CAPITOLO QUINDICI

Capitolo Quindici: Seth.

"Sono dispiaciuto di sole due cose. La prima cosa di cui mi dispiace è di aver maltrattato degli animali nel corso della mia vita e la seconda cosa di cui mi dispiaccio è che non sono in grado di ammazzare tutta la dannata razza umana." -Carl Panzram, killer attivo negli anni 1920-1929.


ATTENZIONE: QUESTO CAPITOLO CONTIENE SCENE FORTI DI VIOLENZA.

Il capo dei Santi, Cameron, aveva guardato Marthìn con sguardo curioso e rassicurante mentre quest'ultimo puntava il dito su una cartina. "Qua è dove tengono il loro covo, ne sono sicuro. Gli Anziani li hanno visti arrivare da qui," Marthìn aveva alzato lo sguardo con una ritrovata determinazione.

Sua moglie seguiva lo svolgimento del loro discorso con interesse mal dimostrato, aspettando che qualcuno dicesse qualcosa di importante.

Cameron aveva annuito, toccandosi il mento coperto da una lieve barba.

"L'unica opportunità che abbiamo di entrare è di passare per il bosco, questo qui," aveva quindi puntato il dito sulla cartina, "non possono vederci tra la fitta vegetazione. Ma non possiamo essere abbastanza stupidi da attaccare subito, abbiamo bisogno dell'aiuto di qualcuno."

Marthìn aveva annuito.

Le città rimaste erano circa otto, ed ognuna contava qualche migliaia di abitanti. Di certo non potevano arruolare bambini o anziani, e alcune città non avrebbero permesso alle loro donne di combattere.

Come fare, allora?

A Missnöjd era balenata un'idea in mente, facendole cambiare posizione sulla sedia.

Aveva raddrizzato la schiena, congiungendo le mani ed alzando il mento mentre un ghigno le oscurava il volto scarno. Era tornata ad essere la donna vendicativa di un tempo, aveva pensato Marthìn osservando l'espressione furente ma allo stesso tempo entusiasta della moglie.

Mai come allora aveva apprezzato la sua vena cattiva.

"Hai un'idea?" Le aveva domandato Cameron, sorridendole a disagio. Non era abituato a vedere un'espressione tanto cattiva sul volto di qualcuno, dopotutto lui era un Santo e anche solo il fatto di iniziare una guerra lo metteva a disagio.

Missnöjd aveva annuito, leccandosi le labbra.

"Non abbiamo bisogno di attaccare subito. Diamogli una sorta di ammonimento."

Marthìn e Cameron aveva aggrottato le sopracciglia, aspettando che continuasse.

"Non serve uccidere tutti i loro adepti, ci basterà farne fuori uno. Ma deve essere un pezzo grosso, non un ragazzino appena entrato nella loro congrega. Ammazziamo uno di loro, o una delle loro mogli. Entreranno in panico e, al quel punto, il gioco sarà fatto."

La donna aveva lo sguardo infervorato mentre guardava il marito, una sorta di eccitazione condivisa. Si erano sorrisi, alzando entrambi il mento come a proclamare la loro supremazia.

Cameron aveva quindi annuito, seppur incerto, facendo segno ad una guardia di avvicinarsi.

"Chiama il sicario, digli che abbiamo un lavoro urgente per lui." 

Shahrazād si era svegliata con un gran mal di testa ed una sensazione di calore sul volto. Si sentiva debole, stanca, nonostante avesse dormito per tutta la notte.

Si era quindi girata di lato, lasciando che la sua mano collidesse con quella di Styrkur.
Dopo il rito la Serpe le era stata sempre vicina, seguendola ovunque senza mai toglierle gli occhi di dosso.

Styrkur era tormentato dall'ansia, il ricordo del rito di due giorni prima era ancora fresco nella sua testa. Aveva iniziato a dormire sempre affianco a Shahrazād, l'accompagnava in giardino e in cucina, molto spesso evitando i suoi incarichi.

Lei, però, aveva deciso di non dirgli nulla. Forse per non agitarlo più del dovuto, nonostante la sua assidua presenza la mettesse in soggezione. Si sentiva costantemente osservata, e qualcosa le diceva che non era solo Styrkur ad osservarla.

Forse era solo diventata paranoica, forse si stava preoccupando inutilmente.

Non si era nemmeno accorta che Styrkur si era svegliato, accarezzandole una guancia con le punte delle dita. Lei si era velocemente ritratta, come scottata. Una parte di lei ancora doveva abituarsi ad essere toccata così liberamente.

