𝚑𝚒𝚐𝚑 𝚘𝚗 𝚕𝚎𝚐𝚊𝚕 𝚖𝚊𝚛𝚒𝚓𝚞𝚊𝚗𝚊

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Illegale.

Questo cazzo di freddo di merda è oggettivamente, obiettivamente, chiaramente, indubitabilmente illegale.

È incompatibile con la vita, porca troia.

Li sento uno ad uno, gli organi rinchiusi dentro al mio corpo che iniziano ad intorpidirsi, il sangue che si raggruma e si congela, le estremità del corpo che si fanno distanti, desensibilizzate, ho la certezza matematica di star raggiungendo la mia fine, e nonostante le battute, mi vien su quasi il panico.

Non posso crepare nel parcheggio di un bar, io volevo essere un grande scienziato nella vita, questo posto non farebbe onore alle mie ambizioni, sognavo di far affiggere una bella targhetta luccicante sulla lapide con su scritto "Katsuki Bakugō, vincitore del premio Nobel per la fisica", non "Katsuki Bakugō, morto di ipotermia in un parcheggio del cazzo".

Devo muovermi sì, devo muovermi e entrare e non creperò se entrerò ma ho freddo, e la mia voglia di vivere è congelata come la mia forza, ad un certo punto qualsiasi ragione si ferma e raffredda, inizio a pensare che non m'importa del Nobel, quando sarò morto non ci sarà nessun Nobel, tanto vale...

Ficco le mani, calzate nei guanti, non i miei soliti perché talvolta devo tristemente lavarli, fino in fondo alle tasche della giacca, immergo il viso nella sciarpa, chiudo gli occhi, bestemmio dentro la mia testa fino a finire la voce che non sto usando, ma possiedo ugualmente.

Freddo di merda, io odio il freddo, io sono come un resistore, lavoro bene alla temperatura ottimale di venticinque gradi centigradi, il freddo m'intirizzisce, mi rende inutile, detesto ricordarmi di quanto io debba portarmi addosso quest'ammasso di carne chiamata corpo quando tutto quel che mi serve è il mio cervello, anche se Denki dice che i cervelli non hanno un bel culo, se quel culo deve ghiacciarsi allora che qualcuno se lo porti via.

Sto morendo.

Morirò qui.

Sto drammaticamente raggiungendo la mia fine.

Io sto...

Sto...

Sto...?

Braccia attorno alle spalle, nuca contro lo sterno, testa sopra la mia, un odore che conosco bene, la parvenza di un corpo che pare della temperatura della superficie del Sole.

All'inizio quasi credevo qualcuno mi stesse aggredendo, è arrivato da dietro, non l'avevo visto.

Oh, ma se mi devi aggredire così, e se devi essere tu, allora puoi anche...

– Kat, tutto bene? Ti ho visto dalla vetrina e ti sei fermato così all'improvviso, non ti va più di venire? Se non ti va non importa, gli altri capiranno. –

Mi lascio andare contro di lui.

È caldo, Eijirō è caldo.

Cos'avevo detto, che sarebbe stato la mia stufetta?

Ecco.

Stufami come una bistecca.

Io qui sto congelando.

– Kat, ci sei? Kat, sei vigile? Non hai dormito? Non stai... –

– Chiudi la bocca un secondo. –

Ammutolisce.

Lo sento trattenere il fiato, poi probabilmente capisce il mio stato d'animo e capitola con una risatina, mi stacca solo per potermi girare, schiaffa la mia testa sul suo petto e mi stringe forte.

Oh, quasi risento le dita dei piedi. Che gioia, quale meravigliosa sensazione è avere di nuovo la sensibilità al corpo.

– Hai freddo? –

– Mmh, sì. –

– Ti stavi congelando? Per questo ti sei fermato? –

– Sì, sì. –

– Ora stai un po' meglio. –

– Sì. –

È vestito poco, poco rispetto a me, quindi rimarrebbe da chiedersi se sia io ad essere vestito troppo, ma visto che sono io che penso, qui, io ho ragione e lui ha torto, quindi è vestito poco.

Però è bollente.

Mi rotolo nel calore finché il mio cervello non ricomincia a riconnettere le sinapsi.

– Ora entro, sì, solo un minuto, che ho freddo. –

– Dentro c'è il riscaldamento, se entriamo ti scaldi. –

– Ma io mi scaldo qui, mi sto scaldando adesso, un minuto, solo un minuto. –

– Un minuto va bene, ma non più, che sono tutti seduti che ci aspettano. –

– 'Fanculo, che aspettino. –

– Non è molto carino, da parte tua. –

– Quando mai io sono stato carino? –

Eijirō s'infila nei lembi lasciati scoperti dalla mia sciarpa, ha la punta del naso fredda ma la sensazione, probabilmente solo perché è lui, non è spiacevole, mi stampa un bacio su una guancia, un altro ancora poco distante.

– Non ti permettere di dire che il mio ragazzo non è carino. È molto carino. Super carino. –

– Sì, cazzo, carinissimo, ho visto surgelati più socievoli. –

– Ho detto "carino", non "socievole". –

– Sì, hai ragione, con questo freddo non riesco a pensare. –

Sfilo le mani dalle tasche, chiudo le dita sulla sua felpa e lo tiro più insistentemente verso di me, Eijirō non dice niente, non so bene cosa faccia, ho ancora gli occhi chiusi.

– Bei guanti, Kat. –

– I miei sono a lavare. –

– Questi di chi sono? Sempre di tua madre? –

– Sempre miei, sono quelli che non metto mai. –

– Ti sei davvero comprato questi guanti? –

– No, me li ha regalati Denki. –

– Oh, così ha più senso. –

Mi ha detto che me li avrebbe lasciati perché nel pacco ce n'erano sei paia e non sapeva che farci, e per ogni evenienza, li ho presi, sperando probabilmente di non aver mai modo di metterli.

Purtroppo ho avuto modo.

Purtroppo mi tocca andare in giro coi guanti fuxia di Barbie per evitare che mi cadano le dita.

Almeno non ci sono andato a scuola.

