#11
·Mikasa·
«No, così non ci siamo.» mi riprende Ilse con dolcezza «Vedi qui? Come il tessuto si increspa? Devi arricciarlo così, in questo modo...» afferma, sfilando due spilli dal polsino imbottito che indossa ed appuntandoli sull'abito che sto confezionando.
É davvero difficile realizzare materialmente un bozzetto: nella mia testa so esattamente il modo in cui la stoffa dovrebbe cadere, accompagnare le forme del corpo, ma la pratica è tutt'altra cosa.
«Ho capito. Grazie.» le dico con tono neutro.
«Di nulla, tesoro.» e detto questo si avvicina ad Hannah, che sta lavorando con la cucitrice.
━
Sono ormai le cinque del pomeriggio, quando esco dall'atelier. L'aria rispetto a stamattina è più fresca, ed istintivamente sistemo meglio la sciarpa che porto al collo, coprendo parte del mio viso.
Sono settimane che trascorro la maggior parte del mio tempo qui per via dello stage: gli insegnamenti di Ilse sono preziosi, è una donna molto paziente, competente nel suo lavoro, ed io sono migliorata tantissimo.
Il rovescio della medaglia è che ho potuto dedicarmi poco a tutto il resto, amici compresi. Non ho più avuto modo di parlare con mio cugino, ad esempio... Non che ne sentissi realmente il bisogno, soprattutto considerata la natura della nostra ultima discussione.
Ho incrociato Armin di sfuggita l'altra mattina, mentre usciva per andare all'Universitá, mentre Eren non lo vedo né sento da quando sono stata a casa sua circa due settimane fa.
Quando ha iniziato a raccontare del giro in moto, la paura che in qualche modo potesse accadergli qualcosa mi ha fatto attocigliare lo stomaco: ma quando ha detto che la persona in questione era Levi, non ci ho visto più.
Adoro mio cugino, é un uomo fantastico, lo ammiro tanto. Ma ho sentito da mia madre che il motivo per cui si è congedato dall'esercito è perché non sta molto bene, emotivamente parlando. Ed è una cosa di cui mi sono accorta anche io, non é più lo stesso Levi di cui ho memoria.
Ovviamente ad Eren non ho detto nulla di questa storia, né delle pillole: si tratta della vita privata di Levi. Ma se per qualche assurdo motivo quest'ultimo facesse un incidente, magari sotto l'influenza dei farmaci? Se in quel momento si trovassero insieme?
Il risultato è stata una discussione piuttosto accesa, che si è conclusa nell'attimo in cui Armin mi ha letteralmente trascinata via. Non sento Eren da allora, e ciò vuol dire che è ancora arrabbiato con me.
Quasi come un riflesso incondizionato le mie mani sistemano meglio la stoffa rossa.
Non sono affezionata a nessun oggetto in particolare, sono una persona che non da alcuna importanza ai beni materiali, ma custodisco gelosamente questa sciarpa come un cimelio prezioso.
Ne ho grande cura, perché è un regalo di Eren.
Ricordo ancora il giorno in cui l'ho ricevuta. Era il mio nono compleanno, ed i miei genitori avevano organizzato una piccola festa a casa nostra. Quando scartai il suo regalo non mi colpì particolarmente, la trovavo una comunissima sciarpa. Poi Eren parló.
«Spero che ti piaccia! Ho visto che l'altro giorno la fissavi nella vetrina del negozio all'angolo, così ho chiesto a mia madre di accompagnarmi a comprarla.»
Non ricordo esattamente cosa stessi guardando quel giorno in realtà, di certo non quella sciarpa. Ma il pensiero che Eren avesse prestato attenzione ad un dettaglio così insignificante mi fece battere il cuore in un modo a me sconosciuto, del tutto nuovo. E quell'oggetto così comune e banale diventò per me indispensabile come l'aria.
Decido di incamminarmi verso casa quando sento pronunciare il mio nome.
«Mikasa!»
Mi giro, e quell'emozione che mi pervade ogni volta che lo vedo si fa largo nel mio petto, mentre sento le mie guance prendere colore.
È dall'altro lato della strada, ed attraversa a passo svelto non appena scatta il semaforo pedonale, per poi fermarsi a pochi passi da me.
«Ciao, Eren.» lo saluto, felice di vederlo. Eppure la mia voce non lascia trasparire la mia gioia, risultando piatta e monotona: una delle caratteristiche della famiglia Ackerman che odio di più.
«Ehi.» mi saluta «Tutto ok?»
«Il solito.» è la mia risposta, che spero non risulti troppo fredda. Non sono una ragazza loquace, e quando mi trovo insieme a lui rasento il mutismo, con mio sommo rammarico.
Vorrei esprimere tante cose, fargli capire cosa provo per lui, quanto sia importante per me.
