「12/04/ 1864」
1.
«Il bicchierino numero cinque sta arrivando!» l'uomo al bancone spinse con fare veloce l'assenzio verso il ragazzo che stava lì vicino, con i capelli scompigliati e le occhiaie grandi quanto due costose borse in pelle nera. Si vedeva da un miglio che aveva avuto una nottataccia.
Non poteva fare altro se non rivolgergli un sorriso cordiale, soprattutto guardando che alcune gocce della propria bevanda erano finite sul grembiule dell'uomo con dei grandi mustacchi e degli occhiali a cerchio sul viso. Se l'avesse conosciuto fuori da quella taverna dove ormai entravano solo uomini rumorosiㅡ o per lo meno, lo erano la maggior parte di coloro che giungevano di notteㅡ l'avrebbe scambiato per un intellettuale, probabilmente un professore dai gusti fini come la punta dei suoi baffi che indicava verso l'alto.
Il ragazzo prese il vetro in una mossa ferrea e bevette la sostanza in poco meno di qualche secondo, lasciando che scendesse per tutta la sua gola mentre il pomo d'Adamo si alzava e abbassava. Eppure l'amarezza sul suo volto non accennava ad andar via, cosa che fece preoccupare non poco il barista, che infatti si avvicinò a lui incrociando le braccia sul legno sotto di sé e cercando di guardare l'altro negli occhi.
«Suvvia, signor Jeon, bere tutto questo di prima mattina non è salutare per voi. Vietarvelo non sarebbe salutare per me e per i miei guadagni, ma qualche franco in meno non mi ammazzerà. Poi» gli mise la mano sulla spalla, rivolgendogli un sorrisetto cordiale «dopo tutte le vostre sbronze ormai inizio a tenerci un po' a lei, non crede?»
Nessuna reazione: se prima gli occhi di Jungkook si erano alzati verso di lui, mentre tastava con la propria lingua la sostanza rimasta sui propri denti, adesso erano ritornati su quegli ultimi residui di liquido color di fata dentro lo stretto ed elegante bicchiere.
«Dai, sapete che ci tengo ai miei clienti. Ancora problemi con l'editore?»
Una scossa del capo. Quel problema c'era sempre e ovviamente questo contribuiva, ma non era l'argomento principale in quel momento. Per lo meno, non voleva che lo fosse: ricordarsi che aveva piovuto sul bagnato non era una buona scelta se non voleva passare al sesto calice.
Gli uomini del locale proseguivano a dare fastidio con delle risa a voce alta, per cui gli fecero sperare che sparissero dalla faccia della Terra, magari bruciati in qualche strana occasione.
«Non voglio costringervi a dire cos'è che non va, però mi preoccupate non poco. Siete uno straccio. Da quanto tempo non dormite come si deve?»
E Jungkook alzò la mano destra, chiudendo il pollice sul palmo e mostrando le quattro dita rimanenti.
«Deve essere dura. Mi spiace.» il barista sospirò, aggiustandosi il grembiule dietro la schiena con un nodo più stretto, poi sistemò gli occhiali sopra al naso. «Se volete parlare con qualcuno, sapete che ci sono. Oppure non so,» allargò le braccia ed un positivo sorriso comparve sulle sue labbra «Parigi è piena di gente e piena di attrattive: ci sono tanti modi per far passare un brutto muso lungo come il vostro!»
«Tanto ti dirò comunque cosa c'è che non va da ubriaco. E non ti interessa saperlo?»
Il barista si accigliò per quella domanda inaspettata fatta dal signor Jeon a seguito di un'alzata del capo.
Non perché avesse chiesto in modo tanto diretto quella domanda, ma perché era effettivamente così: negli anni aveva sviluppato la curiosità verso qualsiasi cosa i clienti sbronzi avessero intenzione di confidargli e lui se la spassava a fare da psicoanalista mancato, cercando di risolvere problemi le cui ipotetiche soluzioni si sarebbero dimenticate qualche ora più tardi, dopo la caduta in un sonno profondo da parte dei clienti.
