Capitolo XV
Le voci dei miei amici che mi chiamavano erano sovrastate dal dolore e dalla pioggia. Niente aveva più senso. Simone era morto, tutto quello in cui credevo era stato rotto insieme al mio cuore.
I lampi continuavano a illuminare la notte e i tuoni rimbombavano nell'oscurità, ma a me non importava.
Guardavo il corpo del ragazzo attraverso le lacrime e la pioggia. La sua faccia aveva ancora una sfumatura rosata, ma le mani erano fredde come il ghiaccio, gelate come il mio cuore.
Mi voltai verso i miei amici.
Ambra aveva una faccia spaventata, mortificata, agghiacciata. Le sue braccia giacevano immobili lungo i fianchi e i suoi occhi erano lucidi, forse per via della pioggia o delle lacrime.
Emma aveva le mani alla bocca e scuoteva la testa sussurrando al vento parole che solo lei poteva udire. I suoi codini erano accasciati di lato, fradici di pioggia.
Clara fissava il ragazzo esanime senza espressione. Ma le sue mani fremevano e il labbro tremava.
Davide aveva gli occhi spalancati insieme alla bocca. Ogni cosa in lui suscitava incredulità e spavento.
Mi morsi il labbro, ma le lacrime continuavano a scendere silenziose sulle mie guance. Come era potuto accadere? Perché il fulmine lo aveva colpito? Perché era dovuto succedere proprio a lui?!
Non volevo crederci, non potevo. Eppure era successo. Non potevo tornare indietro, il tempo non si può alterare. E in quel mondo, dove ogni legge è scacciata dalla stranezza, dove ogni cosa non segue il filo della ragione... cosa potevo fare?
Il mio cuore si era spezzato, nel petto avvertivo un dolore ancora più forte di quello provato dopo la caduta. In quel momento desideravo che lui fosse con me. Volevo stringerlo, guardare i suoi occhi grigi riempirsi di gioia e felicità. Il suo viso si sarebbe aperto in un sorriso. Avrebbe sorriso a me, e con quella espressione mi avrebbe detto che andava tutto bene.
Ma lui non c'era più.
Chiusi gli occhi e singhiozzai forte. Le mie preghiere mute si persero nella tempesta, lasciando un vuoto enorme dentro al petto.
Sentii girare la testa, come se fossi in ascensore, come se qualcosa mi stesse trasportando in un luogo che non era lì. Beh, era quello che volevo. Andarmene, scappare, correre via da quell'inferno in Terra... no, non eravamo sulla Terra, quello era l'opposto di casa.
La testa girò ancora più forte e io mi sentii svenire, mi lasciai cadere verso la terra dura, verso la roccia che mi avrebbe spaccato la testa in due come il fulmine aveva fatto col cuore. Ma la terra non arrivò.
Stavo cadendo, o meglio, fluttuando. Mi sentivo leggera, il mio corpo non aveva più consistenza, nulla lì lo aveva.
Tenni saldamente chiusi gli occhi. In modo che il buio mi avvolgesse, che fossi parte dell'oscurità.
Stavo dondolando. Avanti e indietro, indietro e avanti.
Non c'era più una legge di spazio o di tempo. Nulla a cui aggrapparmi, solo il buio.
E, improvvisamente, tornai a terra. Il mondo si fermò insieme a me e io spalancai gli occhi. Un tuono lontano sovrastò l'urlo che sentii subito dopo. Era spaventato, gioioso, determinato.
Alzai gli occhi e la figura di Simone, in piedi, con il braccio destro in aria, pronto a sfidare la tempesta, mi si parò davanti come una visione.
In un frammento di secondo capii cosa dovevo fare.
Scattai in piedi come una molla e spinsi Simone di lato con una forza che non riconobbi come mia. Un secondo dopo un fulmine colpì il punto in cui stava il ragazzo un attimo prima.
Io e lui rotolammo insieme per qualche metro, sbattendo la testa e facendoci altri graffi.
Non sapevo cos'era successo. Ma non mi importava. Lui era lì, insieme a me, vivo. Lo sentivo respirare, il suo respiro forte, i suoi capelli biondi che mi sfioravano la faccia, la sua pelle calda a contatto delle mie mani. Ma poi quell'istante finì e io mi ritrovai sdraiata sulla roccia.