– Come ti senti, meglio? –

– No. –

– Cosa ti farebbe sentire meglio? –

– Infilarmi dentro una vasca di acqua bollente e rimanerci dentro finché non mi si stacca la pelle dalle ossa. –

– Qualcosa di più fattibile? –

Storco il naso contro la sua maglietta, strofino piano la fronte contro il tessuto.

– Se ti va puoi darmi un bacino. Non garantisco che mi faccia sentire subito meglio, ma magari aiuta. –

– Questo si può fare. –

Mi sento mosso e spostato, ancora con le palpebre serrate, giusto qualche centimetro più lontano rispetto a lui, poi le labbra si premono contro le mie e quel frizzare delle mie emozioni che si accende ogni volta che lo fa spande un calore sottile, pacato, dentro alla mia cassa toracica.

Un altro, me ne dà un altro.

Un terzo quando mugugno un lamento al sentirlo allontanarsi.

Poi ride sulle mie labbra, la mia coscienza si scioglie, e finalmente apro gli occhi per guardarlo.

Decisamente vestito poco.

Stranamente ancora abbronzato, è dicembre, miseria, non è giusto.

Bello come ogni volta, bello sempre, e sempre con quel sorriso in volto che mi fa tremare le ginocchia.

Quando vede le mie ciglia separarsi per rivelargli le mie iridi, sorride di più, mi bacia il ponte del naso, mi tiene il volto fermo con le mani.

– Ciao, Kat. Lo sai che sei bellissimo oggi? Te l'ho già detto? –

– Stamattina all'intervallo. –

– Fattelo ridire. Sei bellissimo. Ti amo da morire. Entriamo, ti prego, non sopporto la pressione sociale di arrivare in ritardo. –

Ridacchio.

– Va bene, va bene. –

Lascio che prenda la mia mano e mi trascini verso l'ingresso.

– Ti amo da morire anch'io. – mormoro, prima che spinga la porta per farmi entrare.

Il locale è piccolo, giusto un caffè poco distante dal liceo, non è la prima volta che ci vengo e sicuramente non sarà l'ultima, Eijirō aveva ragione, il riscaldamento è acceso, per quanto la sensazione non sia la stessa di sentirmelo addosso mi sciolgo un po' anche così.

Percorro qualche passo verso i tavolini, sento gli altri prima di vederli, qualcuno dovrebbe davvero dire a Denki che sarebbe il caso di abbassare il tono della voce, non che m'infastidisca, ma ho la sensazione che se un serial killer lo stesse inseguendo nel tentativo di ucciderlo non riuscirebbe a tacere nemmeno in quel caso.

Mi sfilo la giacca e la sciarpa, Eijirō le prende per me e si dirige dalla parte dell'appendiabiti, io procedo da solo, arrivo fra le sedie ammassate con i guanti ancora addosso.

Mi chiedo per un attimo se vorrei nasconderli.

Quando percepisco il sorriso di Denki a vedermeli indosso sorrido anch'io, e mi appoggio con le mani bene in vista per sedermi, meritandomi il mio migliore amico che farfuglia cose tipo "slay" o "queen" con la bocca piena di caffè freddo.

– Scusate il ritardo, stavo... –

– Ibernando fuori dalla porta, sì, prevedibile. – m'interrompe Kyōka, che mi conosce e conosce la mia innata passione per il clima così rigido.

Annuisco verso di lei, incrocio le gambe sotto al sedere, con un cenno del capo saluto tutte le persone che ci stanno attorno.

Non so bene come si sia combinata quest'uscita, credo che Sero abbia invitato Iida, Iida l'abbia detto ad Hitoshi, Hitoshi a Denki e Denki a Kyōka, Kyōka a Momo e Momo a Mina, Mina a Eijirō fino ad arrivare anche a me, in una catena di persone che ci ha portati ad essere tanti, forse troppi, qui tutti stipati in un tavolino che di persone ne conterrebbe a malapena quattro.

Ognuno tiene una cannuccia fra le labbra, chi col caffè freddo "che non importa se è inverno, 'Suki, è una specialità tipica gay", chi col suo litro di americano non zuccherato – Hitoshi, forse dovresti farti vedere, capisco le passioni ma a questo punto è una dipendenza – e sto per alzarmi a prendere qualcosa anch'io, quando Mina spinge dalla mia parte un bicchiere di cartone della taglia più grande, un occhiolino accennato in viso.

– Eijirō ha garantito che ti piace e volevo offrirti qualcosa. Da me per il povero cristiano che si deve tenere quel dipendente affettivo fuori di testa. –

Sposto il tappo con le dita.

Cioccolata calda.

Con la cannella.

E i marshmallow piccini che si sciolgono e gli zuccherini colorati.

Accenno un sorriso.

– Grazie. –

– E di che, piacere mio. –

– Tu che bevi? –

– Io e Eijirō prendiamo sempre il tè. –

– Caldo? –

– Ah-ah. –

Guardo con la coda dell'occhio il suo bicchiere trasparente, il liquido è scuro, ma limpido.

– Senza latte? –

– Il latte fa ing... –

– Il latte fa bene, ci sono le proteine. Mettici il latte. –

Sbatte le ciglia lunghe dalla mia parte.

– Non ti piace il tè col latte? – chiedo.

– Mi piace, ma... –

– Allora mettici il latte, anzi... – mi giro dandole per un attimo le spalle – Eijirō? Prendi il latte per Mina, per favore? E anche per te. No, non fare quella faccia, il latte fa bene. Sì, va bene anche se è latte di soia, smetti di farmi i gesti, so leggere il fottuto labiale, così sembriamo solo due coglioni. Prendi il latte e smetti di agitare le braccia che se continui così ammazzi qualcuno. Quello. Sì, bravo. –

Nel muovere decisamente poco delicato il suo corpo alla fine ci riesce, prende il latte, e quando lo vedo tornare dalla nostra parte mi rimetto dritto, rivolgendomi di nuovo agli altri.

Denki sta urlando ancora.

Cerco di capire di che cosa stia parlando ma cambia argomento con una velocità tale da rendermelo impossibile.

Trovo riparo nello sguardo di Kyōka.

Emerge dal fianco di Momo su cui era spiaccicata e si sporge verso di me.

