41.Somebody To Love
Can anybody find me
somebody to love?
📼🌼
"Esigo di sapere dove è mia figlia ed esigo di saperlo, ora!!!"
La prima giornata di primavera del marzo 1986 non era proseguita come il capo della polizia si era immaginato.
Nemmeno un po'.
Anzi, piuttosto, si sarebbe potuto dire che, quella che era iniziata come la più tranquilla delle giornate, si era rivelata un vero e proprio inferno.
Un vero e proprio incubo.
Uno dei peggiori in assoluto.
"Strano..." aveva ripetuto tra sé e sé Hopper una manciata di ore prima, dopo aver afferrato il suo fedele cappello a visiera larga dalla scrivania del suo personale ufficio, salutato al volo Flo con una sigaretta già stretta in mezzo alle labbra ed un sorrisetto quasi compiaciuto, ignorando gli sbuffi consueti ed inutili di quella donna che, ormai, dopo anni ed anni di lotte inutili, non perdeva nemmeno più tempo per convincerlo di quanto quella stecca bianca lo avrebbe portato dritto dritto fino alla tomba.
Il capo, quella mattina, era andato via dal suo ufficio stranamente di buon umore.
"Ripassi più tardi, Jim?"
"No, oggi no, Flo!" aveva ribattuto Hopper con quello che aveva avuto tutta l'aria di essere un mezzo sorriso, vedendo la vecchia segreteria apostrofarlo di sotto i suoi occhiali tondi con aria stupita.
"Cena speciale questa sera! È il suo compleanno, Flo!"
"Oh povera piccola..." aveva concluso la segretaria alzando gli occhi al cielo, vedendolo nascondere uno sbuffo sotto la prima boccata di fumo, la maniglia della porta già stretta nel suo pugno: c'erano tre persone in quel mondo ancora vive da poter testimoniare di essere sopravvissute (quasi indenni) alla sua cucina: sua madre, Flo ed El.
"Sarà un miracolo che arrivi al prossimo anno a questo punto...a meno che tu per "cena" non intenda una pizza dal cartone..."
"A domani, Flo!" aveva concluso il capo della polizia, lanciando un provocatorio bacio volante nella sua direzione, vedendola agitare la mano davanti al viso a scansare con aria disgustata una nuvola di fumo.
Non ci sarebbe stato nulla al mondo in grado di rovinare il suo umore quella mattina, nemmeno una nuvola all'orizzonte in quel cielo azzurro che pareva essere stato messo lì apposta dalla pennellata di un artista sulla sua tela baciata dal sole.
Gli veniva quasi da canticchiare perfino il motivetto della canzone alla radio di cui non conosceva nemmeno le parole:
"I work hard every day of my life
I work 'til I ache in my bones
At the end of the day
I take home my hard earned pay all on my own..."
Quella mattina nulla, assolutamente nulla avrebbe potuto rovinare quella sua insolita dose di buon umore.
All'uscita della scuola, al suono dell'ultima campanella di quella mattina, il furgone targato Hawkins Police stazionava puntuale e rigido nel piazzale davanti alla Hawkins High School, affollato di studenti e studentesse liceali intenti a correre via veloci da quelle mura, di corsa per guastarsi ogni secondo di quel primo pomeriggio di sole.
Il capo aveva allungato lo sguardo lungo quei jeans a zampa di elefante e giacchette di pelle, cercando tra tutti quei sorrisi il solo che valesse la pena di essere un'altra mattina ancora lì: la principessa di quel giorno speciale tutto suo.
Le future ore di quel pomeriggio in quel posto da schifo sarebbero volate via di corsa, non avrebbe permesso che nulla e nessuno le rovinasse il giorno del suo compleanno, parola di Jim!
E quella sera, finalmente tornati a casa loro, finalmente da soli, il capo della polizia dal cuore più grande del mondo avrebbe potuto finalmente consegnare a quella sua piccolina il regalo che lui stesso aveva scelto per lei, ormai settimane e settimane prima.
E quella volta Jim Hopper sentiva di aver superato se stesso, parola sua.
"Strano..." aveva sussurrato ancora il capo della polizia tra sé e sé, al di là del parabrezza del suo furgone, mettendosi a sedere più dritto e sistemando la visiera del suo cappello sul viso.
Non era da lei fare tardi.
Non era da lei essere l'ultima ad uscire.
"È il giorno del suo compleanno, Jim, dalle un po' di tregua!" gli era parso quasi di poter sentire la voce di Joyce rimproverarlo nelle sue orecchie, scuotendo la testa, tirando sú con il naso e lasciandosi ricadere sul sedile, non potendo fare a meno di lanciare un altro sguardo all'orologio del cruscotto.
Magari i suoi amici l'aveva trattenuta...
E magari tra tutti i suoi amici, era stato proprio Mike Wheeler ad insistere che rimanesse ancora un momento in corridoio con lui.
"Faremo tardi, piccola, ma dove sei finita?!" aveva imprecato a fior di labbra abbassando il vetro del finestrino, sporgendosi a cercare tra la folla di studenti la sua bambina.
Conosceva più della metà degli studenti di quella scuola: di tutti avrebbe saputo dire nome e cognome dei rispettivi genitori, vita, morte, miracoli e liti con i vicini, sceriffo di quella piccola città dove, da anni, non succedeva mai nulla di nuovo sotto il sole.
O, almeno, questo era quella che pensavano loro...
E allora perché quel ritardo, perché?
E più ancora che perché, per meglio dire, dove?
Dove era finita la sua piccolina?
Dove era andata a cacciarsi quella mattina?
E per quanti casi fortuiti della vita, perché a mancare al suo personale appello quella mattina, all'uscita da scuola, mancava non solo El ma anche il resto del suo piccolo gruppetto di amici?
"Byers!" aveva visto il secondo genito di Joyce uscire per ultimo verso le rastrelliere delle bici, quasi non avesse voluto dare nell'occhio, seguito a ruota dal restante club dei nerdini, intenti a guardarsi intorno con aria sospetta, fin troppo sospetta, perfino per loro e le loro stranezze.
Stavano forse per caso cercando di sfuggire alla vista di qualcuno?
"Byers! Handerson! Sinclair e Mayfield!" aveva chiamato ancora il capo della polizia a pieni polmoni, vedendo le spalle dei ragazzini sussultare all'unisono al suono della sua voce.
Quanto odiava dover fare l'adulto...
"El non c'è, e ovviamente nemmeno Mike..." aveva stretto i denti ed i pugni sul volante, vedendo i nerdini scambiarsi rapidi sguardi tra di loro.
Avrebbe potuto quasi sentire rimbombare nelle sue orecchie i battiti a mille dei loro giovani ed impressionabili cuori.
"Voi 4, signorini, qui da me, subito!"
"Non era così che mi ero immaginato di essere arrestato la mia prima volta, amici..."
"Se questa storia finisce a sporcare la mia fedina penale giuro che ammazzo Mike!"
"Zitto, stalker!"
"Vuoi dire se tornerà vivo, Lucas..."
"…e zitto pure tu, Dustin!"
"Buon pomeriggio..." aveva fulminato con lo sguardo ciascuno il capo della polizia di Hawkins dall'alto del finestrino, vedendoli avvicinarsi al furgone con lo stesso spirito di 4 condannati al patibolo.
E la spada pendente sulle loro teste era allo stesso modo appesa ad un filo quel pomeriggio.
Sarebbe dipeso tutto dalla loro intenzione a collaborare con le sue forze investigative.
Con le buone o con le cattive.
"Spero non abbiate programmi per questo pomeriggio, ragazzi, perché ora, voi 4, salite sú e venite con me, subito!"
"...posso prima chiamare il mio avvocato per sequestro di minore, signore?"
"Dove sono?" aveva cominciato il capo Hopper poggiando entrambi i gomiti sulla sua scrivania con aria che non avrebbe potuto essere più intimidatoria di così, la stessa riservata ai più feroci criminali incalliti, avanzi di galera che da anni ormai non vedeva più lungo il suo cammino, da quando, anni prima, si era deciso a trasferirsi lí nella provincia, chiudendo con la grande città e con quella vita.
Ma usare le tecniche appese in anni ed anni di onorato servizio per estorcere confessioni contro i compagni di scuola di sua figlia era qualcosa che di certo Jim Hopper non si sarebbe mai aspettato in quella vita.
Lanciò uno sguardo all'orologio appeso alla parete di fronte a lui, sopra le teste dei nerdini in piedi davanti alla sua scrivania come 4 fedeli soldati mandati al plotone di esecuzione: era già in ritardo, presto avrebbe dovuto dare agli uomini del laboratorio una spiegazione.
Nessuno dentro quelle mura amava il ritardo, ed il capo odiava invece il dover dare sempre conto a loro.
Ma qualcosa gli suggeriva quel pomeriggio che non si sarebbe trattato di un semplice ritardo quella volta, niente di così semplice da sperare di poter chiedere loro di chiudere un occhio, per una volta.
Dove era finita El?
Dove era finita sua figlia?
Dove era finito il loro piccolo topolino da esperimento?
Dove era finita la sua piccolina, la loro Eleven?
"Dove sono? Rispondetemi...ora"
Il capo sapeva che da un momento all'altro quel dannatissimo telefono avrebbe squillato, ed a quel punto non avrebbe più potuto declinare la chiamata come suo solito, con il benestare di Flo, ma non in quella occasione.
Un orecchio teso alla cornetta ed entrambi gli occhi puntati sui visi dei 4 ragazzini.
Uno per uno.
Sguardo basso, capo chino, zaini di scuola ancora appesi alle loro spalle infantili e ricurve.
Hopper si sentiva come a stare cercando di rubare una manciata di caramelle a dei bambini.
"Non intendo ripeterlo ancora una volta, ragazzi: dove sono?!"
"...chi?" rispose per prima Max alzando gli occhi al cielo, incrociando le braccia al petto con aria più scocciata che intimorita, l'espressione di chi è certo di conoscere il fatto suo.
O, almeno, di volersi sforzare a tutti i costi di far credere fosse così.
"Mi pare che qui si stia dando per scontato che noi tutti siamo al corrente dei fatti, cosa di cui però nessuno ha ancora parlato chiaramente... "
"Posso sfruttare ora la mia telefonata?" alzò fuori luogo il dito Dustin da sotto la visiera del suo berretto calato sui suoi ricci, in mezzo agli occhi alzati immediatamente al cielo dei suoi amici,
"In ogni poliziesco che si rispetti agli interrogati sotto processo è concessa una telefonata di rito: sono più che certo di conoscere i miei diritti!"
"Hai il diritto di chiudere quel becco, Dusti-Bon! Non rendere questa situazione più merdosa di quanto non sia già di suo!"
"Linguaggio, ragazzina!" sbuffò Hopper passando una mano lungo il suo viso, sospirando a pieni polmoni ed anelando già al filtro di un'altra sigaretta: "Non davanti ai bambini, Jim...non ora.."
"Perché ci ha portato qui, capo?" continuò Max scuotendo le ciocche rosse ai lati del viso, un rossore mal celato sulle sue gote ed un tremore appena percepibile del suo ginocchio a tradire l'intera sua corazza di simulata spavalderia.
"Cosa vuole di preciso lei da noi?"
"Noi...noi non abbiamo fatto niente!" si uní alle inutili proteste il giovane Sinclair a ruota, scuotendo i palmi di fronte a sé come a testimoniare che fossero vuote e pulite:
"La prego non dica ai miei genitori che sono qui! Questa è l'ultima cosa che mia madre potrebbe farmi passare liscia..."
"Oh, davvero un cor di leone, stalker, non c'è che dire!"