Non era pudica, dopotutto a Città dei Peccatori non c'era spazio per l'imbarazzo. Ma amava avere i suoi spazi, amava il muro tra lei e gli altri.

"Buongiorno," Styrkur si era stiracchiato, sbadigliando con la testa contro il cuscino. Aveva dormito a sufficienza, cosa strana per lui.

"'Giorno." Aveva risposto lei, toccandosi la fronte sudata. Stava male, si sentiva nauseata e ancor più debole.

"Sei più pallida del solito." Aveva constatato Styrkur, che con il passare dei giorni l'aveva vista prendere sempre più colore in viso. Shahrazād aveva annuito, confermando di non stare bene.

Non aveva senso mentire, e di certo non voleva continuare a stare male.

La Serpe si era quindi alzata velocemente, coprendo meglio la ragazza con la coperta per poi infilarsi una camicia bianca ben stirata. "Rimani a letto, andrò da Vardande per rimediare qualche medicinale."

Si era fermato davanti alla porta, deglutendo un fiotto amaro di preoccupazione. Non voleva lasciarla sola, non dopo ciò che era successo.

"Chiamerò la tua cameriera per tenerti d'occhio,"

"Si chiama Nora." Aveva precisato, puntando gli occhi contro il soffitto.

Non era la sua cameriera, era.. cos'era? Poteva considerarla un'amica? Lei, dopotutto, di amicizia non ne sapeva molto. Trovava la compagnia della ragazza piuttosto piacevole, certo, ma non sapeva bene come definire il loro rapporto.

Voleva, comunque sia, che Styrkur usasse il suo nome. Era una sorta di apprensione mista ad un istinto protettivo quello che scorreva nella rossa.

Styrkur aveva roteato gli occhi, sorridendo però al sentirla parlare. Almeno non stava così male da non riuscire a parlare.

"Hai ragione, la prossima volta me ne ricorderò."

Aveva quindi aperto la porta, chiudendola dietro di sè con un cigolio.

A  Shahrazād erano serviti venti minuti per convincere Nora a portarla fuori, in giardino, dove poteva crogiolarsi tra gli odori dei fiori freschi. La sera prima aveva piovuto, una pioggerellina leggera che lascia dietro di sé un'odore fresco.

Nora le aveva cinto la vita con un braccio, per accertarsi che l'amica non si sentisse male e cadesse. La parte di giardino in cui si trovavano confinava con un bosco, era piuttosto lontana dalle casette abitate dagli adepti dei Quattro.

Era uno spazio ampio, illuminato interamente dal sole.

Shahrazād aveva provato ad immaginarselo.

"Perchè non ci sediamo un po'?" Aveva domandato la rossa, girando la testa verso Nora in cerca di approvazione. Lei, in tutta risposta, aveva inarcato un sopracciglio, trattenendo un sorriso.

"Ha piovuto, non è il caso. Ti senti male e se ti bagnassi finiresti con il beccarti la febbre, sempre se già non la hai." 

A Nora le ci era voluto un po' di tempo per abituarsi a darle del tu, ma alla fine ci era riuscita ed ora non si sentiva più così a disagio. Shahrazād si era toccata i pantaloni stretti e pesanti che Nora le aveva portato, affondando il naso nel maglione dal collo alto.

Nora l'aveva fatta vestire pesante, in modo quasi autunnale, preoccupata che potesse ammalarsi ancora di più. "Possiamo sederci sulla mia giacca," aveva quindi contro-attaccato Shahrazād, sorridendo come orgogliosa della sua soluzione.

Si erano guardate per qualche secondo, ognuna sperando che l'altra demordesse e,alla fine, fu Nora a cedere. Stesero quindi la giacca sull'erba, e si sedettero.

Era una bella mattina, quasi tutte lo erano in quella zona del Regno. Nadine ormai era abituata, ma  Shahrazād no.

"La Serpe mi ucciderà quando verrà a sapere che ti ho fatta uscire," aveva borbottato lei, giocando con una ciocca di capelli. Era vagamente preoccupata al pensiero di una possibile punizione, ma non avrebbe mai potuto negare qualcosa a Shahrazād.

Le era parsa così triste rinchiusa in quella camera. Tutte le cameriere avevano notato il comportamento oppressivo di Styrkur, ma nessuna di loro aveva saputo darvici una spiegazione. Lei, dal suo canto, aveva deciso di non interrogare l'amica.

"Penserò io a lui, non preoccuparti."

Avevano sorriso entrambe, lasciando che il Sole le cullasse entrambe in un caldo abbraccio.