– Gli hanno fatto una multa perché era in doppia fila. Ha fatto appello dicendo che era in doppia fila solo per un secondo perché stava scopando in un vicolo. L'hanno minacciato di citarlo per atti osceni e ce l'ha con, testuali parole, "quei bigotti del cazzo che se la prendono con me perché non scopano dall'anteguerra". –

Sbatto le palpebre.

– Seriamente? –

– Pare. Non lo so, poi ha attaccato a parlare di piercing, piercing ai capezzoli, il nuovo rossetto liquido di Lady Gaga, i moti di Stonewall, un fumetto porno che ha letto ieri e perché non gli piace Murakami. –

– Quest'ordine? –

– No, sai che ogni tanto mi perdo dei pezzi. –

Lancio un'occhiata al mio migliore amico.

Se lo lasciano parlare ancora a questa velocità gli uscirà il fumo dalle orecchie.

Lo sento friggere da qui.

– Denki? –

Non interrompe il suo discorso.

– Denki? –

Ancora una volta, non pare nemmeno sentirmi.

– Denki, cazzo. –

Le parole gli si spezzano fra le labbra. Il suo discorso cade, s'infrange, il filone dei suoi pensieri viene nettamente reciso, confusione, disorientamento, riprende in mano se stesso e si gira verso di me.

– 'Suki, scusa, non ti avevo sentito. Dimmi. –

– Denki, se parli così tanto esplodi. E ti viene mal di testa. Respira. Hai respirato, oggi? –

Aggrotta le sopracciglia.

– Sì, credo... di aver respirato. Miseria, sono ancora vivo. –

Prende un lungo fiato a pieni polmoni, le mani che gli tremavano tornano salde, lo sguardo torna a fuoco.

– Com'è andata chimica alla seconda ora? –

– Non ne ho idea, ho riso istericamente per metà del compito e ho scritto le risposte con la penna viola. –

– Hai riguardato i miei appunti ieri sera? –

– Sì, tutte le pagine. Anche il retro. –

– Allora è andata bene. –

Sento la sedia spostarmisi a fianco, intendo che Eijirō si è seduto accanto a me quando sento una mano stringermi affettuosamente la coscia, continuo a fissare Denki, che sta lentamente lasciando defluire la tensione.

– Tu non avevi il test pratico di educazione fisica, oggi? – mi incalza.

– Ho detto che avevo il ciclo. –

– Non ci credo mai, lo sanno anche i muri che hai paura del ciclo. –

– Non ho paura del ciclo! –

Kyōka interviene.

– No, ha ragione, Denki, non è il ciclo, è l'apparato riproduttore femminile. –

Mina alza la voce.

– Guarda che è da lì che sei uscito, tesoro. –

– Non è vero, è nato di cesareo. Gay di platino. Mai toccata una vagina. –

La mia migliore amica sospira.

– Che vita infernale, dev'essere. Non ci posso pensare. –

Momo la spalleggia.

– Vero. –

Mi mordo l'interno della bocca, Eijirō mi dà un colpetto col gomito.

– Persino paura, Kat? –

– Terrore. Quando guardavo gli horror piratati a quattordici anni non erano i jumpscare a spaventarmi, ma i pop-up delle tipe nude. Un trauma. – sentenzio.

– L'ingegnerino è spaventato dalle donne calde a meno di un chilometro da te? –

– Ero convinto che sarebbero venute a prendermi mentre dormivo. Sprangavo la finestra. –

– Stai scherzando? –

Mi guardo i guanti dall'alto.

– Più o meno. Mi sono reso conto poi che non c'è modo in cui io possa piacere ad una donna in quel senso. –

Eijirō aggrotta le sopracciglia.

– Perché no? Dio, Kat, sei davvero bello, perché mai non dovresti... –

Mina gli dà un colpetto sul braccio.

– No, ha ragione lui. È bello come il sole, ma da donna l'unica cosa che penso potremmo fare chiusi in camera da letto da soli e senza vestiti è metterci l'autoabbronzante o contarci i nei. –

Kyōka annuisce.

– È troppo gay. –

Sospiro.

– Sono troppo gay. –

Eijirō mi stampa un bacetto sulla guancia, è rapido, veloce, ugualmente affettuoso, mi sorride a trentadue denti, ruba per un attimo la scena a qualsiasi cosa stia succedendo attorno a me.

– Non è "troppo", è il giusto. Sei gay il giusto. Correttamente gay. –

Denki scuote il capo.

– Non c'è bisogno di fare il cascamorto, l'hai già conquistato, diciamoci le cose come stanno. 'Suki è così gay che starebbe sotto a me. Fine della discussione. –

– I tuoi sono pregiudizi – risponde il mio ragazzo – come fai a sapere che Katsuki sta so... – s'interrompe a metà della frase, lo stiamo guardando tutti come se stesse cercando di descrivere il sapore dell'acqua, non crede nemmeno lui a quel che sta dicendo.

– Kirishima, prendi un respiro e ripeti la puttanata che hai appena provato a dire senza ridere. –

Lascia andare le parole, espira l'aria che aveva trattenuto nei polmoni.

– Ok, forse questo era un azzardo. –

Prendo un sorso di cioccolata.

– Lo era. –

Il calore del liquido denso mi avvolge lo stomaco, ogni singolo angolo del mio corpo si dimentica anche solo di esserci stato, al freddo, divertirmi e stare qui mi pare sempre più confortevole, più rilassante.

Mi lascio andare contro lo schienale della sedia.

Vedo Sero tirare fuori qualcosa dalla tasca, sposta le dita sulla carta, la toglie, prende quel che sembra un dolcetto fra le dita e lo caccia alla cieca in bocca a Iida che pare un po' sorpreso, all'inizio, ma accetta di buon grado.

Ci metto quindici secondi, a ragionare sul perché nonostante siamo in un caffè stiano mangiando cibo portato da casa.

Perché dev'essere qualcosa che qui non si può comprare.

Perché è...

– Sero, che fai, porti e non condividi? Condividi, stronzo. – borbotta Denki, che come me, ha recepito e compreso la situazione.

– Era l'ultimo pezzo che avevo a casa. Scusa, il rappresentante degli studenti ha avuto una brutta giornata oggi, se ce n'è un pezzo solo tocca a lui. Privilegio romantico. –

Momo stringe lo sguardo.

– Hai avuto una brutta giornata? È successo qualcosa? –

Iida sospira.