Il primo alzò le spalle e le mani, cercando di nascondere l'evidenza. «Signor Jeon, si sta sbagliando: vorrei solo che tornasse a casa sano e salvo senza imbattersi ubriaco in qualcuno di pericoloso.»
«Di mattina?»
«Di mattina.» rispose convinto l'uomo. «Ce ne sono sempre ed ovunque.»
Jungkook sospirò scocciato, lasciando quello doveva pagare sul bancone, forse anche di più del necessario. Non aveva soldi da regalare, ma avrebbe preferito che si tenesse il resto piuttosto che parlasse ancora con lui, scosso e disturbato dall'alto grado alcolico. Lo sgabello dove era seduto provocò un rumore sordo e si portò la mano al capo non appena un attacco di mal di testa lo fece sentire disorientato e vacillante: ormai ci era abituato, ci sarebbe voluto giusto un dito in più di assenzio perché potesse cominciare a vederci doppio.
Probabilmente sarebbe anche scivolato per terra se non fosse stato per un ragazzo cordiale che subito gli mise una mano sotto al braccio, pronto per tenerlo su ed evitare che si facesse male.
«Attento!» gli urlò la sua voce sottile che faceva pandant con il suo sguardo preoccupato e i grandi occhioni. Il ragazzo, dai capelli d'oro, era più basso di qualche centimetro di Jungkook. Aveva l'epidermide d'avorio e di consistenza come la cera, labbra d'aspetto soffice e roseo; possedeva una camicia bianca e raffinata, una cravatta, dello stesso colore, che gli impreziosiva il collo, incastonata nella marsina bluastra. I suoi tratti erano talmente efebici e morbidi da far credere a Jungkook che fosse un qualche cherubino.
«Grazie.» rispose il bruno spossato, ripassandosi la mano tra i capelli e sospirando mentre si rimetteva in piedi traballando sul proprio ginocchio. La trave sotto di lui fece rumore, pericolante.
«Non c'è di che.» rispose l'altro timidamente lasciandogli il braccio e allontanandosi di qualche passo per poterlo scrutare da capo a piedi.
Quello che sembrava essere un ragazzino per via delle piccole manine e le guance paffute si allontanò per primo, riavvicinandosi al suo tavolino che aveva in disordine a causa di quello che i suoi occhi credevano fosse tabacco sparso qua e là. Egli doveva avere sì e no quindici anni. Più lo guardava da lontano con quell'espressione corrucciata mentre si risedeva alla sua sediolina in legno, più ne era convinto.
Rimase all'incirca un minuto appostato alla porta a fissare quel ragazzino, tentando di indovinargli l'età.
«Scusa un attimo, quanti anni hai?»
La domanda gli venne spontanea, senza neanche avere la facoltà di frenare le proprie parole, assalito dalla curiosità che fece accigliare il giovane sconosciuto.
«Ventitré, perché?»
«Niente. Un dubbio.»
Strabuzzò gli occhi quando si rese conto che il tabacco era solo una sua fantasia e che il tizio che aveva scambiato per ragazzino stava maneggiando con delle carte sul tavolo. C'era anche un pacchetto di sigarette posto all'angolo, ma era chiuso e probabilmente non era neanche per lui.
Sul tavolo era presente anche un libro, assieme a tutte quelle carte che il tizio stava ripiegando abilmente, dalla copertina colorata raffigurante un'alba; sotto, in un corsivo elegante c'era scritto il nome del libro e sopra, probabilmente, il suo autore.
«Le serve qualcosa?» richiese il tizio, in soggezione per gli sguardi attenti che gli stava rivolvendo quel ragazzo dal capo bruno che alla luce pareva dai riflessi di indigo. Jungkook scosse il capo, capendo di aver fissato troppo tutto quel materiale.
«Se avessi una penna ti scambierei per uno scrittore, per tutti questi fogli.» gli rispose dopo qualche secondo che sembrò eterno. L'altro ridacchiò in risposta, colpito dal sottile errore che aveva commesso.
