Capitolo 27 - Look in the Mirror, O Shadow
Zoàr aprì gli occhi.
Istintivamente portò una mano al fianco, afferrando l'elsa della propria falce ancora nel fodero, vedendo che non si trovava affatto nella sala di addestramento del palazzo reale.
Si guardò intorno con le sopracciglia aggrottate, non riconoscendo il posto in cui si ritrovava.
Era come essere chiusi in una scatola. Era chiaramente uno spazio finito, ma di cui lui non riusciva a percepire i confini. Anche la luce era strana; tutto ciò che aveva attorno sembrava come avvolto nel buio, ma il suo corpo era chiaramente illuminato da una fonte di luce.
Guardando meglio il proprio braccio, si rese conto che il suo aspetto non era nemmeno cambiato. Forse la Megaevoluzione non aveva avuto effetto e lui aveva fallito la prima prova?
Tutta quella situazione non gli piaceva. Era claustrofobica.
"Sommo Eroan!" chiamò, mollando il manico del khopesh in ossidiana e portando le mani lungo i fianchi, cercando la sagoma del Gallade da qualche parte, senza successo. "Sommo Azza, Divino Khiraal? C'è qualcuno?!"
Rimase in silenzio per svariati secondi, ma nemmeno la voce del suo eco tornò a lui.
Sibilando un'imprecazione a becco stretto Zoàr iniziò a camminare in avanti, totalmente alla cieca. E pensare che lui al buio ci vedeva bene, anche se quella situazione era completamente diversa. Non era propriamente buio. Era come una nebbia scura che avvolgeva ogni cosa e la offuscava.
Allungò il passo, iniziando a sentirsi un po' in ansia. Dov'erano finiti tutti quanti, lui non lo sapeva. Ma doveva trovarli, altrimenti si sarebbe decisamente messa male. In un posto sconosciuto, senza alcuna faccia familiare attorno.
Si fermò quando, ovattati, giunsero a lui dei suoni. Alzò il mento e scrutò quell'infinito e invisibile cielo che aveva sopra alla testa, cercando di capire da dove provenissero.
Erano voci. Sì, indubbiamente. Ma così deboli che non riusciva a capire a chi appartenessero.
"HEY!" gridò, cercando di farsi sentire, portandosi le mani ai lati del becco per amplificare il suono della propria voce. "C'È QUALCUNO?!"
- - -
"Hey? Pronto?"
Eroan sventolò la mano davanti alla faccia di Zoàr, senza ottenere alcuna reazione. Il Pokémon Megaevoluto non seguì nemmeno la sua mano con lo sguardo, segno che del mondo esterno non gliene fregava assolutamente un fico secco.
Il Gallade si portò una mano al mento.
"Be', questo è strano."
"Strano? In che senso strano?!" sbottò Azza accanto a lui; lo Zoroark aveva iniziato a sudare, ed era visibilmente nel panico. Lo si poteva vedere chiaramente dalle rughe sulla sua fronte provocate dell'innalzamento delle sopracciglia. "Dimmi che non è finito come Evindal, ti prego!"
"Eh? No, ma- Azza, per l'amor di Khiraal, stai tranquillo!" ribatté il Pokémon Lama. "Non sta dando di matto come ha fatto Evindal! Semplicemente... pare non rendersi conto che siamo qui."
In effetti era un bel grattacapo, ma quella situazione non era minimamente comparabile a quella dell'Absol, quindi il Sacerdote non vedeva il perché di tanta preoccupazione.
Il Blaziken pareva sano, e soprattutto era tranquillo. Probabilmente la sua mente e il suo corpo erano semplicemente sotto il completo controllo di Khiraal.
Per questo Eroan decise di riferirsi direttamente a lui. Il piccoletto alzò lo sguardo su di lui, battendo gli occhioni rossi da Riolu, in attesa della domanda.
"Tu senti qualcosa di insolito?"
"No, Zoy è ok." disse semplicemente il bambino, sollevando un pollice della zampetta destra.
"Perfetto. Vedi, Azza? È tutto a posto." sottolineò il Gallade, un po' tranquillizzato a sua volta dalle parole di Khiraal, voltandosi verso lo Zoroark. Quest'ultimo stava osservando con apprensione il mercenario, ogni tanto tirandogli un braccio nella speranza di cogliere la sua attenzione. "Zoàr sta bene. Non preoccuparti. Probabilmente, al momento è cosciente nella sua testa. Succede molto spesso, specialmente in Megaevoluzione. Anche a me."
"...Che cosa vuol dire?"
"Vuol dire che, semplicemente, è nella sua stessa immaginazione." spiegò Eroan. "La stessa, ad esempio, che Morfeus vede quando legge la verità negli occhi di qualcuno. Probabilmente presto interagirà col suo nucleo della mente. Sta bene, non preoccuparti. È possibile che stia rivivendo qualche bel ricordo, al momento."
"Mh..." mormorò il Mutevolpe, facendo un passetto indietro. A quel gesto, Eroan batté le mani e indietreggiò di un paio di passi.
"Allora! Vogliamo fare un po' di pratica di combattimento, Khiraal?" esclamò, entusiasta, portandosi le mani congiunte sotto al mento e lanciando un'occhiata al piccolo dio, che fece un sorrisone a denti scoperti mentre si rimboccava le maniche rosse della tunica pesante che indossava.
"Okay!"
Eroan si allontanò di diversi metri da Zoàr, mettendosi dirimpetto a lui e sollevando le spalle per sgranchirle.
"Quando vuoi, Khiraal!" annunciò, probabilmente più eccitato lui di quanto non lo fosse il piccoletto. Combattere contro una Megaevoluzione non capitava ogni giorno, e sicuramente era un modo ottimo per migliorare nella lotta e per studiare le capacità di Zoàr.
Il Riolu sollevò una mano in aria.