Il mio petto si alzava e si abbassava affannoso, mentre la pioggia mi entrava negli occhi e nella bocca aperta per lo sforzo.
- Vittoria! – una mano piccola e pallida mi invitò ad afferrarla.
La presi e mi aiutai a mettermi seduta.
Emma mi sorrideva. Era un sorriso vero, senza traccia di paura o rimorso. La faccia tonda e il naso a patata donavano al suo viso qualcosa mi unico, magico, semplice.
- Emma... tu sei...? – iniziai, ma poi le parole mi si bloccarono in gola.
La ragazzina annuì ripetutamente con il sorriso che si allargava sempre di più, insieme all'entusiasmo.
Mi aveva fatto tornare indietro. Avevo viaggiato nel tempo, indietro nel tempo. Giusto in quel millesimo di secondo necessario per salvare Simone.
Simone!
Mi voltai verso di lui.
Era esattamente come l'avevo visto poco prima... o poco dopo. A terra, disteso, immobile, fatta eccezione per il petto, che ora respirava esattamente come una persona viva.
Mi misi in piedi e mi avvicinai a lui.
Lui mi guardò, in quegli occhi grigi scorgevo talmente tante emozioni da non riuscire a riconoscerne neanche una.
Gli tesi la mano.
Lui la afferrò.
La sua stretta salda mi fece battere il cuore.
- Come hai...? – chiese lui alzandosi in piedi – Insomma, sei apparsa all'improvviso!
Gli sorrisi, con il cuore che ancora batteva quanto un tamburo.
- Vittoria! Simone! Emma! – mi voltai verso la fonte della voce.
Delle figure nella tempesta correvano verso di noi con delle facce sconvolte. Ambra era in testa, seguita da Clara e Davide. Quest'ultimo stava in fondo alla fila, saltellando su un piede solo come meglio poteva.
- Dove cavolo siete finite?! – chiese Davide guardando me e Emma – Siete scomparse nel nulla! Come avete fatto? – poi guardò Simone – Ah! Eccoti qua, da dove arrivi?
Simone lo guardò, dubbioso, ma poi il suo sguardo grigio fu rivolto a me e disse:
- Mi hai salvato – i suoi occhi brillarono – Il fulmine mi stava per colpire e tu mi hai salvato!
L'espressione ammirata che ora mi rivolgeva era ciò che più desideravo al mondo. La pioggia continuava a scrosciare e i tuoni rimbombare, ma quegli occhi grigio tempesta, che si fondevano con il paesaggio, erano la cosa più bella del mondo.
Mi sentii arrossire violentemente con ogni occhio nei dintorni puntato su di me.
- Quale fulmine? – chiese Davide dopo qualche secondo.
Simone scosse la testa, poi sorrise.
- Devo raccontarvi un po' di cose.
*
- Stavi combattendo contro il Mostro del Fulmine?!! – esclamò Davide con gli occhi spalancati – Sai stato trasportato dalla corrente fino alla spiaggia e poi hai cominciato a correre verso la tempesta che vedevi in lontananza?! Fighissimo!
- Non avresti dovuto attaccarlo – disse Ambra severa – Non sei ancora pronto, avrebbe potuto ucciderti.
Simone abbassò il capo.
- Lo ha fatto – disse Clara per l'ennesima volta – Se non fosse stato per Emma lui sarebbe morto!
Simone fece una smorfia.
- Possiamo non parlare di questo? Non è bello sapere che sei già morto una volta senza essertene reso conto – disse con lo sguardo basso.
La tempesta si era placata dopo che Simone era stato salvato. Ora la pioggia era solo qualche gocciolina solitaria che ti raffredda il naso di tanto in tanto. Anche il cielo sembrava aprirsi. Qualche raggio di sole filtrava attraverso le nuvole, come una nuova speranza.
- Sta bene – dissi – È questo l'importante.
Ambra scosse la testa, poco convinta.
- Ma adesso cosa facciamo? – chiese Emma voltando la testa verso l'orizzonte.
- Beh – disse Ambra alzandosi in piedi – Andiamo avanti.
*
Camminavamo da circa mezz'ora. Intorno a noi ora un terreno pietroso con qualche traccia di erba secca ci faceva inciampare sui nostri stessi passi.