Fece trascinare le proprie dita lungo la pergamena giallognola e ruvida non ancora intrisa di inchiostro, deliziando il tatto con la frescuria della carta.
«Lavoro per l'editore della Mabillon e stavo sistemando un po' di cose in santa pace.»
Da come sorrideva sembrava piacergli il suo lavoro.
Si sarebbe concentrato su quel particolare e poi avrebbe fatto dietro-front poco interessato, ma l'informazione appena ricevuta gli fece sgranare gli occhi, dato che egli lavorava proprio con lo stesso editore con cui lui combatteva da un po' per ricevere la sua agognata pubblicazione. Era quello il problema degli scrittori in erba, o ricevevano una raccomandazione o potevano dire addio al loro sogno.
Che poi, sogno. Era l'unico lavoro che poteva intraprendere e che piaceva sia a lui sia a suo padre.
Non che a lui piacessero tanti lavori, solo che gli sembrava il meno monotono.
Basta che inventi una storiella che piace al pubblico, prendi col rampino degli elementi dalle grandi opere del passato, e saluti la vecchia e ribrezzante vita.
O meglio, era quello che pensava ingenuamente all'inizio, prima che stendesse una trama e non ricavasse nulla dalle sue parole; non riusciva a produrre neanche qualcosa di suo gradimento, rendendosi conto delle complicanze del mestiere.
«Potreste chiudere la bocca? Sembrate uno stoccafisso.» commentò il biondino ridacchiando leggermente.
Jungkook annuì facendo come richiesto, abbassando lo sguardo verso quel romanzo dalla copertina accattivante posto all'angolo, quasi in procinto di cadere da un momento all'altro. Lui lo prese in mano senza permesso e lo scrutò completamente, dalla parte anteriore a quella posteriore, con fare celere e tentando di non lasciare il segno dei polpastrelli violenti.
«Monsieur...?»
«Park.»
«Monsieur Park, e questo romanzo è tra quelli che hai scelto con cura per la pubblicazione oppure ho in mano i tuoi gusti letterari?» chiese cercando di essere il più cordiale possibile, sebbene il mancato utilizzo del "lei" formaleㅡ non gli piacevano, tali formalitàㅡ ed evitando l'acidità. Rifletté inoltre su tutta l'acredine che meritava, se lui era tra le persone che avevano rifiutato i suoi sei romanzi senza battere ciglio.
«In realtà è di uno nuovo, lo pubblicheremo tra qualche giorno.»
Perfetto, quindi qualche novellino esisteva. Senza ombra di dubbio, anche quel tale era tra gli eletti e raccomandati: nessun'altra spiegazione.
Insomma, quei sei romanzi che erano stati scartati li aveva scritti con tutto se stesso, escludendo già da sé tutti i mediocri e privi di originalità. Che avevano più di lui tutti quelli che ce la facevano?
Lo scrutò ancora, leggendo il nome del tanto fortunato e in gamba scrittore, ma questo lo fece confondere. Perché nello spazio dove supponeva ci fosse il nome c'era una lettera?
«Devo andar via» disse Park amareggiato, tono che a Jungkook sembrò alquanto fasullo. «Però se capita di ricontrarci mi farà piacere, monsieur...?»
«Boyer.»
«Signor Boyer, ecco, mi farà piacere.»
Park si rimise le carte sistemate dentro la cartella in pelle che aveva poggiato sulla sedia in legno e poi la chiuse, sorridendo cordiale verso il presunto signor Boyer. Mai, Jeon Jungkook, avrebbe rischiato di venir umiliato per l'ennesima volta, da quei borghesi ricconi, con il suo vero nome!
Giunto a casa, quella sera, Kook dovette oltretutto sorbirsi il suo migliore amico Namjoon mentre strillava preso dalla felicità, sebbene lui volesse solo continuare a commiserarsi e rimuginare scontroso riguardo ciò che era accaduto, tentanto di dimenticarsi il volto odioso di quel ragazzetto antipatico e dal gusto poco fine.