"Zoy, in guardia!"
Il Blaziken melanico portò gli avambracci davanti al volto, sollevando un ginocchio al petto e restando in equilibrio sulla gamba rimanente.
Appena Khiraal indicò con la mano Eroan, quest'ultimo poté giurare di aver visto un alone rosso brillante formarsi attorno all'iride azzurra degli occhi di Zoàr. Era come essere puntati da un mirino.
"Attacca!"
Eroan batté le palpebre, e si ritrovò il becco di Zoàr a qualche centimetro dal volto.
Il Blaziken gli tirò un cazzotto in pieno addome, poco sotto al diaframma, ed estendendo il braccio spedì il Gallade con un volo in linea retta dritto addosso al muro alle sue spalle.
L'impatto fu talmente potente da spaccare delle crepe negli spessi mattoni in granito della parete, e lasciò Eroan stordito per diversi secondi. Solo quando cadde per terra parve riprendersi, scrollando la testa.
Ogni muscolo nel corpo gli faceva un male boia, e non si sentiva più l'area colpita dal pugno.
"Eroan! Stai bene?!" gridò Azza dall'altra parte del campo di combattimento, correndo verso di lui il più velocemente possibile intanto che il Gallade si rialzava, tenendosi l'addome con una mano.
Parte della sua tunica bianco neve, attorno al punto colpito, era stata ridotta in cenere. I bordi carbonizzati di essa stavano ancora sfrigolando, emettendo una leggerissima luce arancione nei punti ancora ardenti.
Quando Eroan tornò a respirare, dalla sua bocca colò un rivoletto di sangue sul terreno.
Alzò lo sguardo, con il più grande sorriso che avesse mai fatto stampato in faccia.
"È- cough, È STATO FANTASTICO!" esclamò, ancora piegato in due per il dolore atroce, facendo preoccupare Azza e non poco. "RIFACCIAMOLO!"
- - -
Tutta questa situazione sta diventando frustrante.
Zoàr stava probabilmente camminando da qualche minuto, ma come in un sogno gli pareva che fossero passate già diverse ore da quando aveva mosso il primo passo in quel posto.
Il silenzio era così devastante e ovattato che poteva sentire soltanto il rumore dei suoi passi e il frusciare delle proprie piume. Poco più sotto il respiro e il battito cardiaco, e ancora più sottile e nascosto lo scorrere del proprio sangue.
Non gli era mai piaciuto stare da solo, eppure eccolo lì.
Però, in qualche modo, era sicuro che non fosse solo in quel luogo. Di presenza sentiva soltanto la propria, ma aveva come un vago sentore che il suo istinto si sbagliasse. Si guardava attorno, attento e scrupoloso, per individuare qualsiasi ombra fosse lì con lui.
Con la mano teneva l'elsa della sua spada, appesa fedelmente al suo fianco sinistro, la quale era sempre in attesa di essere sfoderata in qualsiasi istante per difendere il suo padrone.
Zoàr non si fidava assolutamente di quel posto e non riusciva a starsene rilassato, nonostante di ostilità non ne percepisse e non avesse un vero motivo per essere tanto preoccupato com'era in quel momento.
Forse era lui che si stava facendo troppe paranoie. Come al solito, d'altra parte. Sospirò, decidendo di lasciare il khopesh e smettere di camminare, capendo che sarebbe stato tutto abbastanza inutile.
Quel posto era strano, molto strano, e non gli piaceva affatto.
Si mise a braccia conserte e si sedette a terra, incrociando le gambe e mettendosi in attesa. Di cosa, esattamente, nemmeno lui lo sapeva. Ma sicuramente aspettare era meglio che proseguire alla cieca e senza un criterio.
Prima o poi qualcosa sarebbe successo, doveva solo avere pazienza. Forse esplorare quel luogo freddo e buio non era la migliore delle idee.
Zoàr arruffò istantaneamente tutte le piume del corpo quando qualcosa di piccolo e morbido gli si appoggiò su una coscia, pigolando. Subito girò la testa di scatto, senza però la reattività di tirarsi in piedi.
Adagiato con la testolina alla sua gamba scura c'era un piccolo Torchic, che lo fissava con dei grandi e sorridenti occhi azzurri dal basso verso l'alto. Forse per la scarsa illuminazione o per altri motivi, il piumino soffice del piccoletto aveva la stessa tonalità nera e cupa delle penne di Zoàr su cui si era poggiato.
Il Blaziken rilassò le spalle, ricordandosi di ricominciare a respirare e guardando quel marmocchietto con un sopracciglio inarcato. E lui che temeva fosse un nemico.
"Be'? Che vuoi?"
L'altro rispose semplicemente con un piccolo cinguettio, continuando a guardarlo con quei suoi occhioni da pulcino. Zoàr mosse un braccio e si trascinò lontano dal Torchic, ma lui non demordette e tornò ad appoggiarsi alla sua gamba.
Il Pokémon Vampe sollevò lo sguardo al cielo.
"Non hai niente di meglio da fare?"
Il Torchic scosse la testa, e il Blaziken sbuffò.
"Senti, non ho tempo da perdere con te. Vai via."
Al contrario delle sue aspettative, il pulcino non parve assolutamente capire cosa Zoàr voleva che lui facesse. Anzi, il piccolino si arrampicò sulla sua gamba e gli si accoccolò in grembo, cosa che il più grande non parve apprezzare.
Arraffò e sollevò il pulcino con entrambe le mani, seppur con una certa delicatezza, e lo appoggiò di lato.
"Vattene."
Il Torchic rialzò lo sguardo su di lui, assumendo un'espressione che tradiva decisamente tutta la sua ira funesta, forse eccessiva per uno della sua taglia.