"Nessuno di voi sarà messo nei guai, ragazzi..." scosse la testa Hopper con un altro profondo respiro, muovendo gli occhi lungo la stanza intorno a loro e notando il giovane Byers leggermente distante, in disparte, quasi un passo indietro rispetto ai suoi amici, gli occhi fissi alle due scarpe dal momento esatto nel quale erano entrati tutti insieme lì dentro, per nulla deciso a spiaccicare nemmeno la più piccola parola di sua libera sponte.
Era una scena di sicuro insolita, ma Hopper non aveva tempo di tirare a quelle stupidaggini: degli stupidi litigi adolescenziali erano ultime tra le sue priorità in quel momento.
"Nessuno dei vostri genitori saprà che siete qui..."
"Chiamata sulla 1, Jim!"
"Non ora Flo!" strillò alla segretaria al di là della porta Hopper facendo saltare sul posto i 4 amici, tornando con lo sguardo a loro con tono di voce decisamente più morbido ma allo stesso tempo ancora duro.
"Nessuno di voi finirà nei guai per questa storia, avete la mia parola! Non se riusciamo a trovare un accordo, ovviamente, non se decidete tutti insieme di collaborare con me e di darmi qualche informazione..."
"Non sappiamo dove sono finiti!" scosse la testa il giovane Handerson incapace di mentire, rigido sul posto e con gli occhioni azzurri spalancati di fronte a sé:
"Non sappiamo dove siano scappati via Mike ed El questa mattina, glielo posso giurare capo, parola mia!"
"Quindi è vero: sono insieme..." sussurrò Hopper tra i denti, chiudendo gli occhi e non potendo evitare di non sentire immediatamente il suo petto sciolto come da un pesante macigno: non che non lo avesse sempre saputo, fin dal primo momento, e non che fosse facile ammetterlo, certo, nemmeno a sé stesso, ma avere la conferma che la sua piccolina non fosse sperduta da sola chissà dove, ma almeno in compagnia di quel suo ragazzino, era una sicurezza irrazionalmente in grado di placare almeno di poco la sua tensione.
Di poco, decisamente poco.
Ma era già qualcosa.
"Dustin!!" udí il restate gruppo all'unisono aggredire il malcapitato a suon di gomitate, vedendolo schernirsi con aria innocente e confusa.
"Che c'è? Che ho detto?! Non ho mica detto dove sono andati!"
"Quindi voi lo sapete, ragazzi, non è vero?" sospirò Hopper cercando di non perdere la pazienza, grattandosi con un dito la punta del mento:
"No, non lo sappiamo, capo..."
"Ci deve credere!"
"E io dovrei credere che due dei vostri amici sono spariti per la mattina senza che voi siate stati loro complici fin dall'inizio?!"
"Beh, per alcuni di noi, più che per altri, è stato proprio così!" commentò sarcastico Will con una risata tutt'altro che divertita, incenerito dallo sguardo di Max a da un'occhiataccia al cielo di Dustin.
"Deve credermi, capo: alcuni di noi sono stati informati questa mattina a cosa fatta, senza poter in nessun modo mettere voce in capitolo..."
"Riponi l'ascia di guerra al suo posto, Byers, non è il momento!"
"Il punto è che..." tentò di riprovare Lucas con tono più risoluto, ma bloccato prontamente dalla ragazza dai capelli rossi, un passo in avanti nella sua direzione:
"Il punto è che deve fidarsi di noi capo: sono al sicuro!"
"Già, al sicuro, capo...più che al sicuro!"
"E io dovrei accontentarmi di questo e lasciar andare voi 4 via da qui come se nulla fosse?!" sbatté un pugno sul tavolo Hopper con aria spazientita, vedendo i nerdini vibrare tesi come corde di violini a quel rumore così brusco.
Di tutta la cose, il capo della polizia non poteva proprio tollerare di essere preso così in giro.
Non da 4 matricole liceali in erbe, per di più.
"Ditemi dove diavolo è finita mia figlia, questo è un ordine: ora!!"
"Noi non..."
"Noi non possiamo dirglielo, capo…" scosse la testa Lucas con sguardo mortificato, vedendo Dustin e Max annuire all'unisono accanto a lui.
"Vorremmo ma…ma proprio non possiamo!"
"Deve solo fidarsi che stanno bene, capo, deve solo fidarsi di noi..."
"È tutto quello che possiamo garantirle in questo momento!"
"Non ho tempo per i vostri giochetti da bambini..." scosse la testa Hopper alzandosi finalmente in piedi di fronte a loro, dall'altro lato della scrivania, la sua mole a sovrastarli dall'alto in basso con aria minacciosa:
"Se ne sapete qualcosa siete pregati di sputare il rospo prima che io perda definitivamente la pazienza, e vi consiglio vivamente di farlo ora!"
"Gli amici non mentono..." giunse fuori campo una voce appena sussurrata ma decisa, in grado di far alzare lo sguardo al capo dalla sua scrivania e ai 3 amici di voltarsi stupiti nella medesima direzione, in direzione del quarto nerdino rimasto in disparte ed in silenzio fino a quel momento.
Ed Hopper avrebbe quasi potuto scorgere una certa qual nota di orgoglio nella voce del giovane Byers nel pronunciare con tono solenne quelle semplici parole.
"Gli amici non mentono, capo: per questo non glielo possiamo dire" continuò Will con voce decisa, occhi verdi puntati nei suoi con rispetto, ma senza paura o alcun velo di tentennamento.
"Gli amici si dicono tutto, anche quello che non si può dire agli adulti: Mike ed El ci hanno chiesto di non fare la spia, capo, perciò...temo proprio che, a questo punto, non sapremo esserle molto d'aiuto!"
"Branco di nerdini..." scosse la testa Hopper lasciandosi ricadere giù sulla sedia della sua scrivania, passando e ripassando la mano lungo il viso a ripetizione, stropicciandosi i pensieri ed i suoi baffoni.
Non era neanche lontanamente possibile l'idea di tentare di spiegare a quei 4 poppanti perché era così importante che El tornasse immediatamente indietro fino a lí: subito, immediatamente, ora.
E più ci rifletteva, più il capo non si dava pace di come la sua piccolina si fosse dimostrata così incosciente e stupida.
El conosceva i suoi doveri, li conosceva da sempre tutti: perché allora aveva deciso di incastrare proprio lui dentro quel pasticcio?
Perché scomparire così nel nulla, in quel modo, senza premurarsi di lasciare nemmeno un biglietto, un appunto, una spiegazione?!
"Gli amici non mentono" ripeté sempre più sicuro il piccolo Byers in piedi di fronte a lui, muovendo un passo in avanti in direzione degli amici, vedendo l'amica sorridergli con calore, Dustin poggiargli una mano sulla spalla in segno di rispetto ed ammirazione.
Il capo avrebbe quasi voluto poter ammirare la dolce tenacia di quel piccolo gruppo, se non fosse stato piuttosto intento a non esplodere dal nervoso davanti a loro.
La sua piccolina era stata fortunata a trovare lungo il suo cammino amici come loro, ma quanto a lui...
Quel branco di nerdini si era rivelato essere davvero un osso duro, non c'era che dire.
I minuti scorrevano uno dopo l'altro veloci, e non vi era praticamente nulla, più nulla che il capo della polizia potesse fare per evitare che l'inevitabile si abbattesse su di lui.
Su di loro.
Quella mattina di primavera era andata così.
Non restava che congedarli e spedirli tutti in un posto più sicuro.
"E sul fatto che stanno bene e che sono al sicuro, ha la nostra parola, capo, glielo assicuro! Ma non otterrà da noi nulla di più di questo!"
"Suppongo di no..." sospirò un ultima volta il capo della polizia, lanciando l'ennesimo sguardo all'orologio appeso sopra le loro teste dall'altro lato del muro: non c'era altro tempo, era troppo tardi.
Troppo tardi per provar a spiegare, troppo tardi per insistere senza speranza di ottenere una minima informazione in più: quel fronte era compatto, e lui era da solo.
Aveva già perso in partenza quella battaglia.
Ma, cosa ancora più terribilmente brutta, era che, con lui, stavano per perdere, in un domino infinito, anche tutti loro: da lui, ad El, a Mike, fino a tutto il gruppo di ragazzini che ora aveva davanti agli occhi.
Ma non vi era più tempo quel pomeriggio per cercare parole per spiegare qualcosa di più grande di tutti loro.
Quella dannata chiamata aveva tardato ad arrivare anche troppo, Hopper sapeva di non poter sperarci di più: ed era meglio a quel punto che fossero già tutti fuori da lì, che fosse solo, che nessuno potesse sentire o fare domande alle quali non sarebbe stato così semplice trovare delle spiegazioni.
Non ce l'aveva con nessuno di loro, perché mai avrebbe dovuto?
Non poteva avercela nemmeno con Mike, anche se avrebbe tanto voluto poterlo accusare di tutto, e nemmeno con El.
Perfino ad El sentiva di poter perdonare tutto in quel momento.
Hopper la capiva, capiva sua figlia, la sua età immatura, la sua voglia di libertà repressa, la sua voglia di ribellione: non era niente che lui stesso non avesse sperimentato, alla sua età, in prima persona.
Eppure, non avrebbe mai potuto fargliela passare così liscia.
Non stavano parlando di un'adolescente normale alle prese con una banale sega a scuola, di una verifica saltata, di un compito di punizione, no.
Non stavano parlando di nessuna di quelle ovvietà che un normale genitore avrebbe potuto risolvere con una buona ramanzina ed un mese o più di punizione.
Era questa la cosa più grave per lui quella mattina: il fatto che, dopo anni, la sua piccolina, a quanto aveva dimostrato, non fosse completamente a conoscenza della gravità della situazione.
Ogni azione porta con sé una conseguenza, e non sarebbe stato papà Hopper la peggiore delle sue preoccupazioni, una volta che El avesse fatto ritorno ad Hawkins.
Quanto decisamente e totalmente odiava dover fare l'adulto: non avrebbe potuto perdonarla così facilmente per la sua completa mancanza di giudizio e ragione.
"Andate tutti fuori..." Max, Lucas, Dustin e Will lo sentirono sussurrare in modo appena percepibile, un'ombra scura lungo il suo viso di fronte alla quale nessuno dei 4 nerdini avrebbe potuto avere il coraggio di replicare.
Quella storia sarebbe andata a finire male? Non vi erano dubbi.
Almeno loro avrebbero potuto dire di aver fatto la loro parte, ma nessuno poteva osare sperare che quei due incoscienti piccoli piccioncini se la cavassero con poco, al loro ritorno, quello poco ma sicuro.
Ed in modo che loro non potevano nemmeno ancora immaginare in quel momento.
"Ho detto tutti fuori, ragazzi...ora"
"...posso prima esprimere le mie ultime volontà, capo?"
"Muovi quel culo, Dustin!" il capo udí la rossa intimarlo con voce spazientita, osservando i 4 amici muovere veloci le gambe attraverso la stanza del suo ufficio, decisi a lasciare quel posto senza farselo ripetere una seconda volta.
"Salve, capo!"
"Ehm...una buona giornata?"
"Per quanto buona possa ancora essere, a dire il vero..."
"…Dustin!"
"Torneranno entro domani mattina..." soltanto Will si trattenne per ultimo ad un passo dalla porta a vetri dell'uscita, voltandosi lentamente indietro per un'ultima rassicurazione, ritrovando il capo Hopper con i gomiti appoggiati alla scrivania e la testa abbandonata sui suoi palmi aperti, in contemplazione.
Che la faccenda fosse grave l'avrebbe potuto capire appieno pure un bambino.
"So che sarà arrabbiato con loro, capo, ma non deve avere alcun dubbio: stanno bene, non corrono alcun pericolo…E, per quanto riguarda Mike, se mi permette: per quanto sia spesso folle ed avventato, ha la mia parola: si prenderà cura di El e farà in modo non me succeda nulla di brutto"
"Grazie Will, puoi andare..." annuí il capo della polizia con un cenno della fronte, vedendo il giovane Byers annuire a sua volta, prima di sparire dietro la porta richiusa alle sue spalle con un tonfo sordo.