«Capisco la tua implacabile voglia di raccontarmi delle tue conquiste amorose, ma non me ne frega, quindi puoi tornare a dannare l'anima ad Hoseok e non a me. Grazie mille per la comprensione.» rispose acre lo scrittore malinconico, mentre si avvicinava alla finestra del piccolo appartamento che condivideva con altri tre ragazzi. La visuale da lì era tutto tranne che bella: le case davanti a lui erano sporche e deprimenti, così come le strade e, se mai gli fosse capitato di trovare qualcuno di interessante girare lì sotto, si trattava di certo di un borghese con la puzza sotto il naso, oppure di qualche coppia di giovani amanti o qualsiasi cosa simile.
«Sei scorbutico.» commentò Namjoon mettendo su un broncio arrabbiato e stringendo i pugni, ma al contrario si avvicinò alla finestra accanto al più piccolo dei due, che già aveva preso la sigaretta tra le due dita e l'aveva accesa.
«Non credi di aver fumato troppo per oggi? Hai mandato di nuovo qualcosa all'editore e ti hanno rifiutato?»
Jungkook strinse la sigaretta tra le dita, tanto da stritolarla tra esse e lasciarla cadere sulla strada sotto di loro, dato che non aveva altro modo per sfogarsi, altrimenti avrebbe dovuto urlare.
«Ma perché cazzo tutti credete che sia quello stronzo!»
«E allora mi vuoi spiegare qualcosa?» chiese in risposta, confuso dalla sua reazione.
«Quello stronzo di mio padre si è fatto risentire e vuole i soldi che gli spettano.» confessò ringhiando, col desiderio di dare fuoco al primo oggetto disponibile, spinto dal pensiero obbrobrioso di quell'uomo.
«E tu ridigli che non hai un soldo.»
«La fai troppo facile. Quello mi manderà in prigione in qualsiasi modo che gli verrà in mente solo per farmela pagare.»
Sospirò, prendendo un'altra sigaretta dal pacco, dato che quella di prima era bella che distrutta.
«Perfetto. Parliamo delle cose più allegre che ti riguardano, anche se non mi interessano minimamente.» cercò di calmarsi prendendo un respiro e tornando a guardare il palazzo dalle finestre rotte dall'altra parte della strada. «Questa nuova conquista chi è? La ballerina magrolina che abbiamo visto l'altro giorno e che usciva dall'Opéra assieme a tutte le altre? Hai detto che ci avresti provato. Era carina, dai, dalla carnagione e dai capelli sembrava avere origini nordiche.»
«Questa nuova conquista non è una lei.» rispose il più grande ridacchiando, cosa che fece quasi strozzare Jungkook con la sua stessa sigaretta.
«È un pianista e direttore d'orchestra, compositore talentuoso, giovane e intelligente, anche lui dell'Opéra, un po' bassino. Scorbutico, ma se gli stai simpatico è piacevole parlarci.»
«Splendido, mi basta sapere questo» portò le mani in avanti nella sua direzione, confuso da quella scoperta, ma desideroso di rimanere nella propria ignoranza. «senza alcun dettaglio aggiuntivo. Hoseok lo sa che ti piacciono gli uomini?»
Non era nessuno per giudicare, sebbene una tale notizia non fosse di suo gradimento.
Tenne lo sguardo rivolto altrove, tentando di non tossire per il fumo andato di traverso ed evitando di macchinare un discorso su quanto sarebbe stato pericoloso per Namjoon una tendenza del genere. Gli omosessuali erano malvisti dalla società, sebbene non fosse più vietato dalla legge da vari anni, eppure non avrebbero perso tempo ad additare e a fare del male.
Non nascondeva che l'avrebbe fatto anche lui se non si fosse trattato di Namjoon.
