1.È tardi, è tardi, è tardi...ma non troppo tardi-?
Traduzione fornita da Shawnxmoon
Su e giù, su e giù, i miei occhi si muovevano, spostandosi dal mio telefono all’orologio sulla parete. Un controllo alle notizie e poi un’occhiata all’ora. Battevo le mie dita contro il tavolo, ascoltando per metà il mio professore che discuteva di alcune regole del congiuntivo in spagnolo o qualcosa del genere. Poi di nuovo alle notizie, poi all’ora. Notizie, ora. Tick, tock. Tick, tock.
Gesù. Quanto tempo deve passare ancora prima delle fine di questa classe e prima di poter arrivare alle cose belle?
Appena lo pensai, la lancetta colpí le 12:50. Prossima fermata, psicologia.
Era un afoso lunedì pomeriggio all’università. Era la fine di novembre, ma non sembrava nemmeno autunno. Ma è questo che succede in un posto come il Texas. Niente da aspettarsi se non l’inaspettato.
Fortunatamente oggi era uno dei miei giorni corti. Un’ultima lezione -la mia preferita oltretutto- e sarò sulla strada di ritorno per andare a casa.
“You say you love me” canto sottovoce “and I hardly know your name....” Cammino rapidamente fuori nell’aria umida, attenta a non lasciare le mie scarpe finire nei diversi punti fangosi nel sentiero fra me è la University Union quasi dall’altra parte del campus.
Arrivai alla Union con 5 minuti di anticipo, ma, entrata, cercai di non guardare le macchinette con tutte le magnifiche schifezze che mettono in mostra. Non mangiavo nulla dalle 7 e io ho sempre fame; anche cinnamon rolls sospetti, imbustati in carta unta, sembrano appetitosi quando sei in questo stato.
La mia volontà vinse sul mio stomaco per una volta e andai dritta nella Mycento Hall. Una spinta della doppia porta, un paio di passi veloci e presto ero nel mio solito posto, il mio posto solitario, lontano dagli altri duecento studenti (dai o togli 100 in caso che ci sia un esame in vista o meno), pronta per la lezione.
Non presi appunti. Non li prendo mai. Ma questa volta continuavo a perdermi nei miei pensieri per la maggior parte della classe. Mi capitava sempre più spesso avvicinandosi alle vacanze di Natale. Amavo psicologia, non fraintendetemi. Nulla mi emozionava di più che imparare di più sui meccanismi interni della mente, di conoscere i segreti più nascosti dell’anima umana.
Correzione. Niente mi emoziona così tanto, non ho detto nessuno.
Noi tutti abbiamo degli sfizi nascosti. Lui era il mio.
E chi era LUI? Il mio fidanzato? Ma perfavore. Non ne ho mai avuto uno. Ho avuto molti amici immaginari, alcuni reali. E lo stesso vale per i fidanzati. Ecco cosa ti meriti per essere un parafulmine.
Ma mi piaceva così. Le persone sono disordinate. Non mi dava fastidio esserci intorno, ma non volevo necessariamente avere rapporti con loro o essere nella loro vita. È come uno zoo. Studia gli animali, prenditi cura degli animali, ama gli animali da una certa distanza. Non volevo andare nell’area degli ippopotami e bere la loro acqua solo per poter essere in grado di dire che stavo condividendo le loro esperienze.
Hey, questa mi piace, mi sa che la userò.
Ma chi era LUI?
LUI era un uomo morto. Un uomo morto molto complicato. È ho parlato di lui, riso di lui, pensato a lui, sognato di lui. Sono arrivata a quel punto in cui non ho nemmeno bisogno di pronunciare il suo nome, nonostante sia un nome eccezionale. Un nome eccezionale per un uomo eccezionale.
Pensieri pressanti come questo mi giravano per la mente in un momento in cui avrei dovuto copiare gli appunti del power point.
E poi realizzai di essere in un casino.
Mentre ero con la testa fra le nuvole, il mio professore ci aveva ricordato di una grande parte del nostro voto: i crediti di ricerca. Qui è dove noi studenti di psicologia dobbiamo partecipare in studi di ricerca per avere più esperienza nei diversi aspetti del settore.
Non sarebbe nemmeno importante, se mi fossi ricordata di iscrivermi a uno studio.
Aprí di scatto il mio computer e cercai tutti i programmi di ricerca online, ma tutti erano chiusi. E poi, il mio professore disse quelle letali parole, e il mio cuore sprofondò.
“Non dimenticate. Dovete avere tutti e 10 i crediti entro domani, come dice nel programma. Contano un terzo del vostro voto finale”
Ciao ciao media del 30.
Decisi di parlarne con il mio professore. Cosí quando la classe finí, marciai verso il davanti dell’aula. Sapevo che era ridicolo, ma non avevo nulla da perdere.