– Sono esaurito. Ogni giornata è una brutta giornata perché sono esaurito. –

Sero intreccia le dita con le sue sopra al tavolo, gli accarezza piano il dorso di una mano.

– No, non dire così, non sei esaurito, sei stressato. Vedi che i brownies ti faranno sentire subito meglio. –

– Erano brownies? E non hai condiviso? – tuona Denki, che ancora è rimasto col discorso a quattro frasi fa.

– Privilegio romantico, ripeto. Sei il mio fidanzato? No, allora vieni dopo. –

– Allora voglio essere il tuo fidanzato! –

– Non voglio che Shinso mi tagli le gambe, ma grazie per averci provato. Apprezzo il tuo interesse. –

Il mio migliore amico gira il capo di novanta gradi verso il suo ragazzo, immerso in un tête-à-tête piuttosto romantico e a tratti pornografico col suo adorato caffè non zuccherato in tazza grande.

– Gli taglieresti le gambe? –

– All'osso, vicino all'articolazione dell'anca. –

– Wow, questo è molto sexy. –

– L'osso? O l'articolazione dell'anca? –

– Tutti e due. –

Kyōka centra Hitoshi con un tovagliolino di carta appallottolata.

– Time-out, se avessi voluto vedere un porno gay avrei cercato su internet. –

– Niente di quel che potresti trovare su internet sarebbe anche solo minimamente paragonabile alla realtà, brutta racchia. – le risponde a tono Denki.

– Come no? Apri un sito a caso e cerchi "twink biondo vestito da cameriera con superdotato caffeinomane che non ha voglia di vivere" e vedi che sei a posto. –

– Vorrei ribattere, ma è inaspettatamente preciso. – mormora Shinso, ridacchiando.

– Vestito da cameriera? – mi ritrovo a chiedere.

– Non fare domande. – interviene Kirishima.

– Non farò domande. – acconsento, grato al cielo che effettivamente nessuno dei due in esame mi abbia effettivamente sentito.

Bevo un altro po' della cioccolata, mastico un paio di marshmallows, quando ritraggo il bicchiere credo di essermi sporcato perché Eijirō mi tiene fermo il mento con le dita e procede a togliermi qualsiasi cosa ci sia con un fazzolettino pulito, il cellulare di Mina vibra sul tavolo, lei lo prende, sospira.

– Queste iscrizioni all'università sono una punizione divina. Ho mandato tutto quello che dovevo mandare e ancora mi mandano mail su fogli da riempire e stronzate da fare. Sono come te, Iida, sono esaurita. –

– Alla fine hai scelto cosa volevi fare? – le risponde lui.

– Sì, mi sono iscritta a teatro e arti performative. Fare la cheerleader è carino e tutto, ma vorrei ballare per davvero, i pon-pon mi hanno un po' rotto il cazzo. –

– Vuoi fare la ballerina? –

– La coreografa. –

Iida annuisce, si gira verso il resto dei presenti.

– Voi? –

Momo si schiarisce la gola.

– Giurisprudenza. Mamma e papà hanno martellato così tanto che alla fine mi sono convinta. A parte tutto credo che me la caverei. –

– Certo che te la caverai, c'è qualcosa in cui non te la cavi? – la incalza Eijirō.

Lei sorride, china il capo.

– Io musica e arte, se Dio vuole una cosa so fare. – interviene poi Kyōka.

– Ingegneria elettronica. Credo lo sappiano tutti. – m'intrometto anch'io.

Eijirō sorride, prima a me, poi al resto dei presenti.

– Scienze dell'educazione e della formazione. Vorrei fare l'atleta, ma ad un certo punto dovrò smettere, mi piacerebbe poi allenare i bambini piccoli. –

– Perché i bambini piccoli? – gli chiede Sero.

– Perché mi piacerebbe fare per qualcuno quello che vorrei avessero fatto per me. –

Mi si scioglie un po' il cuore, mi vengono le guance rosse a farlo ma infilo una mano nello spazio fra le nostre sedie, prendo la sua, stringo forte le sue dita giusto per fargli capire quanto sono orgoglioso di quel che intende, di quel che dice, di quel che fa.

Forse dovrei dirglielo a voce, conoscendolo è troppo insicuro per darsi la soddisfazione di capire i miei gesti, in questo contesto.

Non ora.

Più tardi.

– Io sono entrato a medicina. Berrò così tanto caffè che mi verrà un infarto e morirò in aula. – sentenzia poi Hitoshi, prevedendo una probabile conclusione della sua vita.

– Che tipo di dottore vorresti essere? Tipo un chirurgo pazzo? –

– Psichiatra. Vorrei fare lo psichiatra. Mi piacerebbe essere uno psichiatra di cui la gente penserebbe "perché invece di farlo non c'è andato lui". È punk. –

– Ma tu vai dallo psichiatra, Hitoshi. – gli fa notare Denki.

– Sì, ma questo la gente non lo saprebbe. –

Sorride, giusto un briciolino, quel tipo di espressione che fa solo ed esclusivamente al mio migliore amico, poi i bordi delle sue labbra tornano dov'erano, Denki gli si accascia al fianco.

– Io sinceramente comunque non lo so. Faccio così cagare a scuola che non sono sicurissimo di volerci andare, all'università. Sicuro vado a vivere con 'Suki e mi trovo un lavoro per l'anno prossimo, poi vedo come va. So che sembra un po' stupido, ma... –

– Il cazzo, stupido. È la tua vita, per fare questo genere di scelte puoi prenderti tutto il tempo e la calma che ti pare. Sempre, e a maggior ragione a diciott'anni. – borbotto, tranciando il suo discorso a metà.

Mi rivolge uno sguardo un po' malinconico, dolce ma un po' malinconico.

– Tu lo sai da quando avevi undici anni, cosa volevi fare, 'Suki. Io continuo a non saperlo da sempre. –

– E tu non hai il panico in mezzo alle folle, non hai paura di dire quello che pensi e non sei un inetto sociale. Diverse persone, diversi tempi. Tu ti prendi il cazzo di tempo che ti serve, se non lo fai ti do fuoco. –

– Mi dai fuoco? –

– Ti metto su uno spiedo e ti vendo in strada allo stand delle puttane arrosto. –

Ci pensa su.

