Capitolo 24

MS. HELLMAN'S POV.

James Robert Hellman era mio padre. Aveva ventitré anni quando mia madre mi diede alla luce, e lei ne aveva venti.

Quando compii sedici anni, mia madre iniziò a comportarsi diversamente; iniziò a dire cose senza senso. Parlava di cose che non esistevano e si dimenticava facilmente eventi importanti. All'inizio fu difficile notarlo; ma peggiorò progressivamente ed io decisi di fuggire di casa. A 17 anni, lasciai un biglietto a mio padre ed andai alla ricerca di qualche altro posto in cui vivere.

Ritornai a casa a diciannove anni, quando mio padre era impegnato con il suo 'progetto'. Non aveva trovato un posto per mia madre, in grado di darle un vero aiuto, così decise di crearne uno. Il Wickendale, istituto mentale per i pazzi criminali. Il suo obiettivo era quello di fornire un posto sicuro per tutti i malati mentali che richiedevano aiuto. Non ho mai scoperto il motivo per cui avesse specificato che si trattasse di un istituto per i criminali.

Dieci anni dopo, morì in un terribile incidente, e mia madre si suicidò subito dopo. Con mio padre morto, venne affidata a me la carica di Direttrice. Amavo il potere e l'autorità del mio lavoro; l'intero istituto era nelle mie mani. Mi sentivo come se avessi dovuto rendere mio padre fiero di me. Per questo motivo, continuavo a dare ordini rigorosi. Divenni gli occhi e le orecchie di questo posto. Conoscevo ogni angolo, ogni paziente, ed ogni dipendente. Mi assicurai che non ci fossero giornalisti, niente visitatori se non famigliari; niente dal mondo esterno, che avrebbe potuto incidere sul mio metodo di lavoro.

Ma al Wickendale, alcune cose erano riuscite a sfuggirmi di mani. Di solito, quelli più discutibili erano i dipendenti incompetenti,  facili da intimidire e spaventare per rimetterli in riga. Ma Rose era un'altra storia. Avevo frustato il suo piccolo ragazzo e l'avevo avvertita delle possibili conseguenze di ogni mossa sbagliata. Ma lei aveva continuato ad investigare, vedendo ancora Harry come una "persona buona", volendo ancora far arrestare James ed esporre il Wickendale per i suoi reati. Per me, era preannunciato un futuro devastante.

Con l'improvviso aumento di giornalisti impazienti e di dipendenti sospetti, sapevo che gli strati protettivi, fissati nelle pareti dell'istituto, stessero venendo sbucciati uno ad uno. E se Rose fosse andata dalla polizia, si sarebbe infranto tutto. Avrebbero scoperto cosa stavamo facendo e sarebbe stato il colpo di grazia; il sogno di mio padre si sarebbe frantumato e sarebbe stata colpa mia.

L'unico modo per evitare che ciò accadesse era tenerla sotto controllo e lontano dai poliziotti, mettendola in istituto. Ero consapevole che questa mossa avesse potuto intensificare i sospetti e rievocato più domande, ma almeno, avrebbe ritardato il giorno tanto temuto; il giorno in cui mio figlio sarebbe stato imprigionato.

Lui era tutto ciò che mi era rimasto. Sin dal giorno della sua nascita avevo capito che ci fosse qualcosa di strano in lui. Non aveva mai combinato nulla di buono, neanche da bambino. I suoi crimini attuali erano terribili, era un serial killer, lo sapevo. Ma non volevo mai affrontare il problema, così invece, lo ignoravo. Naturalmente non perdonavo le sue attività, ma non sarei stata io quella che lo avrebbe gettato in galera. Dovevo tenerlo lontano da lì. Killer o no, una prigione o un manicomio, non erano posti adatti al mio ragazzo.

Ed era per questo che avevo deciso di rinchiudere Rose. Lei era sempre parsa disinserita, distaccata dagli altri dipendenti, soprattutto da quando aveva iniziato a parlare con Harry. Anche le guardie avevano capito che l'immagine di un paziente e di un dipendente insieme non fosse una cosa giusta. Nessuna persona sana di mente si sarebbe innamorata di un uomo psicopatico, che aveva spellato tre donne. Lei era pazza, questa era l'unica spiegazione. Lavorare qui aveva soltanto approfondito la pazzia che già viveva dentro di lei.

Quando le avevo provato a parlarle nel corridoio, mi aveva minacciato. Aveva anche provato a graffiarmi il volto, ma era riuscita soltanto a farmi un graffio. Così pensai fosse meglio rinchiuderla subito; questo era il posto giusto per lei, non aveva senso spedirla da qualche altra parte. Questa ragazza sarebbe rimasta chiusa in questo istituto per molto tempo.

