chapter III • speak to me

ᴵ'ᵛᵉ ᵃˡʷᵃʸˢ ᵇᵉᵉᶰ ᵐᵃᵈ˒ ᴵ ᵏᶰᵒʷ ᴵ'ᵛᵉ ᵇᵉᵉᶰ ᵐᵃᵈ˒

ˡᶤᵏᵉ ᵗʰᵉ ᵐᵒˢᵗ ᵒᶠ ᵘˢ...ᵛᵉʳʸ ʰᵃʳᵈ ᵗᵒ ᵉˣᵖˡᵃᶤᶰ ʷʰʸ ʸᵒᵘ'ʳᵉ ᵐᵃᵈ˒

ᵉᵛᵉᶰ ᶤᶠ ʸᵒᵘ'ʳᵉ ᶰᵒᵗ ᵐᵃᵈ

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Sei giorni, erano sei giorni che non dormivo più di tre ore la notte. Quell'incubo mi perseguitava ancora, ogni volta che mi appisolavo, l'immagine della cheerleader che si spezzava davanti a Eddie si ripeteva e i rintocchi di un orologio risuonavano nelle mie orecchie. La mia mente iniziava a risentirne, la mancanza di sonno mi rendeva meno lucida e costantemente assonnata, e il mio corpo iniziava a mostrarne i segni, ero esausta ancora prima di mettere piede fuori dal letto e, ovviamente, non potevano mancare delle meravigliose profonde occhiaie. Fortunatamente quello era l'ultimo giorno di scuola, poi sarebbero iniziate le vacanze di primavera. Solo poche ore e quella tortura si sarebbe perlomeno attenuata.

Sentii un gran fracasso arrivare dal tavolo dei membri dell'Hellfire, era Eddie che stava nuovamente facendo una delle sue scene teatrali. Iniziavo a pensare che sarebbe stato molto più strano non assistere a uno dei suoi discorsi che il contrario. Non stetti ad ascoltare cosa avesse da dire, schiacciai il tasto play del mio walkman e mi sistemai per bene le cuffie, ma non potei fare a meno di osservare divertita il modo stravagante con cui camminava per la mensa. Almeno fino al momento in cui i nostri occhi si incontrarono e lui mimò un inchino, allora smisi di guardare nella sua direzione. Sperai tanto che non interpretasse quello scambio di sguardi come un invito ad avvicinarsi e parlare con me, tuttavia, fece proprio così. Strisciò la sedia sul pavimento e si sedette con un gomito appoggiato sul tavolo per sostenere il mento, mi guardava con quel suo sorrisetto beffardo che, ad una certa distanza, trovavo pure carino. Cercai di ignorarlo, di finire il mio pasto il più in fretta possibile per scappare da una possibile conversazione. Ci provai con tutta me stessa, ma non ci riuscii.

Abbassai le cuffie e fermai la cassetta.

«qualcuno fa le ore piccole» disse come prima cosa

«ah sì?» domandai scimmiottando la sua posizione «da cosa lo deduci?»

«hai aspetto orribile» commentò riferendosi sicuramente alla mia faccia stanca «non dormi per pensarmi tutta la notte, ho indovinato?»

«davvero gentile da parte tua Munson» dovetti rinunciare al contatto visivo, non riuscivo a reggere il suo sguardo senza pensare all'espressione spaventata che vedevo ogni notte «mi dispiace deluderti, non sei tu al centro dei miei pensieri nelle notti insonni»

«hai ragione, io sarei nei tuoi sogni»

Nei miei sogni. Quella frase mi risuonò nella testa più e più volte. Avrei tanto voluto che fosse come diceva Eddie, che fosse il protagonista dei miei sogni più belli, ma lui era nei miei incubi e ciò mi preoccupava. Il mio umore era improvvisamente precipitato. Mi alzai dalla sedia e mi diressi verso l'uscita della mensa.

«ehi, ehi, non volevo offenderti» Eddie si scusò immediatamente cercando di mantenere un contatto visivo mentre mi seguiva. Forse pensava che quel commento gli era sfuggito, proprio come a me sfuggivano certi pensieri stupidi, fosse fuori luogo «ce l'hai con me?»

«no» misi il vassoio sopra la pila di vassoi usati dagli altri studenti

«allora perché continui a evitarmi?» domandò seguendomi nel corridoio

«stiamo parlando proprio in questo momento»

Anche se lo negavo, Eddie aveva ragione, lo stavo palesemente evitando. Non riuscivo a guardarlo in faccia senza pensare all'espressione terrorizzata che aveva nel mio incubo, a sentire la sua voce senza pensare alle sue grida di paura.