– Fantasioso. Apprezzo. –

– Piacere mio. –

Si sporge dalla mia parte, mi pizzica una guancia, torna seduto bene e mi manda un bacio schioccando le labbra sulla mano. Poi si rivolge di nuovo a Iida, che ha fatto la domanda.

– Tu? –

– Io economia. –

– Sero? –

– Ho lavorato tutto il liceo al ristorante dei vicini per risparmiare, appena finisce lo strazio me ne vado almeno un anno in giro per il mondo. Sai quanto cibo c'è da mangiare sul pianeta? Un sacco, e aspetta solo me. –

– Nessun piano di studio? –

– Naah, si vedrà quando tornerò. Se tornerò. –

Iida lo guarda con gli occhi blu da dietro le lenti degli occhiali. Ha lo sguardo morbido e rilassato di chi ha mangiato qualcosa che sta facendo effetto, ma è lucido, non strascica le parole.

– Certo che torni, che fai, mi molli qui da solo? –

– Dovresti venire con me. –

– I miei mi ammazzano. –

– I tuoi ti riempiono la valigia di soldi e ti lanciano fuori di casa, Tenya, quei cristiani sono più preoccupati di me per la tua ansia. –

– Dici? –

– Giuro. –

Si morde l'interno della bocca, piega il capo.

– In effetti non hai tutti i torti. E Bakugō ha ragione, non è che mi corre dietro nessuno, quindi... ci penso, dai. Parlo coi miei e ci penso. Magari da sobrio. –

Sero annuisce convinto.

– Sì, mi sembra un'ottima idea. –

– A proposito di viaggi, avete letto il messaggio di Mirio sulla chat della squadra? – dice poi Eijirō, interrompendo la loro conversazione.

Aggrotto le sopracciglia.

– È ancora nella chat della squadra? –

– Nessuno si permetterebbe di mandarlo via. – mi risponde.

– No, cosa dice? – interviene Hitoshi.

– Ci invita con rispettivi amici, fidanzati, credo abbia scritto "eventualmente anche animali domestici", da lui per capodanno, a Okinawa. Ha detto che possiamo rimanere fino a che non ricominciano le lezioni. –

Denki batte una mano sul tavolo.

– Figo, ci sto. Così non devo tornare tutto sfasciato da mia madre. Ha smesso di provarci ma le sto facendo venire i capelli bianchi, a quella povera donna. –

Non credo sia tanto per le sue abitudini alcoliche, credo sia più per l'ex-marito ossessivo e pressante, ma questo lo sappiamo solo io, Denki e Kyōka, quindi non credo sia il caso di farlo notare.

– Sì, anche io ci sto. Però io dietro camera di Mirio non ci dormo. Mi è bastata quella volta in trasferta l'anno scorso. – commenta Sero.

Kyōka aggrotta le sopracciglia.

– Perché? Russa? –

Sero si morde l'interno della bocca e scuote la testa nascondendo una risatina.

– Se avesse dormito forse avrebbe russato, ma il fanciullo non ha dormito, quindi non ne ho idea. –

La mia migliore amica capisce l'antifona.

– Sul serio? È quello che penso? Ha fatto baldoria tutta la notte? –

– Ad un certo punto mi è venuta persino paura. C'era tutta questa serie di tonfi e il letto che sbatteva e non lo so, ho temuto per l'incolumità del suo povero fidanzato. –

– Ah, così, da zero a cento. Un cattivone. –

– Un mostro. –

Eijirō ridacchia.

– È successo anche a me, a parti invertite. In trasferta con Tamaki con la camera accanto alla sua. Confermo, un mostro. Traumatico. –

Denki decide di partecipare con la sua sobria curiosità e le sue candide domande.

– E Tamaki? Lui bello silenzioso o... –

Sero e Kirishima fanno "no" con la testa contemporaneamente.

– Magari. –

– Sarebbe stato meglio se lo fosse stato, ti garantisco. –

– Ma davvero? Lui, che sembra così timidino e carino e che non si fa nemmeno vedere in faccia e che... – prova ad inserirsi Mina, che viene prontamente interrotta da Denki.

– Timidino e carino dove, tesoro? Non l'hai visto il collare, alla festa? Fin lì ci arrivavo anch'io. –

– Il collare? –

– Sì, il collare. –

Spalanco gli occhi.

– Allora quella collana strana era un collare? –

– Certo che era un collare, si vedeva lontano un miglio che era un collare. Anche uno abbastanza costoso, credo. –

Momo tamburella con le unghie lunghe e scure sul legno del tavolo.

– Dici che fanno quel tipo di cose? –

Denki annuisce.

– Non sono cazzi nostri di sicuro, e mi perdonino il gossip, ma direi proprio di sì. All'inizio ero un po' sorpreso, ma poi in effetti ho iniziato a vederceli. Poi non ne ho idea, quel che fanno in privato sono fatti totalmente loro. –

Io e 'Yōka ci guardiamo, ad entrambi viene su una risata che cerchiamo di reprimere. Sì, sì, Denki fa questa scenetta del disinteressato, quando parla con un gruppo grande di persone, ma è una banca dati di stronzate pressoché interminabile. Per dirla con la mia tipica eleganza, sa i cazzi di tutti, e racconta più che volentieri i cazzi di tutti.

Mina si sporge oltre me ed Eijirō, guarda il mio amico.

– Ma sono cose che fate anche voi, no? Cioè, non voglio essere indiscreta, però mi sa che ne stavamo parlando alla festa, l'altro giorno? Se ti dà fastidio prendimi a pugni, me lo merito. –

Hitoshi ridacchia, scuote la testa.

– Qualche volta. Però mi sa che Mirio e Tamaki sono più seri, più impegnati, non so se mi spiego. C'è una grande differenza fra soddisfare qualche kink qualche volta o avere una dinamica vera e propria. Io e Denki siamo più del primo tipo. –

Mina annuisce, interessata, per un secondo mi chiedo come siamo arrivati a parare sulla vita sessuale di Denki, mi rendo conto dopo che è strano che non ci fossimo arrivati prima, in quanto banda di adolescenti è normale che ad un certo punto l'argomento salti fuori, e fra tutti lui è sicuramente il meno timido.

