Si avvicinò e riuscii a sentire il suo alito marcio. "Ti avevo detto che ti avrei trovata da sola, lontana da lui."

Riuscivo a sentirlo ora, non sulla mia pelle, ma era abbastanza vicino che mi accaldai per il calore del suo corpo.

"Finalmente, ti ho trovata dove volevo trovarti," disse, il desiderio di mesi e mesi passati a bramarmi riempì le sue parole. Il desiderio cucito dentro di esse mi fece rabbrividire.

"Finalmente posso fare ciò che voglio senza essere interrotto." Le sue dita fredde toccarono il mio collo e sobbalzai. Allontanai la sua mano, ma questo lo innervosì ulteriormente. La sua mano si mosse verso il basso e graffiò la mia clavicola.

"Norman, allontanati da me," comandai con una voce che era probabilmente molto meno presuntuosa di quanto intendevo. Rise soltanto, trovando dell'umorismo nella mia paura.

E decisi che fossi stufa del suo comportamento, ne avevo avuto abbastanza di lui e di tutti gli altri che mi trattavano come un giocattolo. La Signora Hellman, James, ed ora Norman pensavano di poter fare tutto ciò che volevano alla piccola e debole Rose, usandomi come un loro burattino.

Mi schiarii la gola, insieme all'obiettivo di fuggire, e una forza appena trovata riordinò la mia mente quando parlai di nuovo.

"Norman, allontanati da me o ti sparo."

"Cosa?" Domandò, il divertimento ancora evidente nella sua voce.

La sua mano continuò a scendere sul mio petto, alzandomi la parte superiore della mia uniforme. Lo spinsi via con una sola mano, l'altra stringeva il pesante metallo della pistola.

"Cazzo, non sto scherzando Norman. Premerò il grilletto, proprio ora."

"Wow - oh," ridacchiò beffardamente. "Non penso che lo faresti, non è vero piccola? Abbiamo appena iniziato a divertirci."

Le sue mani continuarono a toccarmi e le lacrime scesero più velocemente lungo il mio viso.

"Norman, lo giuro su Dio!" Urlai, dimenandomi sotto la sua potente presa.

Spinsi e spinsi contro il suo petto, ma non si muoveva. Non volevo davvero premere il grilletto, ma mentre la sua grande mano si muoveva lungo il mio seno e l'altra lungo il mio stomaco, non pensai di aver potuto resistere ancora per molto.

"Norman lo farò, cazzo!" Lo avvertii, stringendo e chiudendo gli occhi. Posizionai il mio dito attorno al grilletto.

Tutto ciò che urlò in risposta fu. "Sta' zitta!"

Non volevo ucciderlo, non ero davvero capace di ucciderlo, ma non avrebbe smesso di toccarmi e di stringermi brutalmente, e non si era mosso quando avevo cercato di spingerlo via. Lo dovevo ad Harry, per trovarlo e fuggire. E un ostacolo banale come Norman non ce lo avrebbe impedito.

Non ero un'assassina, e ucciderlo non era qualcosa che avrei fatto. Ma dovevo uscire da qui. Così indietreggiai e chiusi gli occhi, mirandola in basso su qualche parte che non lo avrebbe ucciso, e alla fine premetti il grilletto.

Il rumore mi fece sbattere contro la parete e lo sparo suonò attraverso le mie orecchie con un mix di urla rauche. L'uomo davanti a me cadde a terra, gridando qualcosa di simile a "Cazzo, il mio ginocchio!"

Ma non potevo dirlo con certezza a causa del rumore penetrante nelle mie orecchie. Pompata di adrenalina, spaventata e sorpresa che fossi riuscita davvero a sparare qualcuno, raccolsi le borse ed uscii fuori dalla porta. L'aria più fresca era una sensazione fantastica contro la mia pelle calda. Le guardie sarebbero arrivate in qualsiasi momento dopo aver sentito il colpo di pistola, quindi non avevo il tempo di fermarmi a godere la sensazione. Né avevo un momento libero per soffermarmi a pensare a ciò che avevo appena fatto.