«vuoi farmi credere che ogni volta che incroci il mio sguardo cambi direzione per pura coincidenza?» era più insistente di quanto immaginassi

«proprio così»

«porca troia, Lilith» allungò il passo per superarmi e mi bloccò la strada. Appoggiò le sue mani sulle mie spalle e mi guardò dritto negli occhi, un approccio diretto nel tentativo di estorcermi la verità «perché fai così?»

«Munson» sospirai esasperata «ci siamo parlati una volta, questo non ci rende automaticamente amici. Okay? Non faccio parte del tuo gruppo nerd che gioca ad un gioco che ti fotte il cervello»

Eddie mollò la presa che aveva sulle mie spalle e lasciò cadere lentamente le braccia lungo i fianchi. C'era rimasto male, glielo si leggeva in faccia, e mi dispiaceva incredibilmente avergli rivolto delle parole così dure. Se non fosse stato per quell'incubo, saremmo sicuramente diventati buoni amici.

«penso non ci sia altro da dire» feci un passo verso la porta alla mia destra «è il bagno delle ragazze, non mi seguire»

Spinsi la porta ed entrai nel bagno, sapendo che qualsiasi ragazzo con un minimo di cervello non avrebbe varcato quella soglia. Aprii l'acqua del lavandino e mi lavai nervosamente le mani, avrei voluto cancellare quel momento dalla mia memoria, annullare completamente quella conversazione. Ma non era possibile.

Mi guardai allo specchio, avevo veramente un aspetto orribile, Eddie aveva ragione. Cercai di sorridere sistemandomi i capelli. Mi sentivo uno schifo.

Da una delle porte dei bagni uscì una cheerleader con la coda di cavallo che si spaventò notando la mia presenza. Si asciugò velocemente gli occhi dalle lacrime con la manica della felpa e si fermò davanti al lavandino per sciacquarsi le mani.

«va tutto bene?» domandai tentando di vedere il suo volto

«sì» mi rivolse un sorriso forzato. Mi si gelò il sangue nelle vene, conoscevo il suo volto, non c'eravamo mai parlate e nemmeno incrociate nei corridoi ma, quella era Chrissy, la ragazza a cui ogni notte nei miei sogni si spezzavano le ossa.

«sicura?»

La cheerleader annuì e uscì dal bagno. Non le era ancora successo niente, ma se il nostro incontro avesse avuto un significato? E se, ora che c'eravamo incontrate, quella sera le fosse accaduto qualcosa di brutto?

Era una cosa veramente stupida ma, mi chiedevo, se avessi cercato di evitare che quei due si incontrassero, se avessi detto a Eddie di evitare di vedersi con Chrissy, qualcosa sarebbe cambiato?

Forse mi stavo preoccupando per nulla, era pur sempre un sogno. Eppure il timore che potesse diventare realtà aumentava ogni giorno di più. Volevo fare un tentativo.

Quando la campanella suonò, segnando il termine della pausa pranzo, andai nel bosco dietro la scuola e camminai fino al tavolino da picnic in cui avevo incontrato Eddie per la prima volta. Lui non c'era, ma l'avrei aspettato. Aspettai per diverso tempo prima di intravedere la sua figura tra gli alberi. Arrivò con la sua scatoletta di metallo nero sottobraccio, non sembrava tanto felice di vedermi. Con distacco, si sedette dall'altro lato del tavolo e parlò.

«mezza oncia per venti dollari» proprio come la prima volta, tirò fuori una bustina di plastica con all'interno dell'erba e la lanciò sul legno «pagamento in contati e, per ovvie ragioni, niente ricevuta»

«non sono qui per quel-»

«allora puoi andare da un'altra parte, mi fai perdere clienti» era veramente arrabbiato, e come dargli torto. Non dissi nulla, non mi mossi, avevo paura di cosa avrebbe potuto pensare, e a quel punto lui sembrò infastidirsi «cos'è? Un nuovo gioco? Prendiamo per il culo lo svitato?»

