19. Il colmo per un figlio di Demetra
Faceva davvero molto caldo e Marissa Beata Clarissa Alvarez lo soffriva in maniera inconsueta. Era molto strano, non era mai stata un problema per lei: nata e cresciuta in Virginia, sulle coste della baia di Chesapeake, Memo aveva sempre considerato la primavera e l'estate come sue stagioni del cuore. Questo per molti motivi: tutto era verde, ogni cosa splendeva sotto il sole, poteva passare del tempo in compagnia di Julia, la sua amata matrigna, nel suo negozio di fiori, e suo padre aveva finalmente tempo per portarla a trovare i suoi nonni in Messico.
Inoltre, non meno importante delle altre motivazioni, c'era il fattore scuola: in estate il liceo chiudeva e Marissa poteva finalmente tirare il fiato. A differenza di quello che sicuramente gente come Helen o Jasper credeva, non era facile nemmeno per una bella ragazza come lei vivere la propria condizione di semidea. Anzi. Essere carina ma dislessica, vegana, nonché di origini mesoamericane, con un carattere intransigente e severo, spesso difficile, aveva da sempre corrotto i rapporti tra lei e gli altri. Marissa non aveva mai avuto amici nel suo percorso scolastico. O meglio, non aveva mai avuto amici in generale. Solo da un paio d'anni aveva cominciato ad osare tali alcune persone del Campo Mezzosangue: Jazlynn, Winton, Gabriel. Sì, in modo particolare Gabriel. Pensava di averci costruito un rapporto discreto da quando erano tornati da Panama.
Quando si trovavano al Campo, durante l'estate, stavano spesso assieme. Gabriel era uno dei pochi che sembravano davvero interessati ai suoi seminari di ecologia applicata e ogni tanto, di sua spontanea volontà, la seguiva nelle sue solitarie raccolte di rifiuti nei dintorni del bosco.
Gabriel era un bravo ragazzo. Marissa era felice di essersi guadagnata la sua amicizia, dal momento in cui avevano condiviso molto a New Troy. Da quel posto maledetto, quantomeno, aveva guadagnato qualcosa di buono.
Per il resto, l'unica cosa che si era trascinata dietro era una tosse strana, rabbiosa e secca. Era per causa sua che Memo soffriva tanto d'estate: da due anni a quella parte, la tosse si presentava a inizio stagione e non se ne andava mai. Era iniziata nel momento in cui era tornata in Virginia, dopo l'avventura nella foresta pluviale: si era svegliata una notte e aveva iniziato a tossire. Pensava di essersi preso un malanno a seguito dell'ultima sudata nella caccia alla volpe, ma i giorni erano trascorsi senza che la tosse stizzosa passasse. Suo padre l'aveva portata dal medico, ma il responso non avrebbe convinto neanche il più idiota tra i semidei: febbre da fieno.
"È allergica alle piante, signorina" le aveva detto, con un sorriso accondiscendente, come se pensasse che lei non fosse in grado di dire il nome scientifico di una qualunque delle povere creature in vaso che cercavano di abbellire il suo studio e renderlo meno asettico. Marissa si era irritata, ma aveva comunque preso lo sciroppo che il dottore le aveva consigliato. Non aveva funzionato. Nessuna medicina sembrava riuscirci. La tosse persisteva e si calava solo verso la fine dell'estate, quando le prime piogge annunciavano l'arrivo dell'autunno.
Era da due estati che Memo succhiava caramelle al miele per calmare il continuo solletico alla gola. Anche quel giorno, seduta sotto un albero nei pressi della sua cabina, ne stava mangiando una. Stava ad occhi chiusi nel tentativo di rimanere concentrata sui suoi pensieri per dimenticare il perenne fastidio, ma non era affatto facile. La tosse era una costante e Memo temeva che prima o poi l'avrebbe fatta impazzire. Le toglieva le forze, soprattutto nei giorni più caldi. Aveva imparato, anche se molto a malincuore, a declinare gli inviti al gioco. Le sarebbe mancato il fiato troppo presto.
"Memo?".
La voce gentile di Gabriel la risvegliò dal suo torpore. Voltò la testa, spinse la caramella nella tasca della guancia, sorrise. Pregò gli dei di riuscire a parlare senza sembrare tubercolotica ed espulse un tenue: "Ciao".
Avrebbe voluto aggiungere un 'Gab' ma fu tradita: si portò velocemente una mano alla bocca e fu scossa da tre colpi di tosse secca, rabbiosi come latrati. Quando riuscì a calmarla nuovamente, sollevò gli occhi arrossati sul ragazzo e cercò di sorridere. Odiava tutto quello che le stava succedendo.
Quella era una tosse davvero brutta e a Gabriel ricordava le eroine dei film drammatici che stavano per morire di qualche strana malattia. Ma ovviamente non lo disse. Non sarebbe stato educato, anche se Memo era bella tanto quanto le attrici che interpretavano quei ruoli. Alla luce del sole i capelli erano dorati e gli occhii, nonostante i cerchi di stanchezza, - probabilmente causati proprio da quella tosse insistente - erano sempre luminosi.
"Come va, tosse a parte?" chiese assumendo il tono più gentile possibile e accennando un sorriso. Memo alzò le spalle e poi si rilasciò cadere come esausta nella sua posizione afflosciata. Gabriel all'inizio della stagione le aveva regalato un barattolo di miele biologico nella speranza che potesse, che so, usarlo per addolcire il tè, ma il regalo era stato preso come obolo all'intera cabina e Gabriel non aveva avuto il coraggio di far notare che fosse solo per Marissa. Però lei aveva sorriso quando aveva constatato che il figlio di Zeus aveva fatto un regalo ai suoi amati fratelli e sorelle.
