Capitolo 19
~ Luna ~
Mi allontano.
Alissa mi corre dietro con i suoi tacchi alti, rischiando di inciampare sui suoi passi e cadere. «Dove stai andando?», strepita.
La guardo con rimprovero. Sto per mettermi a piangere come una ragazzina. Riesco a stento a tenermi in piedi, tanto sono scossa. Nel petto ho un temporale, un continuo battere sconnesso e come se avessi un laccio stretto alla gola a impedirmi di respirare.
È colpa sua se mi sono trovata in questa situazione, la mano che ancora pulsa, il braccio arrossato e dolorante sul quale compariranno presto i lividi.
«Me lo stai chiedendo sul serio?»
«Hai appena rifiutato Declan davanti a tutti, Luna. A breve, che tu lo voglia o meno, qualcuno pubblicherà quello che è successo. Stavano filmando ogni cosa».
Arresto la mia corsa. Incrocio le braccia al petto e la fronteggio. «E allora? È di questo che ti importa? Da che parte stai?»
«Dalla tua, ovviamente», mi segue verso i divani dove afferro la borsetta e la giacca con un certo impeto.
Tiro su con il naso deglutendo a fatica. «Davvero? Perché a me non sembra. Dove eri mentre mi si strusciava addosso contro il mio volere e poi mi prendeva per puttana? Te lo dico io o confessi apertamente di esserti messa d'accordo con lui? D'altronde lo facevi anche a scuola quando chiudevano la porta dello spogliatoio e mi riempivano di insulti e spesso di botte dove nessuno potesse vedere i lividi».
Adagia la mano sul petto. Assume un'espressione afflitta.
Che sporca bugiarda!
«Come puoi dire una cosa del genere? E di cosa stai parlando? Ti ho sempre dato il mio sostegno, Luna. Ma questa volta hai commesso un passo falso e mi preme comportarmi da amica razionale perché chiaramente tu non lo sei».
«Sei dannatamente brava a fingere, fattelo dire. Sai bene di cosa sto parlando e Declan è solo un'altra delle tue marionette».
Porta i capelli dietro la spalla. «Che cosa ha che non va Declan? È ricco, un ragazzo con una posizione, con un futuro e stravede per te! I vostri genitori non fanno altro che organizzare cene per farvi conoscere. Sono anni che sai che lo troverai all'altare ad aspettarti», alza il tono per farsi sentire. «Invece lo eviti e fai gli occhi dolci a uno che vorrebbe solo scoparti contro una parete e poi accantonarti come se fossi carta straccia. A meno che...», cambia espressione, i suoi tratti si affilano. Incarna la figura di un'arpia quando i suoi occhi si fanno distaccati, calcolatori. «Lo stai usando proprio per richiamare l'attenzione di Declan e vederli scontrare per te? Non mi stupirebbe».
Troppa è la gente che sta fingendo di non ascoltare o guardare.
Il sangue affluisce velocemente su ogni parte del mio corpo. Sento la temperatura oscillare e la nausea tornare. «Io non sono come te, Alissa. Non guardo il lato economico, nemmeno l'appartenenza alla famiglia. A me non sono mai piaciute queste cose. Io non voglio usare un ragazzo per farne ingelosire un altro. E smettetela tutti quanti di incolpare Tor per qualsiasi cosa. Se non venisse costantemente stuzzicato non reagirebbe».
«Quindi te ne stai andando a cercare lui invece di chiarire con Declan o chiedere scusa a me?»
Non sta dicendo sul serio. Massaggio la fronte prendendo più di una boccata d'aria. «Me ne sto andando perché ancora una volta hai deciso per entrambe. Sapevi che non mi sarei sentita a mio agio in una situazione come questa», la guardo con rimprovero. Scuoto la testa. «Francamente inizio a pensare che ti diverte mettermi nei casini. Ti è piaciuto lo spettacolo? Durante la prossima festa mi prenderai in giro con le tue nuove amiche? O fingerai di non avere visto qualcuno versarmi la droga nel drink? Ti girerai dall'altra parte?»