Benvenuta al Wickendale, Rose Winters.

HARRY'S POV.

Inizialmente non provai tristezza, non provai paura, e non provai rabbia. I miei pugni non si strinsero e il battito del mio cuore non era udibile nel mio stato attuale. All'inizio non provai assolutamente nulla.

Forse la scena davanti a me non era ancora scattata, o forse il mio cuore si era fermato del tutto. Ma ero troppo stordito e troppo scioccato per notarlo. Impiegai un po' per elaborare ciò che stavo vedendo, come se l'immagine fosse lì ma non era ancora connessa ad un pensiero coerente. Lei non poteva essere qui, era un'allucinazione, era un sogno. Un terribile incubo come quelli che ossessionavano il mio sonno agitato ogni notte. Mi sarei svegliato presto e lei sarebbe stata ancora nella sua odiosa divisa da infermiera, con i suoi capelli raccolti in uno stretto chignon, seduta al tavolo con un mazzo di carte o col gioco di Clue, come ogni altro giorno.

Sbattei le palpebre e mi girai intorno, chiudendo gli occhi e poi aprendoli di nuovo; ma Rose era rimasta. Lei era lì in piedi con il labbro inferiore tra i denti, la sua mano destra a tenere nervosamente quella sinistra. Con grandi occhi inquieti esaminava la stanza. Lei era spaventata, potevo dirlo. Ricordai di essermi sentito allo stesso modo la prima volta che ero arrivato qui.

Alla fine, i suoi occhi spaventati incontrarono i miei, e si spalancarono come se mi stessero supplicando e dicendo 'aiutami'.

E poi provai qualcosa. La realizzazione mi colpì dritto allo stomaco. La mia gola divenne asciutta e i miei polmoni lottarono per prendere fiato. Il mio stomaco si capovolse, i miei pugni si strinsero, la mia mascella si serrò. La stanza iniziò a vorticare e un'interminabile onda di domande inondò il mio cervello. Lei non sarebbe dovuta essere qui come una paziente. Non poteva esserlo, Rose non era pazza.

Ma lei era qui. Non sapevo quando, non sapevo perché, non sapevo come, e non sapevo cosa fare al riguardo. Ma sapevo che ero spaventato per lei. Non me ne fregava un cazzo che Rose non sarebbe più stata capace di tirarmi fuori da qui o che sarei dovuto stare al Wickendale per sempre. Ciò che mi spaventava era che anche Rose avrebbe dovuto sperimentato gli orrori, ancora nascosti dietro l'angolo di questa struttura. Lei era molto più vulnerabile di me, molto più piccola e molto più ingenua. Non sarebbe sopravvissuta in un luogo del genere.

Insieme alla paura, crebbe anche la rabbia. Cazzo, non avevano il diritto di metterla qui. Non era una criminale e neanche una pazza; lei era pura, innocente. Questo non era giusto per lei; era tutta colpa mia. Se non fosse stato per me, lei non sarebbe stata qui. Ma invece eccola qua, e non c'era niente che io avessi potuto fare. Ma il pensiero di lei come paziente non era ancora definito nella mia mente, e il collegamento tra lei e il Wickendale non era ancora scattato dentro di me.

Mi sentivo ancora come se fosse un'allucinazione, anche se sapevo non lo fosse. Lei sembrava così fuori luogo, come un angelo atterrato nell'inferno. Forse era il contrasto tra lei e il resto della stanza. La sua pelle chiara e i suoi lineamenti delicati spiccavano nel buio, nelle pareti sporche dietro di lei. Era anche molto più pulita rispetto a tutti gli altri, molto più bella. E non sembravo l'unico ad averlo notato. Qualche paziente iniziò a guardare la sorprendente ed attraente ragazza nuova.

Dio, se qualcuno avesse osato toccarla, l'avrei fatto fuori, cazzo. Con ogni persona che esaminava la sua figura, diventavo sempre più nervoso. Lei sedeva lì da sola, sembrava preoccupata e vulnerabile. Chiunque poteva avvicinarsi e stringerle la mano, come avevo fatto io, subito dopo averla conosciuta.

Fanculo, non ne potevo più. Spinsi via il tavolo e mi diressi velocemente da Rose, scivolando nel posto proprio accanto al suo prim, che lo avesse fatto qualcun altro.

"Rose, cosa cazzo ti è successo?" Chiesi prima che lei potesse alzare lo sguardo. "Perché sei qui?"