– Tu dici che hanno proprio una relazione di quel tipo? –

– Non ne ho idea, ma tendo a credere di sì. Poi ovviamente sono due ventenni, sono cose che s'imparano col tempo, se devo dire ad occhio e croce sono sulla buona strada ma ancora da farne ce n'è un po'. –

Eijirō abbassa il tono della voce, si rivolge giusto a me.

– Perché stiamo speculando su cosa fanno a letto Mirio e Tamaki? –

– Non chiederlo a me, non saprei spiegarlo. –

– Sono cose di cui Denki parla spesso? –

– Se non parla di cose schifose almeno una volta all'ora gli viene un attacco epilettico. –

Mi pizzica una spalla con le dita, stringe incuriosito lo sguardo.

– Quando siete da soli gli parli anche tu di queste... "cose schifose"? –

– Non ho capito la domanda. –

– Racconti i dettagli di noi a Denki quando siete fra di voi? –

Mi viene quasi da ridere.

– Non puoi essere così ingenuo da avermi fatto questa domanda, Eijirō. Non puoi non sapere la risposta. –

Non risponde, per un attimo.

Lo precedo.

– Tu non ne parli con Mina e Momo? Non passate le serate a cianciare di tette, culi e bevande proteiche? –

Prende aria come se fosse offeso.

– Io parlo dei miei sentimenti con le mie amiche, Kat, non di queste cose! Noi ci facciamo la maschera all'argilla e manifestiamo con l'incenso e condividiamo i nostri problemi! –

– Beh, noi fumiamo le canne sul tetto, mangiamo la pizza d'asporto sul letto di Denki e ci raccontiamo le schifezze. –

Finge shock, ma sapeva già la risposta, non riesco a credere non fosse così.

Capitolo con un mezzo sospiro.

– Sì, Eijirō, parlo di noi a Denki e a Kyōka. Vorrei dirti che questa cosa potrebbe cambiare se me lo chiedessi ma vivere una relazione senza potermi aprire con loro per me sarebbe un crimine. Se non ti va bene lasciami. –

– Oh, no che non ti lascio, ero solo curioso, non ti lascerei mai, lo sai. –

– Mai? –

– No, mai. Con tutta la fatica che ho fatto per convincerti a metterti con me, ci manca che ti molli per una stronzata del genere. Non ti mollerò mai, Kat, mi devi uccidere. –

– Preferisco non ucciderti, per il momento. –

– Per il momento? –

– Per il momento. – ripeto.

Si sporge dalla mia parte e sfiora la punta del naso con la mia. Si china, stampa le sue labbra sul mio viso, sorrido nel bacio come faccio ogni volta, lascio che la mia fronte cada nell'incavo della sua spalla.

Mi accarezza delicatamente il capo fra le ciocche chiare dei miei capelli.

– Di cosa parlano? – mugugno, in realtà molto poco interessato alla risposta.

– Mi sa del ballo. –

– Il ballo? Ancora facciamo 'sta stronzata? –

– Non lo so, non sto capendo, si parlano sopra. –

Cerco di sintonizzarmi ma ci metto più del previsto. Quando riesco a ritrovare il bandolo della conversazione, mi sa che sono un po' più in là di quanto credessi.

– La concezione di "ballo della scuola" con la reginetta e il re è anacronistico, transfobico, eteronormativo e super noioso. Ne stavamo parlando col comitato l'altro giorno. Il concetto di regalità poi, come se dovessero essere due studenti che sono meglio degli altri, è una stronzata, è ridicolo. No, quest'anno sarà una festa normale, vestiti ognuno come gli pare, 'fanculo le tradizioni. Le uniche cose di sempre che ci saranno sono il fotografo e un sacco di alcol. Fine. – sta dicendo Kyōka, che è infervorata nella sua battaglia, un po' perché ha chiaramente ragione, un po' perché l'anno scorso Momo ha vinto come reginetta ed è stata costretta a ballare con Mirio in una performance che aveva del ridicolo.

– Giusto, sono d'accordo. L'unica cosa... perché vestiti come ci pare? Vedrò Hitoshi in cravatta probabilmente solo al mio funerale, non possiamo obbligarlo almeno per questa volta, per favore? –

– No, Denks, vestiti come ci pare. E se Hitoshi vuole venire con la minigonna viene con la minigonna. –

– Hitoshi vuole venire in pigiama. – dichiara, di fatto, Hitoshi.

– Se Hitoshi viene in pigiama, Hitoshi non scopa per cinque anni. –

– Hitoshi non vuole venire in pigiama. – ritratta, di nuovo, Hitoshi.

– Io posso venire in pigiama? – chiedo.

– La mia felpa e le mutande non sono un look adatto per andare in giro d'inverno. – mi mormora all'orecchio il mio ragazzo.

– Chi ti dice che metto le mutande? – gli rispondo, con lo stesso tono di voce.

– Quella foto di quella volta. Te la ricordi, quella foto? –

Sento il sangue praticamente bollirmi la faccia.

– Me la ricordo. Non parliamone, me la ricordo. –

Prendo fiato.

– La prossima volta te la mando senza. –

– Un giorno che non ci sia tua madre a casa, però. Così posso venire da te senza dover spiegare alla signora perché ho corso a rotta di collo in mezzo alla strada e ho tentato di arrampicarmi alla finestra. –

– Guarda che la mia finestra è al secondo piano. –

– Un uomo deve combattere per ciò che vuole, no? –

Torno alla conversazione generale.

Momo sta parlando con Mina, Sero parlotta con Iida che ora è finalmente in balia delle placide onde della sonnolenza, Hitoshi è in piedi, credo voglia un altro caffè. Denki sta scrivendo al telefono, Kyōka mi guarda.

– Splendore, ci vieni al ballo con me? – mi chiede, ridacchiando.

– No. – ribatto.

– Come no? Quale altra sgualdrina vuoi portarci? –

– Kaminari Denki, la più bella del reame. –

Alza lo sguardo, lui, non capisce cosa stessimo dicendo, ha sentito solo il suo nome.

– Sì? –

– Ci vieni al ballo con me, Denks? – gli propongo dunque.

– Quando vuoi, queste gambe sono free entry per te ogni giorno dell'anno. –

Torno alla mia amica, lui si dedica di nuovo al suo cellulare.