Determinato a ottenere il suo posto gli saltò ancora addosso, atterrando goffamente nello stesso identico posto di prima e aggrappandosi con le unghiette delle zampe posteriori alle piume delle caviglie del Blaziken, il quale sollevò le braccia.
"Sei una maledetta testa dura."
"Pi."
"Sì, sì, pio un cazzo." brontolò Zoàr, decisamente spazientito, incrociando le braccia al petto e stavolta rinunciando a muovere il Torchic dal suo posto. In fondo sarebbe tornato, quindi tanto valeva tenerselo in grembo per farlo stare tranquillo almeno un po'.
Non sapeva nemmeno parlare, dato che probabilmente era ancora troppo piccolo per farlo, e quella era decisamente una palla al piede.
Abbassò lo sguardo sul Torchic, il quale si era accomodato tra le sue gambe come un re sul trono, e aveva socchiuso gli occhi. Zoàr aggrottò le sopracciglia nel vedere che anche le radici delle sue piume e la sua pelle erano nero pece. Non c'era alcun dubbio, erano entrambi melanici.
Un'occorrenza piuttosto sfortunata. Povero piccolo, la sua vita doveva essere un vero e proprio inferno.
Il Blaziken aveva però delle priorità, che non erano preoccuparsi del tipo Fuoco.
Zoàr alzò la testa non appena attorno a lui rimbombarono tenui altre voci, e allora sollevò un ginocchio istantaneamente scattando in piedi come una molla, facendo cadere il Torchic a terra e riportandolo di colpo alla realtà. Ancora una volta, le voci erano troppo deboli per essere identificate.
Sbraitando come un ossesso il Torchic nero si rimise in piedi, solo per vedere che Zoàr era già andato avanti. Il Blaziken non aveva tempo per stargli dietro e non lo avrebbe fatto, e perciò corse via a gambe tese, percorrendo quelli che gli parevano almeno cinque metri con una falcata sola.
Questo posto è un fottuto inferno! Ci sarà un'uscita!
Zoàr alzò il mento, cercando di sentire ancora le voci che stava seguendo. Sperava onestamente che fossero quelle di Azza ed Eroan, anche se non ci contava troppo. A ogni passo che faceva, aveva la sensazione di non andare da nessuna parte.
Finalmente, intravide qualcosa davanti a sé.
Una sagoma in avvicinamento, di corsa, proprio davanti ai suoi occhi.
Cosa diav-?!
La distanza si accorciò in pochi istanti, e Zoàr non poté fare altro che piantare gli artigli in terra per provare a fermarsi in tempo, sollevando una gamba come eventuale protezione.
Andò a sbattere con il fianco contro una superficie liscia e fredda, che rimbombò di un rumore cristallino non appena il Blaziken ci si schiantò sopra. Il colpo fu abbastanza forte da far indietreggiare nuovamente il Pokémon nero, che allargò le braccia, stordito dall'impatto.
Appena alzò gli occhi vide il proprio riflesso, il quale ricambiava il suo sguardo confuso con la sua stessa identica espressione.
Era andato a sbattere contro un immenso specchio. Largo circa un metro, abbastanza da poter cingere con le braccia, ma alto fino a scomparire in quella nebbia scura che copriva il cielo.
Che allocco, Zoàr aveva scambiato il proprio riflesso per un altro Pokémon.
"Sono un fottuto idiota." brontolò, decisamente imbarazzato dai fatti appena accaduti, ringraziando il cielo che non ci fosse nessuno a guardarlo in quel momento.
Appoggiò le mani allo specchio e si chinò in avanti, portando la fronte alla lastra fredda e dandoci una leggera testata.
Voleva andarsene da quel posto. Ma non sapeva come fare. Tirò indietro il capo, e tirò un'altra testata al vetro.
Thonk.
Non sapeva nemmeno dove fosse. Il brusio delle voci non si era fermato, anzi, gli ronzava nelle orecchie come se provenisse dall'interno della propria testa e non da fuori.
Tirò un'altra capocciata.
Thonk.
Tutta quella situazione era dannatamente surreale. Voleva semplicemente tornare a casa.
A casa.
Spalancò gli occhi quando notò che il riflesso nello specchio stava cambiando. Un alone giallastro si sollevò dalla base della lastra, elevandosi e trasformandosi gradualmente in steli ondulati.
Zoàr rialzò la testa, e nello specchio intravide il proprio riflesso immerso in un campo di grano dalle spighe ondeggianti, colpite oblique dalla luce arancione del tramonto.
Era come se fosse uno scenario totalmente differente, eppure il suo riflesso rimaneva fermo, imitando ogni suo movimento.
Il Blaziken si guardò alle spalle, ma dalla sua parte il terreno era nero e ancora ricoperto da quel fitto velo di foschia nera e viscosa. Tornò a guardare in avanti assottigliando gli occhi come delle fessure, confuso.
In mezzo al grano stava chinata una figura grigio-bluastra, che inizialmente scambiò per una roccia.
Fu solo quando questa si elevò dal livello del suolo che Zoàr capì quanto si fosse sbagliato. Il cuore gli affondò nel petto e una sensazione agrodolce gli montò in gola, mozzandogli il fiato per dei secondi interminabili.
In piedi in mezzo al grano estivo stava un imponente Machamp, impegnato a mietere le spighe con una falce e a mettersele in spalla. Ne aveva già un mucchio bello pieno, tenuto da una delle due braccia superiori.
Sul suo petto era stata tatuata una scena di mitologia molto nota e amata: la plasmazione del mondo. Sul pettorale destro Groudon, intento a sputare lingue di fiamme come un vulcano; sul sinistro invece Kyogre, che a pinne alte evocava piogge e tempeste.
Poco sopra le clavicole, il delta capovolto in discesa come una meteora, simbolo di Rayquaza.
Anche senza quel tatuaggio decisamente vistoso, la vista di quel Pokémon per Zoàr era inconfondibile.