A volte un albero piccolo e secco svettava sul terreno arido. Le foglie color autunno stavano immobili, come fossilizzate. Non c'era più vento da un po', neanche una bava, un soffio, un alito appena accennato. Pareva che il tempo si fosse fermato, l'unico suono udibile erano i nostri passi che facevano sfregare i ciottoli sul terreno circostante.
Quell'immobilità faceva quasi paura.
Le nuvole si erano ritirate all'orizzonte e ora il cielo era azzurro, un azzurro strano, sconosciuto, che nel nostro mondo sarebbe stato impossibile copiare.
Ambra stava davanti, impettita e con la testa alta, come un generale. Dietro stavamo noi, che ci guardavamo intorno sospettosi, come a voler scovare qualcosa di nascosto, che ci era sfuggito al primo sguardo.
Abbassai gli occhi sulle mie scarpe. Erano zuppe, sporche, messe peggio di quelle di Ambra la prima volta che l'avevo vista. Avevo ancora freddo, ma camminando mi stavo scaldando, anche con l'aiuto del sole, che improvvisamente aveva alzato la temperatura di parecchi gradi.
Il fatto che la notte fosse completamente sparita dopo la tempesta mi aveva messo non poca soggezione, ma dopo aver ripensato ai bizzarri fenomeni del mondo avevo deciso di lasciar correre. Il punto è che con questo fatto Ambra aveva deciso di approfittare a continuare a camminare, ignorando completamente il fatto che gli altri membri della Squadra, me compresa, stavano morendo di sonno.
- Sai mantenere un segreto? – sobbalzai nel sentire la voce di Simone.
Alzai lo sguardo su di lui e mi accorsi di essere indietro rispetto al gruppo, come se avessi rallentato senza accorgermene.
- Sì – risposi sbattendo le palpebre perplessa.
Ma poi un'idea si fece largo tra i miei pensieri. E se quel segreto avesse riguardato me?
Il cuore cominciò a battermi forte. Tentai in tutti i modi di frenarlo, sapendo che probabilmente le mie speranze sarebbero state distrutte; ma non riuscivo a togliermi dalla mente l'idea che quel segreto potesse riguardarmi.
Sorrisi, tentando in tutti i modi di frenare l'entusiasmo.
- Sai, tu mi ispiri fiducia, più degli altri, intendo. Sento di poterti dire tutto – disse Simone prima che il suo sguardo di tempesta mi investisse.
Deglutii.
Calma, potrebbe essere una falsa speranza mi imposi di pensare.
Ma potresti avere ragione... disse una vocina nella testa.
Non sapevo cosa pensare. Desideravo che lui mi dicesse quello che volevo sentire, ma poteva essere una qualsiasi altra cosa. Qualsiasi altra cosa...
- Ecco, io penso di avere paura – disse Simone – Non avevo mai avuto così paura in vita mia. È come se questo mondo avesse un qualche effetto strano su di me. Poi, il fatto di essere già morto... - scosse la testa, poi mi guardò.
Le mie speranze erano collassate. Ma tentai di rimanere composta, anche se la delusione cresceva di più a ogni secondo.
- Anch'io ho paura – dissi – Credo che la abbiano anche gli altri, anche se non lo vogliono far notare. Eccetto Emma, che credo non si faccia problemi – lanciai uno sguardo alla ragazzina, davanti a noi di parecchi passi, poi tornai a guardare lui.
Simone sbatté le palpebre.
- Sì, forse hai ragione. Ma nessuno di voi è morto. Mi sento strano quando ci penso, è come se il mio destino ora sia diviso in due – disse mordendosi un labbro.
- Tutti i nostri destini sono stati divisi – dissi abbozzando un sorriso – Quando ho scoperto i Mostri e gli Elementi è, come hai detto tu, come se la mia vita fosse stata divisa. La normalità e... il resto – aggiunsi.
Mi risultava facile parlare con lui, mi veniva voglia di far uscire fuori le mie emozioni, dire i miei pensieri. Non mi veniva spontaneo entrare nel mio guscio come con il resto del mondo, qui era molto più semplice. Aprivo la bocca e, automaticamente, usciva la frase giusta, quello che volevo dire, ciò che desideravo comunicare.
Simone sorrise.
- Tu sei diversa dalle altre ragazze – disse – non ho mai visto qualcuno come te.
