chapter I • hey, you

ʰᵉʸ˒ ʸᵒᵘ
ʷᶤᵗʰ ʸᵒᵘʳ ᵉᵃʳ ᵃᵍᵃᶤᶰˢᵗ ᵗʰᵉ ʷᵃˡˡ
ʷᵃᶤᵗᶤᶰᵍ ᶠᵒʳ ˢᵒᵐᵉᵒᶰᵉ ᵗᵒ ᶜᵃˡˡ ᵒᵘᵗ

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Hawkins, una piccola cittadina nell'Indiana, mia mamma ci aveva vissuto per tutta la sua vita prima di trasferirsi per il college, la descriveva come una cittadina tranquilla in cui non accadeva mai nulla, una comunità a cui, secondo lei, mi sarei abituata facilmente.

Non ci ero mai stata prima, eppure mia mamma aveva pensato bene di iscrivermi alla Hawkins High nel bel mezzo dell'anno scolastico. Era stata una decisione improvvisa, proprio come un fulmine a ciel sereno. All'inizio pensai che si trattasse di una scelta dovuta ad un trasferimento di lavoro, ma quando scoprii che lei non sarebbe venuta rimasi ancora più confusa. Mi affidò a una sua amica di vecchia data, una certa Karen Wheeler, che aveva due figli che avevano all'incirca la mia stessa età e una bambina più piccola. Aveva detto che mi sarei trovata bene con loro, che avrei potuto trascorrere quel tempo in tutta tranquillità, eppure avevo una strana sensazione, la sensazione che sarebbe successo qualcosa in quella cittadina.

«terra chiama Lily, mi stai ascoltando?» Nancy richiamò la mia attenzione scuotendomi leggermente il braccio «queste sono le chiavi del tuo armadietto e questo è l'orario»

Dato che doveva preparare del materiale per scrivere un articolo inerente alla partita di basket che si sarebbe tenuta quella sera nella palestra della scuola, era stata così gentile da accompagnarmi in segreteria a recuperare quello che mi serviva per iniziare a seguire le lezioni.

«l'aula di matematica la trovi appena giri a destra e quella di scienze è proprio lì accanto. Mentre l'armadietto dovrebbe essere tra quelli di questa parete» mi porse il foglio con l'orario e il numero dell'armadietto. Guardò velocemente l'orologio che teneva al polso e continuò «ti ci accompagno»

«non serve» Nancy si fermò e si voltò verso di me «immagino tu abbia altro da fare. Penso di aver capito dove andare, me la caverò»

«d'accordo» tirò un sospiro, quasi come se fosse sollevata di non dover preoccupare di dover far di fretta per incastrare in un tempo ristretto quella piccola visita guidata della scuola prima di dedicarsi alle sue attività «per qualsiasi cosa chiedi a Mike»

«va bene, ci vediamo più tardi»

Presi un respiro e cercai l'armadietto seguendo le indicazioni che Nancy mi aveva appena dato, lo trovai praticamente subito a pochi passi da dove c'eravamo fermate a parlare, proprio come aveva detto lei.
Aprii l'anta e iniziai a riporci i libri che l'anno precedente erano stati di Nancy.

«tu devi essere la nuova studentessa, Lilith, dico bene?» una donna dai capelli ricci e neri mi rivolse la parola «sono la psicologa della scuola, Ms. Kelly. Mi farebbe piacere fare una chiacchierata, che ne dici?»

«io veramente ora avrei lezione...» cercai di rifiutare senza sembrare sgarbata

«vuoi conoscere i tuoi nuovi insegnati, hai ragione. Magari potresti passare nel mio ufficio dopo l'ora di pranzo. Non spaventarti, solitamente incontro sempre i nuovi studenti all'inizio del primo anno, tu ti sei appena trasferita quindi non ho avuto modo di conoscerti, okay?»

Non ebbi nemmeno il tempo di pensare a un modo carino per declinare quell'invito forzato, la counselor stava già fermando altri studenti per il corridoio ed io ero rimasta come una scema a bocca aperta. Un inizio a dir poco frenetico, tipico del primo giorno di scuola dopo un trasferimento.

