56. Prime volte (1/2)

A Great Big World, Christina Aguilera - Say Something

Quel viaggio aveva cambiato il mio destino: il mondo che conoscevo sarebbe stato stravolto per sempre.

Dentro di me avvertivo che ci sarebbe stato un prima e un dopo Stanford, per distinguere chi ero da chi sarei diventata in seguito.

E fu così che, inconsapevole del futuro riservatomi, l'ultima sera di quella gita fuori porta ebbi modo di riflettere sui due ragazzi con cui soggiornavo, constatando mio malgrado che Dylan non fosse l'unico con un lato nascosto del proprio carattere.

Nonostante l'ora tarda, il cugino di Nathan si era offerto di tenermi compagnia fintanto che il biondo non sarebbe tornato da San Francisco per il suo colloquio.

Avevamo approfittato della solitudine per chiarire ciò di cui avevamo discusso nel pomeriggio: Sophia e la verità riguardo la nostra relazione, da rivelare ai suoi genitori quanto prima. Ero riuscita a strappargli una promessa senza neanche troppe pressioni.

Accettai il cambiamento di buon grado. Forse era mosso dalla voglia di riscatto e per quello iniziavo a scrutarlo con occhi nuovi.

Piegava le labbra verso l'alto e abbassava lo sguardo sulle sue mani, quando parlava del suo passato. Il senso di malinconia che mi mostravano i suoi lineamenti duri e l'inclinazione della voce mi rendeva incredibilmente vulnerabile.

Quella sera avevo perso interminabili minuti a studiarlo nei suoi atteggiamenti e afflizioni.

Avevamo trovato posto su una sporca panchina, appena fuori dal motel. Avevamo la visuale completa sul viale d'accesso, eppure, il buio intorno a noi non permetteva agli altri di notarci. L'oscurità era squarciata a intermittenza dai flash luminosi appartenenti alle automobili che sfrecciavano vicino la struttura. Si allungavano, ci incantavano e poi si disperdevano lontane. Ammaliandoci per secondi infiniti, mentre il silenzio veniva riempito dal rombo dei motori.

Ci eravamo stretti ognuno con i propri pensieri, ma altrettanto sollevati dall'idea di poter condividere quella solitudine. Eravamo due universi isolati e pronti per entrare in collisione, niente di più pericoloso e magnifico allo stesso tempo. Ci eravamo abbandonati alle risate come non avevamo mai fatto, dimenticando del mondo in cui vivevamo. Si poteva dire che fossimo finalmente riusciti a connetterci. O, più probabilmente, la realtà era che ci stavamo ancora studiando, da lontano, cauti. Scoprendo uno a uno tutti gli strati delle nostre corazze di ferro.

Nessuno avrebbe saputo dire quanti ce ne fossero ancora, ma era certo che stavano cedendo alla velocità della luce.

Stappai la linguetta in metallo della lattina di birra. La schiuma della bevanda mi sfiorò gli indici prima di ritirarsi all'interno della confezione. La tenevo con entrambe le mani da quando Dylan me l'aveva gentilmente offerta.

«Le tue prime volte?» mi aveva domandato di punto in bianco dopo aver incurvato le labbra sulla sua latta.

«Non ti rivelerò niente di sconcio, se è quello in cui speri» risposi riluttante a quella sua strana voglia di conversazione. Sorseggiai la birra scadente, arricciando il naso a causa del cattivo sapore. Non avevo mai bevuto niente del genere. Mi portai le ginocchia al petto stringendole a me.

Le doghe continuavano a scrocchiare sotto il mio peso e quello di Dylan a ogni minimo movimento. Poggiai la lattina nello spazio lasciato libero dai nostri corpi, mentre lui allungava i suoi piedi fino a sfiorare il brecciolino con i talloni. Indossava ancora gli stessi eleganti abiti della mattina, mentre io mi sentivo così sciatta per aver fatto un cambio con una semplice tuta.

Dylan incurvò un sopracciglio ridendosela sotto i baffi. Era così diverso ultimamente: più libero.

«Non fraintendermi. Mi riferisco a qualsiasi prima volta. Per esempio in cucina o la prima volta che hai capito di amare qualcuno. Anche se conosco la storiella noiosa su come il tuo amore deve essere perfetto da far battere il cuore. Me la sono già sorbita, quindi puoi evitare di ripeterti. Sei sempre così maliziosa, Lilian?» Il suo sguardo trasudava peccaminosità da ogni poro, non il mio mero commento. Sfiorai il suo petto rimbeccandolo quel tanto per minare l'equilibrio della sua posizione comoda. Dopo uno scalpito decise di abbandonare la lattina accanto alla mia, concentrandosi sulla nostra conversazione. Aveva ottenuto la mia piena attenzione ed io la sua.