«Non mi piacciono gli uomini. Ci ho provato solo una sera con questo ragazzo, solo perché alla fin fine mi piaceva il suo carattere e perché era di bell'aspetto. Non aveva nulla da fare, quindi l'ho invitato a bere e poi lui a casa sua. Eravamo entrambi brilli. È stato strano.»
«Non dirmi che te lo sei pure fatto mettere in culo.» commentò il bruno alzando un sopracciglio, ormai troppo confuso per tutte quelle rivelazioni che stava ricevendo in un solo pomeriggio.
Namjoon diventò repentino di rosso, gesticolando con le mani nel frattempo che trovava qualche scusa.
Jungkook sbuffò, fermando le sue irritanti parole mozzate poste le une accanto alle altre senza alcun filo logico, sicuro che Namjoon non avrebbe mai proseguito da solo il discorso. «Almeno sai come ritornare da lui, vero?»
«Ho detto che ci ho provato, non che mi è piaciuto e che lo rifarei.» la risposta di Namjoon fu diversa da quella che si aspettava Jungkook, seppur fosse ovvio che si sarebbe arrampicato sugli specchi. Optò per un interrogativo schietto.
«E ti è piaciuto e lo rifaresti?»
Il fatto che Namjoon tornò di nuovo rosso fu una risposta più che chiara, però Jungkook non volle andare avanti con delle domande a cui sicuramente non avrebbe ricevuto risposta, certo che Nam non sarebbe stato in grado di reggere la conversazione.
Bastava che non comparisse da un momento all'altro il pianista e venisse a passare le notti anche lui nella loro topaia, dato che già non avevano abbastanza soldi per l'affitto, poiché la maggior parte li sperperavano andando a bere la sera.
Non che fosse un piacere, ma era indispensabile per tutti loro quattro.
A Namjoon serviva per scegliere meglio i colori da usare per dipingere un quadro, se voleva renderlo più originale per essere venduto. A Minsoo serviva un modo per poter scrivere libretti il più velocemente possibile, se voleva tenere il suo posto al piccolo e poco conosciuto teatro alla periferia di Parigi. A Hoseok l'alcool serviva per ballare con più energia, se sperava che qualcuno lo prendesse tra le sue grazie o se voleva semplicemente qualche spicciolo dai passanti. A Jungkook serviva perché beh, la sua situazione non era affatto tra le migliori.
«Poi ho scoperto che quello stronzo dell'editore non solo pubblica libri di qualche solito figlio di puttana, ma anche di nuovi, che non li conosce neanche un cane.» cambiò nuovamente discorso Jungkook, tornando a guardare verso l'orrido paesaggio fuori dalla finestra e a fumare nervoso «Per esempio, mi spieghi chi cazzo è "V" e cosa dovrebbe avere di più di me?»
Namjoon aggrottò le sopracciglia. «"V"? Uno scrittore si chiama così?»
Il minore annuì col capo, visibilmente irritato anche solo a pronunciare quel nome. «Non ne ho mai sentito parlare. L'hai trovato in libreria?» chiese, ricevendo in risposta il brusco urto del pugno di Jungkook contro il davanzale della finestra.
«Ho trovato un tizio che è l'aiutante dell'editore con cui lotto ormai abitualmente e mi ha riferito che pubblicheranno a breve un libro di questo qui. Per l'amor di Dio, V! Quanto ridicola può essere una persona se tiene anche nascosta la sua vera identità?»
Jungkook Boyer era anche un grandissimo ipocrita, senza alcun dubbio.
«Kook, mi spieghi perché non cambi lavoro o aspirazione? Mi hai detto che odi tutto questo e che odi scrivere.»
«Hai ragione. Mi fa sentire uno schifo e una persona vuota, perché non so mettere su carta un paio di parole profonde che possano lasciare delle persone colpite così come sarebbe in grado di farlo anche un quattordicenne.»
Le parole furono sputate con l'ira che vibrava nelle sue corde vocali.