Mi sentii arrossire violentemente.
Deglutii, tentando di mantenermi calma, quando l'energia e il nervosismo minacciavano di fuoriuscire in massa dal mio corpo.
Annuii, senza sapere cosa altro dire.
Simone allargò il suo sorriso.
- Mi è piaciuto parlare con te – disse, prima di correre avanti. La sua caviglia era molto migliorata.
Sorrisi tra me e me. Non mi aveva confidato il suo amore, ma a qualcosa era servito parlargli.
Abbassai di nuovo lo sguardo sul terreno.
L'aria continuava a essere immobile, un'immobilità surreale. Nemmeno un minimo soffio di vento filtrava tra le foglie dei piccoli alberi solitari. Non c'era aria che muovesse la polvere di roccia sotto i nostri piedi. L'unica cosa a muoversi eravamo noi. Figure minuscole in mezzo al nulla.
Guardai avanti.
Simone ora camminava qualche metro dietro ad Ambra. La sua chioma bionda rifletteva il Sole caldo sopra di noi, pareva che in testa avesse oro puro.
Lo adoravo. La sua camminata sicura mi faceva venire voglia di correre, arrivargli davanti e gridare. Urlare di gioia.
Distolsi lo sguardo dal ragazzo. Non mi piaceva l'effetto che aveva su di me, in alcuni momenti desideravo non essermi mai innamorata di lui.
I miei occhi vagarono per la pianura sassosa intorno a noi. Si posarono su un piccolo arbusto secco che sbucava da un sasso e su una roccia con degli spigoli acuti, oppure sulle foglie di un alberello marrone. Si abbassarono sul tronco del cosidetto alberello e nel momento esatto nel quale il mio cervello riuscì a recepire cosa stavo vedendo il mio cuore fece un balzo.
Una figura, nascosta dall'ombra del tronco e delle foglie, stava appoggiata all'albero con fare annoiato.
Non potevo capire chi fosse da qui. Ma il mio sesto senso mi gridò di scappare nella direzione opposta: poteva essere un Mostro.
Ebbi la sgradevole sensazione che ci stesse guardando. Che gli occhi, coperti dal buio, si fossero posati proprio su di noi. Che ci scrutassero minacciosi, in attesa di attaccare.
Quando la figura mosse un passo nella nostra direzione un brivido mi attraversò la schiena. Un fremito di paura mi fece tremare le mani e la fronte mi si imperlò di sudore freddo.
Corsi in avanti, verso Ambra.
- Guardate là – dissi terrorizzata indicando la figura, che stava emergendo in quel momento dall'ombra dell'albero.
Ma la sorpresa prese il posto della paura in una frazione di secondo.
I capelli castano chiaro, la maglietta rosa che brillava al sole, gli occhi verdi e attraenti, la pelle bianca e perfetta, la camminata sinuosa... tutto faceva ricordare una sola persona.
- Sabrina! – gridò Ambra vedendola.
- Ragazzi! Eccovi qua! – disse la ragazza accelerando il passo.
In pochi secondi ci fu davanti. Il suo sorriso si aprì in un modo che non avevo mai visto sulla sua faccia.
I suoi capelli e i suoi vestiti non erano bagnati come ci si sarebbe aspettati, erano perfetti, esattamente come quando eravamo partiti.
Una strana paura ricominciò a entrare nel mio corpo, come se avvertissi un pericolo inesistente. Scossi la testa e ignorai quella sensazione.
- Che ti è successo? – chiese Davide.
- Beh – iniziò Sabrina, indifferente – Sono stata trasportata dalla corrente, come voi. E poi... beh... sono arrivata qui.
- C'è Nicola con te? – chiese ancora Davide.
- No – rispose sicura la ragazza.
Avevo la strana sensazione che qualcosa non andasse, che ci fosse qualche dettaglio che non avevo considerato. Ma non sapevo cosa. C'era tensione nell'aria, ma pareva la percepissi solo io...
No, anch'io sento che c'è qualcosa che non va. Nella mente di Sabrina ci sono pensieri confusi, come se non ricordasse perfettamente come è arrivata qui.
Guardai Clara, lei ricambiò lo sguardo. Poi tornai a fissare Sabrina.