"Harry," quasi sussurrò. "Non devono vederti che parli con me, non voglio che ti facciano di nuovo del male. La Signora Hellman potrebbe-"

"Non mi frega un cazzo della Signora Hellman. Raccontami cosa è successo."

Si guardò intorno nervosamente, come se fosse spaventata da qualcosa che non io ero in grado di identificare. I suoi occhi erano fissi in un punto lontano.

"Rose," dissi dolcemente. "Rose, guardami." Presi la sua mano da sotto il tavolo, e una volta che la mia pelle toccò la sua, i suoi occhi tornarono finalmente a guardarmi.

Erano di un miscuglio inspiegabile tra il blu e il verde, nessun dei due colori dominava sull'altro. Erano carichi di preoccupazione.

"Andrà tutto bene, te lo prometto. Raccontami soltanto ciò che è successo."

Nonostante la mia rabbia e la mia paura, cercai di rimanere calmo per lei, perché sapevo che lei stesse provando la mia stessa sensazione, soltanto 100 volte peggio. Andare fuori di testa avrebbe soltanto appesantito il suo stress.

"Lori ha visto i lividi sul mio polso provocati da James e mi ha chiesto di parlarne. . .c'eravamo solo noi due nella stanza per cui le ho raccontato tutto e credo che la Signora Hellman abbia origliato. È entrata nella stanza e mi ha chiesto di parlare in privato. Così, siamo uscite fuori nel corridoio e . . .le ho raccontato ciò che è accaduto con James e le ho detto che sarei andata dalla polizia."

"Che cazzo, Rose," sospirai.

"Lo so, lo so. È stato stupido. Ma non pensavo mi avrebbe richiusa in un manicomio!"

Scossi il capo in segno di disapprovazione, concordando con lei. Non solo la Signora Hellman aveva difeso suo figlio dall'aver spellato tre donne, ma si era arrivata a rinchiudere in un manicomio, qualcuno che aveva cercato di andare dalla polizia per una buona causa.

"Merda, ed ora cosa faremo?" Chiesi più a me stesso.

"Non lo so," disse Rose, la sua voce la faceva sembrare quasi sconfitta. "Mi dispiace così tanto Harry. Sono un idiota. Avrei dovuto tirarti fuori di qui e vedi dove sono ora. Non c'è modo che io possa aiutarti, e non è giusto perché tu meriti molto più di questo. . ."

La interruppi quando la sua voce si incrinò e le lacrime iniziarono a riunirsi nei suoi occhi.

"Va tutto bene, non è colpa tua."

Rose annuì, e quando chiuse gli occhi, una lacrima cadde sulla sua guancia. Lei piangeva per qualsiasi cosa, ma nonostante ciò, era una persona molto forte; affrontava le difficoltà ed andava avanti.

"Vieni qui," farfugliai, togliendo la mia mano dalla sua solo per avvolgere le mie braccia intorno al suo piccolo corpo.

Questa volta non ci fu nessuna esitazione mentre si girava e si appoggiava a me, strofinando il suo viso contro il mio petto. Mi guardai intorno e vidi che le guardie non ci stessero prestando molta attenzione, e se lo stavano facendo, non sembrava importarli. Forse, ora che eravamo due pazienti, non sarebbe stato un problema farci vedere assieme.

"Harry?" Chiese lei.

"Sì?"

La sua voce si abbassò, poco più di un sussurro. "Ho paura."

"Non devi. Ti prometto che troveremo un modo fuggire da qui. Ti proteggerò a costo della mia stessa vita, Rose. Ho già perso Emily, non perderò anche te."

Lei non disse nulla, annuì soltanto; conoscendola, stava ancora piangendo.

Dopo un po', ci allontanammo, non volendo attirare l'attenzione delle guardie, ma continuai a tenere la mano di Rose da sotto il tavolo. Notai che Rose non stesse indossando le manette; di solito, nella prima o seconda settimana, i pazienti avevano sempre le manette. Ma Rose non le aveva. Probabilmente perché la Signora Hellman sapeva che fosse innocua, e non voleva sprecarne un paio.

Rose ed io saremmo fuggiti dal Wickendale in un modo o nell'altro, e avremmo gettato il suo culo in galera.

Le porte della mensa si aprirono, riportandomi al presente, non appena una guardia entrò nella stanza. Di solito non ci avrei fatto caso, ma questa guardia era diversa dalle altre.

Non era soltanto una guardia; era James.

E quando andò a mettersi contro al muro ed iniziò a fissare Rose con un sorrisetto, realizzai quanto sarebbe stato difficile proteggerla.

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