Esalò il poco fiato che aveva nei polmoni, spalancando gli occhi, incredulo e al contempo felice da morire a quella sola vista.
"Damos...?"
Appena sussurrato quel semplice nome, il Machamp si voltò verso di lui. Quando i loro sguardi si incrociarono il Pokémon Megaforza fece un enorme sorrisone gioviale e sereno, chiudendo gli occhi.
Sollevò una delle mani libere, salutando con un ampio gesto. Sicuramente disse qualcosa e anche a voce molto alta, ma Zoàr non riuscì affatto a sentirlo con chiarezza.
"Aspetta, arrivo!" gridò il mercenario, sollevando un avambraccio e serrando le dita.
Il Blaziken tirò un pugno allo specchio, con tutta l'intenzione di frantumarlo per andare dall'altra parte, o per vedere se riuscisse in qualche modo ad attraversarlo.
Appena vibrò il primo colpo la lastra ebbe uno scossone.
Come le onde che si espandono quando si tira un sasso nella placida acqua di un lago, anche l'immagine nello specchio iniziò a tremolare, svanendo poco a poco. Il volto sorridente del Machamp divenne nuovamente trasparente, e presto l'unica cosa che Zoàr riuscì a vedere fu il proprio riflesso.
Il Fuoco/Lotta indietreggiò di un passo, a pugni serrati e senza nemmeno respirare.
"Merda." sputò, portandosi una mano alla fronte. "Era un'allucinazione? Sto dando di matto."
"Pi!"
Zoàr abbassò la testa nel sentire il pigolio del Torchic di prima, il quale correndo gli si affiancò nuovamente a una gamba. Il poveretto aveva il fiato corto, avendo percorso tutto quel distacco al massimo della velocità che le sue zampette gli potessero concedere.
Il pulcino alzò la testa e si mise a rimproverare il Blaziken, agitandosi e gridando con una serie di cinguettii, arruffando le piume per lo sdegno.
"Cos'è questo posto?" lo interruppe il sicario, e fu solo allora che il piccoletto si azzittì.
Si limitò a fissarlo con gli occhioni blu spalancati. Zoàr aggrottò le sopracciglia.
"Mi hai sentito. Questo non è un posto terreno, e penso proprio che tu viva qui. Dove diavolo siamo?"
Il Torchic melanico emise un suono acuto ma sottile, abbassando la testolina e raspando il terreno con una delle zampette. Zoàr stranamente non si spazientì, e anzi indicò con una mano lo specchio che aveva di fianco.
"Quello era un mio ricordo." gli disse, e il pulcino finalmente si degnò di annuire, anche se lentamente. "Quel Machamp è Damos. Lo conosci?"
L'altro annuì ancora.
"Come fai a conoscerlo?" replicò Zoàr, aggrottando le sopracciglia. Non ci vedeva chiaro in quella situazione, e un sospetto iniziava a crescergli sempre di più nella mente. "Chi sei tu?"
Il Torchic risollevò la testolina, guardandolo senza più dire un verso. Quello scambio di sguardi durò per diversi secondi, forse anche minuti tanto era intenso.
Il Blaziken rilassò le spalle e ogni muscolo del corpo per la prima volta dopo moltissimo tempo.
Ma certo. Due Pokémon melanici nella stessa area erano decisamente rari, specialmente della stessa linea evolutiva.
La risposta era tanto semplice quanto apparentemente paranormale.
"Tu sei me."
Il Torchic annuì, sollevando i lati del beccuccio come se stesse sorridendo. Gli occhi gli risero, ma Zoàr distolse lo sguardo da lui.
"Quindi questo posto non è reale, ed è tutto nella mia testa. Capisco."
No, in realtà non ci stava capendo niente. Se era davvero nella propria mente, voleva dire che il suo corpo non era in grado di ragionare. Stava provando la Megaevoluzione e si era ritrovato lì. Questo voleva dire che Khiraal aveva spinto il suo spirito e il suo subconscio nelle profondità della sua mente per prendere il controllo del suo corpo.
Pian piano, ogni tassello aveva iniziato a prendere la forma del quadro generale.
Con la coda dell'occhio Zoàr vide il Torchic allontanarsi a passo decisamente veloce, quasi saltellando, e lo fissò per qualche secondo prima di decidere di seguirlo. In fondo quel piccolo sé stesso conosceva quel posto anche meglio di lui, per quanto potesse sembrare una contraddizione. Stargli accanto era sicuramente più vantaggioso.
Zoàr si guardò attorno, notando che su entrambi i lati del loro percorso si ergevano molti altri specchi.
Si fermò un istante a contemplarne uno. Anche quello era un suo ricordo.
Invece che solo il suo riflesso, in quello specchio era presente un sé stesso assieme ai personaggi che componevano la memoria. Lui stesso era seduto a gambe incrociate con una ciotola di riso in una mano, e stava ascoltando attentamente Eroan e Azza, seduti accanto a lui su dei cuscini con altri piatti in grembo, discutere animatamente del più e del meno.
Quelle poche volte che aveva l'occasione di mangiare assieme a quei due, era sempre una bella sensazione. Forse era per quello che la sua mente aveva fatto tesoro di quell'attimo.
Si sentì chiamare dal Torchic, e quando tornò a guardarlo notò che era di molto più avanti a lui. Tanto più avanti, alla fine del corridoio, c'era un piccolo puntino luminoso. Era come prendere un cannocchiale e guardarci dentro al contrario; il luminoso mondo esterno alla fine di un tunnel oscuro.
"Dimmi che è un'uscita." fece Zoàr, e il Torchic annuì. Menomale. Lo stava portando fuori da quel posto.
Il Blaziken tornò a camminare per raggiungerlo, e solo allora il piccoletto fece lo stesso. Ciononostante, Zoàr non smise di guardarsi ai lati per osservare i propri ricordi.
