Capitolo 8
Alexa
Mi rigiro l'orologio tra le mani, è un modello semplice, liscio e lineare, non ho mai visto qualcosa del genere ma credo che sia fatto d'oro. Mi chiedo come lui faccia a possedere qualcosa di così prezioso.
-Cos'è quello?- la voce di Renee mi allontana dai miei pensieri, il mio sguardo ricade vuoto sul suo corpo, le domande non hanno veramente smesso di ronzarmi per la testa.
-Un orologio- la mia risposta ovvia la fa sbuffare.
-Questo l'avevo notato, intendevo, come hai fatto a procurartelo- non voglio che si intrometta troppo, il discorso potrebbe durare all'infinito.
-È di Ian- sussurro, è inutile anche solo pensare che non farà domande, è il momento di subire uno dei suoi famosi interrogatori, ho provato ad evitarlo per giorni, la mattina non faccio altro che scappare da queste situazioni. Ogni volta che lei tornava in stanza automaticamente fingevo di dormire, non mi facevo trovare in giro per i corridoi che maggiormente frequentava e nelle ore di palestra in comune cercavo il più possibile di mimetizzarmi con la folla; mi sono imbottita di paranoie ed ansie inutili solo perché non ho proprio voglia di parlare di questa situazione, non fin quando non avrò le idee chiare. Sto custodendo i miei sentimenti con attenzione, sono la cosa più preziosa che ho.
-Ian? intendi il ragazzo su cui ti ho trovata a cavalcioni qualche sera fa?- chiede con un sorriso vittorioso, finalmente è riuscita a trattare l'argomento che tanto l'ha assillata in questi giorni. Annuisco tenendo lo sguardo fisso sull'oggetto, sono in trappola.
-Sai che cosa dicono tutti di te?- il suo tono si tinge di una sfumatura seria, un particolare che difficilmente sono solita a cogliere dalle sue labbra.
-Le solite cose immagino- d'istinto sollevo le sopracciglia, non capisco dove voglia andare a parare, pensavo fosse solo curiosa riguardo alla mia ipotetica relazione sentimentale. Si siede sul mio letto, segno che pretende di essere guardata in faccia questa volta; credo di poter sostenere il suo sguardo, sono abbastanza determinata a concludere il discorso alla svelta.
-Alexa, è un casino, ti stai mettendo nei guai- mi sorprendo a vederla preoccupata, Renee al massimo riesce a turbarsi se non trova i suoi vestiti o se il ragazzo a cui fa il filo non la guarda, ma adesso è davvero seria.
-Non sto facendo nulla, tranquilla- stranamente mi sento in dovere di rassicurarla, come se fosse necessario, non ho intenzione di peggiorare la mia situazione, non volontariamente.
-Vorrei solo farti capire che lui non è la persona giusta per te- getta le parole tra noi due in fretta, come se non vedesse l'ora di togliersi questo peso per scaricarlo invece su di me.
-Lui non è la persona giusta per me o io non sono la persona giusta per lui?- mi sistemo meglio, rizzando la schiena, pronta a scattare via, ho sopportato abbastanza per oggi.
-Che differenza fa?- borbotta innervosendosi, non capisce perché io mi stia scaldando, avrei dovuto comprendere quello che intendeva senza tutte queste storie, ed ho compreso, davvero.
-Io non sono al suo livello, è questo quello che intendevi. Io non sono abbastanza bella, non ho un talento, una reputazione, una cerchia di amicizie, non varrei nemmeno il suo sguardo, è questo che volevi dire?- stringo i pugni per cercare di restare ferma e non correre via urlando, mi scoppia già la testa.
-Andiamo Alexa, non sminuirti, non ti stavo dicendo questo- indietreggia, non è più così convinta di continuare la discussione; pianto il mio sguardo nei suoi occhi, adesso è lei quella che non riesce a reggerlo. La sto sfidando a mentirmi, a ritirare tutto quello che ha detto compresi i significati sottointesi.
-Siete diversi, ecco tutto- abbassa la testa e si gratta il braccio destro per i nervosismo, dovrei essere io quella nervosa tra noi due.