Per un momento, vedo la sorpresa stampata sul suo volto. Ma come arriva, viene trascinata via da un'ondata di collera quando si accorge del pubblico sempre più fitto intorno a noi. Ne siamo circondate. Come se fossimo sul punto di saltarci alla gola.
Raddrizza la schiena e mi preparo al morso velenoso delle sue parole.
In cuor mio sto ancora sperando che rimanga zitta. Che non rovini definitivamente la nostra amicizia. Ovviamente mi sbaglio. Ho sempre avuto fiducia nelle persone sbagliate.
«No. Non lo sei. Sei solo un'ipocrita pronta a fingere che sia tutto perfetto. Ma sai cosa c'è? È vero, volevo vederti in imbarazzo e volevo fartela pagare per avermi mentito! Perché sei una stronza e lo nascondi più di molte ragazze che almeno non fingono di non esserlo», sbraita. «Perché devi sempre comportarti da principessa, avere tutti ai tuoi piedi, e ti annoi così tanto da creare le giuste situazioni da romanzetto rosa, dove tu sei la vittima e i ragazzi sono i principi pronti a lottare per te», urla spingendomi con rabbia.
Qualcuno prova a intervenire, lo fermo sollevando il palmo.
«Ma hai stancato con le tue buone maniere! Hai proprio rotto con i tuoi modi di comunicare agli altri il tuo interesse. Nascondi sempre tutto perché non ti piace condividere. Una volta tanto, permetti agli altri di avere qualcosa».
Le sue parole graffiano il mio cuore. Summer, quella sera, aveva visto in Alissa una nemica, tanto da avvertirmi. Adesso ne ho avuto la conferma. Ho visto con i miei occhi chi ho tenuto al mio fianco per anni.
Non mi abbasso al suo livello gretto. Non la spingo a mia volta per farle male fisicamente. Metto solo il dito dove so che le farà male. «Avrei dovuto capire che sei proprio come loro. Divertiti con i tuoi nuovi amici e non cercarmi quando ti umilieranno come hai sempre fatto tu con me per emergere. Puoi provarci all'infinito, ma rimarrai sempre Alissa Spencer, la ruota di scorta, al secondo posto. Che per la cronaca è il primo podio dei perdenti».
Giro sui tacchi e tra le risatine, i bisbigli, le chiacchiere sommesse, a grandi passi mi allontano dal Bowling.
***
Vago in cerca di un posto tranquillo per un po'. Infine mi dirigo verso il molo dove mi siedo a riva portando le braccia intorno alle ginocchia. Fisso per un lasso di tempo abbastanza lungo le onde che si increspano e la luna a specchiarsi sull'acqua. Inspiro l'aria salmastra ed espiro dolore, trangugiando il liquido che brucia la gola al suo passaggio.
Sento dei passi ma non mi scompongo. Sono così turbata e stanca da non avere voglia di un secondo round con nessuno. Voglio solo stare per i fatti miei e metabolizzare quello che è successo.
JonD e Rio arrivano dal bar. Si siedono uno alla mia destra e l'altro a sinistra senza dire niente. Mi tengono compagnia e, di tanto in tanto, JonD mi passa una liquirizia con la caramella colorata al centro o Rio mi avvicina il sacchetto di patatine al formaggio.
La bottiglia sparisce da qualche parte.
«Hai difeso uno di noi stasera», comincia Rio accendendosi uno spinello. Aspira una lunga boccata, fissa davanti a sé, rilascia il fumo e me lo passa rilassando le spalle.
JonD lo prende così rapidamente da sbalordirmi. Guarda Rio storto. «E ci sei andata di mezzo», conclude la frase dell'amico.
«Tor non ha bisogno di essere difeso. Ma hai dato una bella lezione a quei due. Grazie».