Aggrottai le sopracciglia turbata. «Non ti permetto di insultare un sentimento profondo come l'amore. Quindi, ignorando i tuoi pareri non richiesti, ti parlerò della mia prima volta ai fornelli.» Il moro si passò un dito sotto il naso strofinandosi il labbro superiore in attesa di ricevere succulenti dettagli.

«Sono una frana. Ero in seconda liceo e ho dato letteralmente fuoco a un ottimo polpettone.» Ammisi sconfitta ricordando la scena in cui i vigili del fuoco erano entrati in casa mia per poter estinguere l'incendio. Decisi di non divulgare quel piccolo, quanto innocuo, dettaglio a Dylan o altrimenti mi avrebbe preso in giro a vita.

«Come puoi sapere che fosse ottimo? Bruciato non è proprio un tipo di cottura mangiabile!» scherzò animandosi e volgendo il suo busto nella mia direzione.

«Ah, perché non hai mai pensato che qualche tua creazione potesse essere fantastica, nonostante per tutti gli altri fosse uno schifo totale?» Sembrava una valida contromossa.

«Certo che sì! Ma quello che faccio io è sempre perfetto sotto ogni punto di vista. La prima e l'unica volta che ho cucinato è stato per mia madre quando avevo tre anni e mezzo. Lei disse che era la miglior panna spray che avesse mai mangiato. Come vedi non tutti combinano disastri.» Rimasi sbigottita. Era serio?

Dylan si leccò il labbro inferiore con flemma, iniziando a ridere, mentre provava a reggere il mio sguardo sconcertato. «Dovresti guardarti allo specchio, sembra che tu abbia una paralisi!» Mi prese in giro.

«Ma è ovvio! La tua stupidità non ha confini! Possibile che tu sia così imbecille? C'è mai stata una volta che tu abbia fatto il serio?» rilanciai tra una risata e l'altra. Volsi gli occhi al cielo, per poi portare una mano a scudo sul mio viso per non mirare oltre la sua faccia da pesce lesso. Non reggevo il suo sguardo senza ridere di riflesso.

«Ricordo che durante la scuola primaria ero un alunno modello. Potrà non sembrare, ma ci tenevo a essere il più bravo. Sono sempre stato un tipo diligente, a dir la verità. Solo che con il tempo ho scoperto che potevo essere sia solerte che divertente! Dovresti provare, sai?» Allontanai l'indice e il medio per permettere al mio occhio sinistro di squadrare Dylan.

Il moro accennò con il capo prima di assaporare la rimanenza della sua birra, dopo di che impresse la sua forza sulla latta pressandola e modellandola, lanciando quel rifiuto direttamente nel bidone a due metri di distanza e facendo centro.

«Ho anche una carriera nel basket professionistico, quanto talento sprecato» sospirò inebetito allungando le braccia sullo schienale della panchina. La sua apertura alare era tale da occupare quasi la totalità della doga in legno, costringendo la mia spalla a essere sfiorata dalla sua mano.

«Hai una carriera come comico, te lo hanno mai detto?» punzecchiai sulla mano lasciata penzoloni così da spostarla più in là.

«È la prima volta che qualcuno mi dice una cosa del genere. Wow, Lilian, sei entrata nel libro delle mie prime volte con un'altra frase! Non che non ne facessi già parte.» Incurvai un sopracciglio interrogativa.

«Che significa?» indagai ingenuamente sistemandomi un ciuffo ribelle dietro l'orecchio. Dylan si voltò per scrutarmi alienato, come se ciò che avesse appena rivelato fosse la cosa più naturale del mondo e che solo io non me ne fossi resa conto.

«Esattamente ciò che ho detto. Che con te ho fatto tante cose per la prima volta. Credevo ne fossi conscia. Hai bisogno di un disegnino, Peterson? La prima della classe non ha fatto tutti i compiti, a quanto pare.» Dylan protese quella stessa mano fino a scompigliarmi i capelli con un semplice gesto. Quando intercettai le sue intenzioni era ormai troppo tardi e la mia acconciatura un disastro.

«Sì, ovvio che lo so! Sbruffone!» incrociai le braccia sopra le ginocchia e ci poggiai il mento un po' delusa. Non poteva trattarmi come una bambina. Dylan scosse il capo sospirando rumorosamente. Afferrò la mia lattina poggiandola per terra così da permettere ai suoi piedi di occupare quello spazio ormai libero. Completamente voltato verso di me aveva deciso di imitare persino la mia postura.

«Non sai a cosa mi riferisco, vero?» cantilenò giocoso mostrandomi un labbro più sporgente dell'altro. Scrollai le spalle stizzita e con disprezzo volsi il capo dall'altro lato. Non volevo dargli soddisfazioni.

«Può anche essere» brontolai tra me e me.