«Cambia vita.» riprovò «Tanto non abbiamo nulla da perdere, almeno tu sistemati meglio di come stiamo e non finire per consumarti fino al midollo.»
«Io non amo scrivere. Amo sentirmi soddisfatto come tu ami dipingere. E se non riuscirò a portare a termine quello che ho iniziato, puoi star certo che mai potrò essere soddisfatto, qualunque cosa io faccia, e non so quanto alla fine mi convenga.»
Namjoon annuì, seguendo in parte il filo del suo ragionamento, ma deciso a non chiedere nuovamente spiegazioni, lasciandolo nelle sue convinzioni.
«Effettivamente ci riduciamo tutti a degli stracci per seguire quello che amiamo fare,» iniziò, mettendogli la mano sulla spalla. Di paternali non se ne parlava proprio, al massimo lo avrebbe sostenuto nelle sue scelte. «per seguire l'ebbrezza delle passioni, rincorse da tanti uomini. La ragione, la ragione! Cos'è più la ragione, in questo dannato mondo? Tra i borghesi che ci guardano dall'alto e tra quei figli curiosi che ci chiamano tutti come zingari, nessuno di loro sa che cosa vuol dire inseguire il sentimento. Loro non sanno dell'estasi ogni qualvolta un artista termina la sua opera, che può essere la propria o quella di qualcun altro. Arte significa anche sviluppare filosofia, ma come lo farebbe un artista. Per esempio, il dipinto di Hayez del bacio, a chi scatenerebbe una vortice di emotività se non ad un artista o chi ha un'anima come tale o chi semplicemente è innamorato e che non vede l'ora di far scontrare labbra e pelle contro quelle del proprio amato? Queste tempeste sono tutte diverse ed una di esse è la tua: sembra che tu piova senza sosta con tutto il tuo potenziale, eppure quegli altezzosi non riescono a cogliere nulla dall'animo di quest'artista. Forse, hai scritto nella maniera sbagliata, non liberando nulla del tuo animo o hai scritto in una maniera troppo giusta, dando spazio a quel turbine per intero, che ha investito tutti i lettori ed essi ne sono rimasti più che oltraggiati. Jungkook,» gli mise entrambe le mani sulle spalle facendolo girare completamente verso di sé «quello che ti sto dicendo è che noi, quelli che chiamano zingari con tale disprezzo sulla punta della lingua, siamo fatti di arte. La tua arte è diversa da quella che mostri; forse le emozioni infuocate, tra cui il desiderio di realizzarti in qualcosa fermamente per cucire la bocca a chi vuole farti del male, non saranno così tanto nobili, non vorrai pubblicare qualcosa solo perché ardi di passione, bensì di volontà, ma nessuno di noi è un nobile, perché i nobili fanno schifo e nous bohémiens siamo tutti quanti parenti di qualche diavolo. Fai quello che la tua anima si sente di fare.»
Jungkook ascoltò tutto il discorso con attenzione e senza dire una parola, guardando negli occhi il più grande dallo sguardo serio e convinto di tutto quello che stava dicendo. Alla fine, il bruno alzò l'angolo delle labbra in un sorrisetto, realizzando il da farsi.
«Quindi la mia tempesta deve agire d'impeto e d'istinto. Un ritorno al secolo scorso.» sottolineò con enfasi e spinto dagli spiriti del suo corpo ad agitarsi.
«Un attimo, intendevo dire che-»
«Che domani vado a fare il culo all'editore e, se non mi prende neanche questa volta con la bozza del romanzo che ho intenzione di completare stanotte, sarò in grado di trovare qualcuno che capisce l'arte e l'apprezza perché sa come comprendere un artista, e quelli lì rimpiangeranno il fatto di non avermi preso quando potevano farlo.»
Non era proprio questo che voleva insegnargli, ma chi era lui per fermare l'euforia del ragazzo e far spegnere il suo sorriso, solo spiegandogli che il mondo era pieno di sognatori come lui, ma pieno anche di artisti perché gli artisti avevano smesso di essere dei sognatori?
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