Man mano che procedevano si facevano sempre più antichi e lontani nel tempo; alcuni erano così terribili che il Blaziken distolse lo sguardo più volte.
Aveva visto sé stesso uccidere Zekrom, in uno di quegli specchi. E sapeva che per ancora molti passi di lì in poi i riflessi gli avrebbero mostrato solo gente che moriva.
Si strinse nelle spalle nel realizzare ben presto che le voci che stava seguendo venivano da quel corridoio. Soffici e sottili le voci dei ricordi gli arrivavano da dentro agli specchi, mischiandosi e rimbombando tutto attorno.
Zoàr sollevò le mani e se le schiacciò ai lati della testa, in un tentativo di tapparsi le orecchie alle urla che riempivano quella sezione della sua memoria. Invano, però. Erano nella sua testa, liberarsene era incredibilmente difficile.
Non pensava di aver peccato così tanto. Non pensava di aver ucciso così tanto. Forse le superstizioni erano vere, e lui era davvero un mostro.
Le sue mani si erano tanto macchiate di sangue. Troppo per continuare a vivere come se niente fosse.
Si chiese se fosse possibile per lui farsi perdonare.
Hah. Ma cosa andava pensando?
Ovviamente no. Non avrebbe mai potuto fare niente per rimediare ai propri errori, nonostante tutto. Ormai aveva fatto una scelta, e poteva seguire solo il sentiero che essa gli aveva aperto. Stava camminando in una notte infinita, e mai più avrebbe visto un'alba.
La domanda era: perché aveva accettato quell'incarico? Cos'era così importante per lui da portarlo a rinunciare a ogni minima speranza?
"PUTTANA!"
Si tolse le mani dalle orecchie quando, più vicina che mai, udì una voce maschile gridare a squarciagola. Veniva da uno degli specchi, ma non apparteneva né ad Eroan né ad Azza, né a qualcuno che aveva già visto in altre memorie.
"SEI SOLO UNA PUTTANA!"
Zoàr si voltò verso destra, osservando lo specchio che si ergeva dal terreno. Era una delle più antiche memorie, vicinissima al punto che il Torchic voleva raggiungere per farlo uscire.
Gli occhi sottili del Pokémon Vampe si spalancarono, e le loro pupille iniziarono quasi a tremare per l'improvviso stress accumulato in quei pochissimi secondi. Il pulcino lo chiamò, ma lui era troppo immerso a fissare quel ricordo primordiale con un misto di paura e rabbia pura.
Il suono di un cazzotto risuonò da dentro lo specchio, così forte da far accapponare la pelle al sicario.
Nel riflesso un Blaziken, imponente e grosso anche più di Zoàr stesso, teneva il pugno destro sollevato e pronto a colpire ancora. Con la sinistra teneva le piume del petto di una femmina della sua stessa specie, che cercava invano di schermarsi dai suoi colpi con gli avambracci. Il suo volto era già stato ripetutamente colpito ed era segnato da lividi e macchie di sangue.
"MALEDETTA STRONZA! È TRADENDOMI CHE MI RIPAGHI?!" gridò il più grosso, colpendola con un pugno in pieno addome e facendola piegare in due dal dolore. Le afferrò le piume sulla testa e la sollevò, facendola urlare. "PANDORA!!"
Zoàr aprì appena il becco. Nonostante sapesse che quella era solo una memoria, non riusciva a fare a meno di riviverla come se quell'atto orrendo stesse accadendo dritto davanti a lui.
"Basta..."
"Non ti ho tradito, Yano...!" gemette la Blaziken dello specchio, socchiudendo gli occhi per ricacciare indietro le lacrime. "È tuo figlio, te lo giuro..."
"PENSI CHE IO SIA UN CRETINO?!" gridò l'altro, colpendola ancora, stavolta con una ginocchiata. "QUELLI COME LUI NASCONO DA TRADIMENTI E PORTANO SOLO SFORTUNA, LO SANNO TUTTI! NON È POSSIBILE CHE SIA MIO!! BUGIARDA!! SCHIFOSA TROIA CHE NON SEI ALTRO!!"
Lo spettatore del suo stesso ricordo gonfiò le piume, e i suoi polsi presero fuoco così intensamente da bruciargli gli interi avambracci.
"TI HO DETTO DI FINIRLA, BASTARDO!!" urlò Zoàr, esplodendo dal dentro a fuori e scagliandosi addosso allo specchio. "LASCIA STARE MIA MADRE!!"
Senza usare alcuna mossa il suo pugno destro impattò contro la superficie liscia del vetro, distruggendola tanto era potente il colpo. In una pioggia di schegge di vetro il Blaziken nero si lanciò in avanti, riuscendo a superare quel confine che pensava invalicabile, mettendo mano al khopesh per estrarlo. I suoi occhi fecero contatto visivo con quelli dell'altro Blaziken.
Era ormai ovvio. Le forme delle loro palpebre erano identiche. Era impossibile che il sangue di quel bastardo non gli fluisse nelle vene.
Uccidilo! Uccidilo!
Zoàr tirò con forza l'elsa del falcetto per estrarlo dal fodero.
Decapita tuo padre!
Nonostante stesse tirando con tutta la forza che aveva in corpo, però, il khopesh rimase immobile nel cuoio che lo avvolgeva. Si era incastrato, o Zoàr non voleva estrarlo?
Non aveva tempo per pensarci.
Il Blaziken nero si abbassò sulle gambe, arrivando all'altezza dell'addome di Yano e decidendo comunque di colpire col braccio destro, che aveva fallito a estrarre il khopesh. Quasi arrivando a placcare il padre, Zoàr stese il braccio piegato in avanti e tirò una forte gomitata al plesso solare dell'avversario.
Un forte rumore di vetri infranti risuonò tutto attorno, e finalmente quello schifoso mollò sua madre, facendola cadere al suolo.