-Perché tu lo conosci così bene, vero? Pensavo che uscissi solo con il compagno di stanza- avrei potuto dire qualche parola in più per ferirla, ma probabilmente me ne sarei pentita dopo alcune ore, nonostante adesso io non riesca nemmeno a pensare all'eventualità di perdonarla.
-Nemmeno tu lo conosci, ci sei andata a letto solo qualche volta!- all'improvviso la mia rabbia si spegne come se fosse stata inondata da una cascata d'acqua, il momento critico è finito, sono innocua adesso. Ho capito che lei crede alle voci, non ha senso nemmeno continuare a parlarle.
-Se proprio ti interessa, non abbiamo fatto sesso- mi alzo con calma, rimanere o andare via è la stessa cosa ormai.
-E poi ti chiedi perché non ti racconto mai nulla- sussurro squadrandola prima di arrivare davanti alla porta. Come posso fidarmi di lei se non riesce nemmeno a parlarmi senza mettere in mezzo qualche pregiudizio?
-Dove stai andando?- la sua voce inclinata si propaga per tutta la stanza, sa che non potrà trattenermi, ha giocato male le sue carte.
-Mi vedo con Ian, mi raccomando, spargi la voce- questo era decisamente per ferirla.
Esco in corridoio quasi in cerca di ossigeno, felice di essermi lasciata alle spalle l'uragano Renee. Ho bisogno di riprendermi, non voglio vedere Ian in questo stato, la mia espressione deve essere distrutta, rimasta a brandelli.
Non ho molti posti in cui andare, mi rimane solo di trascinarmi fino alla palestra, nella speranza che il ragazzo non arrivi poi così presto. Come avevo previsto, il grande locale è vuoto e silenzioso, i miei passi rimbombano, si scontrano e tornano indietro fino alle mie orecchie. Appoggio la schiena su una pila di materassini blu, accatastati in un angolo, un punto perfetto dove nascondersi.
Il mio lungo sospiro sembra avvolgere perfino un ambiente così ampio, contaminando tutto quello che mi sta intorno. L'orologio è pesante per un polso stretto e gracile come il mio, il suo colore brillante tende a risaltare indossato da me, un'anima chiara e leggera, sembra quasi la mia catena, quello che mi tiene ancorata al pavimento. Dal tono che Ian ha usato non sembrava volerlo tenere, ho un bel numero di domande da porgli.
-Vedo che la trovata dell'orologio ha funzionato- commenta il nuovo arrivato mentre si avvicina con cautela, senza troppa fretta. Appare sempre così sicuro di sé, il suo atteggiamento non mostra nessun difetto, ma è impossibile che non ne abbia.
Lo sgancio velocemente e glielo porgo, nonostante mi fossi quasi abituata alla superficie fredda a contatto con la mia pelle, so che non è mai stato mio. Solleva un angolo delle labbra rivolgendomi uno sguardo che non riesco ad interpretare, tutti i suoi pensieri sembrano blindati.
-Facciamo un gioco, se vinci potrai tenerlo- aggrotto le sopracciglia, è un oggetto prezioso, perché lo vuole dare via così?
Cerco di ribattere, protestare o qualcosa del genere, ma la mia mente ha già deciso di accettare la sfida, detesta tirarsi indietro ed è affascinata dalla posta in gioco. Scrollo le spalle e mi alzo in piedi ad un passo da lui, la sua prestanza mi fa sembrare più piccola.
-In cosa consiste il gioco?- ho l'impressione di aver già iniziato la partita a mia insaputa, solo che non so come vincerla. Da quando ci siamo incontrati sono stata sballottata da una sensazione all'altra senza fare nemmeno una pausa, ho perso il controllo della mia vita.
-Devi riuscire ad atterrarmi in qualsiasi modo, io cado e tu vinci- si allontana durante la breve spiegazione per prendere due bastoni di legno. Appena me ne porge uno, con l'altro cerca di colpirmi, il mio braccio scatta istantaneamente in difesa, non ho avuto neppure il tempo di realizzare la situazione. Immagino che non ci sarà un fischio di inizio o un segnale, la sfida è già partita.