"Prendersi cura di lei e fare in modo che non me succeda nulla di brutto": era stato quello che anche Hopper aveva creduto di poter fare per lei fin dal primo, e per la restante parte di tutti i suoi giorni.
Ma, a quanto pareva, da quella mattina in poi, nessuno avrebbe più potuto proteggerla e tenerla al sicuro.
La sua piccolina, quella mattina, aveva siglato la sua personalissima condanna a morte, senza essersene nemmeno resa conto.
"Chiamata sulla 11, Jim!" arrivò puntuale come un fulmine a ciel sereno la voce di Flo dall'altra parte delle porta chiusa, facendo scattare il capo Jim Hopper sulla sedia del suo ufficio, tirando sú la cornetta e rispondendo a quella chiamata prima ancora che l'anziana segretaria potesse aggiungere di più.
Linea 11, quella che non aveva mai squillato negli ultimi 2 anni della sua vita, e che non avrebbe mai dovuto farlo per nessuna ragione al mondo.
Fintanto che le cose fossero andate per il verso giusto, per lo meno: ma le cose avevano tutta l'aria di non stare andando per il verso giusto quella mattina.
La linea 11, linea diretta.
La linea privata tra la sede distrettuale della polizia della città di Hawkins e...
"…il Dipartimento di Energia, Jim! È per te!"
"Lo so bene..." grugní Hopper chiudendo gli occhi e prendendo un profondo respiro, portando la cornetta all'orecchio e lasciando che la sensazione di freddo e paura scendesse più a fondo fin dentro le sue ossa: la stessa immutata sensazione di impotenza di fronte all'atonalità di quella voce.
"Pronto, sono Jim Hopper, capo della polizia di Hawkins"
"Capo, lei è...in ritardo"
La voce del dottor Brenner rimbombò nelle sue orecchie, lontana e remota come se provenisse da un'altra dimensione.
Il capo strinse i pugni sotto il legno della sua scrivania, ripetendosi di non lasciarsi intimorire per così poco, non ancora.
Tono calmo ed atteggiamento sicuro.
Doveva illuderli di avere lui la situazione in pugno.
Non loro.
"Lei è in ritardo e io non amo il ritardo, capo, questo credevo che le fosse già chiaro da tempo..."
"Me ne sto già occupando personalmente, dottore..." cominciò il capo Hopper con voce sicura, dentro la quale perfino uno stupito avrebbe potuto cogliere un velo di apprensione.
"Siamo in ritardo, è vero, e temo che lo saremo ancora per un po'...vede, abbiamo avuto un contrattempo questa mattina, qualcosa che non è in mio potete risolvere così facilmente, temo..."
"Lei dov'è?" ribatté piatta la voce del dottore dall'altra parte della linea, così calma e distaccata ma allo stesso tempo minacciosa da mettere i brividi già da sola.
"Perché lei non è ancora qui?"
"Perché lei..." prese Hopper un profondo respiro, invocando nella sua mente tutte le sue forze residue:
"Perché lei non si trova, dottore, da nessuna parte...è sparita"
"Come sarebbe perché lei è sparita?!" udí dall'altra parte della linea la voce squillante e costernata del dottor Owens, in grado quasi di evocare la vista della sua pallina anti stress rossa stretta più che mai nel suo pugno:
"Sta bene? È ferita? Da quanto tempo ha perso sue notizie?!"
"Ho prove per credere che lei stia bene, signori, e che sia al sicuro in questo preciso momento" mentí il capo della polizia, trattenendo un mezzo sorriso amaro e rassegnato: certo, basarsi sulla parola di 4 liceali sbarbatelli era ben poco su cui poter fare affidamento.
"Consideriamo questo pomeriggio libero come un regalo personale che il vostro piccolo esperimento ha deciso di concedersi come regalo all'ultimo minuto...sapete, oggi è il giorno del suo compleanno, o almeno, quello che noi tutti abbiamo deciso per lei..."
"Lei non ha un compleanno" ribatté secca e grave la voce del dottor Brenner dall'altro lato della linea, meno calma e decisamente più irritata di prima.
"Lei non ha un compleanno, né regali né stupide scuse: non vi sono giustificazioni valide perché lei non sia qui, capo, perché questi erano gli accordi, perché questa era la sua parola..." sentí la voce proseguire ed i suoi pugni stringersi automaticamente contro il legno nella scrivania ancora di più.
"...perché lei ci appartiene, capo Hopper, perché lei non è nessuno: perché siamo noi qui a decidere che cosa possa e non possa fare quella ragazzina"
"Vuole mandare l'esercito a cercarla per tutto il paese? Prego, dottore, faccia pure e si metta in fila!" rispose ironico Hopper con una risata cattiva, trattenendosi dallo stringere troppo la cornetta tra le sue dita fino a spezzarla in due del tutto.
"Ma dubito che lei voglia rischiare di esporsi troppo ed uscire allo scoperto: non per inseguire una stupida fuga adolescenziale di una manciata di ore...El sarà di ritorno a casa domani, e sarà mia premura portarla da voi quanto prima, avete la mia parola "
"Non la faccia così semplice, capo...lei sa già bene quali saranno me conseguenza di queste sue azioni..." sibilò la voce del dottore vellutata e velenosa come quella di un serpente, a tratti, perfino, quasi compiaciuta.
Il cuore del capo della polizia mancò un battito nel petto al suono di quelle parole.
"Lei già sa quali sono sempre state le condizioni del nostro accordo, capo Hopper: lei già conosce che cosa è in nostro potere fare se lei manca di fare la sua parte, sono più che sicuro che lei se lo ricordi"
"È solo per un pomeriggio" la stretta delle sue dita avrebbero potuto deformare la plastica nera di quella cornetta per molto meno, mentre la voce tremava di rabbia, ma anche di paura.
Piccola stupida incosciente...
E stupido incosciente anche lui!
Lui ad averla sempre voluta tenere all'oscuro da quella terribile verità sulle conseguenze di quelle sue azioni!
Hopper in fondo lo aveva sempre saputo, sapeva cosa sarebbe successo se la sua piccola avesse mancato al suo quotidiano appuntamento a quel laboratorio, come era stato concordato anni ed anni or sono.
Ma lei?
Lei ne era cosciente?
Lei lo aveva mai saputo?
Che motivo avrebbe mai avuto il capo della polizia per metterla al corrente di una verità così dolorosa?
Quale eventualità avrebbe mai potuto portarla a non rispettare quel patto antico quanto la sua stessa medesima vita?
Quale cataclisma a sconvolgente i piani, se non uno non calcolato e non atteso? Quale se non uno dai ricci neri incasinati e ribelli di nome Micheal, Mike per gli amici, Wheeler?
"È solo per un pomeriggio, dottore: domani sarà tutto finito e noi tutti ci saremo dimenticati di questa storia, non accadrà mai più" ripeté il capo della polizia con voce grave e profonda, prendendo un profondo respiro ed allentando la stretta del suo pugno.
El non avrebbe mai potuto permettersi di sbagliare ancora, non dopo quello che lui le avrebbe raccontato al suo ritorno.
Avrebbe odiato se stesso per averlo fatto arrivati a quel punto, ma non avrebbe mai potuto mentirle ancora.
La sua bambina era abbastanza grande e cresciuta per meritare di scoprire la verità una volta per tutte.
"Avete la mia parola, signori: non succederà mai più, chiudiamo questa storia ora..."
"Questo lo vedremo..." rispose grave la voce del dottor Brenner un ultimo secondo, un istante di ultima profonda e cattiva soddisfazione, prima che la linea fosse interrotta ed un tu-tu-tu ritmico ponesse fine alla comunicazione.
"Stia bene, capo, passi un piacevole pomeriggio: certo, non si potrà dire lo stesso per lei una volta che avrà fatto ritorno qui da noi..."
"...andatevene tutti a farvi fottere!" schiantò ma cornetta sul ricevitore Jim Hopper con tutta la forza in suo possesso nel suo corpo, vedendola cadere a terra come un animale ferito, tirando un calcio alla gamba di legno della sua scrivania.
Sentiva il disperato bisogno di afferrare e scagliare lontano qualcosa, non importava cosa, qualunque cosa pur di canalizzare quella rabbia crescente e quel disgusto per quelle orribili persone.
Non avrebbero vinto loro, no, mai!
Ma ancora una volta, quel pomeriggio, Jim Hopper si ritrovò a gestire la spiacevole sensazione che tutta quella sua crociata fosse destinata a nient'altro se non ad un fallimento imminente.
Non avrebbero vinto loro, certo, fintanto che fosse stato in suo potere farlo…ma quando non lo fosse stato più?
Quando non ci sarebbe stato davvero più nulla che lui potesse fare per tenerla al sicuro?
"Jim, una richiesta di..."
"Non ora, Flo! Non ora!" ribatté Hopper con tono esasperato e deciso, vedendo l'ombra dietro la porta a vetri esitare per qualche secondo.
Ed accanto a quella della sua segretaria, un'altra più alta e più magra, ma dall'aspetto ancora infantile.
Era uno degli amici di El ad essere tornato indietro?
Era uno dei nerdini che si era deciso, ormai troppo tardi, a collaborare con lui con delle informazioni?
"Credo...credo che tu possa trovare 2 minuti del tuo tempo, Jim, dammi retta, per favore..."
"Ho detto non ora, Flo, non..."
"…ma come no, capo? Nemmeno 2 minuti?" una voce giovane ma sconosciuta fece capolino da dietro la porta del suo ufficio, facendo alzare lo sguardo del capo della polizia confuso, di fronte ad una chioma di capelli lisci e scuri, impomatati come quelli di suo fratello, in un modo tale da non poter suscitare alcun dubbio.
Tipo segno distintivo degli Harrington.
Ma che ci faceva il fratello minore di Steve lì?
"Troy, non è un buon momento questo..." scosse la testa Hopper con tono brusco, deciso a togliersi quella scocciatura di dosso prima di subito:
"Se sei qui per quella storia della multa di sabato scorso, non intendo tornare sui miei passi e ricordarti ancora una volta che non mi importa se quella fosse l'auto di tuo fratello: fatti beccare ancora una volta a guidare prima di tuoi 16 anni compiuti e la patente te la puoi scordare allora e per il resto dei tuoi giorni..."
"Non sono qui per una stupida patente, capo Hopper, non per chiedere pietà, o uno sconto di pena, anzi, piuttosto per svolgere, da onesto cittadino quale sono, un servizio pubblico..." vide quel ragazzino sorridere un aria sorniona, muovendo passi lenti lungo la stanza del suo ufficio fin di fronte alla sua scrivania.
Hopper corrugò la fronte con aria diffidente ed infastidita: a lui, quel ragazzotto di una delle famiglie più famose della Hawkins bene, non era mai piaciuto.
Avrebbe anche potuto ringraziare il padre celeste che sua figlia non avesse deciso di stringere amicizia con avanzi di galera come lui, se mai ci avesse creduto.
"Non vuole sentire cosa ho da dirle?"
"Parla, Troy, non ho tutto il giorno"
"Oh, io credo che questo le piacerà.." vide il ragazzino prendere posto sulla sedia di fronte alla sua scrivania con aria da padrone, con aria di chi sa davvero il fatto suo.
"Allora..." lo vide proseguire con aria furba, fissando gli occhietti piccoli nei suoi e poggiando entrambi i gomiti e facendosi più vicino a lui, un tono compiaciuto, scegliendo le parole con cura per essere certo di aver catturato appieno la sua intera attenzione:
"Allora, capo Hopper, in cambio del ritiro della mia multa, non vuole sapere dove sono finiti "faccia da rospo Wheeler" e sua figlia?"