«Ho subito abbastanza da non reggere altre ingiustizie», confesso. «E a cosa è servito stasera?»
«Abbiamo sentito quello che ti è successo. Noi non lo sapevamo», ribatte Rio riprendendosi lo spinello.
JonD mastica una liquirizia. «Non hai mai cercato quelle stronze? Mai avuto la voglia di fargliela pagare?»
Mi stringo nelle spalle. «Ti sembrerò patetica, sono scappata da qui non appena ne ho avuto la possibilità. Ma non è cambiato niente».
Riflette rigirando il bastoncino rosso tra le dita. «E se ci fosse un modo, ti vendicheresti?»
«La me di qualche anno fa avrebbe detto di no, meglio evitare o lasciarsi tutto alle spalle. Mentre la me attuale, potrebbe essere tentata».
JonD annuisce. Non dice nient'altro. Si limita a rispettare il mio spazio mentre Rio spegne lo spinello e accartoccia il sacchetto vuoto delle patatine. Leccandosi le labbra dice: «Il modo migliore che hai per fargliela pagare è non mostrando loro le tue debolezze».
I due si sollevano scuotendosi di dosso la sabbia e allontanandosi quando qualcun altro prende il loro posto.
«Non sono in vena di parlare».
«Bene, perché io non sono in vena di ascoltare».
Mi basta il suo tono roco per sentire le vertigini, la fiamma accesa di un sentimento che non sono in grado di spiegare. Non capisco perché provo queste cose per lui. So solo che dal niente lui sta diventando necessario perché io possa tenermi in piedi. Non sono pronta a farne a meno.
Ho solo un dubbio. Dov'è stato fino ad ora?
Tor si sdraia sulla sabbia e mi tira giù. Gli poso la guancia sul petto ampio, coperto da una t-shirt bianca, annuso il suo odore, colonia costosa, tabacco, cannella e menta.
Accarezza la mia schiena ed io circondo la sua vita con un braccio. Mi ancoro a lui come una stella marina su un corallo.
Il contatto è piacevole. Toccarlo in questo modo, mi riscalda ogni parte sensibile, piena di terminazioni nervose.
Non ho idea di cosa stia pensando. So solo che continua a tenermi stretta e io non vorrei mai più staccarmi. Mi sento nel posto giusto tra le sue forti braccia.
«Non farlo più», riesco a dire. Mi sono accorta delle nocche scorticate e sanguinanti.
Smette di respirare per un lungo istante. «Non faccio promesse che non riesco a mantenere, Miele».
«Lo so. Ho solo avuto paura e non voglio che tu ci vada di mezzo».
Inala l'odore dei miei capelli e la sua bocca si adagia sul mio orecchio. «Sarebbe più facile se ti allontanassi da me». Guarda dall'altra parte della spiaggia. «Ogni volta che ti vedo, qualcosa dentro di me in qualche modo si frantuma. Ma non mi sento a pezzi. Io, io mi sento così intero da non riuscire a descriverlo. Starti vicino, sta portando via la rabbia che prima mi ha annebbiato. Stai diventando un posto sicuro nel quale scappare, Luna».
Sollevo il viso, le guance accaldate per l'emozione. «E questo ti spaventa», concludo per lui. Non ho bisogno che me lo confermi.
Mentre sto qui a osservarlo, la verità mi raggiunge, mi inonda e corrode come acido, mi provoca una spaccatura nel profondo che non sarà mai in grado di rimarginarsi. Lui è importante per me.
Mi sfarfalla il cuore. E non è solo un suono sincopato. È una melodia in mezzo a una tempesta capace di trascinarmi lontano, di salvarmi dalla distruzione.
Mi stringo ancora più forte a lui, come se ne andasse della mia vita. Mi nascondo nel suo universo dove ogni stella racchiude un nostro ricordo.