Così, con soli due borse e un rumore assordante nelle mie orecchie, scappai via dall'uomo al quale avevo appena sparato una pallottola.

HARRY'S POV

Ebbi il piacere di rimanere senza la presenza della Signora Hellman per circa dieci minuti interi. In questo dieci minuti, i filamenti della corda bruciarono e si accartocciarono fino a che non ci fu un buco nel posto in cui erano collegate le mie mani. Sentii lo sforzo dei miei polsi sparire, quando finalmente si lacerò insieme ad una raffica di sollievo. Con un sorrisetto che non riuscii a sopprimere, presente sulle mie labbra, mi alzai vittoriosamente dalla mia sedia. C'era voluto solo un po' di sangue e un po' di pazienza, ma mi ero finalmente liberato dalle corde.

Ero sul punto di rimuovere la stoffa dalla mia bocca ma mi fermai. Dovevo prima controllare la porta. Una volta alzatomi, girai la manipola e realizzai ciò che stavo temendo.

Era chiusa a chiave.

Improvvisamente, da qualche parte in lontananza, sentii uno sparo. Un fragoroso, riecheggiante suono nel silenzio tra le pareti. I miei occhi si spalancarono e le mie labbra si strinsero in preoccupazione e timore. Questo non poteva essere. . .

Prima che potessi finire l'orribile pensiero, ci fu lo stesso giramento della maniglia ma dall'altra parte della porta.

Era tornata.

Corsi al mio posto e misi le mani di nuovo dietro la schiena, come un bambino di seconda elementare che non doveva lasciare il suo banco.

Rientrò e chiuse la porta dietro di lei, poggiando le chiavi sulla scrivania.

"Ora Harry," iniziò. "Dov'eravamo rimasti?"

Si girò verso di me e ricambiai lo sguardo in quei freddi, inespressivi occhi, sperando che questa fosse stata l'ultima volta. Non potevo rispondere, lo sapevamo entrambi, ma lo aveva chiesto solo per farmi sembrare uno stupido e per il suo piacere.

"Ah, sì. Mi stavi dicendo come non ci fosse niente che io possa fare a te e alla tua fidanzatina per punirvi. Ma non so cosa ti ha reso così sicuro. Infatti, l'abbiamo appena trovata, ed è stata già punita."

Il colpo di pistola.

Il mio cuore martellò contro il mio petto. "Stai mentendo," dissi attraverso la stoffa.

"No, non è vero," la Signora Hellman scosse la testa, sorridendo compiaciuta.

Che fottuta stronza.

"L'abbiamo presa in una stanza non lontano da qui."

"No," ripetei.

Si avvicinò in quel suo modo malizioso, come un leone che inseguiva la sua preda.

"Invece sì, Harry. Perché tu non mi hai detto quello che volevo sapere, le stanno facendo ciò che ti avevo promesso sarebbe successo."

C'era qualcosa dietro le sue parole che non riuscivo a decifrare, qualcosa di diverso rispetto alla sua solita sicurezza. Stava mentendo, doveva essere così.

Dovevo trovare Rose, e dovevo farlo fottutamente ora per assicurarmi che stesse bene. Non me ne sarei andato senza di lei. Se quel che la Signora Hellman aveva detto fosse vero, stava succedendo ora. Proprio in questo momento.

Così scattai dalla mia sedia. Con un movimento rapido e la tirai contro la parete dietro di me. L'espressione sorpresa e spaventata della Signora Hellman era inestimabile, ma non avevo troppo tempo per fermarmi e divertirmi.

Me ne sarei scappato, ma lei mi avrebbe seguito, cercando di fermarmi o chiamando le guardie per cercarmi, se non avessi fatto qualcosa. Veloce, sii veloce.

Tirai indietro la mano e la strinsi in un pugno. E dopo, proprio come con suo figlio qualche ora prima, lo sganciai sulla sua mascella.