*
Fu solo quando si furono spente le ultime luci di quel loro primo tramonto condiviso che si accesero invece quelle di quel palco di fronte a loro: a ripetizione e a ritmo.
Con alternanza cadenzata, i fari luminosi gialli, rossi e blu, un gigantesco occhio di bue rotante sulle folla, già in visibilio ed urlante da una manciata di minuti.
El non credeva di aver mai udito in vita sua tante persone urlare a gran voce contemporaneamente intorno a lei, intorno a loro.
Pigiata tra la folla, con le braccia di Mike strette intorno alle sue spalle a mò di guida e protezione, la piccola avrebbe potuto razionalmente dire di aver avuto paura in quel momento, circondata da migliaia e migliaia di volti e sorrisi sconosciuti, ma quella sarebbe stata una vera, autentica bugia.
El non credeva di essersi mai sentita invece più viva nell'arco della sua intera vita.
"Woah!!" sentí Mike esclamare a sua volta, battendo le mani sopra le loro teste in mezzo a tutte le altre braccia stese al cielo sopra di loro, in mezzo al buio dello Wrigley Field in tutto il suo splendore, interrotto solo dalle prime luci accese e spente a ripetizione, sul ritmo cadenzato di una canzone che la folla credeva di aver già intuito, ed il nerdino amante della musica con loro.
"Ci siamo, El, ci siamo!!" strillò Mike alle sue orecchie per riuscire a contestare le urla della folla intorno a loro, sentendo il suo giovane cuore sul punto di scoppiare nel suo petto dall'emozione, e quello del suo fiorellino stretto tra le sue braccia insieme con lui, a tempo insieme, all'unisono.
Quel momento era decisamente, decisamente un sogno ad occhi aperti per lui: il sogno dal bambino, ragazzo, adulto.
Mike non credeva avrebbe mai potuto immaginare quel momento più perfetto di così, condiviso con lei.
Con lei stretta tra le sue braccia in mezzo alle mani battute a tempo dalla folla di spettatori a quel concerto, già sicuri di quale canzone sarebbe stata scelta come prima di apertura.
Mike e Will avevano condiviso centinaia di pomeriggi sul lettone di casa Byers a macinare cassette registrate dei concerti e vhs dalla tv: era sempre stata una ed una sola la canzone ad aprire ogni esibizione dei loro eroi, la prima in grado di catturare ogni volta l'intera folla, mandando l'entusiasmo alle stelle e facendo quasi vibrare l'intero cielo sopra di loro.
E già i piedi battevano a terra sugli spalti, sull'erba fresca del prato e dietro le quinte di quel palco gigantesco di fronte a loro, e già le mani battevano a tempo intorno a loro, all'unisono e precise come una danza tribale conosciuta da tutti, la stessa che il pubblico non vedeva l'ora ogni volta di ascoltare, di suonare, di fare propria.
Tu-tu-ta
Tu-tu-ta
Tu-tu-ta
Tu-tu-ta
"Ci siamo, El, ci siamo!" la piccola sentí un sorriso grande come quello stadio nascerle spontaneo sul viso, non credendo di essersi sentita in vita sua mai più felice di così.
Era folle, era assurdo, era veramente, completamente fuori da ogni più logica spiegazione.
Tutto quello che quel fiore avrebbe potuto chiedere a quella notte era di farle dimenticare, per una manciata di ore della sua vita, di chi realmente lei era e del suo vero nome.
Davanti a quel palco, in mezzo alla folla di quel concerto, a nessuno importava chi lei fosse, da dove provenisse, di chi o cosa avesse lasciato dietro di sé per essere lì.
Era solo la forza della musica quella sera a far sentire tutti a casa ed accolti, quella forza misteriosa e potente a cui sempre Mike stesso l'aveva fatta credere, tessendola insieme alla stessa storia di loro due, mese dopo mese.
E tutte quelle canzoni in parte nuove ma già sentite, sapeva l'avrebbero riportata a casa quella sera: di cosa altro mai avrebbe potuto quella piccola sentire il bisogno?
Le sarebbe servito davvero molto altro per sentirsi davvero al sicuro e felice?
"Buon concerto, fiorellino!"
Buddy, you're a boy, make a big noise
Playing in the street, gonna be a big man someday!
You got mud on your face, you big disgrace!
Kicking your can all over the place, singin'!
"We will, we will rock you!" rispose come un sol uomo la folla dello stadio, battendo le mani ed i piedi a tempo di fronte a quel palco fattosi immediatamente più luminoso, dove in mezzo agli strumenti, alla batteria, all'asta del microfono già posta nel mezzo, nessuno degli elementi del gruppo era ancora apparso di fronte ai loro occhi, sebbene le voci inconfondibili già scaldassero le orecchie e l'atmosfera attorno a loro.
We will, we will rock you! Yeah!
Buddy, you're a young man, hard man
Shouting in the street, gonna take on the world someday!
You got blood on your face, you big disgrace!
Waving your banner all over the place
We will, we will rock you!
"Sing it!" ordinò una voce facendo strillare ancora di più la folla, mentre ai lati del palco una nebbia fitta veniva sparata dai nebulizzatori ed un primo assolo di chitarra elettrica cominciava a riecheggiare come onde magnetiche sopra il pubblico.
Mike Wheeler non si era mai sentito così emozionato in vita sua da stare per mettersi a piangere, saltare di gioia e farsela sotto nello stesso medesimo secondo.
"We will, we will rock you, yeah!" cantò ancora una volta la voce di Freddie Mercury fuori campo, nell'istante preciso nel quale, in mezzo alla nebbia, un assolo più deciso di chitarra ebbe messo a tacere i battiti dei piedi e gli applausi attorno a loro, e la chioma riccia e proverbiale di Brian May fu affiorata per prima agli occhi di tutti, il più alto del gruppo.
Fece roteare le bacchette a ritmo di musica Roger saltando letteralmente sul sedile della sua batteria, sul fondo del palcoscenico, su di una pedana rialzata e davanti ad un enorme e luminoso gong che non avrebbe avuto bisogno di alcun tipo di presentazioni.
Ed il basso di John sulla sinistra, Brian già in posizione sulla destra, ed in mezzo ad entrambi, nella nebbia ormai diradata in mezzo a loro, una figura bassa, la più piccola di tutte: un uomo dall'aspetto giovane, quasi si sarebbe potuto dire un ragazzino, se non fosse stato per quel paio di buffi baffoni, neri come i suoi capelli corti.
Jeans chiari, una cintura borchiata di pelle e una canotta a spalle larghe a costine: se mai qualcuno avesse potuto avere un dubbio, non avrebbe potuto essere altro che lui.
El non sapeva come da un corpo così piccolo potesse provenire una voce così mastodontica, eppure era così, era lui, era davvero lui!
Era lui, era Freddie, con il suo microfono al termine dell'asta, rotante come il bastone di una majorette intorno a lui.
La folla reagí con un boato di applausi e grida a quella vista, riempiendo l'aria tiepida di quella prima serata di primavera, le grida alte alte fino al cielo sopra di loro, che tutti lassù sapessero che loro erano lì in quel momento quella sera, che erano vivi.
Che per un'altra notte ancora avrebbero fatto casino e fatto tremare le porte del paradiso.
"We will, we will rock you, one more time!"
"We will, we will rock you!"
"Buona sera, Chicago!" salutò la folla Freddie con una mano alzata in segno di saluto, già abbastanza perché lo stadio esplodesse ancora in una cascata di applausi attorno a loro.
Mike strinse le spalle di El attorno alle sue braccia in segno di protezione, ma il suo piccolo fiore pareva essere davvero la prima in quel momento a voler saltare, cantare, ballare, sulle note delle canzoni che aveva tutta l'aria di conoscere già dalla prima all'ultima, tutte a memoria.
Il cuore di un piccolo paladino non avrebbe mai potuto essere più orgoglioso di così in quel momento, alle spalle della sua magnifica principessa.
Ogni canzone, ogni singola canzone di quel concerto pareva essere stata messa lì appositamente per loro, a ricordare loro un momento preciso di quei mesi passati, lontani ma ancora così vicini, solo per loro.
Ogni canzone un ricordo, ogni ritornello un momento: dalle note di Keep yourself alive e la loro prima merenda condivisa sugli spalti del cortile del loro liceo, dal ritornello di Good old-fashioned lover boy e la prima dedica ai microfoni della radio della scuola.
E poi ancora mille e più canzoni ballate ed urlate alle feste, a quella di Halloween così come a quella di Natale in piscina dagli Harrington: Under pressure, Hammer to fall, I want to break free, Another one bites the dust, Radio GA-GA, Killer queen.
"Questa è per te, Will..." sorrise Mike nella sua mente, dedicando all'amico di una vita le prime note della loro canzone, quella che mai avrebbe potuto confondere per nessuna ragione al mondo:
Is this the real life?
Is this just fantasy?
Caught in a landslide
No escape from reality
La canzone che li aveva fatti conoscere, quella che in un qual modo magico e meraviglioso aveva permesso che tutto quello fosse possibile, quella che, anche se in modo diverso da come avevano immaginato e creduto, li aveva portati fino a lì.
E il piccolo ricciolino credette di poter sentire in quel momento come se il suo migliore amico di tutta una vita non fosse distante chilometri e mille miglia, ma invece veramente lí, lì con lui.
Perché era lui che lo stava portando in quel momento di fronte a quel palco insieme con lui, prestandogli per un momento i suoi occhi per vedere, la sua voce per cantare, le sue orecchie per sentire.
Qualcosa contro cui nessuna registrazione avrebbe mai potuto competere minimamente.
Nothing really matters
Anyone can see
Nothing really matters
Nothing really matters to me!
"Adoro questa, la adoro!!" urlò El felice sulle note allegre di Crazy little thing called love, ballando con il suo nerdino a farla ruotare su se stessa felice, facendole perdere l'equilibrio ma facendole ritrovare invece una grande, infinita voglia di ridere, non vergognandosi neppure di baciarsi in mezzo a quella folla di sconosciuti, un bacio lungo ed intenso, stetti stretti tra le loro t-shirt troppo larghe e leggere quella sera, quando sulle note al pianoforte di Love of my life, l'intero stadio fu rapito dalla voce dolce del cantante seduto davanti alla tastiera del suo pianoforte a coda.
Love of my life, you've hurt me
You've broken my heart, and now you leave me
Love of my life, can't you see?
Bring it back, bring it back
Don't take it away from me
Because you don't know
What it means to me
"Se c'è una cosa che credo di aver capito in questa vita, è che quella che sto per cantare qui è la canzone più fottutamente bella che io abbia mai scritto, amici..." sussurrò Freddie al microfono con voce rotta di emozione, quando le ultime note di Who Wants to live forever e The show must go on ebbero iniziato a sfumare, disperdendosi nel cielo sopra di loro.
Will aveva avuto ragione: nemmeno la malattia aveva potuto offuscare nemmeno di poco la gloriosità di quella immensa, eterna, meravigliosa voce.
"Se potessi scegliere di ascoltare una sola canzone per ultima, sul mio letto di morte, amici, non avrei davvero alcun dubbio!" continuò il cantante mettendosi al centro del palco vicino ai suoi amici, le mani dei restanti componenti del gruppo intorno alle sue spalle, una corazza come a volerlo proteggere da qualsiasi pericolo, fin perfino alla morte, se fosse stato loro concesso come per miracolo divino.
La folla non poté che battere le mani ancora più forte di fronte a quella scena di intima amicizia ed unione.
"Ho passato anni a dar per scontato tante cose, amici: il successo, la fama, la salute...ma tutte queste cose, per quanto importanti, non sono altro che stronzate di fronte all'unica, alla più preziosa, alla sola cosa degna di nota in questa vita. E se siete ancora così stronzi dal non averlo capito, signori, beh, capitelo ora!" urlò più forte Freddie con un cenno d'intesa a Brian ed un colpetto di testa in direzione di Roger e la sua batteria, come segnale di tenersi pronti.