– Te l'ho detto, sono impegnato, donna, trovati un altro maschio alfa da rimorchiare. –

Schiocca la lingua sul palato.

– Non potrò mai competere con una donna sexy e affascinante come Denki Kaminari. Come farò a trovare qualcuno per andare al ballo? –

Momo sente, probabilmente, solo la fine della sua frase, e tutta preoccupata si gira verso di lei, le accarezza una guancia.

– No, principessa, ti ci porto io, al ballo. Credevi che non sarei venuta con te? Perché non dovrei? Oh, non farti venire l'ansia, giuro che anche se non ne avevamo parlato, io... –

– Momo, stavo scherzando. Lo so che mi ci porti tu. Ci manca. – le dice.

– Sei sicura? Sicurissima? –

– Sicurissima. –

Do una gomitata ad Eijirō.

– Anche tu mi porti al ballo, vero? Non è che ho frainteso, no? –

Annuisce tutto convinto.

– No, no, ti ci porto io. Io in persona. Io. Me. Kirishima Eijirō. Proprio io. –

– Io però non so tanto ballare, eh, te lo dico prima. –

– Neanche io, ma possiamo sempre provarci. Alla fine dopo un paio di shot viene tutto naturale, no? –

– Tutto non lo so, a me dopo un paio di shot viene naturale qualcosa di molto specifico. –

– Ah sì? Cosa? –

Lo guardo da sotto le ciglia.

All'inizio mi rivolge lo sguardo da cagnolino in attesa di un ordine.

Poi afferra.

– Ah. Ok, ho capito. –

– Ecco. –

Ci ragiona su un paio di secondi, poi fa spallucce.

– C'è sempre lo sgabuzzino romantico dell'altra volta, nel caso. –

– Non lo faremo in uno sgabuzzino. –

– Nella macchina di mia madre? –

– C'è la tua foto da piccolo, potrei sentirmi davvero una merda. –

– La rimessa degli attrezzi della palestra? È oltre il campo, è bella isolata, non è proprio un hotel a cinque stelle, ma ecco... –

Mi mordo l'interno della bocca.

– Sì, là si potrebbe fare. Si chiude a chiave, la porta, no? –

– Ah-ah, certo. –

– Andata, è praticabile. –

Mi sorride, gli sorrido, incateniamo i mignoli delle mani sotto al tavolo.

Prima di poter cercare, ancora una volta, di inserirmi nella conversazione, Denki mi schiaffa una foto aperta sotto al naso, all'inizio devo strabuzzare gli occhi per evitare che la luminosità altissima che tiene ventiquattr'ore su ventiquattro mi renda, oltre che sordo, pure cieco, ma dopo qualche istante riesco a mettere a fuoco.

– Che è 'sta roba? –

– La nuova collaborazione di Dolls Kill con le Bratz. Per Natale voglio le scarpe. –

– Manca un sacco a Natale. –

– Sì, ma se non ordini in tempo le cose non ti arrivano. –

Stringo meglio lo sguardo per concentrarmi sull'immagine.

Borchie, glitter, tacchi alti, sì, credo che sia il suo genere, credo che gli piaceranno quando gliele compreremo, non è l'ennesima passione del momento che poi si dimentica di aver avuto, è un'opzione plausibile, e anzi apprezzo me l'abbia data, a fare dei regali faccio schifo.

Mi passa per la testa che questo Natale dovrò fare un regalo anche ad Eijirō.

Mannaggia a me, non ci avevo pensato, che gli regalo? Magari lo lascio per due settimane e gli dico che ci rimettiamo insieme dopo, potrebbe funzionare, ma probabilmente verrebbe a farmi la serenata per riprendermelo sotto la finestra e sarebbe controproducente. Dio, potrei mettermi le mutande buone e offrire me stesso come regalo, sarebbe una cosa stupida, un po' banale, ma qualcosa mi dice che apprezzerebbe.

– Ah, guarda questo. Che carino. – interrompe il filo dei miei pensieri il mio migliore amico.

Gli rivolgo la mia attenzione.

– Cosa? –

Mi mostra un crop-top dei suoi, pelle e tessuto trasparente e schifezze varie che definisco "schifezze" salvo poi rubare dal suo armadio in ogni occasione disponibile, pentendomene subito dopo.

– Ne avrai cento uguali. –

– No, questo è rosa, io li ho solo neri, rossi, viola, verdi e blu. Forse ne ho anche uno arancione, sì, mi sa uno arancione fluo. Ecco, a proposito, per il ballo ti metto quello, ho avuto una visione in cui ti sta molto bene. –

– Hai avuto una visione? Ti hanno dato lo xanax al posto del metilfenidato? –

– No, ho mangiato mezzo flacone di orsetti gommosi alla melatonina credendo che fossero caramelle e ho dormito quindici ore. –

Annuisco, ha senso, vorrei preoccuparmi ma non credo sarebbe più di tanto utile.

– Cos'è il metilfenidato? – chiede poi Kirishima, ancora appoggiato per metà contro di me, con le dita intrecciate alle mie.

– Stimolante del sistema nervoso centrale per il disturbo da deficit dell'attenzione. Prendo una pasticchina la mattina e il mio cervello non frigge dopo due ore che cerco di usarlo. È tipo la mia babysitter. –

– Ah, non sapevo che avessi un disturbo da... –

Denki lo guarda.

Io lo guardo.

Eijirō espira.

– Lo sospettavo, ok, non fissatemi in questo modo. –

Shinso torna a sedersi, nelle mani ha il suo caffè e un altro bicchiere più piccolo che indovino essere semplicissima acqua per Denki, deve aver sentito la fine della nostra conversazione, s'inserisce senza farci nemmeno troppo caso.

– Il metilfenidato è un'anfetamina, tra l'altro, quindi se i nostri progetti dovessero andare malissimo possiamo darci allo spaccio. Tra Denki e mio padre ho un rifornimento praticamente infinito. –

– Tuo padre è ADHD? – chiedo, dunque.

– Sì, 'Zashi, non Shōta. Anche se credo potessi arrivarci da solo. –

Ho un'idea vaga dei papà di Hitoshi, tranne qualche occasione in cui ci hanno riaccompagnato a casa o quelle due o tre volte in cui si sono presentati a scuola per portargli qualcosa o venirlo a prendere, non credo di averci mai interagito molto.