Avvicinandomi alla scrivania, notai che c’era qualcuno vicino al professore. Era un uomo abbastanza vecchio, che da una certa distanza mi ricordava Phil Collins - pelato, occhi strizzati, naso aquilino- e anche con la sua postura piegata, potevo dire che il mio professore, alto 1,75m, lo torreggiava.
“...solamente non capisco come possa funzionare. Confina con il non etico.” Gli stava dicendo il mio professore “Nel senso, spero che funzioni, ma il consiglio non lascerà che questa tua piccola cosa attiri attenzione se non troverai un modo di testar...”
Il sosia di Phil Collins (la somiglianza era ancora più stupefacente ora che lo vedevo dritto in volto, anche il sorrisetto era uguale) fece cenno verso di me, guardando oltre la spalla del mio professore. Leggermente irritato, si voltò a guardarmi.
Andai troppo veloce. Le parole mi scivolarono dalla bocca. “Signor...uhm...dottor Ledford, sono la più grande idiota che sia mai esistita, mi sono completamente dimenticata dei crediti di ricerca, e non ho pianificato due report di background nel caso mi servissero, e mi dispiace molto, quindi, c’è un modo in cui io possa ottenere i crediti per mercoledì?”
Il dr.Ledford mi guardò con lo sguardo di un professore di università che ha sentito troppe scuse. “Mi dispiace qual è il tuo n...”
“Julia”
“Okay, Julia, mi dispiace. Non posso aiutarti. Avete avuto due mesi per prendervene cura. Era nel programma. Sono chiusi tutti gli studi di ricerca?”
“Tutti quanti. Ci sono alcuni di livello avanzato, ma non servirà a nulla se mi iscrivo oggi.”
“Sì, peccato. Vorrei poterti aiutare, ma il programma...”
“Lo so cosa diceva il programma.” dico tristemente “Grazie comunque”
Durante tutto ciò, l’amico del professore mi guardava attentamente. Non ci stavo prestando molta attenzione. Girai sui miei tacchi e andai verso la porta.
Be’ fantastico. Non ero arrabbiata, ero giù di morale. Mantenere la media del 30 era stato uno dei miei obiettivi principali da quando mi ero iscritto all’università. Non volevo essere la studentessa migliore, volevo solo prendere 30 nei miei esami. Chi dà le borse di studio nota queste cose. Il mio eventuale master in assistenza psicologica o terapia non si sarebbe pagato da solo. Prestiti per gli studenti? Ah! Dovrei vendere uno dei miei reni per ripagare il debito prima di compiere 40 anni.
Il mio spirito era così raso al suolo che quando passai vicino alle macchinette, gettai l’auto controllo al vento. Avevo fame, e i miei voti stavano per calare a picco. Quel cinnamon roll da 450 kcal era MIO oggi. Cercai nella mia tasca delle monetine.
“Scusami” una lenta e tremante voce mi ruppe la concentrazione.
Mi girai, scusandomi automaticamente “Mi scusi” e facendo un passo indietro, per trovare lo strano uomo davanti a me.
Uno sguardo pensieroso passò nei suoi piccoli occhi. “Non ho potuto non ascoltare” disse lievemente, come se fosse sotto l’influenza di qualche narcotico. “Sei in un certo problema per i crediti?”
Sbattei le palpebre “Uhm, sì, mi sono dimenticata degli studi, tutto qui. È stata tutta colpa mia, ho dimenticato quel dannato programma.”
“Che sfortuna”
“A chi lo dice” a questo punto il fascino da Phil Collins era svanito e ora restava solo un inquietante vecchio che per qualche motivo mi aveva seguita fuori dall’aula per parlare con me della mia situazione accademica. Mi rigirai verso la macchinetta.
Ma lui continuò a parlare. “Sono 10 punti dal tuo voto totale, giusto?”
“Venti” scossi la testa
“Venti punti?”
“Due-zero.” Feci i numeri con le dita. “Domani avrò un 10 in psicologia e non c’è nulla che io possa fare”
Avevo le monete nella mia mano, stavo per metterle nella macchinetta. Poi lui disse “e se ci FOSSE qualcosa che puoi fare?”
“Sarebbe fantastico” dissi ascoltando per metà. “Farei di tutto per sistemare la situazione.”
“Di tutto?”
Cambiò qualcosa nella sua voce, e mi spaventó. Forse avevo inteso cosa sarebbe successo.
Ma invece che ignorarlo, lo guardai dritto negli occhi e dissi saldamente “Di tutto”.
La sua faccia si aprí in un caldo sorrisetto. “Allora ho proprio una soluzione per lei, Signorina...?”
“Oh, scusi. Julia Samuels.” Dissi porgendogli la mia mano che scosse entusiasticamente.
“Piacere, io sono il dr.Steven J. Kurtzweil. Puoi chiamarmi Dr.K” disse con un occhiolino amichevole.
“Quindi una soluzione eh?” Dissi, piegando le mie braccia. “Cosa ha in mente esattamente?”
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