Silenzi
" Ma il silenzio fa rumore...
E gli occhi hanno un amplificatore...
Quegli occhi ormai da sempre
abituati ad ascoltare...
Persone che non san parlare che mettono in ordine I pensieri
Persone piene di paura che qualcuno possa sapere...
I loro piccoli e grandi contraddittori pensieri... "
La mattina successiva di Barzagli fu quasi interamente impegnata dal colloquio con la sorella della vittima.
Elettra Zorzi, questo era il nome della donna, raccontò agli inquirenti del carattere molto particolare di Chiara.
Disse che, fin da bambina, non si potevano non notare in lei una sensibilità e un'intelligenza fuori dal comune.
Era il fiore all'occhiello della famiglia.
Aveva conseguito in tempi da record la laurea in psicologia, la sua passione. Lei adorava ascoltare le persone e riusciva sempre a trovare le parole giuste per confortare chi ne sentisse il bisogno.
Questo, più o meno, era quanto accaduto anche con Ivan.
Chiara lo aveva notato quattro anni prima in una piazza di Milano, mentre chiedeva un'offerta ai passanti suonando il suo violino. Ne era rimasta incantata ed era rimasta ad ascoltarlo per tutto il pomeriggio, rapita dalle malinconiche vibrazioni prodotte dal suo archetto e da quei profondi occhi azzurri, che sembravano accompagnare quelle note in un inquieto duetto.
Era tornata poi il giorno successivo e quello dopo ancora, ogni volta tentando di scambiare qualche parola con lui, conquistando a poco a poco la sua fiducia. Portava cibo sia a lui che ai suoi due cani e poi rimaneva lì, seduta a terra, a tenergli compagnia.
I due presto si erano innamorati e lei aveva cercato invano di toglierlo dalla strada per avvicinarlo al suo mondo.
Ivan però era uno spirito libero, odiava il benessere e il conformismo.
Aveva scelto lui quella vita.
Un giorno aveva confidato a Chiara di essere laureato in giurisprudenza e glielo aveva dimostrato mostrandole il certificato. Le aveva rivelato che non gli importava cosa la gente pensasse del suo modo di vivere: lui, ogni volta che incontrava uno sguardo ostile o schifato, sapeva di avere dalla sua la certezza di non essere inferiore a chi lo giudicava.
Più di tutti loro poi, lui vantava la libertà, una certezza che gli permetteva di osservare il mondo intero dall'alto verso il basso. Sosteneva che chi perdeva tempo a denigrarlo, cercasse in realtà di celare un sentimento ben diverso: l'invidia.
Col tempo Chiara aveva capito che l'unico modo per poter vivere accanto a lui era essere come lui. Non lo avrebbe mai cambiato, per cui, era stata lei stessa a farlo.
- Ma vi assicuro che Chiara non è mai stata tanto felice in vita sua... -
Barzagli sospirò, annuendo poco convinto alla sorella maggiore della ragazza uccisa. Era una maschera di sofferenza, motivo per cui non se la sentì di contraddirla.
- Quindi anche lei, come Ivan, portava sempre con sé il certificato di laurea. -
La donna confermò tra le lacrime.
- Come mai si sono spostati nel golfo del Tigullio? - chiese ancora Alessandro.
- Erano nomadi, si spostavano di continuo, ma si sono avvicinati al mare perché Chiara lo adorava. - asserì la donna.
- E i rapporti con la famiglia? Come si sono evoluti? -
Elettra abbassò lo sguardo con un sorriso triste.
- Mio padre l'ha esclusa dalla sua vita. Era un uomo all'antica e le scelte di Chiara per lui furono un oltraggio imperdonabile. Mia madre all'epoca era malata e morì poco dopo. - s'interruppe un momento prima di continuare - A mia sorella non fu permesso neppure di venire al suo funerale... papà glielo proibì. Però, quando anche lui due anni dopo ci lasciò, lei venne ugualmente... nonostante tutto! Chiara era così. Era un angelo. -
Alessandro continuò chiedendo come fossero i rapporti tra i due fidanzati e la donna sembrò molto sicura del fatto che andassero d'amore e d'accordo. Li andava a trovare spesso e non li aveva mai visti litigare.
- Chi altri poteva avere interesse a farle del male? - la interrogò Barzagli.
- Nessuno. Che io sappia nessuno. Chiara non era in grado di vedere il male nelle persone, pensava che sotto ogni comportamento negativo di un individuo si celasse sempre una ferita. Per lei non esisteva la cattiveria. Diceva sempre che le persone andavano capite, che i loro silenzi dovevano venire ascoltati. -
Alessandro si alzò, radunando i documenti sparsi sulla scrivania.
- E allora perché Ivan è sparito? - insinuò prima di congedarla.
La donna sorrise al commissario, alzandosi a sua volta.