"L'unica cosa che rende una vita degna di essere vissuta è questa, non smettete mai di cercarla anche voi, amici. Questa è per tutti voi: Somebody to love!"
Ooh, each morning I get up I die a little
Can barely stand on my feet
(Take a look at yourself)
Take a look in the mirror and cry
(and cry)
Lord, what you're doing to me
(yeah yeah)
I have spent all my years in believing you
But I just can't get no relief, Lord!
Sorrise El con le lacrime agli occhi al suono di quella canzone, così intimamente sua, anzi, loro, senza che lei potesse raccontarlo al ragazzo alle sue spalle a parole.
Era quella la prima canzone di quel gruppo che aveva mai sentito, direttamente dalle cuffie nelle sue orecchie e tra le mura scure della sua camera da letto, nel vuoto, la prima sera nella quale, mesi e mesi prima, gli aveva fatto visita attraverso quel mondo.
Mike non lo avrebbe mai scoperto, non lo avrebbe forse mai saputo, ma El lo aveva capito fin da quel primo istante così intimo, senza che lui nemmeno se ne potesse rendere conto: era lui, era lui e sarebbe stato sempre e solo lui.
El ne era certa in quel momento di fronte a quel palco come allora, non era cambiato nulla di quella convinzione, qualcosa che lei, in fondo, credeva di aver sempre saputo.
Era lui quel suo 'qualcuno', lui quello da cercare e trovare per dare un senso a tutto, per rendere quella vita degna di essere vissuta: perfino la sua, che ogni giorno non lottava da anni contro una malattia ma contro invece una maledizione, quella di essere nata speciale, diversa, di non poter essere mai sul serio libera.
Perfino la sua vita sarebbe stata degna di essere vissuta, se con lui, se con quel 'qualcuno da amare' che lei aveva capito di aver raggiunto già quella prima sera, nel vuoto e nel buio, allora come ora.
Lo stesso qualcuno che l'aveva presa per mano e portata fino a quel punto, lo stesso che ora la stringeva a sé come la cosa più fragile e preziosa dell'intero suo mondo.
Lo stesso che sapeva stesse provando le medesime cose che lei provava per lui, senza più il bisogno di dirselo neppure.
Somebody to love, sí.
Solo qualcuno da amare avrebbe sempre potuto rendere una vita, qualunque essa fosse, degna di essere vissuta e meravigliosa.
Can anybody find me...
Somebody to love?
"Trovare qualcuno da amare, amici: per tutta la vita e non solo per questa notte! A presto, Chicago! Alla prossima! The show must go on!"
*
E come suggerito dal cantante, di lì ad una manciata di ore e qualche sogno dopo, abbandonato al termine del concerto lo stadio, la folla, il rumore ed il parcheggio gremito di folla del Wrigley Field, guidato per una manciata di chilometri fino allo spiazzo meno affollato e decisamente più tranquillo di una collina poco fuori dal centro urbanizzato, con le luci della città a mescolarsi a quelle delle stelle sopra di loro, due piccolini fiorellini, nel cuore di quella notte, stavano già prendendo alla lettera il dolce invito di quel cantante: amandorsi, e non solo per quella notte, ma non decidendo di non perdersi nemmeno quell'occasione per cominciare subito.
Leggeri e felici erano stati i primi baci scambiati tra i sorrisi seduti su di quei sedili, negli occhi grandi da bambini ancora tutte quelle luci, nelle orecchie ancora le note, le parole ed i testi di tutte quelle canzoni.
Pesanti, fin da subito, i loro respiri, rapide le loro mani ad affettarsi, a chiedersi, a cercarsi, senza bisogno di chiedere più il permesso di raggiungere qualcosa di già scoperto e non più proibito, ma in grado comunque di far accelerare i battiti dei loro giovani, con il rischio di uscire quasi fuori dai rispettivi petti.
Brillava la scritta nera di Mike sulla sua pelle chiara, baciata dalla luna, baciata dalle labbra di El lungo le sue spalle, le due clavicole, l'incavo del suo collo solcato dai brividi mentre, un paio di t-shirt della loro band del cuore abbandonate sul sedile posteriore dell'auto del signore Wheeler, tra il sedile ed il volante, a cavalcioni sopra di lui, il suo fiore quella sera stava riscoprendo il suo piccolo personale angolo di paradiso.
E non serviva nemmeno più la musica intorno a loro, se non quella che ancora avevano in testa: se non il suono delle cicale di quel prato, il vento leggero a soffiare tra le fronde degli alberi, il respiro di Mike tra i suoi capelli vicino al suo orecchio, e gli stessi suoi gemiti dei quali El non sentiva più il bisogno di provare vergogna o pudore.
Quale altra adolescente "normale" avrebbe mai potuto vantare un finale di compleanno migliore di quello?
"Mike...Mike!"
"Io direi che dopo oggi, fossi in te, El, farei sega a scuola più spesso per scappare via con me!" rise Mike tra un sospiro e l'altro, con il fiato corto, sentendo la risata della sua piccola farsi leggera tra i suoi ricci, le sue dita strette sulle sue spalle e le sue labbra ad accarezzare veloci ogni centimetro del suo viso.
Le sue a muoversi ormai da sole dentro di lei, nel modo e al ritmo suggerito dai piccoli tremori di piacere del suo corpo stretto al suo.
I suoi ricci di miele sciolti sulle sue spalle bianche e piccole, una scena in bianco e nero tra il buio della notte e la luce candida della luna.
"Non tentarmi, signorino, o potrei quasi prenderti in parola..."
"Potremmo restare qui anche per sempre, non credi?" sorrise Mike portandola più in sú, sentendola reagire a quel cambio di ritmo con un gemito più adorabilmente acuto.
"Dimenticarci del resto del mondo, scappare per sempre e non tornare più a casa: niente Hopper, niente stupida scuola né impegni nel pomeriggio. Solo tu, io e questa vecchia auto, finché ci andrà di stare qui!"
"Se continui a farmi così, Mike, potrei persino dirti di sì..." boccheghiò El in cerca di fiato, sentendolo ridere alle sue orecchie:
"Come, El? Non ho capito...così?"
"...sí!" annuí El stringendo più forte le braccia intorno a lui, sentendo il respiro nei suoi polmoni accelerare, bisognosa di aria tanto quanto del movimento di quelle dita del suo ragazzo dentro di lei in quel punto preciso:
"Sì...così!"
E come poteva pensare di aver avuto paura a vivere tutta quella meraviglia?
Come poteva aver pensato di non essere in grado di fare qualcosa, quando tutto era sempre così dolce e naturale tra di loro da smettere di fare e semplicemente da lasciarsi trasportare e vincere dall'istinto e dall'emozione?
"Come fa ad essere sempre così bello, Mike?"
"Perché tu sei bella, El..." sorrise Mike baciandole la punta delle labbra sopra di sé, chiudendo gli occhi e lasciando che le parole uscissero da sole, senza che dovesse trattenerle di più:
"Ed immagina quanto sarà ancora più bello quando faremo finalmente l'amore, El..."
Fare l'amore...
Il corpo di El reagí immediatamente al suono di quelle 3 parole, sentendo il petto invaso da un'ondata di nuovo calore che nulla aveva a che vedere con le dita di Mike in mezzo alle sue gambe scosse da ondate ed ondate di piacere.
Un'espressione così antica, quasi a tratti dimenticata: c'entrava una chiacchierata con Max e qualche rossore di troppo di imbarazzo ed emozione, la neve a scendere candida al di là della finestra della loro camera, il freddo ed il gelo intorno a loro in contrasto con le sue gote bollenti senza che se ne sapesse spiegarsene nemmeno lei la ragione.
L'amore.
Fare l'amore.
El non aveva capito quella sera le parole della sua amica: credeva perfino di non capirle nemmeno in quel momento, o, per lo meno, non del tutto.
Sentiva solo di essere semplicemente una ragazza diversa rispetto ad allora, quasi se più che appena 2 mesi, da quella notte nella baita in alta quota, fosse passata una vita intera, se non due.
Che cosa era cambiato tra di loro, tra lei e quel piccolo ricciolino il cui respiro le scaldava leggero quella notte la pelle nuda del suo petto e del cuore?
Che cosa se non l'aver sperimentato nel concreto la paura di perderlo, il vuoto del silenzio e della separazione, tutto ciò che quella piccola si era promessa di non voler sperimentare mai più?
Che cosa era stato abbattuto se non il muro di inutile vergogna, paura, timore, lo stesso che quella notte le aveva fatto dire "no, non qui, non ora"?
Lo stesso che ora pareva così lontano da loro, così inutile, così sciocco e a tratti ridicolo: nessuna linea di divisione ad allontanarli di più, piuttosto la voglia immensa di gridargli a gran voce "qui, ora"?
"E perché non facciamo ora, Mike...?" il giovane Wheeler la udí sussurrare a fior di labbra con un tono tutto d'un tratto più malizioso:
"Che cosa?" ribatté Mike confuso e disorientato da quelle sue parole, sentendola ridere con tono divertito e voce ancora più profonda:
"Come che cosa, Mike? L'amore...perché non lo facciamo adesso l'amore, Mike?"
"Perché tu, El, vuoi di certo farmi impazzire sta sera, ma non sai quello che dici..." scosse la testa Mike portando i ricci all'indietro e le mani sui suoi fianchi nudi sopra di lui, riaprendo gli occhi sul suo viso ed immaginandola ridere insieme con lui, ritrovando invece di risposta soltanto un paio di dolci occhioni scuri aperti fissi nei suoi, spalancati e stupiti: mai stati più seri di così.
"Sei…sei seria?" boccheggiò il ricciolino come un pesce abboccato all'amo, sentendo le sue dita fini sfiorare la base del suo mento e del suo labbro inferiore, quelle rosse del suo fiorellino aprirsi in un sorriso luminoso.
Il cuore gli schizzò in un secondo nelle orecchie a quella più piccola e semplice realizzazione: oh no, quella non era davvero una prova, quella non era decisamente più un'esercitazione.
Quella davanti a lui, a cavalcioni delle sue ginocchia, era davvero la sua ragazza a stargli chiedendo senza tanti giri di parole, in quel momento, quella sera, di fare l'amore!
"Fai...fai sul serio, El?"
"Si..." annuí la piccola con altro caldo e profondo sorriso, le guance calde e rosse di imbarazzo e di emozione, vedendo quelle del suo paladino divenire invece ancora più pallide, se possibile.
Aveva...aveva forse sbagliato a dire qualcosa?
"Perché, Mike? Non...non si può?"
"Oh si che si può! Ma certo che si può! Diamine se si può!" si affrettò a scuotere la testa ricciuta Mike di tutta risposta, facendola ridere per il tono così conciato della sua voce, si sarebbe quasi potuto dire lui più agitato e su di giri di lei stessa in quel momento.
"Contegno, Wheeler: datti una regolata, cazzo!"
"Ma se è lei che mi sta chiedendo di farlo con lei ora, qui! E con quegli occhioni..."
"In fondo se te lo sta chiedendo non puoi dirle di no, Mike...sarebbe decisamente del tutto fuori luogo, davvero scortese..."
"Nancy ti ucciderebbe letteralmente per essere arrivato fino a qui ed esserti dimenticato a casa tutte le sue scorte di protezioni..."
"Ma in fondo sono davvero così importanti? Non basta solo...fare attenzione?"
"Mike! Scordatelo, non starci a pensare! Non si può, non si..."
"Mike…" lo richiamò all'attenzione la piccola, facendogli scuotere la testa e ritrovando i suoi occhioni grandi più confusi che mai in quel momento davanti a lui:
"Ho detto...ho detto qualcosa che non andava, Mike?"