-Non sono male i tuoi riflessi- commenta senza abbassare l'arma, la punta contro di me con decisione, sicuro di non perdersi nessuna mia mossa. Una parte di me sa che perderò, è decisamente più forte ed allenato di me, senza contare la sua ottima capacità di leggere le persone, mi ha proposto un gioco che riuscirebbe a vincere con gli occhi chiusi. Ancora una volta mi ritrovo a chiedermi dove voglia arrivare, qual è il motivo che lo anima e che ruolo ho io in tutto questo.
Questa volta lo strumento si infrange contro le mie nocche, la botta è così dolorosa che rischia di farmi mollare la presa, non ha intenzione di andarci piano. Invece che lamentarmi per il dolore, un sorriso riaffiora sulle mie labbra, non è più importante l'esito della sfida adesso. Mi vede come una sua pari, non è disposto a lasciarmi vincere facilmente.
-Concentrati, cerca di attaccarmi- si è auto-assunto il ruolo di istruttore più che di avversario, ma la partita è ancora in corso.
È impossibile carpire qualche informazione dai suoi movimenti, sono fluidi e sicuri ma non trasudano nessuna caratteristica particolare o un punto debole, ammesso che ne abbia.
Mi ritrovo a parare altri colpi con velocità sempre maggiore, rischio di perdere l'equilibrio durante ogni suo attacco serrato, sta testando la mia resistenza. Ogni mia mossa che tenta di atterrarlo viene abilmente neutralizzata senza consumargli troppa attenzione, ha il controllo di ogni cosa.
È impossibile che non ci sia una falla nel suo sistema, devo riuscire a notare quei piccoli dettagli che si sono mimetizzati abilmente. Resisto cercando di studiare la situazione, spero in elementi ricorrenti o particolari, la sua strategia deve crollare.
Destra.
Non so perché, ma questa volta colpirà a destra. Non ha uno schema preciso, non uno che io sia riuscita a codificare, ma la mia mente è sicura che mi colpirà a destra. Decido di fidarmi del mio nuovo istinto parando senza prestare troppa attenzione, tutta la mia concentrazione confluisce sul lato scoperto del suo corpo. Non ci rimugino troppo prima di piantargli la punta del bastone nel fianco, azione che non sembra ferirlo particolarmente, ma è necessaria per sposare di poco la sua attenzione verso il punto colpito. Mi sono aperta una breccia e non posso tirarmi indietro, non voglio farlo, è la mia unica speranza di vittoria.
Continuo ad attaccare puntando sui piedi, nella speranza di riuscire a farlo cadere, ma sembra ancora stabile nonostante sia stato preso alla sprovvista. Accelero le mosse fino a quando non mi fanno male le braccia ed anche dopo aver avvertito la stanchezza non smetto, manca poco, lo sento. Proprio come sentivo che avrebbe puntato il mio lato destro, adesso ho la certezza che verrò premiata per lo sforzo. Un colpo ben assestato lo fa barcollare, invece che cercare di stabilizzarsi come fa sempre, mi afferra per il braccio e mi trascina giù con lui. Entrambi siamo a terra, feriti dalle numerose botte che iniziano a farsi sentire solo adesso. Avrebbe potuto continuare, tirarla per le lunghe e non cadere, invece si è limitato a far affondare anche me. Mi sbagliavo quando pensavo che le sue mosse fossero sterili, quest'ultima rivela molto più di quanto mi aspettassi da un semplice movimento del corpo.
-Hai vinto, non importa se sei caduta anche tu, la condizione riguardava solo me- sa sempre che cosa gli altri stanno per chiedergli e non ha problemi a farlo notare, mi fa sentire così prevedibile. Quando torno ad avvertire l'orologio sul palmo sento un brivido nel pensare che adesso sarà per sempre mio, non sono sicura di volergli strappare qualcosa di così prezioso. Ma il suo sguardo è quasi sollevato, come se non vedesse l'ora di sbarazzarsene.