Poi Gab aveva provato a seguire il suo corso di ecologia applicata, nella speranza di aiutare sua madre a fare il compost in maniera decente, ma ogni singola volta che si trovava con lei da solo lo assaliva una specie di ansia e inquietudine irrisolvibile. Aveva fatto tante figuracce, tutte molto divertenti per lo meno, ma anche tutte così simpatiche e disinteressate che Memo sembrava non accorgersi di quale gioia brillasse negli occhi di Gabriel quando la vedeva. E lui non sapeva se dispiacersene o meno. Da un lato gli dispiaceva di passare così assolutamente inosservato, di essere un bravo ragazzo invisibile, mentre dall'altro preferiva quasi che lei non lo notasse. Era timido? Forse sì. Ma aveva l'impressione che se anche solo qualcosa di quel che sentiva fosse trapelato, avrebbe rovinato tutto oltre ogni possibile soluzione. Marissa sarebbe rimasta delusa da quella persona che riteneva un amico e, forse proprio per quel carattere forte che gli piaceva, avrebbe deciso di tagliare i ponti.
Sapeva Memo non fosse così estrema, ma la mente gioca brutti scherzi.
Tentò immediatamente di cambiare argomento. Parlare della sua allergia era stata una pessima scelta.
"Senti ti volevo dire una cosa...".
"Dimmi pure. Ancora problemi con i novellini?" rispose lei a bassa bassa voce.
"No in realtà è su Sia".
Le parole risuonano un secondo vuote fino a che Memo non si girò per guardarlo in faccia improvvisamente interessata.
"È tua amica, no? La conosci da più tempo di me" continuò Gabriel.
"Sì, nel senso... la conosco da più tempo di te, ma Sia rimane comunque una ragazza timida".
Gabriel prese coraggio e con voce calma e bassa raccontò quel che aveva visto fuori dalle fucine. La cosa che più gli premeva, tra lo sgomento del rimettere in parole ciò che era accaduto, era sottolineare come Sia avesse negato tutto.
"Diceva di star bene. In un certo senso come se si fosse...".
Marissa trattenne a stento l'ennesimo colpo di tosse e scuotendo la testa mormorò roca: "Abituata? No. Non mi stupisce nemmeno un poco"
Aggiunse poi la ragazza, alzandosi da dove era seduta con molta fatica, come se le girasse la testa: "Callan è un ragazzo testardo e sa essere molto crudele. Non ha idea di quanto faccia male alle persone".
"Sì, ma ci deve essere qualcosa che si può fare!".
Il sorriso triste ed accondiscendente con il quale accolse l'esclamazione disperata di Gabriel non gli diede alcun sollievo.
"Qualcosa che Rob non abbia già fatto in tutti questi anni?" chiese lei logica e tranquilla. "Sia si comporta come un animaletto ferito, e..." si dovette fermare per tossire: "... Callan è un bambino con un coltellino svizzero che si diverte a torturare una povera creatura".
L'immagine della crudeltà con cui il figlio di Apollo aveva torturato la piccola figlia di Efesto trovava perfetta descrizione nelle parole di Memo. Gabriel rabbrividì. Non aveva pensato alla questione di Rob.
Tutto assumeva una sfumatura molto più tetra sotto quella luce.
"Ma se nemmeno Rob è mai riuscito a farlo smettere cosa si può fare?".
Si chiese perché mai Memo sapesse quelle cose e non ne avesse mai parlato con lui. Era già conscio della sua bravura nel notare i dettagli, ma il pensiero che sapesse e non avesse alzato un polverone lo indignò. Aggrottò la fronte quando la ragazza, tossicchiando, rispose: "Stare vicino a lei. Questo è ciò che facciamo. Ha bisogno di sentire i suoi amici vicini. Questo potrebbe darle forza".
"Davvero? Lo facciamo?".
"Sì. Lo facciamo tutti".
"Ma non lo farà smettere".
"Gabriel, non possiamo farlo smettere. Non funziona come una guerra questa. È qualcosa di più complicato. Non basterà sgridarlo per farlo smettere. Troverà sempre qualcuno di più debole con cui prendersela. Adesso è Sia, ma potrebbe prendersela con chiunque".
"Non penso sia nemmeno così semplice. Non se la prende con Sia solo perché è debole... Le cose che le ha detto erano nemmeno cattive. Erano malvagie. E voleva dirgliele a lei in particolare".
Il suo umore precipitò mentre ancora stava parlando, perché Marissa prese a scuotere la testa.
"Senti, Gabriel... Capisco come ti senti, ma questa situazione purtroppo non può essere risolta da un eroe".
Lui si chiese perché lei ne fosse tanto convinta. Forse era quella tosse a toglierle l'energia.
"Allora continuiamo così" disse rabbioso, senza guardarla in faccia. "No?".
"Non ho detto... questo...".
Un nuovo attacco di tosse costrinse Memo a sedersi. Gabriel la osservò diventare pallida mentre tutti i suoi sforzi erano concentrati su quella terribile condizione. C'erano così tanto cose che non andavano nel verso giusto e questa era solo una delle tante.
Però su una cosa Marissa aveva ragione: la situazione non avrebbe potuto essere risolta da un eroe. Per questioni così spinose sarebbe servito ben altro.
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