Nonostante la forza dell'impatto, Yano non vacillò.
"Guarda un po'." sibilò, come se non fosse stato affatto scalfito da quel colpo. D'altra parte, però, non era reale. "Parli del diavolo..."
Afferrò con la mano destra le piume della testa di Zoàr, tirandogli uno strattone e facendogli alzare la testa. Lui cercò di ribellarsi, ma suo padre gli serrò le dita della mano sinistra attorno alla gola, iniziando a stringere con forza ai lati di essa per soffocarlo.
Istintivamente Zoàr cercò di liberarsi da quella presa afferrando con le mani il braccio di Yano, conficcando le unghie aguzze in esso per fargli male. Invano.
Sollevò la gamba ancora stesa indietro per provare a calciarlo, ma spingendolo verso il basso l'avversario lo costrinse a mettersi in ginocchio.
"Il mostriciattolo ha fatto crescere le gambe e la lingua, vedo." disse Yano, dando uno strattone alla gola di Zoàr, a cui mancò il fiato.
Quello non faceva parte del suo ricordo. Stava avendo davvero un'interazione con suo padre, che aveva visto solo per il primo anno della sua vita prima che questi se ne andasse, o solo col proprio subconscio?
"Lo conosci il detto, no?" incalzò il Blaziken. Le sue piume rosse baluginarono per un istante, come avvolte dalle fiamme. "Ma certo che lo conosci, te l'hanno marchiato a fuoco addosso. Quelli come te sono dei mostri. Portano solo sfortuna, e nascono dal tradimento e dall'odio. Il risentimento da cui emergono tinge il loro corpo di nero, e loro non sono capaci né di amare né di essere amati. Sanno solo essere demoni."
Gli tirò le piume, e Zoàr non poté fare altro che artigliargli il braccio, cercando di strapparselo di dosso con tutta la forza che aveva in corpo.
"È per colpa tua che io e tua madre ci odiamo, adesso." disse lo Yano della sua mente. "È tutta colpa tua. Sei un mostro, Zoàr. Se fossi nato normale, a quest'ora saremmo felici. Dillo assieme a me. Mostro."
Gli lasciò la gola soltanto per afferrargli la faccia.
"Mostro."
Il Blaziken melanico strinse il becco, assottigliando gli occhi e fissando le piccole pupille poste negli occhi del suo progenitore.
"E tu... cosa hai fatto per combattere quel pregiudizio? Sei diventato un assassino. E non hai fatto che rinforzarlo. Sei o non sei la Bussola del Demonio, huh?"
Una crepa andò a formarsi poco sotto il petto del padre a quelle parole, come se fosse seriamente stato fatto di vetro.
"La verità è che ti sei arreso. Perché sei codardo, sei debole, e non sei mai abbastanza. Azza ti getterà ancora sul lastrico quando si sarà stancato di te."
La crepa si estese fino alla sua spalla, frantumando quasi totalmente la zona del diaframma di colui che ormai da troppo tempo stava sostenendo un turpiloquio unilaterale.
"Guarda quante persone hai ucciso, bestia. E perché, tutto questo? Perché ti vuoi sentire valorizzato? Perché vuoi essere... amato?"
Yano fece un leggerissimo sorriso.
"Non vuoi proprio capire. Chi potrebbe volere sinceramente bene a qualcuno che uccide per... soldi? E a che ti servono questi soldi, poi? Eh? A comprare la felicità che tanto brami?"
"Ne ho bisogno e basta." sussurrò Zoàr, solo per essere scosso violentemente dalle braccia dell'altro.
"E PERCHÉ NE HAI BISOGNO?!"
"PERCHÉ ALTRIMENTI MIA MADRE MORIRÀ!" gridò il Pokémon melanico, gettandosi in piedi dopo aver messo tutta la forza che aveva in corpo nelle gambe, perdendo totalmente ogni freno inibitore.
Ne aveva abbastanza di quel maledetto stronzo. Era sì suo padre, ma Zoàr non poteva sopportarlo; aveva insultato e ferito sua madre, che lui amava tanto, e si era permesso di abbandonarla.
Tutto quello era inaccettabile.
Zoàr afferrò le spalle larghe del suo nemico, fissandolo trucemente. "LEI È MALATA DA ANNI!"
Fu lui stavolta ad afferrargli la gola, stringendola con tanta forza da crepare quella pelle e quelle piume vetrose solo grazie alla pressione che stava imprimendo.
"Anche io sono stato un idiota, e l'ho lasciata da sola proprio quando aveva bisogno di me! Ma ora posso rimediare!" gridò, furente. "I soldi che cerco le portano quello di cui ha bisogno! E tu, invece?! Hai lasciato che le lanciassero le pietre addosso, e hai lasciato che patisse la fame come un cane!"
Yano fu sul punto di frantumarsi come lo specchio, ma Zoàr lo tenne assieme solo per urlargli le ultime parole che da ventidue anni gli erano rimaste in gola.
"Sono ben lieto di trasformarmi in un demonio se questo può servire a lei. Tu, proprio tu, non hai alcun diritto di dirmi che cos'è un mostro!"
Sotto alle sue mani, il corpo avversario si frantumò in pezzi sconnessi che tagliarono i palmi di Zoàr prima di cadere tintinnando a terra.
Il Blaziken indietreggiò, stringendo i pugni mentre da essi gocciolava del sangue bruno scuro, e si fermò a guardare i frammenti con odio.
Quando si fu accertato che non si muovevano più prese un respiro profondo, sentendosi il corpo farsi improvvisamente pesantissimo. Eppure, aveva ancora un'altra priorità.
Si voltò verso sinistra, dovendo abbassare di poco lo sguardo per guardare gli occhi di sua madre.