Vorrei tanto dirgli che quello che voglio si trova proprio davanti a me. Ma come faccio? Sono sempre stata un groviglio di emozioni sul punto di esplodere e far danni. Tengo dentro tutto. Troppo. Vivo in mezzo a pezzi talmente affilati da non riuscire più a salvarmi da ogni ferita inflitta. Innamorarmi di lui sarebbe come sprofondare in un abisso. Non troverei mai il fondo, e se qualcosa dovesse andare male chi annegherebbe sarei soltanto io. Pertanto tengo per me ogni cosa.
«Vuoi tornare a casa?»
Scrollo la testa. Non ne ho nessuna intenzione. «Non ricordi cosa ti avevo detto?»
«Vuoi essere portata sulla cattiva strada?»
Non aspetta che risponda, si tira in piedi, mi posa una mano nell'incavo della schiena conducendomi verso il parcheggio.
«Che hai fatto?», indico le nocche, incapace di trattenermi oltre.
Non prova a nascondere i segni inequivocabili di una rissa. «Ci sono volte in cui bisogna mettere le cose in chiaro», replica monocorde.
«In che modo hai messo in chiaro le cose, picchiando qualcuno?», indago ancora, percependo una certa ansia.
Guarda le nocche come se vedesse i lividi, il sangue rappreso, solo adesso. Il dorso della mano sinistra necessita del ghiaccio per il gonfiore. «Non ci arrivi da sola?»
Mordo il labbro. «Spiegami che cosa hai fatto».
Solleva l'angolo del labbro. «Lo chiedi per paura che il tuo amico possa essere morto o perché godresti almeno un minimo nel sapere che quel viscido ha avuto quel che si merita?»
La domanda mi coglie di sorpresa. Non riesco a nascondere l'apprensione. Ho capito quello che ha fatto, e anche se non dovrebbe importarmi, perché Declan mi ha messo le mani addosso e insultato, non posso fare a meno di essere preoccupata.
«Entrambe?»
La mano sulla mia schiena preme un po' di più. Sussulto lievemente.
Ritratto subito. «Mi piacerebbe sapere cosa hai fatto perché potrebbe risollevarmi il morale se hai dato una lezione a quella feccia».
«Adesso ragioniamo», sorride di più. «È stato lui a seguirmi. Ero nel vicolo a fumare una sigaretta in santa pace per calmarmi quando mi è piombato addosso, non solo accusandomi».
Spalanco occhi e bocca. Tor si ferma vedendomi allibita. «Ha fatto cosa?»
«Non mi aspettavo niente di meno da parte sua. È sempre stato prevedibile. Ma tranquilla, non l'ho rispedito al creatore. Che cazzo se ne farebbe di lui? Gli ho semplicemente fatto capire che non gli conviene giocare a fare il cattivo con me».
Sbircio per non restare impigliata nei suoi occhi. «Quindi è tornato a casa sulle proprie gambe?»
Emette un verso più che una risata. «Ovvio. Un po' traballante o zoppicante, scegli pure il termine che più ti piace».
«Tor!»
«Smettila di pensare che sia lui la vittima. Per poco non mi ha fatto bruciare con la sigaretta».
Lo fisso adesso e lui mette le mani avanti. «Sto scherzando», mi avvicina e dentro di me niente oppone resistenza, mi sciolgo, gli tocco il petto, lo annuso.
Mi piace il suo odore, ascoltare il ritmo costante del suo cuore e il suono del suo respiro, soprattutto quando tutto cambia in base al suo umore. Sono cose di lui che sta marchiando a fuoco sulla mia pelle e lentamente nelle ossa. So già che non ne avrò mai abbastanza.
«Ti sei fatto la bua?»
Nasconde un sorriso. «Puoi farmi da infermiera in qualsiasi momento», mi dice all'orecchio in maniera sensuale. Poi si ferma davanti a me, mi sovrasta facendomi sentire elettrizzata quando mi sfiora la guancia nel suo modo rude.