Dietro di loro, a circa venti metri di distanza, Cassidea aveva iniziato a guardarle con interesse. Stava rigidamente seduta sulla sua sedia in metallo, tra le mani teneva una tazza calda di latte. Aveva inforcato gli occhiali, lasciando che le scivolassero sul naso dandole un'aria autoritaria.

Prätda le aveva chiesto di osservare Shahrazād, persino di seguirla, e di riferirgli qualsiasi cosa le sembrasse interessante. Il Falco aveva infatti iniziato a nutrire un certo interesse, da non scambiare per un'interesse amoroso, verso la ragazza ed il suo Dio.

Ricordava perfettamente ciò che era successo durante il rituale, e la cosa che più l'aveva infastidito era stata la mancanza di una spiegazione. Le Dee li avevano avvertiti di un possibile attacco, ma Sover non aveva fornito nessuna spiegazione riguardo il suo pianto.

Qualcosa non quadrava, ne era sicuro, e voleva capire cosa.

Cassidea era stata felice di accontentarlo, nonostante il compito le paresse piuttosto noioso. Shahrazād, da quanto aveva potuto constatare, era una persona monotona e attaccata alla sua routine. Non faceva molto, in effetti, se non sedere in silenzio per ore.

Non la trovava particolarmente interessante, ma anche lei era convinta che qualcosa fosse sbagliato. E, comunque sia, non avrebbe mai potuto negare nulla a Prätda.

Si amavano, nonostante fosse difficile dimostrarselo.

Aveva sorriso al ricordo del loro primo incontro, tornando velocemente a concentrarsi sulle due che, lentamente, si erano alzate. Aveva visto la cameriera di  Shahrazād afferrare la giacca da terra, tenendola tra le braccia mentre aiutava la rossa a camminare.

Si era alzata un po' di più gli occhiali sul naso, facendo per alzarsi quando qualcosa aveva attirato il suo sguardo. Qualcosa, tra le fronde degli alberi, aveva iniziato a luccicare.

Aveva quindi aggrottato le sopracciglia, decidendo che avrebbe raggiunto Shahrazād più tardi per poi avviarsi verso la fonte del luccichio.

Le ci erano voluti pochi minuti per raggiungere un punto in cui era riuscita a vedere perfettamente la fonte di quel luccichio. Le mani avevano preso a tremarle mentre spalancava gli occhi, girandosi di schiena per fuggire.

Una freccia, Cassidea aveva visto una freccia.

Tra le fronde alte, Seth aveva sorriso. Si era posizionato l'arco vicino al corpo, tirando la corda fino a tenderla del tutto.

Aveva lasciato che dalle labbra uscisse un lieve verso di soddisfazione mentre pensava alla ricompensa che Cameron gli avrebbe dato. Dopotutto non era stato facile raggiungere quella parte di bosco, tra animali selvatici e possibili guardie in allerta.

C'era un motivo se era considerato il migliore, nel suo ambito.

In tutto il Regno si sapeva: Seth non sbaglia mai.

La freccia aveva tagliato l'aria, muovendosi velocemente nello spazio libero, fino a bloccarsi nella schiena della donna con gli occhiali. Seth si era concesso qualche momento per osservare il risultato del suo lavoro, spalancando gli occhi mentre l'adrenalina percorreva il suo corpo.

Che favolosa sensazione era per lui!

Cassidea era riuscita a muovere a malapena cinque passi quando si era sentita bloccata. Il respiro le si era bloccato in gola lasciando che dalle sue labbra uscisse un fiotto scuro di sangue.

Aveva abbassato lo sguardo, osservando la veste colorarsi di scarlatto nella zona del ventre. Le mani le erano volate in grembo, stringendosi contro la punta della freccia che, con incredibile precisione, l'aveva attraversata da parte a parte.

Non riusciva, effettivamente, a realizzare cosa stava accadendo.

Cassidea aveva fatto un altro passo in avanti, tossendo sangue sull'erba. Doveva avvisare qualcuno, doveva avvisare Prätda.

La vista le si era offuscata, facendole vedere il manto erboso vicino al suo viso, troppo vicino. Aveva realizzato troppo tardi, però, che l'erba era davvero contro il suo viso e che non era lei a vederlo ravvicinato.

L'impatto del suo corpo contro il terreno aveva permesso alla freccia di scivolare interamente nello stomaco della ragazza, conficcandosi nell'intestino.