"No, El, no..." scosse la testa Mike abbassando lo sguardo alle sue mani strette nelle sue, ai loro petti nudi sotto di loro, coperti solo dai raggi color latte della luna.
"Non c'è niente che non va, davvero, è solo...che ti vorrei concedere qualcosa di migliore dei sedili della vecchia auto di mio padre, El...almeno per la nostra prima volta"
"Perché sarà speciale, giusto? La prima..." deglutí El come a chiedere conferme di qualcosa di ovvio ma di insidioso, avvertendo come la terra franare sotto i suoi piedi ma il suo ricciolino sorridergli con sguardo sicuro:
"Oh si, speciale, El, speciale...decisamente speciale!"
"E quando lo faremo, Mike? L'amore..."
"Beh, oddio...il momento giusto si trova, El, ci saranno molte altre occasioni, credo..."
Il cuore di Mike galoppava così potente in quel momento nel suo petto da fargli considerare un miracolo che l'uso della parola non gli fosse stato ancora portato via del tutto: okay, okay, stava succedendo davvero, davvero, cazzo!
Non era più solo in uno dei suoi sogni troppo caldi e a luci rosse, quelli nei quali era lei a supplicarlo e lui a soddisfare quelle sue richieste spinte con grande e premurosa soddisfazione.
Quella volta era diverso, era molto diverso: molto più vivo, molto più puro.
Senza bisogno di grandi giri di parole, quasi quei due piccoli ragazzini avessero già lasciato posto a due giovani adulti: era davvero così semplice e naturale dare voce ai propri pensieri e desideri più profondi, discutendo insieme di quando, dove e come fare insieme l'amore?
"Io...io credo presto, fiorellino, o almeno lo spero...ci conto!" El lo vide sorridere con le guance rosse dietro alle sue lentiggini, portando con un dito una ciocca sei suoi riccioli dietro le sue orecchie, non perdendosi nemmeno un centimetro di quei suoi occhioni aperti nei suoi:
"Sempre se e quando sarai sicura e pronta tu..."
"Io credo...credo di esserne sicura, Mike..." sorrise El portando il palmo della mano aperta nelle sua, sentendola quasi tremare a quelle parole sotto la sua.
Ne era davvero sicura...di cosa poi?
Era davvero certa di aver capito come andassero sul serio quel genere di cose?
"Presto allora, promesso, Mike?"
"Promesso, El"
Ma non aveva più importanza in quel momento: non aveva più importanza conoscere i dettagli, non aveva più importanza il fatto che nessuno le avesse mai spiegato per filo e per segno come andavano vissute quel genere di cose.
In fondo, per El, bastava ormai che ci fosse lui: tra le braccia del suo paladino, nessuna principessa avrebbe potuto mai sentirsi più sicura.
Qualunque cosa, purché fosse con lui.
Qualunque follia, pur di sentirlo più vicino, ancora più vicino di così.
"E immagina quanto sarà ancora più bello quando faremo l'amore insieme, El..."
Più bello, ancora più bello.
El già non credeva che avrebbe mai potuto esistere qualcosa di più bello di quello.
E quando i sorrisi ebbero nuovamente lasciato il posto a nuovi baci, ed i baci a nuovi sospiri, a nuovi gemiti, a nuovi centimetri di pelle ancora da baciare, le spalle tremanti, la schiena ricurva, i fianchi stretti a chiedere di più, ancora di più, fu ancora una volta il sole luminoso di una nuova alba a sorprenderli all'orizzonte.
Nessun muro più a coprirli intorno a loro: travolti e bagnati dalla luce, come da una doccia di sole.
Stetti abbracciati e vinti dal sonno, sul sedile del guidatore di quell'auto rubata,frutto dei loro folli e giovani cuori, innamorati, tumultuosi, sicuri solo più di una cosa: quella non sarebbe stata la loro ultima notte d'amore, piuttosto la prima di una serie infinita quanto l'intero mondo.
E il sorriso sulle labbra di quel piccolo fiorellino non avrebbe avuto bisogno di altre inutili parole: nessun altro al mondo aveva avuto il privilegio di assistere ad un migliore e più felice "compleanno dei fiori".
*
Lezioni a scuola saltate, auto di Ted Wheeler rubata, documenti falsificati e biglietti per il concerto di Chicago di una band rock a tratti per lui sconosciuta.
Jim Hopper, per quella giornata, credeva di averle sentite già davvero tutte.
Fumava la sigaretta tra le sue dita, appoggiate alla balaustra di legno della veranda della sua cabin sperduta in mezzo al bosco, gli occhi azzurri stanchi e gonfi, di chi non ha chiuso occhio se non per poche, fissi all'orizzonte di fronte a sé, a quella stradina in mezzo alle fronde dalla quale, senza fretta, sapeva che un'auto sarebbe sbucata da un momento all'altro.
Ne era certo, se lo sentiva.
E nessuna cosa al mondo avrebbe potuto contenere la sua furia a quel punto.
Tamburellavano le sue dita callose lungo il legno sbeccato e rigido della colonna portante della sua veranda, esattamente come quelle di Mike Wheeler, più giovani e meno consumate ma ugualmente incapaci di stare ferme quella mattina, sudate e umide contro la pelle del volante tutto ad un tratto scivoloso, svoltando lungo la strada principale appena superato il cartello "Welcome to Hawkins", ed imboccando la vietta sconosciuta in direzione della radura.
Nessun rumore fendeva l'aria grave dentro l'abitacolo di quell'auto, né più musica alla radio o canzoni urlate a squarciagola fuori dai finestrini.
Sarebbe quasi potuto sembrare che qualcuno avesse premuto dal telecomando il tasto "mute" a quella scena, se non fosse stato per i battiti dei denti di El, accaniti dall'inizio del viaggio contro le unghie delle sue mani, ansiosa ed in preda al panico come mai prima.
"Stai...stai bene?" ruppé Mike il silenzio dopo un viaggio che più che di 4 ore era parso essere stato di giorni, lanciando un'occhiata nella sua direzione, con ancora la sua t-shirt dei Queen indosso a mò di vestitino.
"Vuoi...che rallento un poco?"
"No no..." la vide scuotere la testa con un sospiro, lanciando uno sguardo fuori dal finestrino al paesaggio fattosi immediatamente più familiare intorno a loro.
"Tanto prima o dopo dovrò comunque tornare a casa, Mike...non ha senso tardare ancora"
"C'è speranza che...che il capo non sia in casa?" azzardò Mike con una punta di speranza, persa subito nel vento vedendola scuotere gravemente i ricci sulla fronte:
"Ne dubito, non sarebbe proprio da lui...mi starà di sicuro aspettando, ci conto..." la piccola udí un brivido lungo la sua schiena a quella realizzazione, resistendo all'impulso di mettersi già a piangere dalla paura e dalla frustrazione.
Aveva concesso a sé stessa di dimenticarsi della sua vita per le 24h di quella giornata a dir poco incredibile, di lasciare alle sue spalle tutte le gravità che per l'arco di una sola giornata le erano sembrate essere così piccole ed insignificanti.
Ma El già lo sapeva che non sarebbe mai potuto durare per sempre, non si era mai illusa che quel ritorno a casa sarebbe potuto essere meno terribile di così.
Il suo papà adottivo non le avrebbe mai perdonato quella follia, e non tanto per la scuola saltata, per l'auto rubata o per aver assistito ad un concerto per il quale non aveva l'età richiesta.
El non aveva mai passato un intero pomeriggio lontano da casa.
El non aveva mai mancato una volta al suo appuntamento al laboratorio in tutta la sua vita.
E che cosa sarebbe successo allora?
Quanto grande e terribile riusciva ad immaginare sarebbe stata la sua punizione?
"Hopper sarà...?"
"…sí" Mike la sentí interromperlo senza distogliere gli occhi dalla strada coperta di foglie al di là del parabrezza, anticipando la sua richiesta.
"Sí, Mike, lo sarà...sarà fuori di sé" deglutí El sbattendo le palpebre e stringendo il tessuto morbido della sua t-shirt tra le dita.
"Io..." la vide continuare Mike cercando le giuste parole, sentendo la presa farsi più scivolosa sul suo volante ed il suo piede tremare sul pedale dell'acceleratore.
Non aveva dovuto insistere nemmeno così tanto perché El lo seguisse la mattina precedente, e non era stato certo lui quello a domandarle se fosse certa, se fosse sicura: se fosse disposta a disubbidire a suo padre capo della polizia e a non presentarsi a quel tanto famoso e misterioso appuntamento quotidiano ogni pomeriggio con lui.
Aveva pensato che El lo potesse fare, che fosse pienamente cosciente dei suoi rischi, così come lui era certo che sua madre lo avrebbe di certo scuoiato vivo una volta fatto ritorno a casa, ma arrivato a quel punto della stradina a pochi metri dalla sua casetta nel bosco, Mike non credette più che quella di sua madre potesse essere la peggiore delle punizioni del mondo.
El stava letteralmente tremando come una foglia sul sedile accanto a sé.
"El, stai...stai bene?" chiese Mike allungando una mano per prendere la sua, vedendola annuire con gli occhi già lucidi.
"Io...io non l'ho mai deluso così prima d'ora, Mike...mi odierà, mi odierà con tutto se stesso...mi odierà per aver saltato ieri pomeriggio il mio...il nostro appuntamento"
"Non ti odierà, El, ne sono sicuro..." scosse la testa Mike vedendo le fronde farsi più rade davanti a loro e il contorno della radura sbucare dagli alberi all'orizzonte.
Non era proprio quello il momento di chiederle ancora una volta perché quel suo impegno fosse così importante ed irrinunciabile, ogni fottutissimo, schifosissimo pomeriggio.
Sebbene lo desiderasse davvero, desiderasse davvero capirci una volta per tutte qualcosa in più.
Ma non era quello il momento opportuno: non ora che la cabin già si stagliava minacciosa e cupa davanti a loro, nonostante la luce di quella mattina di sole, non ora che il suo fiorellino aveva solo bisogno di sostegno e protezione, bisogno di lui.
Hopper non doveva odiare lei, lei non aveva alcuna colpa.
Se il capo doveva prendersela a morte con qualcuno, quello era lui.
"Vengo con te, El, parlo io con Hopper..."
"Ma…" boccheggiò El pronta a replicare, ma il ricciolino scosse la testa spegnendo il motore accanto al furgone della polizia di Hawkins.
"Niente ma, El: entro con te, okay?"
"...okay" deglutí la piccola sentendo le sue dita stringersi più forte tra le sue, un ultimo secondo.
Prima che, aperte le portiere con uno scatto sinistro, le loro converse bianche ritrovassero la terra ferma sotto i loro piedi, come ritornando alla realtà e alla vita vera dopo una giornata passata a volare sopra le nuvole in un sogno.
E le dita di Mike non si separarono dalle sue nemmeno quando, appoggiato alla balaustra della veranda, con una sigaretta spenta in mezzo ai denti, gli occhi azzurri e ridotti a due fessure di Hopper li ebbero riaccolti a casa con sguardo minaccioso.
El non aveva mai avvertito le sue ginocchia tremare così forte.
"Ma buon pomeriggio, signorini! Passata una piacevole giornata?!" ruppe per primo il silenzio Hopper con un sorriso finto, incrociando le braccia al petto per nascondere i pugni chiusi, ma tremanti i suoi baffoni pericolosamente di fronte a loro.
"Come era il tempo a Chicago? Spero abbiate avuto un bel sole! Che gentile da parte vostra aver deciso di fare ritorno!"
"Papà, io..." scosse la testa El a capo chino, ma avvertendo il suo papà adottivo scuotere la testa con forza, intimandola di non proseguire.