Non appena misi piede in mensa, realizzai che tutti i ragazzi erano seduti ad un tavolo col proprio gruppo di amici che condivideva le stesse passioni, parlavano, ridevano e scherzavano tra di loro. Poi c'ero io, la nuova arrivata che non conosceva nessuno e non sapeva dove sedersi. Essere sola in un luogo affollato era una delle mie più grandi paure e la stavo vivendo proprio in quel momento.
'per qualsiasi cosa chiedi a Mike' le parole di Nancy mi tornarono in mente, non c'era nulla di male se mi sedevo vicino a Mike, no?
Presi tra le mani un vassoio e, una volta preso del cibo che non sembrava lontanamente commestibile, con lo sguardo iniziai a cercare il ragazzino. Mi sentii sollevata nell'intercettare il suo volto tra la folla, ma quel sollievo svanì pressoché immediatamente quando vidi che al suo tavolo non era rimasto alcun posto libero.
Mi rassegnai all'idea di sedermi all'estremità di un tavolo mezzo vuoto e consumare da sola il mio pasto.

Non molto tempo dopo, il rumore di una mano sbattuta sul legno, seguito da quello dei vassoi che tremavano e da una voce al di sopra del brusio, attirarono la mia attenzione.

«La passione per la banda, per la scienza o per le feste!» un ragazzo dai lunghi ricci capelli castani, vestito con dei jeans e un giubbotto che richiamavano in tutto e per tutto lo stile metal, era salito sul tavolo e aveva iniziato una buffa sceneggiata provocatoria «o per un gioco in cui devi buttare le palle nella cesta del bucato!»

«vuoi qualcosa svitato?» gli domandò uno della squadra di basket, ricevendo in risposta solo una smorfia

«è conformismo forzato» continuò il riccio saltando giù dal tavolo, spaventando delle ragazze che stavano passando «ecco cosa uccide i ragazzi!»

Non riuscii a seguire il resto del suo discorso appassionato, ma riuscii a percepire un certo ribrezzo nei confronti di quel ragazzo e dei suoi modi di fare da parte dei gruppi seduti agli altri tavoli. Un ragazzo fuori dagli schemi, che si distingue per il modo di vestire e, soprattutto, per il suo modo di agire molto teatrale; fuori dalla concezione di normalità e etichettato come svitato.

Personalmente, l'unica cosa che mi aveva suscitato quella sua messa in scena era un sorriso divertito. Mi sarebbe piaciuto sapere come fosse iniziato e come sarebbe terminato quel discorso, era riuscito a rallegrarmi la giornata.

Dopo aver terminato di pranzare, appena uscii dalla mensa mi ricordai dell'appuntamento con la counselor, riuscivo già a immaginare quali avrebbero potuto essere gli argomenti di conversazione e non mi andava di ripetere le stesse cose dette nella mia vecchia scuola. Decisi di allontanarmi nel boschetto dietro alla scuola per non farmi trovare. Non c'era alcun rumore, se non lo scricchiolio delle foglie schiacciate sotto i miei piedi, camminai fino a che non raggiunsi un tavolo da picnic. Mi guardai attorno, non c'era anima viva, ne approfittai per sedermi ad oziare per un po', posizionai lo zaino sul tavolo e ci appoggiai la testa. Erano diversi giorni che dormivo poco la notte, non ero così pazza da mettermi a dormire nel mezzo di un bosco ma, visto che ero lì tanto valeva a approfittare di quel momento di pace per riposare gli occhi.

Ad un tratto iniziai a sentire dei rumori, il cervello mi diceva che si trattava solamente di uno scoiattolo o un altro animale dei boschi, tuttavia ero una persona molto suscettibile, anche un rumore banale come un ramo che si spezzava mi portava a immaginare ben dieci scenari diversi, il peggiore dei quali mi portava a pensare di un pazzo assassino pronto ad uccidermi.
Sembravano sempre più vicini. Sentivo la necessità di scappare a gambe levate, ma prima che potessi alzarmi qualcuno con poca grazia si sedette alla mia destra. Cacciai un urlo e caddi persino dalla panca per lo spavento.

«porca di quella...» imprecai. Vedendo che si trattava solo del ragazzo della mensa, mi sentii sollevata, mi lasciai cadere all'indietro sul terreno ricoperto di foglie e portai le mani sopra agli occhi per assimilare ciò che era appena accaduto «non farlo mai più»

«scusa» disse con un tono abbastanza divertito mentre si avvicinava per darmi una mano a tirarmi su «ti ho spaventata?»

«tu dici?» afferrai la sua mano e mi alzai da terra. Sotto al suo sguardo attento, iniziai a levarmi le foglie che erano rimaste attaccate ai vestiti e impigliate tra i capelli e quando pensai di aver finito mi rivolsi a lui «visto che mi guardi tanto, ho altre foglie tra i capelli?»

Il ragazzo allungò la mano e levò un pezzo rimasto, lo fece in modo molto delicato, come se mi stesse semplicemente accarezzando i capelli.