- Sono certa che la stia cercando... Ivan non poteva vivere senza di lei... -
Erik fece firmare la deposizione alla donna, che subito dopo fu libera di lasciare il commissariato.
Nel frattempo, nell'ufficio della vice Salvini, lei e Ferro finivano di interrogare i tre ragazzi che avevano trovato il corpo.
Si erano mostrati collaborativi e il più giovane, Elia, risultò essere fonte di interessanti notizie riguardo la vittima.
- Ragazzi, grazie per la vostra testimonianza e... De Luca! - asserì Giorgio diretto a Elia - Rimani reperibile, ti contatteremo di nuovo. -
- Certo, ispettore. -
Daniela si alzò e raggiunse per prima la porta, il tutto sotto l'attento esame del giovane testimone.
A Giorgio la cosa non sfuggì e seppur divertito, fece un sottile fischio di richiamo all'ordine.
- De Luca! E 'nnamo! - lo riprese fingendosi severo.
Il ragazzo dal canto suo arrossì fin sopra la punta dei capelli e prima di lasciare la stanza, si beccò uno scapellotto da uno dei due amici.
- Che hai da ridere? - chiese Daniela a Giorgio, andandogli incontro una volta che furono rimasti soli.
- Davvero non te ne sei accorta? - contrattaccò lui, cingendole la vita con un braccio.
- Certo che me ne sono accorta, lo avrei capito anche se non l'avessi visto... è normale amministrazione... ispettore! - sussurrò Daniela in risposta, a pochi centimetri dalle sue labbra.
Ispettore...
Così come l'aveva avvicinata, l'allontanò. Come se quella semplice parola avesse scottato la sua pelle con una potente scarica elettrica.
- Ma che ti prende? -
Giorgio si rese conto di non essere stato in grado di controllare le proprie emozioni, ma era stato più forte di lui.
Ispettore...
Come se qualcuno avesse premuto il tasto rewind del suo cervello, gli tornarono alla mente quei brevi momenti di felicità e spensieratezza vissuti con Martina e bastarono quelle nove lettere per ricordargli ciò che l'indomani sarebbe accaduto.
E poi quel sogno.
Quel maledetto sogno.
- Niente, niente, è che Alessandro potrebbe entrare da un momento all'altro e non mi va di dare spettacolo. - si giustificò radunando le cartelline, mentre superandola si dirigeva alla porta.
Daniela si limitò a guardarlo, avvilita.
Conosceva bene i motivi di quegli sbalzi d'umore, sapeva che la ferita del suo uomo era ancora aperta, ma non avrebbe permesso a quell'agente da quattro soldi di portarglielo via.
Aveva tentato in ogni modo di convincere Barzagli a trasferirla altrove, ma lui non smetteva un momento di vantarne le doti, ammorbandola di motivazioni per cui la sua presenza lì fosse indispensabile.
In quei mesi aveva creduto che Ferro l'avesse dimenticata, aveva creduto che il risentimento per essere stato piantato in asso su un letto di ospedale, avesse prevalso sul tanto decantato sentimento che, a seconda di tutti, lui provava nei suoi confronti.
Ma da quando aveva saputo del suo ritorno, non poté negare l'evidenza.
Giorgio era cambiato.
Non per forza in peggio, si poteva quasi dire che la notte l'amasse con rinnovata e prepotente passione, riducendo entrambi, ogni volta, allo stremo delle forze. Ma le motivazioni erano chiare a lei quanto invece non lo erano affatto per lui.
Giorgio si stava proteggendo... e lei lo avrebbe aiutato.
- Ehi, Gio', com'è andata con i tre ragazzi? - Barzagli aveva appena ritirato il suo caffè dal distributore quando Giorgio lo raggiunse.
- Uno di loro, Elia De Luca, conosceva la vittima e il suo compagno. Suo padre è il capostazione di Sestri Levante, quindi capitava a entrambi di vederli molto spesso e di scambiare con loro qualche parola. A quanto dice lui, Ivan è svizzero, quindi la nostra cara Orietta non ci ha preso nemmeno di striscio. - ridacchiò, ritirando anch'egli il proprio caffè.
Scesero le scale diretti al piazzale. Una pausa era quello che serviva a entrambi, in special modo a Giorgio. Alessandro lo studiava da quando era uscito dall'ufficio della Salvini, dopo l'interrogatorio, qualcosa lo turbava e non gli era difficile immaginare cosa: l'indomani era vicino e nonostante l'amico stesse facendo del suo meglio per non darlo a vedere, il suo nervosismo era lampante.
- Senti... - iniziò titubante, accendendosi una sigaretta - Non ne abbiamo più parlato... sai, del fatto... -
- Non mi interessa parlarne, Ale! Se avessi voluto lo avrei fatto, credimi. Non me ne frega niente. Punto. - lo interruppe Giorgio, lasciandosi cadere sui gradini d'ingresso.