-Sai che adesso mi devi pure la sua storia, vero?- lo aggancio in fretta intorno al mio polso, so che in pochi giorni diventerà parte integrante della mia pelle.
-Non ti devo nulla, Evans- mormora ridendo, questa sua abitudine di usare il mio cognome in maniera scherzosa, al contrario di tutte le abitudini della Base che dispregiano l'uso tra coetanei, mi piace. È come se fosse una cosa solo nostra che ci lega in una maniera che nessun altro può comprendere.
Ian nota che sto aspettando che lui inizi a raccontare e sono determinata a non lasciar cadere il discorso. Mi rivolge un'occhiata che non riesco a decifrare, ma poi apre la bocca.
-Nessuno ha oggetti personali qui, eppure hanno lasciato che tenessi quest'orologio, credo che i miei genitori volessero che io avessi qualcosa da associare con la loro immagine- il suo tono di voce non è emozionato o malinconico, solo distaccato, non potevo aspettarmi che si aprisse con me.
-Peccato che non è servito, mi hanno mollato troppo presto perché io possa ricordarmi di loro- la verità colpisce all'improvviso, proprio nello stomaco; non è freddo a causa mia, ma lui stesso non prova interesse per le sue origini. Ha accettato la loro assenza ed ha capito di non averne bisogno. Il suo è un distacco sia mentale che fisico, consegnandomi l'orologio può finalmente lasciarsi tutto alle spalle. Sto per rifiutare, sono pronta a sganciarlo per ridarlo al suo legittimo padrone, però lui mi anticipa.
-Te l'avrei dato lo stesso- all'improvviso dimentico tutto quello che stavo facendo, osservando il silenzio creatosi. Scoppio a ridere senza riuscire a trattenermi o controllarmi, questa mia reazione mette sottosopra tutto il mio corpo, scuotendolo con forza fino quasi a farmi male.
-intendevo l'orologio- ma nemmeno lui si sta ascoltando più, le risate non sembrano abbandonarci. Sento di star scoprendo un nuovo lato del suo carattere, quella parte che sembra impossibile da raggiungere, ma in realtà continua ad attirarmi a sé come una calamita e non so se lasciarmi trascinare. Renee pensa che dovrei allontanarmi, che non dovrebbe stare con me; la verità è che percepisco pure io queste sensazioni. Ho paura di ferirmi con quello che nasconde, tutti abbiamo dei segreti, ma Ian sembra celarne mille.
-Tutto bene?- mi accorgo di essermi incantata, chissà quanto tempo sono stata a fissare un punto nel vuoto. Annuisco rivolgendogli uno sguardo, non voglio scappare da lui.
-Sì, stavo solo pensando alla discussione che ho avuto poco prima di venire qui- scrollo le spalle, vorrei solo non pensarci più.
-Riguardo cosa, se posso chiedere- accenna un sorriso, ho l'impressione che lui lo sappia, o meglio, l'abbia intuito.
-Te. La mia compagna di stanza detesta l'idea che noi...- mi fermo, noi cosa? Io e lui non stiamo insieme, non ci conosciamo nemmeno così bene.
-Che noi...- sobbalzo, questa parola pronunciata da lui ha tutt'un altro tono, si avvicina lentamente a me sfiorandomi la coscia con la mano. Sono seduta e appoggiata contro la pila di materassini, eppure le mie gambe tremano come se fossero stanche di sorreggermi.
-Stai cercando di sedurmi, Mitchell?- la mia voce esce flebile, ma non intimidita dalla sua vicinanza.
-L'ho già fatto, Evans- le sue labbra si curvano in un sorriso, sto iniziando a riconoscere quelli sinceri da quelli falsi, sebbene siano entrambi davvero simili.
Non so chi dei due si sia spinto verso l'altro per un bacio, in questo momento ho un superficiale controllo del mio corpo, sono troppo occupata a sentire ed a imprimere nella memoria ogni tratto che sfioro con le mani. È troppo tardi per allontanarmi da lui, ormai sono disposta a correre questo rischio.
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