La ragazza sorrideva. In un modo normale, forse troppo normale, tenuto conto che eravamo nel mondo dei Mostri.
Si voltò verso di me e per un istante i nostri occhi si incrociarono.
Un brivido di terrore mi attraversò da cima a fondo.
In fondo ai suoi occhi c'era qualcosa di sbagliato. Sembrava che qualcosa non fosse al posto giusto. Era come se l'aura negativa del mondo che ci circondava fosse entrata in lei.
Scossi di nuovo la testa.
Non dovevo pensarci. Non adesso.
- Dove state andando? – chiese Sabrina mantenendo il suo sorriso.
Ambra voltò la testa verso l'orizzonte.
- Non abbiamo una meta precisa. Volevamo solo... andare avanti – disse voltandosi di nuovo verso di noi.
- Oh – disse Sabrina sbattendo le palpebre – Ahm... posso venire con voi?
- Ma che domande fai? – interruppe Davide – Noi siamo una Squadra o cosa?
- Ha ragione il piccoletto – disse Simone – Non c'è bisogno di un permesso.
- Non sono "piccoletto" – protestò Davide – Ho dieci anni e mezzo, l'anno prossimo vado in prima media e sono il più alto della classe – aggiunse fiero.
Simone fece una risatina, che per un attimo mi fece dimenticare i miei dubbi. Adoravo sentirlo ridere. Sembrava che una chitarra avesse intonato un tranquillo Rock'n roll.
- Beh, andiamo – disse Ambra. E con un sorriso si rimise in marcia.
*
C'è qualcosa di strano qui mi dissi con gli occhi bassi troppo strano...
Avvertivo che qualcosa era cambiato da quando era arrivata Sabrina, ma non sapevo spiegare cosa. Avevo paura, ma non il tipo che ti fa sudare le mani e scappare a gambe levate, ma il genere che rimane nascosto all'interno di te. Come un brivido dentro il petto, che, a volte, si fa sentire con un fremito improvviso o un arricciamento del naso.
Improvvisamente sembrava che la temperatura si fosse abbassata di dieci gradi. Avevo freddo, seppur il Sole continuasse a splendere. Nemmeno la visione di Simone riusciva a distogliermi da quei pensieri, da quelle paure.
Avvertivo i movimenti di Sabrina, come se ci fosse un'energia derivante da lei. Chiudendo gli occhi, la percepivo e quando mi accorsi che stava rallentando per affiancarsi a me, un nuovo, forte brivido mi attraversò la spina dorsale.
- Ciao – disse Sabrina con un sorriso.
- Ciao – risposi tenendo accuratamente lo sguardo puntato in basso.
- Pensavo che, magari, potremmo provare a socializzare un po', no? – quella frase non poteva averla detta Sabrina. Non c'era malignità in quel tono, anzi, sembrava esitazione.
Alzai gli occhi su di lei.
Sorrideva, ma nei suoi occhi c'era ancora qualcosa di sbagliato.
- Okay... - dissi esitante.
- Ah! Bene! – esclamò lei battendo le mani come una foca.
Sbattei le palpebre.
Cosa stava facendo? Sabrina non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Avrebbe, al massimo, schioccato le dita davanti alla faccia per poi dire una cosa senza senso nella lingua delle ragazze carine della scuola.
Questo non era da lei, sembrava che fosse improvvisamente diventata un'altra persona.
- Ahm... allora – disse notando la mia espressione dubbiosa – Qual è la tua canzone preferita?
Mi accigliai.
Sabrina non mi avrebbe mai fatto una domanda così, semmai mi avrebbe chiesto chi è il mio cantante preferito.
- "Sofia" di Alvaro Soler – risposi, cauta.
- Ah! Non l'ho mai sentita – disse, con un sorriso – La mia è "Acqua azzurra acqua chiara" di Lucio Battisti.
Come faceva a non conoscere "Sofia"? Al saggio di ginnastica ritmica avevo sentito io stessa che la canzone scelta era "Sofia". E tutta la scuola sa che Sabrina fa ginnastica da sei anni ed era stata proprio lei, quell'anno, a scegliere la canzone.
E poi, come mai una ragazza di 13 anni come Sabrina conosceva una melodia vecchia come "Acqua azzurra acqua chiara"?
- Sabrina, in che anno siamo? – chiesi, più cauta di quanto non sia mai stata in vita mia.