«sono stata una stronza» alla mia affermazione il suo sguardo si fece meno duro «è vero, ti stavo evitando. Pensavo di tornare qui già il giorno dopo averti incontrato, volevo farlo perché, per quel poco tempo che abbiamo passato insieme, tu mi piaci... come persona, intendo. È che...è un brutto periodo, ho tante cose per la testa. Ma ciò non giustifica il mio stupido comportamento, ho detto un sacco di cazzate e non ne penso mezza»

Eddie appoggiò i gomiti sul tavolo e con un dito di fece cenno di avvicinarmi, come se volesse rivelarmi un segreto. Mi protrassi in avanti, pronta a sentire cosa avesse da dire.

«parli proprio tanto» mise l'indice sulla mia fronte e mi spinse leggermente indietro la testa. Corrugai le sopracciglia, tutto lì quello che aveva da dire? Sulla sua faccia si fece spazio un enorme sorriso «visto che hai ammesso di essere una stronza, ti concedo il mio perdono»

«che sollievo» mormorai portandomi una mano in corrispondenza del cuore, non ne potevo già più dell'idea che Eddie potesse essere arrabbiato con me, i sensi di colpa mi avrebbero divorato nel giro di poche ore. Gli occhi mi caddero sulla busta di plastica ancora sul tavolo. Forse con quello sarei riuscita a liberare la mente per un po' «hai detto venti dollari, giusto?»

«l'offerta è cambiata» affermò rimettendo il sacchetto nella sua scatoletta. Smisi di rovistare nella tasca dello zaino in cerca di qualche banconota e lo guardai perplessa. «facciamo così, mi dici cosa ti ha fatto cambiare idea e ti faccio uno sconto del venticinque percento. In pratica, un furto»

«tu» esitai «hai mai l'impressione di star impazzendo?»

«sai... tutti i giorni in pratica» ridacchiò, ma vedendo la mia faccia seria, si ricompose velocemente «cosa ti è successo?»

«da quando sono arrivata a Hawkins, c'è un incubo che mi perseguita ogni notte. Mi terrorizza. Sono giorni che non dormo e penso che di questo passo potrei davvero impazzire» feci una pausa e lo guardai negli occhi, non riuscivo a credere che gli stessi rivelando tutto ciò, non avevo mai parlato dei miei incubi con nessuno. La voce mi tremava, ero sul punto di mettermi a piangere e non volevo assolutamente farlo «e, ti sembrerà assurdo ma, ho paura che da un giorno all'altro qualcuno possa dirmi che ciò che ho sognato sia diventato realtà»

«ed è per questo motivo che mi stavi evitando?» dal mio silenzio capì che la risposta a quella domanda fosse un «sai che non è possibile, vero?»

«certo che lo so!» alzai la voce «ma non posso ignorare quest'angoscia»

«quindi ti preoccupi per me, ne sono onorato» diventai rossa come un pomodoro, se quello era il suo modo per alleggerire la situazione, stava sbagliando tutto. Si accorse subito dell'imbarazzo che aveva provocato e ne sembrava anche piuttosto divertito «ho fatto centro»

«ti sbagli! Non sono preoccupata perché sei tu» mentii spudoratamente, anche se dalla mia reazione era evidente che avesse indovinato «è l'incubo in sé a preoccuparmi, anche tu lo saresti al posto mio»

«per dirlo dovrei sapere cosa succede nel tuo incubo, non credi?»

Scossi la testa, non volevo dirglielo e lui sembrò capirlo. Si schiarì la voce e riprese tra le mani la scatoletta «facciamo così, per questa volta offre la casa, ma-»

«ma cosa?»

«non devi più scappare quando mi vedi» concluse porgendomi il sacchetto di plastica «è una promessa?»

«promesso» in modo molto infantile, allungai il braccio nella sua direzione e alzai il mignolino per rendere ufficiale quella promessa. Strinse il mio mignolo ridendo e mi lasciò il sacchetto che infilai nello zaino «te l'avrei promesso anche senza nulla in cambio»

«allora mi hai truffato per bene» commentò «per quanto mi piaccia la tua compagnia, non posso lasciarmi sfuggire altri clienti»

Annuii e mi alzai dalla panca, gli avevo già fatto perdere dei soldi, non potevo fargliene perdere altri. Presi il mio zaino e lo salutai. Mi sentivo leggermente sollevata dopo aver parlato, seppur vagamente, del mio incubo. Eppure...

«Eddie» lo chiamai «per caso, questa sera devi vederti con una cheerleader?»

«hai mai visto una cheerleader avvicinarsi allo svitato della Hawkins High?»

«immagino di no» sorrisi e mi allontanai 

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