«Mi sono sentito un moccioso geloso e fuori controllo lì dentro. Non sono così, Luna. Non succederà di nuovo».
«Non sei geloso?»
Storce le labbra. «Quello lo sono».
Nel frattempo abbiamo raggiungo il punto in cui si trovano i suoi amici.
JonD e Rio se ne stanno appoggiati all'auto. Il primo a rigirare una chiave tra le dita. Il secondo a scrivere velocemente sullo schermo del suo iPhone.
«Possiamo andare?»
Non pongo loro nessuna domanda sul luogo in cui vogliono portarmi. Quando Rio mi apre la portiera mi appresto a salire. «Non so perché piaci così tanto alla mia ragazza, mi fido di lei. Meno di te. Pertanto sappi che ti tengo d'occhio».
«Forse perché ha visto in te quello che gli altri evitano come la peste».
«Che sono attraente, dici?»
«L'esatto contrario di tutto quello che pensi di te stesso, egocentrico! Ti consiglio di non farla soffrire. È una brava ragazza», chiude la portiera e lo sento sbuffare, mentre JonD ride a crepapelle beccandosi una gomitata e Tor si posiziona al mio fianco, con un braccio sui poggiatesta dei sedili in pelle beige, proprio al di sopra delle mie spalle, in un gesto che mi scaglia addosso un forte senso di protezione, in particolare quando le sue dita mi accarezzano la nuca.
Mi adagio a lui senza mai spostarmi. Lo faccio solo per scendere dall'auto e trovarmi al vecchio Luna Park abbandonato, in cui da uno dei locali proviene una tenue luce e il suono della musica.
Summer se ne sta sulla soglia, in attesa, e quando vede Rio il suo sorriso si fa ampio. Ma insieme a lei c'è qualcun altro, Hannie.
Faccio procedere i tre, li osservo con un vuoto allo stomaco.
Il disagio tenta di insinuarsi nella mia testa.
Non ho mai fatto parte di un gruppo di amici. Ho sempre avuto Alissa al mio fianco. Adesso le cose sono cambiate e guardandoli mi sento improvvisamente sola. Ma non ho paura della solitudine in sé, ho paura di non essere abbastanza importante per gli altri. Di essere abbandonata. Di non essere capace di far uscire la vera me, non il riflesso di quello che sono diventata.
Mi fermo di fronte a Summer, la quale mi dà uno di quegli abbracci che rischiano di spezzarti le ossa. «Rilassati, sei al sicuro. Siamo qui per divertirci. Rio mi ha detto quello che è successo. Mi dispiace. Non ne parleremo se non vuoi».
«A quanto pare le notizie viaggiano alla velocità della luce».
Hannie si limita a farmi un cenno, abbraccia il fratello che, seppur infastidito, le permette di stringerlo.
Dentro il locale si diffonde musica country e sul ripiano colorato del bancone, sono stati disposti dei cartoni contenenti vari tipi di pizza e delle bibite.
Tor va a sedersi in uno dei tavoli in fondo. Lo seguo, ma anziché prendere posto davanti a lui, mi siedo accanto passandogli il piatto che Hannie gli ha appena portato e del ghiaccio da mettere sul dorso della mano.
I suoi occhi...
Mi guarda come se mi stesse spogliando di tutto. Usa le mani per agguantarmi, stringermi, sfiorarmi. I denti, per mordermi. La bocca, per assaggiarmi. Non si ferma, mi penetra nel profondo, manda in subbuglio il mio corpo.
Abbassa lo sguardo sulle mie labbra. Io sto già divorando mentalmente le sue, con il cuore a fare le capriole, continuando a chiedermi che sapore avrebbe il nostro bacio se mi sporgessi; immaginando i modi in cui potrei permettergli di avermi.
«Brutta serata, ragazzi?»
«Non sai quanto», replichiamo all'unisono.
💜
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