Eren riesce a leggere la maggior parte dei miei stati d'animo solo guardandomi, ed a volte penso che questo mi basti, che stargli accanto sia sufficiente.
Poi, inevitabilmente, lui conosce qualche ragazza: le si affeziona, intraprende con lei una relazione amorosa alla quale io anelo da anni, e sono costretta a ricredermi. Una parte di me vuole che sia felice, l'altra invece desidera che lo sia con me.
«Come mai da queste parti?» domando curiosa. Non che mi dispiaccia, ovvio, ma raramente passa in questa zona e mi sorprende vederlo qui, soprattutto dopo il modo in cui abbiamo discusso.
Lui si gratta la nuca, come ogni volta che si trova in imbarazzo.
«In realtà ti cercavo. Ho provato a contattarti al cellulare, ma probabilmente è spento, così ho chiamato a casa tua e chiesto a tua madre dove potessi trovarti.»
Tiro fuori lo smartphone dalla borsa ed effettivamente è spento, avrà esaurito la batteria senza che me ne accorgessi. Poi rifletto meglio sulle parole appena pronunciate dal mio amico, ed il mio cuore manca un battito.
Mi cercava..? Perché?
Sento i palmi delle mani iniziare a sudare, mentre sposto nervosamente il peso del corpo da un piede all'altro.
«Come mai mi cercavi..?» e desidero con tutta me stessa che mi dica qualcosa come 'Mi mancavi', 'Ho bisogno di averti accanto', 'Ti amo'... Invece mi scontro con la dura realtà.
«Volevo chiederti un favore.»
Sospiro all'ennesima delusione.
«Certo, dimmi pure.»
«Volevo sapere di Levi.»
Istantaneamente mi gelo sul posto.
Perché vuole sapere di mio cugino..? Sono quasi sicura che Levi abbia accontentato la mia richiesta, e che non si siano più incontrati... Che Eren voglia chiedergli di fare un altro giro in moto?!
«Posso domandare la ragione?» dico, benedicendo per una volta l'inespressività che mi caratterizza. Lui impiega qualche secondo di troppo, fissandomi intensamente, prima di rispondere.
«Ecco, volevo solo sapere come sta, tutto qui.»
Ha le orecchie rosse, sta mentendo. E qualunque sia il motivo che lo ha spinto a farmi questa richiesta, vuole tenermelo nascosto. Questo suo interesse non mi piace.
«Potresti chiamarlo..?» mi domanda, piuttosto teso.
«Mi dispiace, come vedi ho il cellulare scarico e non ricordo il suo numero a memoria.» è la mia risposta, vera solo in parte.
«Oh, giusto...» la sua espressione esprime delusione, mista a qualche altra cosa che in questo momento non riesco ad identificare «Magari potresti telefonargli stasera e farmi sapere.» dice speranzoso.
«Non ti assicuro niente, la sera sono molto stanca per via dello stage, potrei dimenticarmene.»
Eren mi guarda, e dal modo in cui lo fa so che ha capito che sto cercando un modo per non fare questa chiamata. Ed ha intuito anche il perché.
«D'accordo, non preoccuparti.» alza le spalle, le mani infilate nelle tasche dei jeans.
«Ora scusami, ma ho un impegno.» e dopo avergli lasciato un bacio sulla guancia mi incammino, sperando di essere riuscita a tenerlo al sicuro.
·Eren·
Mi ritrovo a passeggiare senza meta per la città.
Mikasa non ha voluto chiamare Levi,
probabilmente il motivo é lo stesso per il quale abbiamo litigato a casa mia.
Sono certo che non sappia cos'è successo, la settimana scorsa all'acquario.
Se non fossi così impegnato nello scervellarmi alla ricerca di un'alternativa per contattare Levi..!
Penso a tutto ciò che so di lui, cioè quasi niente, e la mia frustrazione aumenta. Oltre al fatto che è un ex-militare, che pratica muay thai nella stessa palestra di Mikasa, e che possiede una moto non ho altre informazioni utili.
Ho il numero di telefono, certo, ma lo stronzo mi ha bloccato. Senza quello, sono fottuto.
Ho provato ad andare persino in palestra, ma è un po' che non lo vedono.
Per questo avevo pensato a Mikasa, ma non volevo dirle che avevo il numero di cellulare di Levi: avrebbe significato doverle dare spiegazioni in merito, e comunque non sarebbe servito telefonargli dal mio smartphone.
Maledetto coglione..!
Perché diamine, allora, sento il bisogno di parlargli, spiegargli... cosa? Che non volevo baciarlo? Fatto, non è servito. Che non ha significato nulla? In realtà non ne sono così sicuro nemmeno io...
Ma so per certo che, con la mia goffaggine, quel giorno ho fatto un danno più grande di quel che potrebbe sembrare.
Quando le nostre labbra si sono sfiorate, i suoi occhi sgranati, il respiro irregolare, il suo volto ancora più pallido, tutto del suo corpo gridava una sola cosa: paura.