"Non una parola, El: fila dritta in camera tua!" aggiunse con voce severa e grave Hopper, indicando con un cenno della testa la porta della casa accanto a loro.
"Aspettami dentro e medita sul significato delle parole "rispetto" e "conseguenza delle proprie azioni"...con te farò i conti dopo"
"Non è stata colpa di El, signore!" intervenne Mike sentendo la mano del suo fiorellino separarsi dalla sua, vedendola muovere un passo incerto lungo la veranda, poco decisa ad allontanarsi da lui come ordinato, prendendo tempo.
La sua gola non era mai stata così secca e la sua lingua più asciutta di così.
"Se è arrabbiato con qualcuno, signore, dovrebbe esserlo solo con me!"
"Arrabbiato? Oh no, Mike, ragazzo mio, io non potrei mai essere arrabbiato con uno di voi due..." sorrise Hopper amabile per un secondo, guardando il giovane Wheeler con uno sguardo che avrebbe potuto essere così tagliente dal dividerlo da capo a piedi in due.
"Vedi...io non sono arrabbiato, Mike...io sono piuttosto, assolutamente...FURIOSO!"
Il suono di un pugno secco contro la colonna di legno della veranda fece saltare entrambi i ragazzini sul posto, così forte da far credere a Mike per un secondo che quella cabin potesse collassare su se stessa sopra di loro.
"Come diavolo avete potuto pensare di fare una cosa del genere?!" strillò Hopper senza più freni di decibel alla sua voce, tirando una manata dopo l'altra sulla superficie di legno fino a farla diventare rossa e gonfia.
El non riusciva più a trattenere dai suoi occhi le lacrime di vergogna ed umiliazione.
"Mi dispiace, papà, davvero...mi dispiace così tanto..."
"Ti dispiace, El? Ti dispiace?!" ripeté il capo alzando gli occhi al cielo con aria ironica:
"Per quello che avete combinato voi due, ragazzi, "mi dispiace" non è sufficiente, nemmeno un po'!!"
"Ma non abbiamo fatto nulla!" intervenne Mike urlando a sua volta, più arrabbiato per le lacrime di El che timoroso della furia di Hopper.
Non poteva vedere il suo fiorellino piangere in quel mondo, men che meno se per un "Non abbiamo fatto nulla di male!"
"Nulla di male?! Aspetta, Wheeler, fammi decidere da dove cominciare..." ribatté il capo con una risata, muovendo un passo dopo l'altro fin di fronte a lui.
"Hai rubato l'auto di tuo padre, marinato la scuola, guidato fino a Chicago senza uno straccio di patente e lontano dall'aver compiuto 16 anni necessari. Vi siete intrufolati ad un concerto grazie a dei documenti falsi e passato la notte lontani da casa chissà dove, e tu vorresti dirmi che tutto questo tu lo chiami "niente di male", Mike?!"
"Come...come sa lei tutte queste cose?" domandò Mike con sguardo confuso, avvertendo la sua voce tremare appena a quelle parole.
Erano stati i suoi migliori amici a fare la spia? No, non lo avrebbero mai fatto, non avrebbero mai potuto...
Allora...Will?
"Chi…chi glielo ha detto?"
"È davvero la domanda che vuoi pormi in un questo momento, Mike?" rise Hopper scuotendo la testa e passandosi una mano sulla fronte:
"Gesù, voi due proprio non capite...siete troppo piccoli, incoscienti e stupidi per capire il casino che avete combinato voi due..."
"Noi non siamo più dei bambini!" ribatté Mike con forza muovendo un passo in avanti con aria minacciosa, avvertendo la rabbia salire lungo il suo petto e prendere possesso della sue facoltà motorie.
Quanto avrebbe voluto tirare un pugno sul nasone di quel vecchio omone: ma come si permetteva di parlar loro così?
A lui, ad El...
"E solo perché lei pensa che El sia ancora una bambina non vuol dire che lo sia! Forse dovrebbe rendersene conto una buona volta e lasciarla vivere la sua vita, lasciarla vivere!"
"Non osare provare a dirmi tu come comportarmi o non comportarmi con mia figlia, Wheeler!" ribatté Hopper con aria minacciosa, ma Mike scosse la testa, incapace di trattenersi di più.
Ora basta, ora basta!
Ora parlava lui, era troppo arrabbiato per potersi trattenere di più.
E quanto sarebbe stato meglio se fosse riuscito a mordersi quella dannata lingua una volta di più...
"Perché nel caso non se ne sia accorto, la causa maggiore di tutti i problemi di El è sempre e solo lei!" proseguí Mike con quanto fiato aveva in gola, scuotendo i ricci neri dalla fronte e sentendo le guance scottare e le parole uscire dalle sue labbra da sole:
"Lei che non fa altro che tenerla chiusa in gabbia come se fosse di sua proprietà e non una persona indipendente e libera! Lei che non le permette nemmeno di vivere una vita vera senza costringerla ogni giorno a non mancare al vostro stupido appuntamento, ogni stupido pomeriggio!"
"Mike...calmati..." rispose pacato il capo Hopper con sguardo serio, davanti al viso di quel nerdino rosso come non mai e con le lacrime agli occhi.
Mike avrebbe soltanto voluto mettersi a piangere in quel momento tutto il suo nervoso.
"È sua! È tutta colpa sua! Se El è infelice è solo colpa sua!"
"Adesso basta, Mike, calmati..."
"Se El è sempre stanca, se è sempre triste...se ha paura di lei come se fosse un mostro!"
"Ora sta zitto, basta, Mike...zitto!"
"Che razza di padre si comporterebbe così?!" urlò Mike ancora una volta, vedendo la mano di Hopper alzarsi pericolosamente di fronte a lui:
"Quale padre di comporterebbe così se non il peggiore padre del mondo?!"
"...adesso basta!!"
Il pugno di Hopper alzato sopra la sua testa si mosse veloce fin vicino all'orecchio del piccolo nerdino vicino, molto vicino, facendo chiudere gli occhi di Mike da soli, in attesa di un ceffone che però tardò ad arrivare, per quella volta.
E la pacca sulla spalla che il giovane Wheeler sentí dal capo quel pomeriggio lo fece riaprire gli occhi lentamente con sguardo confuso.
"Mike..." il ricciolino sentí la voce di Hopper tremare sopra la sua testa, un secondo prima che le sue dita ancora sulla sua spalla la stringessero forte, quasi a bloccargli la circolazione:
"Adesso tu vai a casa, ragazzo mio, ti dai una bella calmata e prendi un profondo respiro..."
"Ma io..." tentò di ribattere Mike mai sentitosi così piccolo, ma Hopper lo zittí immediatamente scuotendo la testa sopra di lui.
"Shh...stai zitto, per favore..." ripeté Hopper con voce grave e profonda, un'ombra sul suo viso talmente grande e la voce così fina da apparire niente meno che un sussurro.
"Non voglio che tu aggiunga un'altra parola in merito di come io penso che sia meglio agire per proteggere mia figlia..."
"Per proteggerla? Proteggerla?!" esclamò Mike con l'ultimo residuo di rabbia che aveva in corpo, scansando la mano del capo dalla sua spalla e fissandolo con occhi di fuoco:
"Sarebbe da me che vuole proteggerla? Sarei io il suo più grande pericolo?!"
"Tu. Non. Sai. Niente. Wheeler" scandii parola per parola Hopper con tono categorico di chi non vuole ammettere altre discussioni, alzando lo sguardo davanti a sé e prendendo un profondo respiro.
"Hai 1 minuto per andartene immediatamente da qui e 5 per guidare quell'auto fino a casa tua prima che io decida di riportartici di persona ammanettato dentro al mio furgone..."
"Io…"
"Corri, Mike, sparisci" Mike lo udí ripetere in tono categorico, non lasciandogli altra scelta se non quello infine di ubbidirgli a malincuore.
Lanciò un ultimo sguardo dietro di sé alla porta della casa ancora aperta di 10 centimetri, vedendovi attraverso El ad osservarlo con occhi gonfi e rossi come non credeva di averglieli mai visti, sufficenti a fargli stringere il cuore in una morsa sorda.
"Ciao..."
"Ciao…" mimarono le loro labbra un ultimo saluto, prima che le gambe lunghe e magre di quel ricciolino percorressero di corsa i gradini di quella veranda e la radura davanti a loro, senza voltarsi per salutare ancora.
Ed El rimase in apnea con il cuore in gola, finché l'auto del signor Wheeler non si fu persa tra le fronde all'orizzonte.
Finché, con un altro, più profondo respiro, il suo papà non si fu voltato infine in dietro su quella veranda, fino a lei: occhi tristi e mesti come non ne glieli aveva mai visti.
"Ed ora, signorina, facciamo i conti io e te..."
"Sei in punizione" El lo udí cominciare con tono simile ad un ordine piuttosto che ad un rimprovero, vedendolo superarla attraverso la porta d'ingresso fin dentro il suo salotto, come a voler evitare di incrociare il suo sguardo, deciso ad ignorarla a tutti i costi.
El deglutí con il fiato corto: pareva non le fosse mai stato più difficile respirare a pieni polmoni, quasi sottovuoto.
"Papà..." provò a sussurrare la piccola, ma Hopper continuò a scuotere la testa, faccia al muro.
"Papà, ascoltami..."
"Niente TV, niente ricetrasmittente, nessuna uscita all'infuori della scuola"
"Papà, ti prego..." chiuse gli occhi El sentendo nuove lacrime premere per uscire, continuando a fissare le sue spalle grandi e ricurve.
Lo aveva davvero deluso così a fondo da non meritarsi nemmeno più di essere guardata da lui?
"Papà..."
"Ah, e per quanto riguarda uscite con Mike ed i tuoi amici? È un no tassativo fino a nuovo ordine, all'infuori di quello che non è strettamente legato a progetti per la scuola e per lo studio"
"Papà, ti prego...puoi voltarti, per favore?" mosse un passo El nella sua direzione, posando timidamente una mano sul suo braccio, vedendolo irrigidirsi a quel contatto inaspettato.
Il piccolo fiore deglutí.
"Puoi guardarmi, papà, per favore?"
"Non ci riesco, El, non ci riesco..." sussurrò Hopper scuotendo la testa con gli occhi chiusi, posando una mano pesante al muro della parete di fronte a loro, un sospiro, stanco, sfinito, deluso.
"Non riesco a guardarti e a credere che tu abbia potuto veramente deludermi così tanto..."
"Io non..." scosse la testa la piccola sentendo il ghiaccio di quelle parole congelarle l'aria fin dentro i suoi polmoni, cancellando in un lampo tutte le cose che avrebbe avuto da dire.
Voleva forse dire che non era stata sua intenzione?
Che era stata forse costretta?
Che non era stata quella una sua libera decisione?
Sarebbe stata soltanto una bugia: El non si era mai sentita così felice e sicura di fare qualcosa come la mattina precedente, come in quella giornata appena trascorsa di meravigliosa follia.
E avrebbe anche voluto raccontare al suo papà le meraviglie che aveva visto: le luci del concerto, i colori del tramonto, le canzoni urlate da mille e mille sconosciuti intorno a lei come fossero stati insieme un'unica voce.
Ma al suo papà sarebbe interessato veramente stare a sentire in quel momento tutto quello che lei aveva da dire?
"Io...mi dispiace papà, per...per tutto"
"Che n'è stato della nostra promessa, El?" lo sentí la piccola domandarle con voce profonda, nemmeno più arrabbiata e delusa, soltanto stanca e sfinita, consumata fino al midollo:
"Che cosa ne è stato della nostra regola del non essere stupidi?"
"Io voglio essere stupida se con lui, papà..." sussurrò El lasciando che un singhiozzo spezzasse la frase a metà, non preoccupandosi più delle lacrime calde a colarle lungo il viso.