Cassidea aveva boccheggiata di nuovo, lasciando che il sangue le sgorgasse dalle labbra sino a macchiarle il collo. Aveva provato a tossire, cercando di liberarsi le vie aeree con il solo risultato di strozzarsi con il suo stesso sangue.

Ne aveva sentito il sapore acido, ed il pensiero l'aveva fatta vomitare.

Con il palmo della mano era riuscita a girarsi, stendendosi lateralmente per provare ad issarsi in piedi. I capelli le si erano attaccati al viso sudato e rigato dalle lacrime, impedendole di vedere. L'unica cosa che percepiva era un dolore immenso propagarsi per tutto il corpo, fino a schiacciarla.

Era riuscita a piangere, persino ad emettere qualche rantolo e, con le ultime forze, aveva urlato.

Gli occhi le si erano spalancati mentre osservava una figura vestita di nero avvicinarsi a lei. Con le braccia si era trascinata avanti, sperando che qualcuno arrivasse in suo soccorso.

Seth aveva camminato lentamente, girandole in torno come un avvoltoio pronto a massacrare la sua preda. Con il piede l'aveva colpita sul fianco, facendole premere il volto contro il terreno bagnato. Con la mano libera aveva quindi afferrato l'estremità della freccia, tirandola.

Quest'ultima era fuoriuscita dal corpo malandato di Cassidea, lasciando che il sangue zampillasse fuori dalla ferita. Si era quindi piegato su di lei, sorridendole.

"E' un peccato vedere la Scelta di mio fratello morire in questo modo." Le aveva detto, raccogliendo con il pollice una goccia di sangue. Cassidea aveva spalancato gli occhi, respirando furiosamente con il naso.

Fratello? Si era chiesta lei, provando nuovamente a trascinarsi.

Seth l'aveva bloccata nuovamente a terra, strattonandola.

"Non essere così sorpresa, nessuno di loro quattro parla mai di me. Sono Seth, tesoro, è una conoscenza breve la nostra. Devo ammettere che il nostro primo incontro non lo immaginavo così, ma a me va benissimo anche così!" Si era seduto affianco a lei, portandosi una mano agli stivali per afferrare un pugnale.

"Oh non fare quell'espressione implorante. Devo finire la mia opera d'arte, Prätda sarà felicissimo di vederla!" Seth aveva battuto le mani, entusiasta, mentre Cassidea inorridiva.

Era davvero questa, la sua fine?

Si era sempre immaginata di invecchiare assieme a Prätda, magari di metter su famiglia. Si sentiva vittima di una tremenda ingiustizia mentre vedeva Seth piantarle la lama nello stomaco, strappandole e dilaniandole la pelle.

Avrebbe desiderato morire subito, perchè non riusciva più a reggere quell'immenso dolore. E allo stesso tempo desiderava che qualcuno la raggiungesse in tempo per salvarla, doveva avvisare Prätda.

Doveva proteggerlo.

Quando Seth finì di squarciarle lo stomaco si alzò, guardando la donna farsi sempre più vicina alla morte.

"E' stato un piacere," le aveva quindi fatto un cenno della mano, sparendo nuovamente tra la vegetazione.

Cassidea aveva atteso qualche secondo, mugugnando dal dolore mentre sentiva il corpo farsi sempre più pesante. Doveva fare qualcosa, non poteva lasciare che finisse così. Doveva avvisare qualcuno, ma come?

Con le dita aveva quindi raggiunto la ferita allo stomaco, affondandole nella carne viva e ricoperta di sangue.

Con lentezza le aveva poi strusciate contro la stradina fatta di cemento, a pochi centimetri da lei. Aveva ripetuto l'azione altre sette volte, spingendo le dita sempre più affondo nel suo stomaco lacerato per bagnarsele di sangue.

Nella sua testa l'unica cosa a tenerla in vita era il pensiero di Prätda.

Per l'ultima volta aveva passato le dita sulla stradina cementata, osservando ciò che il sangue aveva formato su di esso. Ci era riuscita!

Era riuscita a scrivere il nome del suo aggressore, di Seth, con il sangue.

Sperava che Prätda avrebbe compreso, sperava di vederlo un'ultima volta.

Si era quindi immaginata il suo viso mentre posizionava la mano affianco alla scritta, sorridendo.

Morendo, non chiuse gli occhi. Li tenne ben aperti, puntati contro la scritta mentre ansimava e piangeva dal dolore, dalla triste consapevolezza che non avrebbe mai più rivisto colui che considerava l'amore della sua vita.

L'ultimo pensiero andò a lui, così come le sue ultime lacrime e, infine, il suo ultimo respiro.

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