«Sei la prima con cui ho passato intere serate senza l'intenzione di andare a letto insieme. È un primato per uno come me. E allo stesso tempo una delusione. Ma considerando che sei anche la prima che ha provato a "sistemare" i miei problemi, direi che sia un'enorme passo avanti avere qualcuno di così affidabile su cui contare e che non sparisca quando è sorto il sole. Sei anche la prima per cui io mi sia mai inginocchiato. Andiamo, ti ho supplicato tante di quelle volte!» Mi stava insultando o elogiando?

Forse era solo l'ennesima presa per i fondelli di cui avrebbe riso.

«Sei la prima con cui ho condiviso le mie paure e la prima ragazza in assoluto con cui io abbia mai litigato e che io abbia insultato! E ci è mancato davvero poco che non mi picchiassi! I viaggi d'acqua possono essere contati come abusi? Lo sai che sei ancora un po' svitata a proposito, vero? Cara la mia santarellina!» ero esterrefatta. Come si permetteva di sfottermi ancora? Colta dall'ira momentanea assottigliai la vista e gli puntai un dito in mezzo agli occhi.

«E dire che mancava tanto così affinché tu mi sembrassi quasi simpatico, O'Brien!» lo rimproverai avvicinando l'indice al pollice per simulare la quantità di stronzate che avrebbe potuto evitare.

«Vedi? Avevo ragione...» Sorrise divertito, mentre tornavo con la testa sulle mie ginocchia. Ero un po' insoddisfatta, ma non si poteva dire che non fosse accettabile ciò che diceva. Rimasi a osservarlo da quella angolazione beandomi delle sue parole sincere. «Mi hai cercato per prima nella landa desolata in cui mi ero rifugiato. Adesso che ci penso tu sei la prima che mi abbia anche rifiutato! Chi rifiuta tutto questo? Andiamo!» Si indicò ininterrottamente. Roteai gli occhi al cielo.

«Sono la prima ragazza che incontri con un cervello. Anzi, la seconda se escludiamo Lydia.» Schioccai la lingua al palato sorridendo compiaciuta. Provò ad aprire bocca per controbattere.

«Touché!» Alzò le mani in segno di sconfitta. «Sei anche la prima che mi abbia capito dopo ciò che è successo. E la prima persona a cui posso dire di tenere veramente.» Il tono della sua voce andò via via abbassandosi fino a completamente dissolversi.

«Anche io tengo a te, Dylan. Tanto.» Sorrisi nella sua direzione afferrandogli una mano e dimenticandomi di tutti i battibecchi e gli screzi che avevamo potuto avere durante quella conversazione. Perché alla fine non importava veramente quello che dicevamo, ma solo ciò che provavamo.

«Sei uno stronzo e una testa di cazzo...» ammisi scuotendo il capo. Avvertii le sue dita irrigidirsi e i suoi occhi saettare incerti sul mio volto «ma sei lo stronzo che ha stravolto la mia vita in meglio, per la prima volta.» Ripensai ai nostri litigi, alle nostre urla grevi, ai nostri silenzi disperati e a tutte le piccole cose che avevano contribuito a portarci fino a lì. Forse eravamo solo due stupidi che si rincorrevano senza una ragione o magari eravamo due anime che non erano capaci di trovare il tempismo perfetto per avvicinarsi.

Dylan levò i suoi occhi verso l'alto, stringendo la mano attorno la mia e facendo intrecciare le nostre dita così che combaciassero alla perfezione. Si avvicinò a me abbassando i piedi e riportandoli per terra. Il suo andamento era costante e la sua presenza intensa. Tutto di lui: il suo busto, i suoi occhi, le sue labbra, puntavano me. Non mi spaventai di quello che sarebbe potuto accadere da lì a pochi secondi più tardi, perché avevamo entrambi un disperato bisogno di sentirci vicino. Mi abbracciò avidamente, incastrando la sua testa nell'incavo del mio collo e stringendomi a lui. Inspirò tra i miei capelli, mentre avvertivo il cuore accelerare sempre più. Le sue dita sembravano voler affondare nella mia carne, mentre la pelle bruciava sulla mia.

Ricambiai avida quel gesto di affetto improvviso. Era il destino che aveva deciso così.

Eppure, quello era il problema con il futuro e con il tempo. Delle volte non era semplicemente abbastanza.

In lontananza udimmo il rombo di autovettura in avvicinamento.

Dylan se ne accorse qualche attimo prima di me.

«Buonanotte, Lil» sussurrò a qualche millimetro dal mio orecchio, quel tanto da lasciarmi un brivido percorrermi lungo la schiena. Sussultai quando le sue umidi labbra entrarono a contatto con la mia guancia fredda. Fece scoccare quel casto bacio l'istante prima che i fari dell'auto di Richard mi illuminassero, ma oramai il moro si era dileguato senza aggiungere più neanche una parola, lasciandomi con quella strana sensazione di vuoto che avevo iniziato ad avvertire dentro di me. 

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