Non ero fiero di ciò, colpire una vecchia signora in quel modo, ma non stavamo parlando di una di quelle nonnine dolci. Dentro di lei, c'era qualcosa di malvagio che proveniva dal profondo dell'inferno. E trovare Rose era l'unica cosa presente nella mia mente al momento, non avevo tempo per le buone maniere.

Corsi verso la porta e la spalancai, uscendo nelle mura oscure del Wickendale senza guardarmi le spalle. Non sapevo come Lori avesse fatto ad occuparsi di tutti quelli che avevano voluto riavere la corrente, ma stava facendo un lavoro dannatamente eccellente, una luce rossa minacciosa e fioca era l'unica cosa che illuminava l'istituto.

Lo sparo era venuto da qui vicino, da qualche corridoio davanti a me e poi a sinistra. Guardai entrambi i lati e dopo corsi con tutta la velocità che riuscii a radunare. Prima che avessi potuto persino sentire la reazione della Signora Hellman. Passai una guardia ignara, passai le entrate di una decina di porte, attraverso la sgradevole oscurità delle silenziose mura. Spinsi il pavimento con una forza enorme e girai per alcuni angoli. Era come nel mio incubo.

L'aria che soffiava tra i miei capelli, la mia velocità che aumentava e aumentava fino a che non sembrava che stessi correndo alla velocità della luce. Ma questa volta non era una carica di adrenalina che fomentava dentro di me. Era un'attesa nauseante, una scarica di energia preoccupante e spaventosa che mi spingeva ad andare sempre più veloce.

L'intera fuga aveva già testato i miei limiti, ma questo momento superò tutti gli altri. I miei limiti del dolore erano stati testati dalle corde, e i miei limiti di velocità stavano venendo testati dalla rapidità dei miei piedi scattanti. Ma i limiti della mia paura erano stati sfidati. Non avevo mai avuto un cuore così martellante, un respiro così instabile, e una paura così rivoltante. E questa paura non aveva ancora raggiunto i suoi limiti.

L'ambiente stava diventando familiare ma questo intensificò solamente l'ondata di panico. Qui, questo era il posto dove ci aveva visti la guardia.

Più veloce.

Qui era dove ero stato messo fuori dai sedativi, tutti gli effetti se n'erano completamente andati ora. Udii i rumori delle guardie dietro di me che non stavano intenzionalmente andando verso la scena dello sparo, ma mi mossi lo stesso ancora più veloce.

E dopo arrivai. La stanza, il ripostiglio dove avevo detto a Rose di nascondersi. Era proprio di fronte a me come lo avevo lasciato. Solo che la porta era aperta senza nessuna traccia di lei. Al suo posto c'era Norman, che si stringeva il suo ginocchio sanguinante. Tra tutte le altre cose, questa era una delle più lontane che mi stessi aspettando.

"Norman," ordinai, la mia voce profonda. "Dove cazzo sta Rose? Cosa è successo?"

"La stronza mi ha sparato al ginocchio, ecco cos'è successo!" Gridò con dolore e rabbia.

Rose aveva sparato Norman?

Questa sì che è la mia ragazza.

L'avrei elogiata dopo, ma trovarla veniva prima di tutto. "Dov'è andata?" Chiesi.

"Come diavolo dovrei saperlo io?"

"In che cazzo di direzione è andata, Norman?!" Urlai, la mia pazienza e il tempo stavano diminuendo.

'Merda," trasalì per il dolore, continuando a stringersi la parte sanguinante. "Da quella parte." La sua voce era sforzata e difficilmente udibile, ma riuscii a vedere chiaramente la sua mano.

Indicò davanti a lui, a sinistra. La mia destra. Fissai il corridoio riempito da un denso silenzio buio.

E poi realizzai che Norman non avrebbe divulgato questa informazione così facilmente dopo essere stato appena sparato. Non con tutta la rabbia che aveva dentro di lui nei confronti miei e di Rose. E non sarei caduto nella sua trappola.

Così ripresi a camminare, andando nella direzione opposta a quella che aveva indicato lui.

E se c'era un Dio in paradiso, pregai a lui che mi stesse dirigendo nella giusta direzione.

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