"Ho fatto qualcosa di stupido, è vero...ho rotto la nostra regola e ti ho deluso, ma lo sai una cosa, papà, lo sai?" continuò il piccolo fiorellino con un piccolo sorriso, alzando gli occhi sul viso del suo papà nascosto dalla patina liquida dei suoi lacrimoni:
"Non mi sono mai sentita più viva e più felice che nelle ultime ore, papà"
Il capo Hopper trattenne il respiro al suono di quelle parole, muovendo infine il suo sguardo stanco fin sopra di lei, alla piccola che ora le stava accanto tremante come una foglia spazzata via da un vento impetuoso, lacrime fresche lungo le sue guance, ma sulle sue labbra un nuovo sorriso dolce.
"Lui mi fa sentire viva, papà..." ripeté El ancora, lasciando che quel sorriso spontaneo le scaldasse il cuore, che le parole trovassero da sole la strada per dar loro voce.
"Mike...Mike mi fa sentire, quando sono con lui, finalmente viva, finalmente...normale!" la restò ad osservare Hopper come una meraviglia, sentendo il suo cuore scaldarsi di un poco al suono di quelle più sincere parole.
"Ho visto...ho visto il tramonto ieri sera, papà...il tramonto! E io non ne avevo mai visto uno prima!" sorrise El lasciando scorrere le lacrime di gioia fino al pavimento sotto i suoi piedi, di fronte a lui.
"Ma tu...tu lo sapevi che esisteva il tramonto, papà? Lo sapevi? Rispondimi! Perché io...perché io non avevo mai potuto vederne uno prima d'ora?"
"Per lo stesso motivo per il quale tu non capisci la gravità di quello che hai fatto, El..." rispose grave Hopper chiedendo gli occhi e voltandole le spalle ancora una volta, incapace di reggere il suo sguardo, appoggiando la schiena alla porta verde della sua camera da letto chiusa.
"Tu...tu non sei mai stata una ragazzina come tutte le altre, El...è stupido da parte di entrambi far finta che non sia così..." El lo sentí sussurrare con lo sguardo fisso di fronte a sé, perso in chissà quali pensieri e ricordi lontani.
"Questa non è la vita migliore che una ragazzina della tua età potrebbe mai desiderare, El, questo lo so bene..." sputò fuori Hopper come veleno dalle sue labbra trattenuto troppo a lungo,
"Ma questa vita, El...questa vita che tanto disprezzi, da cui tanto desideri scappare, questa che non consideri nemmeno quasi vera vita...Questa vita è quanto di meglio tu possa avere come unica possibile opzione, non lo capisci?"
"Io lo capisco, papà...lo capisco" scosse la testa El sentendosi improvvisamente un'ingrata ed una sciocca di fronte a lui: per tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento, per tutto quell'amore, quella vita, per Mike stesso e per aver avuto la possibilità di conoscere i suoi amici, avrebbe dovuto sempre e solo ringraziare una persona.
La stessa che ora le stava di fronte ferito dalle sue stesse parole.
"Io lo capisco...e tutto quello che ho vissuto lo devo solo e soltanto a te, papà!"
"No, El, tu non capisci, tu non capisci..." scosse la testa ancora Hopper battendo un pugno contro il muro, ma con meno forza e maggiore frustrazione.
"Tu non capisci e non puoi capire, non ancora...ma è giunto il momento che tu te ne renda conto, El, una volta per tutte"
"Sai che cosa succederà ora, El?" la piccola seguì il suo sguardo farsi improvvisamente più cupo, quasi come se tutte le nuvole di quella giornata di sole avessero deciso di trasformare il sereno in un acquazzone.
E la piccola Hopper non era poi così sicura di voler conoscere davvero il finale di quella storia.
"Lo sai che cosa succederebbe se tu lo facessi ancora? Sai che cosa loro avrebbero potere di farti, se decidessi ancora una volta di mancare al tuo accordo, anche solo una volta ancora, una volta soltanto?" trattenne il fiato El e così Hopper da un capo all'altro del salotto della loro piccola cabin in mezzo al bosco.
Non poteva credere di starglielo dicendo, non in quel momento, non così...
Eppure quello era l'unico modo perché lei capisse, l'unico modo perché capisse la gravità della sua situazione.
"Se tu mancassi al nostro patto, El, se tu decidessi di non tornare laggiú anche solo un'altra volta, anche solo un altro pomeriggio, io..." deglutí Hopper sentendo il suo cuore stringersi a quella considerazione, quella che mai aveva visto possibile, ma che ora appariva mai stata più verosimilmente vicina.
"Io, a quel punto, non potrei davvero proteggerti più, El..."
"Che cosa?" domandò El confusa, avvertendo le sue ginocchia tremare così come la sua voce.
Che cosa significavano quelle parole?
E perché le sentiva così lontane ma vicine, quasi come quelle di un presagio di un imminente futuro?
"Che cosa significa tutto questo, papà?"
"Significa, El, che rotto il nostro patto ed il nostro accordo, loro...loro avrebbero il potere di portarti via da qui"
"No..." la vide il capo scuotere la testa come a non voler credere a quelle parole, come a voler allontanare via un'idea troppo dolorosa anche solo per soffermarvici per un secondo.
Non era possibile.
Non poteva essere vero.
Eppure, quella era l'unica verità nuda e cruda.
Senza tanti inutili giri di parole.
"Ti potrebbero via da qui, El, e io non avrei più potere di trattenerli"
"No..."
"Torneresti ad essere solo per loro quello che sei sempre stata, nell'unico modo in cui loro ti hanno mai vista"
"No…"
"La loro cavia, il loro piccolo esperimento, il loro numero"
"No…"
"Saresti internata, portata via: dall'altra parte del paese, dello stato, del continente, Dio solo da dove!" tirò sú con il naso Hopper passando lentamente una mano sui suoi occhi.
El non credeva di stare più respirando da una troppo lunga manciata di secondi.
"No...no…no" martellavano quelle semplici sillabe nelle sue orecchie, veloci come i battiti del suo cuore impazzito nel suo petto.
Era assurdo, era un incubo, non poteva essere vero.
Il suo papà non poteva stare dicendo sul serio...non poteva stare dicendo per davvero!
"Ed io, Mike, Joyce, e tutti i tuoi amici..." concluse Hopper odiando se stesso per quelle parole, ma trovando la forza per alzare lo sguardo ancora una volta su di lei per pronunciarle lentamente, parola per parola:
"E allora tutti noi...non potremmo rivederti mai più, El"
"...NO!!" urlò più forte El come una furia, avvertendo le persiane delle finestre sbattere come spinte da un vento impazzito intorno alla cabina, inesistente se non evocato solo dalla furia della sua mente.
Tremò la luce della lampada accesa sopra le loro teste, i libri sparsi sul tavolino davanti alla tv e i quadri appesi alle pareti, cadendo e andando in pezzi, spargendo schegge di vetro lungo il pavimento della cucina.
"Tu...tu mi stai dicendo una bugia!" pianse El di rabbia e di paura, sentendo la sua mente fuori controllo far roteare impazzite quelle schegge intorno a loro, il suo papà portare le mani in alto per proteggersi il viso.
Non era vero. Non poteva essere vero.
Non poteva credere che potesse esserlo per davvero!
Eppure qualcosa le stava dicendo dentro di sé che non doveva crederci, che non era niente se non l'unica delle verità possibili.
Che il suo papà non le avrebbe mai potuto dire qualcosa di così orribile che non fosse stato vero, che mai avrebbe voluto raccontarle una storia così assurda se non fosse stata altro se non la pura verità.
Ma restava comunque troppo da sopportare un una volta sola.
Un'opzione così dolorosa da non poterci stare neppure a pensare, nemmeno per un istante di più.
"Io...io non ti credo, papà, non può essere vero!!"
"Ora calmati, El, piccola, per favore!" gridò Hopper vedendo le schegge di vetro turbinare intorno a loro in modo ancora più vorticoso, la mente della sua piccola incapace di mantenere il controllo.
"El, calmati, smettila! Controllati!"
"Tu…tu sei solo un bugiardo, papà!" urlò El senza neppure più riuscire a sentire il suono della sua stessa voce, dando vita alla parte peggiore di sé, prima di risparire dietro alla porta di legno verde della sua camera da letto dietro di sé.
"Ed io...io ti odio, papà! Ti odio!"
Un colpo secco della sua mente richiuse con un tonfo la porta della sua camera dietro di sé, nell'istante preciso nel quale, come gocce di una pioggerellina leggera, le schegge ebbero toccato terra con un dolce tintinnio, ponendo fine al tornato impazzito attorno al capo della polizia.
"El! Torna subito qui!" lo sentí gridare El portando una mano sulle sue labbra e trattenendo i singhiozzi, sentendo un pugno tirato contro il tavolo della cucina forte e sordo da far tremare le pareti fino a lei e alla sua cameretta.
"Anzi, sai cosa ti dico? Resta pure lì dentro, signorina! Resta chiusa lí dentro ed abituatici, perché ci resterai ancora per un bel po', El, ci siamo capiti!"
"Io ti odio, ti odio..." scosse la testa El mordendosi le labbra e ripetendo ancora quelle parole, non avrebbe nemmeno saputo dire se rivolte al suo padre adottivo al di là di quella porta o piuttosto a se stessa in quel momento.
Si lasciò cadere sul suo letto la piccola, stringendo forte le braccia intorno al suo cuscino e urlandoci dentro tutta la sua rabbia, tristezza e frustrazione di quel momento momento, fintanto che la voglia di urlare non fu sostituta solo più dal bisogno di piangere tutte le sue lacrime ancora in circolo nel suo corpo.
Ed allora El pianse, pianse e pianse ancora quella mattina: pianse tutta tristezza, la sua paura, la sua ingratitudine.
Pianse l'odio per se stessa, per quella vita, per quell'esistenza sempre tesa a metà, appesa ad un filo: come un bocciolo di campo dalla corolla troppo pesante per poter essere retta da un piccolo e sottile stelo, specialmente se sotto la pioggia più fitta e battete dal cielo cupo.
Ma tra le lacrime ed i singhiozzi, quella mattina, ad El parve quasi di aver visto un elemento insolito sulla parete della sua camera da letto: proprio sopra al suo letto, accanto al suo cuscino, qualcosa che non era stata lei a mettere.
Qualcosa che qualcun altro aveva appeso lì. Per lei.
Qualcosa che non aveva mai notato prima di quella mattina, qualcosa che non era mai stato prima lí.
E seppur tra le lacrime e gli occhi gonfi, la piccola Hopper riuscì a distinguere, in quel momento, un piccolo mazzo di fiori di campo essiccati ed appuntati su di un foglio bianco contornato con una cornice.
Ed in basso, a caratteri un po' storti e poco fini, una scritta in una calligrafia che El non avrebbe mai potuto confondere, neppure in quel momento.
"No flowers without rain:
nessun fiore potrebbe vivere senza la sua pioggia. E tu, piccolina, ne sei la prova: il fiorellino più bello di tutto il mondo, nonostante tutta la pioggia.
Buon compleanno kiddo,
papà"
📼🌼
Amici miei!
Finalmente il capitolo del concerto è arrivato e io spero di cuore vi sia piaciuto!😊
La musica è sempre stata parte integrante di questa storia, e quella dei Queen in modo particolare: i nostri due piccoli fiorellini non potevano che finire ad un loro concerto insieme, questa idea era nella mia testa fin dall'inizio🎸
Ma più che per il concerto, scrivere questo capitolo così "Hopper-centrico" mi ha fatto emozionare davvero molto: ditemi cosa ne pensate, se sono riuscita a far commuovere un pochino anche voi!🌼
Al prossimo capitolo, ragazzi!
È ufficialmente partito il countdown per il finale di Lmly: non ci restano che 8 capitoli da passare insieme...preparatevi a DI TUTTO
❤️
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