- Oh, che domanda buffa. Nel 1990, non li guardi i calendari? – rispose la ragazza scoppiando a ridere come una pazza.
La mia mano scattò automaticamente al collo, sfiorando la gemma nera che custodivo gelosamente.
Con una scossa di energia in mano mi ritrovai un pugnale d'argento.
Sabrina si guardò attorno, circospetta.
- Perché hai in mano quello? – chiese arretrando di qualche passo – Qui ci sono solo io...
Il cuore aveva cominciato a pulsarmi nel petto, forte come un tamburo. Il mondo intorno a me perse consistenza all'arrivo della paura.
Quella non era Sabrina.
L'avevo capito da prima, ma non avevo dato retta all'istinto. Quello era un Mostro, il Mostro della Forma, lo stesso che mi stava pedinando nel nostro mondo, lo stesso che avevo incrociato per strada. Ora era chiaro! I Mostri mi stavano seguendo da un bel po', non ero mai stata al sicuro e finché ogni singola traccia di male non fosse stata sconfitta nessuno di noi sarebbe stato salvo.
- Vittoria, attenta! – gridò Clara da dietro di me, per poi balzare contro Sabrina, gettandola a terra.
- Voi! Orribili umani! Sempre a combattere per il bene! – la voce che ora usciva dalla bocca di Sabrina non era più quella di una ragazza, era profonda, rimbombava, come se derivasse da ogni direzione – Stupidi, schifosi Protettori! Non vincerete mai! Abbandonate ogni speranza, perché non avete più scampo! Lei sta arrivando, siete perduti! Sì, perduti! Abbandonatevi a noi! Abbandonatevi alla morte!
Quella voce mi entrava dentro, mi stritolava il cuore, lo riempiva di paura, di esitazione. Ma dovevo resistere, non dovevo cedere.
- Inutile resistere! – gridava il Mostro, bloccato dal peso di Clara – Inutile combattere!
- Basta! – gridai. E con un unico movimento, un unico scatto, un'unica emozione, abbassai mano e pugnale in direzione del Mostro con tutta la forza che avevo in corpo, perforandogli il corpo come fosse stato di cartone; mentre Clara si spostava di scatto.
Con un ultimo grido, l'essere, ancora sotto la forma di Sabrina, si dissolse in una nuvola di fumo nero, che rimase un attimo sospesa in aria prima di disperdersi e fondersi con l'aria.
Presi un respiro profondo prima di mettere via il pugnale.
Le mani mi tremavano ancora e il mio cervello non si era ancora reso conto che tutti i miei amici mi avevano visto mentre sconfiggevo un Mostro.
Deglutii, più e più volte, prima di voltarmi verso gli altri membri che, spaventati, come Emma; confusi, come Davide; orgogliosi, come Ambra; stupiti, come Simone, mi fissavano, in attesa di qualcosa.
Li guardai, uno per uno. Nel mio cuore le emozioni esplosero. Volevo gridare. Volevo correre. Volevo volare. Ma il mio corpo rimaneva immobile, fissando i miei amici, anch'essi congelati. Mi sarei anche accontentata di riuscire a dire una parola, ma sentivo la gola secca, priva dell'energia necessaria a emettere qualche suono.
Poi, Ambra cominciò a battere le mani. L'applauso rimbombò nella pianura mentre altre mani si univano a quelle della mia amica.
Emma, Davide, Simone, Clara... tutti stavano applaudendo, esultando, tutti nella mia direzione.
Mi sentii nascere un sorriso sulle labbra, felicità vera, qualcosa di unico, di inspiegabile.
Sorrisi, era l'unica cosa che riuscivo a fare, mentre i miei amici continuavano a battere le mani all'unisono. Quel suono era diretto a me, a me sola. Io, la ragazza timida, la ragazza che tutti chiamavano Mask, io, che fino a poco tempo prima non ero niente, io, stavo ricevendo un applauso, uno vero, da tutti i miei amici, tutte le persone che per me contavano di più. (escludendo Nicola e la vera Sabrina che erano dispersi da qualche parte)
Ripresi a respirare, con i muscoli della faccia che mi dolevano per il troppo sorridere. Ma quello era un dolore che potevo sopportare.
Avevo appena sconfitto il Mostro della Forma.
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