So che uno ha i capelli biondi e lunghi e ha sempre degli occhiali strani e parla con lo stesso tono di voce di Denki, l'altro invece, che l'intuizione mi suggerisce essere il padre biologico di Shinso, ha la stessa espressione di chi ha vissuto fin troppo, e i capelli scuri.

So che ha una sorella minore.

Non l'ho mai vista.

Denki ci va molto d'accordo, però.

Hitoshi allunga un braccio attorno alle spalle del suo ragazzo, sempre col sorriso che si vede e non si vede, gli bacia una tempia costellata di lentiggini.

– Papà mi aveva avvertito sui biondi casinisti con l'ADHD, ma è stato tutto inutile. È genetico, mi sa. –

Eijirō ridacchia.

– Avete un tipo. –

– Già. –

Guardo il mio ragazzo.

– Beh, anche tu hai un tipo. –

– Tu pure, hai un tipo, 'Suki, cioè, ce l'avevi. – mi viene ampiamente fatto notare dal mio migliore amico.

– Avevi un tipo? –

Colto in flagrante e in questa situazione che calma, paradossalmente, i miei nervi all'erta, capitolo.

– Avevo un tipo. Prima che tu me lo chieda no, non è grande, grosso, coi capelli rossi. A dirla tutta tu sei... molto poco il mio tipo. –

Spalanca gli occhi.

– Non sono il tuo tipo? –

– No, nel senso, non sei il tipo che avevo. Sei il tipo che ho adesso. Questo discorso è confuso, diciamo che ora mi piaci tu e basta e facciamola finita. –

– No, no, voglio sapere. Qual era il tuo tipo? –

Hitoshi ridacchia.

– Il bastardo era il suo tipo. È una domanda con una risposta piuttosto facile. –

– Il basta... ah, ok, quel bastardo. Dio, proprio un brutto tipo, Kat. –

– Sì, sì, me l'hai anche già detto, lo so. –

– Te l'ho già detto? –

– Sì, quella volta in laboratorio. Quella del circuito. –

Denki si gira verso di me.

– Dovevo castrarlo anche per il tuo circuito, cazzo. Hitoshi, stronzo, perché mi hai fermato? Quel pezzo di merda doveva tornare a casa da signora. Se lo becco per strada, Dio solo sa cosa gli faccio. Lo trito. Lo ammazzo e lo trito. Lurido verme bastardo schifoso ignobile che non è altro. –

– Sembri un bad boy dei romanzi rosa. Sai la trope "toccala e ti ammazzo", ecco, sei così. – gli fa notare il suo fidanzato.

Lui annuisce.

– Verissimo. Nessuno tocca la mia donna e crede di passarla liscia. Io sono un ragazzaccio. Ora torno a casa con la mia moto parcheggiata fuori e prendo a pugni i muri perché secondo le autrici e la loro misoginia interiorizzata un uomo che piange è poco virile. E poi vado a rimorchiare signorine in minigonna col mio maschile profumo di menta e tabacco. –

Rido e mi calo nella parte.

– Si, mentre io, una povera stronza senza personalità, starò a casa a frignare perché mi maltratti pur sapendo che in realtà lo fai perché mi ami, perché io sono diversa dalle altre, io metto i capelli in una crocchia disordinata e vado ai rave per leggere Jane Austen. –

Mi guarda fra le ciglia.

– Ti odio, piccola, ma è solo perché ti amo troppo per dirtelo. –

– Rimarrò qui ad aspettare la tua dichiarazione per realizzarmi come persona perché è impensabile in ogni altro modo che la mia vita di fragile fanciulla possa essere completa senza la tua maschile approvazione. –

Sento Eijirō sorridere, Hitoshi ha giusto gli occhi un po' più vivaci, Kyōka si è resa conto che stiamo giocando al gioco della coppia banale, etero e antiquata senza di lei e vorrebbe intervenire, ma come prende fiato, Sero la interrompe agitando la mano per catturare la nostra attenzione.

Ammutoliamo in coro e ci giriamo a guardarlo.

– Tenya si è addormentato. Parlate piano. –

Sbatto le palpebre.

In effetti è proprio crollato.

Probabilmente quel dolcetto era davvero...

– 'Fanculo! –

L'ho detto, non parla piano.

Denki non è biologicamente in grado, di parlare piano.

– Anche io volevo la merda di brownie! – ripete.

Dovrei parlar piano anch'io, che ne sono capace.

Però scoppio a ridere.

E mentre rido, e Kirishima ride, e Hitoshi magari sorride e Denki si guarda attorno, mentre Mina si accoda senza aver capito perché vedere le persone ridere fa ridere anche lei e Momo rimane in silenzio e Kyōka alza gli occhi al cielo, mentre Sero ci zittisce, e Iida continua a dormire, mi dimentico che prima avevo freddo, e mi dimentico che cosa sia il freddo, perché sento caldo, e non fuori, ma dentro.

No, non sono cambiato, questi ultimi mesi, non mi hanno cambiato.

Sono sempre io.

Solo...

Credo di stare meglio.

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

julia :: si raga ora finisco la storia !!

also julia :: scompare per tre settimane

non vi chiedo neanche scusa perché sarebbe davvero idiota però a mia discolpa sono stata una settimana in giappone e fra una cosa e un'altra ho avuto un po' di problemini MA

A PARTE TUTTO

vi è piaciuto????? siccome siamo alle battute finali volevo un bel get together verso la conclusione che fosse così un po' tranquillo un po' simpatico giusto per ricordarci di tutti i personaggi e mandar loro un bacino e niente questo capitolo mi sa proprio del fatto che stia per arrivare la fine non lo so un po' piango

ora ovviamente vi dirò che cerco di scrivere i prossimi entro marzo ma voi fidatevi poco che io sono una persona seriamente inconcludente (però ci provo!!) e niente ne mancano solo due voglio morire questi bimbi mi stanno vicini da più di due anni mi mancheranno

niente

non ho molto da dire

solo che vi mando un bacino vi ringrazio se siete ancora qui nonostante io sia un disastro e che spero riusciremo a rivederci presto !!

mel :D

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