«questo era l'ultimo» fece un passo indietro e sorrise «allora, vedo che le voci girano in fretta»

Con non poca confusione, lo seguii con lo sguardo mentre tornava a sedersi al tavolo e apriva una scatoletta di metallo.

«posso darti mezza oncia per venticinque dollari» tirò fuori una bustina di plastica con all'interno dell'erba «pagamento in contati e, per ovvie ragioni, niente ricevuta»

«io...» ero rimasta senza parole. Non ero di certo sotto shock per aver visto un po' d'erba, quella roba girava come nulla nella mia vecchia città, ma mi domandavo come avessi fatto a cacciarmi involontariamente in quella situazione. Mi schiarii la voce e mi avvicinai al tavolo, quel ragazzo mi era sembrato abbastanza simpatico durante l'ora di pranzo, quasi mi dispiaceva deluderlo «non ero venuta per la droga»

«ah no?»

«no» mi sedetti di fronte a lui «non sapevo nemmeno che qualcuno venisse qui a spacciare»

«allora cosa ti porta qui?» poggiò il gomito sul tavolo e il mento sulla mano, pronto ad ascoltare cosa avessi da dire

Mettermi a parlare con un ragazzo che aveva appena provato a vedermi dell'erba in mezzo a un boschetto; mi pareva una situazione talmente surreale che per un attimo pensai che si trattasse di uno di quei sogni privi di un senso logico, eppure...

«scappavo»

«scappavi?» ripeté protraendosi in avanti «hai la mia più completa attenzione»

«esatto! Scappavo. La counselor della scuola voleva vedermi nel suo ufficio con la scusa di presentarsi, ma io so come funzionano queste cose. La conversazione si sarebbe pian piano spostata sui miei voti nella vecchia scuola e infine su un qualche trauma del passato per giustificare il mio scarso rendimento. Non avevo la minima voglia di sorbirmi per l'ennesima volta una pseudo seduta psicologica, perciò eccomi qui, a parlare con uno spacciatore»

Il ragazzo si lasciò sfuggire una risata, forse trovava divertente quella breve storiella.

«che hai da ridere?»

«non ti immaginavo così... così umh... una che parla tanto, insomma» si alzò in piedi per levarsi il giubbotto e iniziò a gironzolare per quello spazio intorno al tavolo «quando ti ho vista in mensa ho pensato che fossi una di quelle che non parlano molto e si isolano dagli altri»

«aspetta, tu mi avresti notata in mezzo a tutta quella gente?»

«ho buon occhio, sai? Noto sempre gli emarginati»

«lasciami indovinare, poi li adeschi e gli vendi la droga» sorrisi vedendo l'espressione che si era creata sulla sua faccia «un grande affare»

«credi che sia quel genere di persona?» chiese facendo il finto offeso

«non saprei» lo guardai appoggiarsi con la spalla al tronco di un albero «a giudicare dalla scenata che hai creato in mensa, sicuramente sei un tipo eccentrico. Che poi tu sia una persona per bene o un malvivente, questo non lo posso di certo sapere io. Sono pur sempre la nuova arrivata, no?»

«era un magnifico discorso, ammettilo» si staccò dall'albero per avvicinarsi al tavolo, sembrava quasi che fosse incapace di star fermo in un posto per più di due minuti. Salì coi piedi sulla panca e si accovacciò per stare alla mia altezza «sai, c'è un modo per scoprire che tipo di persona sono...»

«ah sì?»

Sapevo già dove volesse andare a parare, insomma, l'unico modo per scoprire come sia una persona era passarci del tempo per conoscerla. Raccattai il mio zaino e mi alzai dalla panchina, interrompendo così anche il contatto visivo tra i nostri occhi.
Mi piaceva l'energia che emanava, mi divertiva, ma si era fatto tardi e non volevo far aspettare Nancy, non potevo trattenermi oltre.

«e dimmi,» vedendo che stavo per andarmene, si alzò pure lui e colse l'occasione per farmi un'ultima domanda «la ragazza nuova che non compra l'erba ce l'ha un nome?»

«Lilith Bower, ma chiamami semplicemente Lily, signor spacciatore»

«signor spacciatore» ripeté facendo una smorfia «suona in modo terribile. Eddie Munson suona decisamente meglio, non trovi?»

«decisamente meglio» mi voltai verso di lui un'ultima volta e concordai utilizzando le sue stesse parole «quando vorrò scoprire di più sul tuo conto, so dove trovarti, Eddie Munson»

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