Capitolo 14
La sala era sfarzosa. Arazzi, ricamati con fili d'oro e d'azzurro, pendevano della pareti, riprendendo scene di caccia e miti dell'epica greca. Tre tavoli, disposi a ferro di cavallo e coperti da tovaglie ricamate, occupavano il centro della sala. Candelabri con mille braccia pendevano dalle pareti, illuminando la stanza e specchi con cornici dorate riflettevano la luce in ogni angolo. L'argenteria, le brocche, il vasellame, tutto scintillava. La luce della luna, che penetrava dalle finestre, aveva la stessa intensità di un fiammifero se comparata allo sfolgorio della sala.
Rimasi senza parole. Nella stanza alcuni invitati, probabilmente una trentina, si stavano congratulando con il padrone di casa e giravano l'ampia stanza per ammirarne la bellezza.
"Ahh mio caro Miguel!" disse Ruben andandogli incontro ed abbracciandolo "devo dire che la vostra dimora lascia senza parole!".
"Vi ringrazio Señor, ho voluto curare tutto nel minimo dettaglio. Ah Dama Maria, siete incantevole, così come vostra figlia" rispose l'uomo. Vidi Agacia arrossire.
"Prego venite, ora che siete arrivati possiamo iniziare il banchetto". Così dicendo Miguel fece un cenno e le trombe iniziarono a suonare. A quel segnale gli ospiti si sedettero, noi compresi. Ruben sedeva alla destra che Miguel che, in quanto padrone di casa, si trovava seduto al centro del tavolo perpendicolare agli altri due. Io, Agacia e Maria prendemmo posto vicino a Ruben. Dopo un breve discorso e ringraziamento, Miguel battè le mani e nella sala entrarono coppieri con caraffe colme di vino e sguatteri con carrelli pieni di qualsiasi cibo che l'umana concezione potesse concepire.
Arrivarono anche dei musici e giocolieri, che si posizionarono nel mezzo dell'area che i tavoli formavano e ci intrattennero per tutta la durata del banchetto.
Ruben doveva aver bevuto troppo, come del resto quasi tutti gli invitati, poiché aveva il naso bordeaux. Maria sembrava accaldata e aveva le guance arrossate, mentre ad Agacia era stato concesso di bere solo un bicchiere, ma pareva le fosse bastato. Gli unici che sembravano essere rimasti nel pieno delle loro capacità fisiche e mentali eravamo io e Miguel: io per scelta, lui per natura.
Quando tutti i commensali ebbero finito il pasto ed il vino, Miguel si alzò da tavola. "Signori vogliate seguirmi nella sala attigua" disse, ed inizió a camminare verso il fondo della sala. Tutti si guardarono incuriositi e stupiti, non riuscendo a decifrare quello strano invito. Nello stupore generale afferrai un coltello e cercai di nasconderlo tra le pieghe della gonna e mentre mi avvicinavo misi una mano sul petto, in corrispondenza della boccetta. Mai fidarsi di un demone.
Quando tutti gli ospiti ebbero raggiunto il fondo della sala, Miguel spalancò le porte in legno che si trovavano di fronte a lui. La stanza attigua si inondò in un attimo di luce e i musici iniziarono a suonare. Una sala, forse ancora più grande di quella in cui ci trovavamo , era stata lasciata completamente libera al suo interno, per permettere la danza. Un "Ohh" generale, seguito da un applauso, si sollevò tra gli invitati. Tutti erano in fibrillazione, specialmente Agacia, che sperava così di poter ballare con Miguel. Questi infatti le chiese di concedergli il primo ballo. Io invece mi sedetti su un piccolo divanetto posto sul lato lungo della sala a conversare con un' anziana dama, troppo anziana e, a suo dire, distinta, per prendere parte ad una manifestazione di quel tipo.
Miguel ballava e io non lo perdevo d'occhio un secondo, ma mi sentivo accaldata. Probabilmente avevo mangiato più di quanto ero abituata, o forse il corsetto dell'abito mi stringeva troppo, ma sentivo mancarmi il respiro.
"Siete rossa mia cara" disse la vecchia dama.
"Si io... io mi sento avvampare".
"O cielo se voi giovani siete ridotte in questo stato, cosa dobbiamo dire noi signore di una certa età?".
Mi sentivo la testa girare ed ormai non la ascoltavo più. Le candele nei candelabri bruciavano, l'aria della sala era intrisa di un odore di alcool, la musica mi sembró assordante tutto ad un tratto. Mi alzai di scatto.
"Chiedo scusa madama, ma credo debba andare a prendere un poco di aria fresca... con permesso...".
Uscii dalla sala e mi ritrovai in quella del banchetto. Non c'era nessuno nei paraggi, così aprii una finestra e andai sul balcone. Questo era molto lungo e percorreva la facciata della casa collegando così almeno altre due stanze.
Inspirai profondamente. Avrei voluto strapparmi l'abito di dosso e subito dopo quel corsetto, ma non potevo. Cercai tuttavia di allentarlo alla bell'è meglio, tirandolo con foga, ma cercando di non rovinare l'abito.
"Che spettacolo poco signorile". Quando mi voltai vidi Miguel sul balcone. Non feci in tempo a proferire parola che lui mi mise una mano sulla bocca e mi spostò di qualche metro, allontanandosi dalla finestra e perciò dalla sala del banchetto. Poi si fermò e mi tolse la mano dalla bocca. Lo fissai basita mentre apriva un'altra finestra dall'esterno. "Entra" mi ordinó, precedendomi dentro la stanza.
Santas Maria madres de Dios, protégame.
Mi feci il segno della croce.
Entrai.
La stanza era buia. Ad uno schiocco delle dita di lui si illuminò e potei notare che era la sua camera da letto.
"Bel trucchetto, credo di averlo già visto fare ad un saltimbanco, accendeva tutte la candele con un battito di mani e..." dissi, cercando di dissimulare la paura.
"Non fare la spiritosa. La sento. La fiuto la tua paura. Non fingere" rispose interrompendomi.
Ottimo. Non fingere. Quelle prole mi diedero in qualche modo forza. Non avevo nulla da perdere. Eravamo solo io e lui. Presi la boccetta e bevvi un sorso di sangue di demone, poi la rinchiusi e la rimisi al suo posto. Lui mi lasciò fare.
"Ragazzina, sai che non ti basterà quello per tenermi testa".
"Lo so, ma attenuerà qualsiasi cosa che voi possiate farmi. Non mi serve ferirvi, sono realista, mi basta essere più resistente".
Lui sorrise e si andò a sedere su una sedia di fronte a me, a gambe incrociate, scrutandomi.
"Sei sveglia ragazzina. Quanti anni hai?".
Sorrisi.
"Non così facilmente" riposi, sedendomi sul letto, di fronte a lui.
"Perché non facciamo un gioco. Io ora le dico tre cose di me, una vera e due false. Se riesce a capire quella vera, ha diritto a farmi una domanda, alla quale risponderò con completa sincerità, e viceversa".
L'uomo si staccò dallo schienale e si protese in avanti.
"Nulla mi impedisce di prosciugarti di tutto io tuo sangue, qui e ora. Perché quindi dovrei giocare con te?".
Sorrisi in modo impertinente.
"Me lo avete confessato voi l'altra volta no? Siete annoiato. E cosa c'è di meglio di un gioco per far passare la noia?".
Lui scoppiò a ridere.
"Un gioco... si... un ottimo gioco davvero. Va bene ragazzina, giochiamo".
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