Di cosa..? Di me?
Se non fossi dannatamente sicuro di aver interpretato bene i segnali, per come mi ha messo al tappeto in mezzo secondo, mi verrebbe da ridere.
«Aaargh, sono così confuso!» sbotto nel bel mezzo del marciapiede, passandomi nervosamente le mani tra i capelli.
«In effetti, non mi sei mai sembrato molto sano di mente.» è il commento alle mie spalle.
Mi volto, inarcando un sopracciglio, riconoscendo la voce.
«Beh, non é che tu sia lo stereotipo della normalità.»
«Ah, normalità! Che parola noiosa!» ribatte la giovane donna «Chi vuole essere normale al giorno d'oggi?»
Ymir sventola la mano, dalle dita lunghe ed affusolate, con noncuranza. Si avvicina a me col suo solito ghigno strafottente, guardandomi dall'alto con espressione di superiorità come se avesse tutte le risposte ai più grandi quesiti dell'universo.
«Ricordami perché ti sono amico, ti supplico.» sbuffo esasperato.
«Christa, ovvio. Nessuno resiste al mio piccolo angelo.» spiega quasi con sufficienza.
«Vero, grazie per il promemoria.» le faccio un gesto d'intesa con la mano, pollice ed indice ben dritti ad imitare una pistola, schioccando la lingua.
«Allora, occhi belli, cosa ti turba?»
Sorrido a quel nomignolo.
«Occhi belli, davvero?»
«Certo! Sono lesbica, mica cieca.» mi risponde riprendendo a camminare, ed io la seguo.
«Hai dato un soprannome anche a qualcun altro?»
«C'è faccia da cavallo, testa pelata, la ragazza della patata, lentiggini, noce di cocco e la donna di ghiaccio.»
Inizio a ridere, sono tutti molto azzeccati devo ammettere.
«Ma stiamo divagando. Vuoi parlarne?» mi chiede, infilando le mani nelle tasche alla ricerca di sigarette ed accendino. L'odore del fumo mi invade le narici infastidendomi, e non riesco a non notare la differenza della mia reazione rispetto a quando a fumare è Levi.
Rifletto qualche istante, prendendomi il mio tempo.
«Si tratta di un ragazzo.»
«Wo wo, frena! Yeager lo sciupafemmine che va dietro a un ragazzo? Che c'è, sei passato dall'altro lato della barricata?» sogghigna, soffiando via il fumo dalle labbra.
«Non sono uno sciupafemmine, innanzitutto: non è colpa mia, se le ragazze mi fanno il filo.» ribatto, guardandola in malo modo «E no, non intendevo in quel senso.»
Credo...
«Certo, non hai chiesto tu di nascere con un bel faccino, ma a quanto ne so questo non ti ha mai impedito di trarne dei vantaggi.» afferma, con lo sguardo di chi la sa lunga.
«Non ho mai detto di essere un santo.» faccio spallucce. É da un po' che non ho una relazione, ma le occasioni di certo non mi mancano.
«É vero, non lo hai fatto.» aspira di nuovo, dando poi un lieve colpetto alla sigaretta facendo cadere la cenere in eccesso «Che problemi hai con questo ragazzo..?»
«Insomma... Credo di aver involontariamente fatto un'enorme cazzata: vorrei chiarire con lui e rimediare però, nonostante le mie buone intenzioni, non so proprio come contattarlo.»
«Come non lo sai?»
«Esattamente quello che ho detto! Il fatto è che ha bloccato il mio numero di telefono, e non lo conosco così bene da poter fare altro...» ribatto mogio, calciando un sassolino invisibile.
Ymir si ferma, guardandomi intensamente, continuando a fumare la sua sigaretta. Dopo qualche attimo di silenzio, mi domanda seria «Vorresti? Conoscerlo bene, intendo.»
«Sì.» rispondo senza esitare.
Vorrei farlo: parlargli, trascorrere del tempo insieme. È l'unica cosa di cui sono sicuro, al momento.
La bruna schiaccia la cicca col piede, mentre un piccolo accenno di sorriso compare sul suo volto.
«Non preoccuparti, occhi belli. Sai essere testardo come un mulo, troverai di certo un modo per chiarire il malinteso.» poggia una mano sulla mia spalla, stringendola con forza, rassicurandomi.
«Grazie, Ymir.» le rispondo sincero.
«Ora vado, il mio angelo mi aspetta.» e detto questo prosegue verso destra.
Decido così di tornare a casa, quando mi sento chiamare.
«Eren!»
Ymir è ferma sul marciapiede, e mi guarda con un'espressione saccente.
«Sì?»
«Credo di sapere come andrà a finire!» esclama, salutandomi con la mano, riprendendo il suo cammino senza più voltarsi indietro.
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