Alessandro lo imitò e annuì, fissando un punto immaginario davanti a sé.
- Non ti credo, Gio'! -
Ferro fece una smorfia e si voltò a guardarlo. - Cazzi tuoi! Allora non mi conosci, capo! -
- È proprio perché ti conosco che non ci credo. Senti... sia chiaro, non sono qui a darti consigli da fratello maggiore o da prete del cazzo, voglio solo sapere a cosa andremo incontro, Gio', perché dovremo lavorare tutti insieme e il clima dovrà essere quantomeno... civile! -
- Di cosa hai paura esattamente, Ale? Credi che comincerò a dare di matto non appena lei metterà piede in ufficio? - si alzò e gettò via la sigaretta con rabbia - Credi che la sua presenza possa compromettere il mio rendimento sul lavoro? Se è questo che credi chiedi il mio trasferimento. Dimmi dove devo firmare e finisce la storia! -
Alessandro si alzò a sua volta, arrivando a pochi centimetri dal naso dell'amico. Tra i due iniziò un colloquio fatto di soli sguardi: sguardi carichi di rabbia, frustrazione e paura.
Fu Alessandro a rompere il silenzio.
Scosse la testa deluso, pronunciando l'unica parola che in quel momento conoscesse il suo vocabolario.
- Vaffanculo! -
Giorgio non si mosse.
I suoi occhi guardarono Barzagli rientrare dentro al portone e poi sparire su per le scale.
Non avevano mai litigato prima di allora, non erano mai arrivati a usare simili toni. Mai.
In una manciata di secondi l'inspiegabile livore che l'aveva assalito pochi attimi prima scemò del tutto, lasciandogli addosso solo un profondo senso di colpa.
Perché gli aveva parlato in quel modo?
Alessandro non si era mai intromesso nei suoi fatti privati, ma gli era sempre rimasto vicino, comprendendo i suoi silenzi e i suoi sbalzi d'umore. E per una volta che aveva tentato di parlargli a cuore aperto lui come aveva reagito?
Aggredendolo come fosse l'ultimo degli stronzi.
Maledicendosi per il suo essere tanto impulsivo, salì le scale a due a due, varcando come un fulmine la porta a vetri del commissariato.
- Gio', dove vai? Ti va un caff... -
- Non adesso, Daniela! -
Non si voltò nemmeno a guardarla, e senza bussare spalancò la porta dell'ufficio di Barzagli.
- Erik, dacci cinque minuti! -
Quando furono soli, Giorgio raggiunse la scrivania del collega, che sbuffando allontanò la tastiera del computer, restando in attesa con le braccia incrociate sul petto.
Giorgio rimase in piedi di fronte a lui. Lo fissò dritto negli occhi, poi sospirando appoggiò le mani sulla scrivania e abbassò la testa: sconfitto.
- Sto male, Ale! Sto male perché non so cosa proverò quando me la troverò davanti agli occhi! Sto male perché mi sento preso in giro... -
- Gio'... -
- No! Lasciami finire! Mi sento preso in giro perché questo rientro in sordina è quasi più umiliante dello stesso addio, anche se chiamarlo così vorrebbe dire che qualcuno dovrebbe
aver pronunciato quelle cinque, merdose lettere. - crollò a sedere sulla poltrona, si accese una sigaretta e ne offrì una ad Alessandro, che la accettò dopo un attimo di titubanza - Ma non sono più la stessa persona di quasi un anno fa, Ale. Puoi fidarti di me! -
Sei anche peggio... questo è il problema...
Ma Barzagli si limitò a pensarlo.
- E cosa pensi di fare con Daniela? - domandò invece.
Ferro lo guardò confuso, sollevando un sopracciglio.
- Daniela? Che c'entra lei adesso? -
- Beh tu... lei... -
- Io e Daniela scopiamo, Ale! - lo interruppe, togliendolo dall'imbarazzo.
- E sei... sei sicuro che anche per lei tutto si limiti a... a quello? - continuò Alessandro.
- Non è un mio problema! Sono stato chiaro sin dall'inizio con lei, non puoi rimproverarmi anche questo. -
Seguirono alcuni istanti di inquietante silenzio, durante i quali i due si soppesarono a vicenda, poi Alessandro inspiegabilmente scoppiò a ridere, spiazzando il collega che rimase a guardarlo interdetto.
- Ma sei scemo? Prima mi mandi a fanculo e adesso mi ridi in faccia? - Si unì così alle sue risate, sollevato dal fatto che quel breve momento di tensione fosse stato stroncato sul nascere.
Vennero però interrotti dal ritorno di Marchisio, che trafelato si rivolse loro:
- Hanno trovato il compagno della Zorzi, vagava a piedi sull'Aurelia. Lo stanno portando qui! -
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