Lei era sempre stata bellissima, e lo era anche in quella memoria. I suoi occhi erano cerchiati ed evidenziati da una linea scura, che scendeva dalla palpebra inferiore percorrendo la lunghezza del becco, come se fosse stata un sentiero lasciato dalle tante lacrime versate negli anni. Le lunghe piume del capo, tenute legate da una treccia, le ricadevano dolcemente su una spalla.
Quella era Pandora, sua madre.
Il suo corpo, però, era segnato e frantumato in molti punti come il vetro che componeva quel ricordo. Nemmeno lei era reale.
Ella fece però qualche passo nella sua direzione, prendendogli delicatamente i polsi con le dita.
"Le tue mani e la tua forza sono destinate a proteggere le persone." mormorò, con la sua voce sottile e delicata, infinitamente stanca. "Lo sai."
"Perdonami." sussurrò Zoàr, appena percettibilmente, abbassando lo sguardo quando si sentì improvvisamente inondare da una sensazione di vergogna. Il suo corpo sembrava come se stesse bruciando da dentro, il che non era improbabile.
Pandora gli appoggiò una mano su una guancia, passandogli il pollice poco sotto un occhio.
"Perché hai preso questa strada?"
"Non lo so. Non so più cosa sto facendo." rispose lui, sincero. "Scusami, mamma. Sono davvero diventato un mostro."
"Zoàr." gli disse Pandora, facendo un leggero sorriso. "Non devi chiedere scusa a me. Prima o poi, troverai un modo per rimediare a ogni tuo errore."
Gli sollevò il mento con la mano.
"E allora potrai tornare a casa e provare a tutti che non sei affatto un demone. Le persone sbagliano, ma possono sempre tornare indietro. E tu non fai differenza."
"È davvero quello che pensi?" domandò lui, chinandosi di poco in avanti per arrivare alla sua altezza. "Tu non sei veramente qui."
Non ricevendo risposta, Zoàr sospirò. Tese le braccia in avanti, stringendo Pandora in un abbraccio. La sensazione delle sue tiepide piume non c'era, e questo bastò per confermare ogni suo pensiero. Abbracciando quel pezzo di freddo vetro non ottenne rassicurazione, ma un'orribile realtà.
Lui era un mostro, e stava cercando in ogni modo di giustificare le sue azioni ingiustificabili e imperdonabili. Se ne era reso conto totalmente solo dopo cinque anni, in quel momento.
Cinque anni passati a fare l'assassino non gli avevano portato niente. Né risposte, né sentimenti positivi.
Era stato tutto vano e privo di senso.
Quando anche il secondo corpo di vetro gli si frantumò inesorabilmente tra le mani, il Blaziken si fece cadere in ginocchio, stringendo il vuoto.
Girò la testa verso il limite dello specchio che aveva rotto, vedendo che anche il piccolo Torchic aveva deciso di entrare in quel perimetro.
Zoàr lo guardò, tenendo gli occhi socchiusi.
"È tutta colpa mia." sussurrò, portandosi il volto tra le mani, quasi piantandosi le unghie nella carne.
"Sì. Lo è."
Il Blaziken alzò lo sguardo, voltandosi nuovamente verso il Torchic. La voce proveniva da lui, ma era troppo profonda per appartenere a un pulcino della sua età.
Il pulcino aggrottò le sopracciglia.
"Hai fatto una moltitudine di cose orribili, pensando che fossero necessarie. Ma pagherai il prezzo di tutte le tue scelte."
Il corpicino del Torchic iniziò a contorcersi, plasmandosi come creta e presto perdendo ogni forma, diventando come un grumo di materia oscura, che però presto tornò ad assumere delle forme vagamente riconducibili a quelle di un Pokémon.
Pulsando e torcendosi, la matassa prese la forma di un Lucario.
Attorno al suo collo sanguinante era appesa una collana di perline e gocce di una pietra preziosa color ambra, e teneva sulla spalla un cinturone con attaccati due pugnali ondulati.
Varsh inclinò la testa da un lato, grondando sangue sul terreno. Zoàr spalancò gli occhi, istantaneamente prostrandosi al suolo come se avesse avuto davanti Arceus in persona.
"Sei tu... il Lucario di quella volta..."
"Sì. Sono io. E non solo."
Quando Zoàr rialzò lo sguardo, il cuore parve fermarglisi in petto.
Accanto a Varsh stavano in piedi una moltitudine di altri Pokémon, almeno una quarantina. Tra di loro riconobbe Zekrom, col plesso solare perforato, e Xerneas totalmente pieno di ferite sanguinanti oro.
All'estrema destra del Pokémon Aura c'erano un Corviknight e il suo compagno Honedge, mentre a sinistra vi era un giovane Pokémon, un Umbreon a essere precisi, di quasi sedici anni. Sulla sua fronte era presente un solco orizzontale che gocciolava sangue sui suoi occhi, facendoglieli socchiudere.
Il Blaziken nero tornò a inchinarsi, serrando le palpebre e stringendo la testa nelle spalle. Erano tutti coloro che aveva ucciso o ferito nella sua vita.
Era tempo per lui di pagare il conto.
"Come giustifichi tutte le tue azioni?" domandò la voce dell'Umbreon, seria e concisa come quella di un adulto, e a quelle parole Zoàr non poté fare altro che prendere un respiro profondo, cercando di calmarsi.
"Non ho una giustificazione." mormorò, rimanendo prostrato e mostrando a loro il retro del collo, il punto più vulnerabile.
"Ti fai carico delle tue responsabilità?"
"Sì."
"Rispondi a questa domanda." disse la tonante voce di Zekrom. "Ora che le tue piume sono rese rosse dal nostro sangue, non sei più un mostro?"
Zoàr riaprì gli occhi, abbassando lo sguardo sui propri avambracci. Macchie di sangue rosso e dorato lordavano le sue piume nero pece, colorandole dei colori naturali che avrebbero dovuto avere dalla sua nascita.
Il desiderio del Pokémon Vampe di essere come tutti gli altri della sue specie era stato coronato, ma in maniera assolutamente ignobile.
"Era il tuo aspetto a renderti un demone, o le tue azioni?"
Il Blaziken deglutì a fondo, piantando le unghie nel terreno e tornando a serrare gli occhi, sentendo il sangue delle sue vittime scorrergli sulla pelle.
"Le mie azioni."
"Hai qualcos'altro da dire? Hai trovato una giustificazione, o vuoi implorare il nostro perdono?" gli domandò Xerneas, e Zoàr scosse la testa.
"No." sussurrò.
"Molto bene." terminò Varsh, facendo qualche passo in avanti e distaccandosi dal gruppo. "La tua vita dipende da noi, adesso. Ora ti alzerai, impugnerai la tua falce e ti taglierai la testa."
Zoàr si sentì sbiancare, e le piume sulla sua spina dorsale si rizzarono una dopo l'altra, colte da un brivido.
Varsh assottigliò gli occhi.
"Ubbidisci."
Zoàr si ritrovò subito a reagire. Si rimise in ginocchio, mettendo mano all'elsa del khopesh. In quel momento essa non si bloccò, anzi, la lama ricurva in ossidiana scivolò fuori dal suo fodero, pronta a svolgere il suo compito.
Il Blaziken guardò il proprio riflesso in essa, e inghiottendo a vuoto se la portò al lato destro della testa. Alzò lo sguardo sul Lucario che aveva davanti, appoggiando la mano destra alla lama mentre con la sinistra teneva l'elsa, in modo da non avere alcuna esitazione nel taglio, che doveva essere più netto possibile per decapitarlo sul colpo.
Aspettò un ordine del Pokémon Aura, col cuore in gola.
"Sei davvero pronto a pagare. Ne sono felice." disse Varsh, indicandolo con un dito. "Ora decapitati, e vai a sistemare ogni tuo errore."
Zoàr strinse gli occhi, cercando di non tremare e provando a mostrarsi il più risoluto possibile.
Mamma. Damos. Mi dispiace.
Premette la lama sul proprio collo, sentendone l'affilatura sulla propria pelle.
Non... non tornerò a casa.
Serrò il becco, dando un forte colpo con la mano destra alla lama nera, la quale tranciò la sua carne come una folgore squarcia il cielo.
- - -
Eroan parò a malapena con un avambraccio un calcio dato da Zoàr, che però gli fece scricchiolare le ossa. Il Gallade si sottrasse a un altro colpo con un salto, decisamente stancato e provato da quell'allenamento.
Come Mega Blaziken prometteva davvero bene.
"Okay, okay, basta così, possiamo fermarci!" esclamò Eroan, sollevando le mani mezze carbonizzate, e a quelle parole Khiraal subito sollevò una zampetta per fermare il Pokémon che stava controllando.
Zoàr indietreggiò di un passo, ma appena lo fece si inarcò all'indietro, come pervaso da un profondo dolore. Le sue piume si incendiarono dal niente, avvolgendo il suo corpo tra le fiamme.
Eroan rimase assolutamente di sasso, facendo per dire qualcosa, ma il Pokémon Megaevoluto lo precedette.
Spalancò il becco, liberando un urlo agghiacciante più simile a un ululato di dolore che a un'esclamazione, e questo destabilizzò totalmente chiunque fosse in quella sala assieme a lui.
Khiraal gridò, portandosi le zampette alla testa e stringendo i denti.
"Ma che- KHIRAAL?! CHE SUCCEDE?!" gridò Eroan, correndo in direzione del Riolu e tenendo una mano verso di lui, afferrandolo per la tunica e prendendogli le spalle. Azza si avvicinò subito preoccupato, prima di alzare nuovamente il capo e puntare lo sguardo verso il campo.
"ZOÀR!"
Anche il Gallade si voltò, col cuore a mille.
Zoàr era caduto a terra di colpo e le lingue di fuoco si stavano sfaldando poco a poco, rivelando la forma normale del Blaziken rannicchiata al suolo, immobile.
Khiraal smise di strillare, ma continuò a tenersi la testa tra le mani, tremando violentemente. La prima cosa che Azza fece fu scattare verso il mercenario, scuotendolo con forza dopo essersi inginocchiato lì accanto per provare a ottenere una sua reazione.
"Zoàr?! Zoàr, tutto bene?!"
"Che diamine è successo?" esclamò Eroan, avvicinandosi ai due di corsa e appoggiando una mano sulla schiena di Zoàr, abbassandosi e appoggiando un ginocchio a terra per guardarlo in faccia.
Il Blaziken stava riverso a pancia in giù in ginocchio, tenendo la fronte appoggiata al suolo e una mano stretta attorno al proprio collo, ansimando pesantemente.
Si tastò la gola con una mano, neanche volesse accertarsi che fosse tutta intera, e chiuse gli occhi per il sollievo subito dopo, continuando ad annaspare.
"Zoàr? Stai bene?" domandò Eroan, stringendogli con forza una spalla, e l'altro non fece altro se non annuire.
"...S-sì. Sì, signore, è...", deglutì, "è tutto a posto..."
"...C'era qualcosa di brutto nella tua mente, vero?" chiese ancora il Gallade dopo un momento di pausa, più serio che mai, e il Blaziken annuì.
Eroan e Azza si scambiarono un'occhiata rapida, uno preoccupato e l'altro confuso, prima che il Pokémon Lama tornasse ad abbassare lo sguardo sul Vampe.
"Va tutto bene. È normale. Adesso riposati."
Gli accarezzò la schiena stravolta da brividi e scossoni, cercando di tranquillizzarlo.
"Non preoccuparti, è tutto finito. Sei al sicuro ora."
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